༆✰Capitolo 3: "Bad Liar"
Trust me, darlin', trust me, darlin'
So look me in the eyes, tell me what you see
Perfect paradise, tearin' at the seams
I wish I could escape it, I don't wanna fake it
Wish I could erase it, make your heart believe
But I'm a bad liar
⊸
«È in ritardo».
L'impassibile comandante Rojas, già sulla caravella da lungo tempo, guardava ora severamente il nuovo ed ultimo arrivato.
«Sarebbe carino, almeno da parte del comandante in seconda, presentarsi per l'ora prestabilita» lo ammonì con severità.
Da quando aveva messo piede sulla nave a lui assegnata, Asier sembrava tutt'altra persona. Cambiato, completamente diverso. Il piccolo Asier concessivo che vagava nella sua testolina era stato chiuso nella prigione della sua mente, insieme a tutte quelle sfumature della personalità del biondino che contribuivano a farlo risultare carino e coccoloso.
Una maschera di pietra era calata sul suo volto volto giovane.
Niente traspariva dai suoi occhi.
«Primo ufficiale Garcìa, cosa state combinando?» si sentì urlare. Amichevolmente, non con freddezza. Il piccolo Daniel era corso lungo il molo.
In fretta.
Con la risata spensierata dei bambini.
Asier aveva sorriso, intenerito. E si era avvicinato a lui, piano. Lentamente. «Ti piace il mare, vero?».
La mano del ragazzo era scivolata sulla spalla del piccolo, che ancora guardava le onde infrangersi sulla scogliera. «Ma'e» rise Daniel, battendo le manine contento.
«Da grande andrò per mare» aveva affermato il maggiore dei fratelli Rojas. «Sì. Avrò una nave tutta mia e andrò per mare».
«Comandante, si sente bene?» udì una voce, che di colpo lo riportò alla realtà. No, non era più su quella banchina, abbracciato al fratellino a fantasticare.
E no, non era nemmeno più quel bambino.
Non era più Asier.
Era il comandante della caravella, il comandante Rojas.
Niente di più, niente di meno.
E ora si trovava sulla sua nave, intento a guardare impassibile e con sguardo glaciale il comandante in seconda ritardatario.
Armando, dal canto suo, soccombeva sotto quello sguardo. O almeno, lo aveva fatto fino a che non era apparso un sorrisino sulle labbra del suo superiore. Chissà quali imperscrutabili pensieri vagavano come pigre farfalle nella gabbia che era la coscienza di Asier.
Perché, e questo Armando lo sapeva perfettamente, la coscienza umana è una gabbia. Dove dalle crisalidi quali sono le nostre emozioni nascono i pensieri, che volano lontano come leggiadre farfalle. Farfalle che però, quando volano, vanno a sbattere contro uno spesso e pesante vetro. Il vetro della consapevolezza di un mondo malvagio che cede al peccato e alla corruzione giorno dopo giorno. Vetro contro cui le farfalle vanno a sbattere.
Una volta.
Due.
Tre.
Infinite volte, finché anch'esse, sfinite, non si consumano. Cadono quindi al suolo, sbriciolandosi in polvere di ricordi.
La coscienza umana è una gabbia alla quale non si sfugge. Ci sei chiuso dentro, e da lì non esci fino a quando insieme alla coscienza non muore anche il corpo che la ospita.
Questa, pensò Armando, è un'amara verità.
«Posso spiegare il mio ritardo, Asi-», si bloccò nel notare il nascente sguardo inceneritore da parte dell'altro. «Comandante Rojas», corresse la sua precedente affermazione. Il biondo inarcò un sopracciglio. «Sono proprio curioso di sentire cosa ha da dire».
E con queste parole, il comandante in seconda Serangelis cominciò a raccontare.
•| ⊱✿⊰ |•
«Rey, dove sei finito?» stava chiamando in pensiero Iker. Non era nemmeno salito sulla nave, e già aveva perso il proprio gatto.
«C'era un ragazzo che si agitava sulla banchina. Penso sia anche lui uno della spedizione, comandante», fece rapporto Armando, raccontando tutto nei minimi dettagli. Era un tipo preciso, lui.
