Capitolo 3.
Sono io, Geneviève, che vi parla.
Dopo il discorso 'emozionante' di Marc sono pronta a raccontarvi il nostro terzo giorno sull'isola.
Giorno 3.
-Geneviève.
Trovare la capanna era stato un vero e proprio colpo di fortuna.
Era un bottino formidabile, tanto che ormai passavo le mie giornate rintanata in un angolo a studiare le cartine e qualsiasi appunto che mi capitava sotto tiro.
Avevo capito già alcune cose, tra cui la distanza tra l'isola sperduta e Madagascar, quali bacche erano velenose e quali commestibili, quali animali erano da evitare e come costruire un tavolo.
C'erano così tante informazioni che il mio cervello faceva fatica ad immagazzinarle tutte.
Naturalmente quel Marc, non mi dava assolutamente una mano.
Se ne stava tutto il tempo sulla spiaggia, a guardare dritto davanti a se'.
Mi faceva pena, a dire il vero.
Era come se si aspettasse un aiuto dal cielo, e quella non era altro che la speranza che nutriva i deboli.
Stando seduti non si combina mai nulla, diceva mio padre.
A proposito di mio padre, devo raccontarvi la verità. O almeno una parte di essa.
È iniziato tutto quando ero piccola, quando mia madre se ne è andata.
Non nel senso che é deceduta, mia madre ha lasciato casa mia per un altro uomo abbandonandomi in balia di mio padre.
Vivere con mio padre non è mai stato facile.
Tralasciando che vivere con un uomo é sempre un'impresa, vivere con una persona consapevole di essere intelligente e scaltra come mio padre, lo è di più.
Ho dovuto imparare a camminare sulle mie gambe e a cavarmela da sola.
Lui non mi accompagnava mai a scuola, e non si presentava neppure una volta ai colloqui con gli altri genitori.
A me andava bene così, fino a quando non divenni parte del progetto di mio padre.
Ma adesso non parliamo di quello, per ora vi basta sapere che mio padre era un uomo intelligente disposto a tutto per il potere, anche sacrificare sua figlia.
Nonostante non sia una di quelle persone buone come lo zucchero, decisi di andare da lui.
Ci stavamo entrambi antipatici, quello era ovvio, ma eravamo sull'isola insieme. Non potevo ignorarlo tutto il tempo.
-Marc.- Dissi avvicinandomi a lui.
Il ragazzo si alzò di scatto e mi fissò con aria neutra.
-Vado a cercare acqua, scusa se me ne sono dimenticato.-Rispose come se fosse una marionetta.
Io sbuffai e misi le braccia conserte.
-Non sono venuta per questo.
E non sono neppure venuta perché mi stai simpatico o per rimangiarmi le mie parole.
Sinceramente, hai bisogno di parlare e, a meno che tu preferisca le piante, e io non ti giudico e non ti do' torto a proposito, sono disponibile.- Annunciai, buttandomi a terra.
Marc sembrò squadrarmi, e quando notó che avevo le più buone intenzioni, si risedette a terra.
-Mi sento così piccolo e insignificante in tutto questo blu.
A volte mi sento così grande e imponente, quasi invincibile, e adesso mi sento più piccolo di un granello di sabbia. - Mormorò lui, senza staccare gli occhi color del cielo dalla vastità del mare.
-Diventerai insignificante quando non ci sarà più nessuno a parlare di te.- Risposi, guardandolo appena.
Ci credevo davvero in quelle parole.
Pensavo che se non c'era più nessuno a pensarti, eri peggio che morto.
Non avevi più peso di una piuma.
-Già, hai ragione.- Sussurró lui, scrollando le spalle.
Poi dopo qualche istante di silenzio, prese parola.
-Sai giocare a calcio?- Mi domandó prendendomi alla sprovvista.
In vita mia non avevo mai avuto tempo per degli hobby, e men che meno per lo sport di squadra come il calcio.
Non lo seguivo nemmeno in televisione.
-No.- Ammisi, con un'alzata di spalle.
Lui si alzò e corse in direzione della casetta di legno.
Ne uscì fuori trasportando due legni piuttosto lunghi e una noce di cocco.
Poi, con aria esperta, inizió a sistemare i due legni come porte e mise al centro la noce di cocco.
-Beh, devi calciare la noce. Chi fa cinque punti ha vinto!- Esclamò lui, con enfasi.
Restai visibilmente confusa.
Non avevo mai vissuto una situazione simile, e di certo non me lo aspettavo.
Non avevo neppure avuto tempo di controbattere che lui aveva già calciato la noce verso la mia porta, perciò non sprecai altro tempo.
Lo rincorsi e cercai di rubargliela, ma con quella sabbia non era facile.
Marc sembrava esperto, come se giocasse a calcio.
Non era raro fra i ragazzi praticare quello sport.
Io, invece, sembravo un ciocco di legno.
Mi superò in un battibaleno, prese sempre più velocità e segnò il primo punto.
Dovette arrivare a tre, prima che io sbloccassi la situazione.
Sebbene non avessi mai giocato a calcio, potevo usare la mia astuzia per uno dei miei terribili tiri mancini.
Tirai della sabbia nella sua direzione, e lui disorientato, perse il possesso della noce di cocco.
Ne approfittai un po' per fare un punto e iniziai a tirarmela un po'.
Non ero ancora arrivata al punto di esibirmi in balletti strani, ma la mia solita serietà e rigidità era al limite.
-Non è giusto!- Si lamentó lui, ma io mi limitai a sogghignare.
-Non c'é scritto da nessuna parte che non è giusto.- Risposi immediatamente.
Avevo sempre la risposta pronta.
Marc non mi diede neppure il tempo per sistemarmi che segnó un punto. E poi subito un altro.
-Ho vinto comunque!- Mi stuzzicó con un sorriso sghembo.
Io gli feci il verso e mi avviai verso la capanna.
Il tempo per fare volontariato era esaurito, ma una parte di me si era lasciata andare.
Capitava raramente, ma Marc ci era riuscito. Aveva rotto una minima parte della barriera.
Dubitavo che fosse capace di spezzarla tutta.
Nessuno c'era mai riuscito.
-Marc?-Mi voltai a guardarlo.
-Si?
-Vai a prendere l'acqua, sta per piovere.- Borbottai.
Lui forse si aspettò un'altra richiesta, ma non disse una parola e ubbidii.
Ora che se ne era andato, ero libera di perdermi nei miei pensieri.
Perché la mia vita mi aveva privato di farmi degli amici?
Mi chiedevo sempre come doveva essere vivere in modo spensierato con degli amici pronti ad aiutarti e a sostenersi in ogni tua scelta.
Io non ne avevo mai avuto uno.
Non per mia decisione, ma per colpa della vita che avevo dovuto svolgere.
Anche solo ridere per mio padre era considerato un peccato.
Figuriamoci uscire per mangiare un gelato! Quello si che era uno spreco di tempo, di denaro e di energie.
Marc non si fece attendere con l'acqua, e infatti, me la portò immediatamente nella capanna.
Ne bevi un sorso dalla noce di cocco, divisa a metà, e feci un verso di piacere.
Marc mi osservò e poi fece un sospiro solenne.
-Astrid, tu sei una ragazza strana.- Affermò, e io alzai il sopracciglio.
-Non credo tu abbia molti amici, sei troppo chiusa nei tuoi schemi per permetterti di farti una vita come si deve.
Ma io voglio esserlo e voglio farti sorridere come hai fatto oggi sulla spiaggia. E ci riuscirò.
Spazio autrice:
Vi piace? Che ne pensate? :3
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