Il giovane dai capelli castani vagava inquieto, ancora. Aveva perso il proprio gatto, non poteva crederci. Lentamente, la calca andava sciamando verso le due imbarcazioni.
Lynne, incitata dalla delicatissima Marisol, era stata accompagnata - per non dire spinta - verso la caravella. La maggiore aveva poi raggiunto il proprio posto sulla corrispettiva nave.
Abel, sempre attento a non infrangere la propria riservatezza, se ne stava già appollaiato sull'albero maestro, tentando di replicare su una corda tutti i nodi da lui conosciuti. Sarebbe poi sceso non appena fosse stato necessario abbandonare il porto.
Luz aveva notato con piacere come Leonore fosse sua compagna di viaggio, e ne aveva approfittato per attaccarsi a lei come una cozza allo scoglio. Con grande disappunto della ventenne, questo c'è da sottolinearlo. Quella ragazza le stava simpatica, per carità. Però andiamo, spazio vitale!
Lisandro e Aday, poi, erano un caso perso. Mentre il primo tentava di attaccare bottone con El Principe de las Sombras, gli sguardi incuriositi e al contempo straniti di Vanesa erano ricaduti sui due. «Ma sei sicuro che non ti abbiano tagliato la lingua, sombra?» rise sonoramente Lisandro. Non era giusto, quel ragazzo non gli parlava mai! Eppure non gli aveva fatto nulla di male, voleva solo parlare. Aday emise solo uno sbuffo, se possibile anch'esso controllatissimo. Come le parole, rare ma non inesistenti, ed i suoi movimenti, dopotutto. Nel notare solo due ragazzi, uno invadente oltre ogni limite d'immaginazione e l'altro altrettanto stizzito, il primo ufficiale Rivera passò oltre.
Leonides era già sulla caracca, quando si accorse che all'appello mancava qualcuno.
«Stringa i tempi, abbiamo fretta qui» gli ricordò Asier, con un briciolo di severità. «Ogni cosa a suo tempo, comandante» sogghignò il giovane, mentre la sabbia nella clessidra continuava a scorrere. Veloce ed inesorabile.
Ivan si era messo comodo, seduto a terra, quando Armando lo vide. Il ventitreenne si accingeva a raggiungere il proprio posto sulla caravella, ma la sua attenzione ricadde sul giovane. Un micetto nero si era acciambellato sulle gambe magre e robuste del giovane, mentre il biondo coccolava il cucciolo. Guardava i suoi occhioni verdi, tanto simili ai propri. Sì, era questo il pensiero che gli passava per la testa.
«Rey?» continuava a chiamare Iker, camminando irrequieto. Voleva bene a quel gattino, e non aveva nessuna intenzione di partire senza di lui. Forse si affezionava troppo in fretta agli animali, ma il suo era solo il bisogno di trovare conforto in qualcuno.
«A me interessa quello che ha fatto lei, non i due ragazzi» lo apostrofò il comandante. Si stava iniziando a stancare della storiella. «E, in ogni caso, il primo ufficiale Ramos è arrivato prima di lei» proseguì Asier, marcando con particolare decisione le parole che si accingeva a pronunciare. «In orario».
«Ad ogni modo», riprese il racconto Armando.
Il comandante in seconda si stava avviando verso la caravella quando la sua attenzione venne catturata dalle figure dei due ragazzi. Il biondo, probabilmente più grande del ragazzino castano, era seduto e scrutava dal basso la corporatura di quest'ultimo. Il gattino nero era balzato giù dalle gambe incrociate di Ivan ed era corso a strusciarsi contro la caviglia del piccolo Iker. «Rey! Dove ti eri cacciato?», lo ammonì lui con un tenero sorriso. «Se era qui, non è complicato intuire dove si fosse cacciato» rispose secco Ivan alla domanda che non gli era mai stata rivolta. Ricevendo in cambio uno sguardo offeso da parte del sottufficiale. E un miagolio provato da parte di Rey. Si alzò, dimostrando di essere più alto di qualche centimetro rispetto al diciannovenne. Cosa per cui si sentì subito a disagio, Iker, che nel mentre aveva preso in braccio il gatto. È capace di scappare di nuovo, pensò. E lui, la voglia di cercarlo ancora non l'aveva. Squadrò il ragazzo davanti a sé, cercando di nascondere quell'aria smarrita ed intimidita che si andava dipingendo nei suoi occhi. Senza successo, aggiungerei. Nessuno dei due sembrava intenzionato a prender parola. «E quindi il gatto è tuo?» chiese Ivan con tono affatto interessato. Era una domanda di cortesia, nulla di più. Continuava a studiare l'altro ragazzo con una trattenuta curiosità, e quand'egli cominciò a parlare, incrociò a suo solito le braccia al petto. «Sì, è mio», rispose Iker, con un sorrisino a dir poco ebete sulle labbra. Quando parlava degli animali, entrava in un mondo tutto suo da cui era impossibile tirarlo fuori. «Di sera lo sentivo miagolare, proprio prima di andare a dormire», continuò, carezzando affettuosamente la testa del gattino, «così mi misi a cercarlo per la stanza, ed una sera... eccolo lì!», raccontò, mentre Rey godeva di tutte quelle attenzioni facendo le fusa. L'entusiasmo del ragazzo era paragonabile a quello che un bambino mostra quando gli è appena stato regalato un nuovo gioco. «Interessante», si limitò a commentare il biondo. Iker si accigliò. «Interessante?», domandò, come a chiedere conferma. «Sì, interessante ragazzino», riconfermò Ivan,«o come ti chiami».
«I-Iker», balbettò il più piccolo dei due. Improvvisamente aveva la gola secca.
Si schiarì la voce.
«Iker», ripeté con più sicurezza.
Il castano dava le spalle alle due imbarcazioni, e Ivan si perse un istante ad osservare il vento giocare con le vele, accarezzare lo scafo delle due navi e svolazzare qua e là per tutta la prua, facendo muovere le tele che consentivano alla caracca e alla caravella di muoversi. Come accorgendosi del suo sguardo, una leggera brezza andò scompigliando i ribelli capelli biondi di lui.
Un tenero miagolio accompagnò l'intera scena. Sì, Rey non stava zitto un secondo.
Senza che il diciannovenne potesse prevedere quella mossa, Ivan si fece avanti e gli posò una mano sulla spalla. «Ci si vede un'altra volta», si congedò. Allentò la presa ed andò avanti.
Per qualche metro, verso la caravella.
Poi si fermò.
Il minore dei due era ancora di spalle, come paralizzato.
«Iker», disse chiaramente Ivan.
Sogghignò.
E poi sparì, verso quella che sarebbe stata la rovina di entrambi.
Lasciando Iker con un incolmabile vuoto nel petto e il cuore che batteva all'impazzata.
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«È incredibile, non trova comandante?», concluse entusiasta Armando. La sua mente, dotata di una fervida immaginazione, era già andata a figurarsi chissà quali scene.
Asier lo guardò.
Serio.
E con un sopracciglio alzato.
Brutto segno.
«Due persone che parlano, interessante», disse sarcastico. La voglia di scherzare era un altro aspetto del suo carattere che cercava di eliminare. Freddo e impassibile, si ripeteva. «Interessante?», chiese Armando ridacchiando, cercando di riproporre il botta e risposta a cui poco prima aveva assistito. Era morto dalle risate in quel punto della conversazione.
«Ah, la finisca!», liquidò quell'insulso giochetto l'altro, stano di tutte quelle perdite di tempo. «Altrimenti giuro che lo lascio a terra», gli propose in alternativa il dolcissimo Asier.
«Ai suoi ordini, comandante Rojas», rispose Armando. E così, il comandante in seconda si addentrò sulla caravella. Frustrato, offeso, intimorito e con mille fantasie probabilmente irrealizzabili a ronzargli nella testa.
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Penso veramente che questo, al momento, sia il capitolo più lungo di tutta la storia.
Potremmo considerarlo una sorta di intermezzo tra la situazione iniziale e la vera e propria narrazione, dato che dal prossimo capitolo si comincia. Siete contenti?
Come ultima cosa, mi piacerebbe davvero tanto sapere cosa ne pensate. Se i capitoli sono troppo lunghi, se vi sembra ci sia stato un cambio di narrazione troppo brusco, se vi sta piacendo... ogni sorta di commento è ben accetto.
Dal vostro comandante, anche per Dicembre è tutto!
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