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5. Luci e ombre

Logan arrivò con un leggero ritardo e andò incontro a Camille nella luce aranciata del tramonto. Le giornate iniziavano ad allungarsi, risultava impossibile anche a lui farsi abbattere da un tempo così bello. Gli era parso strano trovarsi con Camille verso sera, non voleva che pensasse fosse un appuntamento, così aveva indossato una semplice felpa bordeaux, una giacca in pelle, dei jeans e delle scarpe da ginnastica. Avrebbe fatto di tutto, pur di comunicare una rilassatezza che non si sarebbe adattata a un'uscita tra un uomo e una donna. Quando vide Camille si tranquillizzò, anche lei aveva optato per un look casual come il suo. La fissò mentre, ignara di essere osservata, si ravvivava i capelli biondi con la mano, un gesto che faceva spesso e le lasciava un'aria appena spettinata che la rendeva più intrigante.

              «Ehi.» La salutò, facendola spaventare.

              «Ciao.» Ricambiò i convenevoli con un sorriso caloroso che tranquillizzò Logan, non sembrava arrabbiata per la sua sparizione di quei giorni. «Pronto per andare?»

              «Certo.» Le regalò un'alzata di spalle. Era nato pronto. «Dove si va?»

              «Oh, non così in fretta.» L'espressione divertita di Camille lo fece preoccupare un po', ma cercò di non darle troppo peso. «Meglio se compri i biglietti per il tram.»

E fece cenno alla stazione a cui erano giunti. Con lo stesso guardo furbo gli indicò l'uomo dietro il vetro, in attesa che lui facesse un passo avanti.

              «Da solo?» Domandò con terrore e smarrimento.

              «Devi responsabilizzarti. Vedrai che ti capirà.»

              E così fu. Acquistare i biglietti e farsi comprendere in inglese risultò meno complicato del previsto. Era bastato uscire dalla solita zona per non sentirsi un completo emarginato. Un bel passo avanti per la sua accettazione.

              Presero la linea blu, nella direzione opposta rispetto a quella intrapresa nel loro giro turistico precedente, cosa che lo stupì, così nervoso da battere i pollici a tempo sulle cosce. «Niente centro storico?»

              «Non sarebbe servito il tram, è a due passi da casa. Tranquillo, tra poco capirai.»

              Era stupito: il centro era alle loro spalle, eppure il treno ospitava tanta gente per un simile orario, non riusciva a immaginare dove fossero diretti.

              Una decina di minuti dopo arrivarono a destinazione. Tutti gli altri passeggeri, come loro, scesero al capolinea.

              «Hai problemi ad affrontare una folla serale?» Chiese Camille con tono sarcastico mentre si avvicinava all'uscita della stazione.

              Un po' tardi per domandarlo, visto che la gente aumentava a ogni secondo.

              Logan cominciava a detestare quel modo ironico che usava per rivolgersi a lui, ma doveva riconoscere di esserselo meritato, i comportamenti tenuti in presenza di Camille avevano potuto farlo passare per un asociale. Una descrizione non così lontana dalla realtà, a ben vedere.

              Decise di non cogliere la provocazione e di dissimulare la propria curiosità. «Perché me lo chiedi?»

              «Perché fino a oggi ho notato una poca celata ostilità verso l'essere umano in generale, vorrei evitare recriminazioni postume o, peggio, stragi.»

              Il sorriso divertito che Camille aveva stampato in faccia era davvero irritante, pensò lui, soprattutto quando era Logan a essere quello preso di mira. Non gli capitava spesso.

              La raggiunse per poi abbassare il viso alla sua altezza. «Posso reggerla, se il giro ne vale la pena.»

              Bene, almeno Camille sembrò rimanere a corto di parole e ironia. La vide sbattere gli occhi e smettere di respirare. Forse avere una rockstar internazionale a una distanza ravvicinata le faceva passare tutta la spavalderia. Poi arrivò il profumo di lei, delicato e persistente al tempo stesso. Fu un qualcosa di inaspettato, che gliela fece piacere un po' di più. Era fresco e leggero, ma si attaccava ai vestiti per non permettergli di dimenticarlo.

              «Come mai non sei scappata?» Una domanda che gli sfuggì a bruciapelo, senza aver riflettuto sulle parole appena pronunciate. Eppure ci teneva a quella risposta. Voleva sapere se per Camille lui valeva la pena di un giro per Montpellier, se non era un totale spreco di tempo.

              Il sorriso di lei ricomparve, ma con una sfumatura comprensiva e sincera, morbida come poteva esserlo una carezza consolatoria. Prima di rispondere, però, la vide allontanarsi.

              «Perché se hai cercato di nuovo la mia compagnia vuol dire che non ti dispiace poi così tanto.» A Camille costava essere così sicura di sé, ma ci aveva riflettuto per ventiquattro ore e quella era l'unica conclusione a cui era giunta, con una punta di orgoglio e soddisfazione. «E a me fa piacere passare del tempo con te. Inoltre, se sei come ti mostri non posso fare molto, non sono qui per cambiarti. Se, invece, di solito tendi a essere meno scontroso, posso provare a farti uscire dal tuo periodo no.»

              Magari non era necessario giustificare le proprie parole, ma sentiva che Logan aveva bisogno di rassicurazioni in merito. In fondo la sua domanda non era stata casuale, si era sentita in dovere di rispondere in modo mirato e completo.

              Attese una sua reazione, ma lo vide soltanto sistemarsi i ciuffi accanto al viso dietro le orecchie e poi rifare il piccolo codino che portava all'altezza della nuca. Dopo le regalò un assenso del capo appena accennato, le mani in tasca che tamburellavano ritmi che lei non conosceva. Si domandò se fossero canzoni nuove o un semplice sfogo dato dal nervosismo.

              «Perché lo faresti?» Logan era sospettoso di natura, ma non c'era da stupirsi viste le persone che lo circondavano. Soltanto pochi potevano considerarsi amici fidati, gli altri erano alla ricerca di pubblicità, favori o luce riflessa. C'era il manager che cercava di sfruttare la band, o la modella semi sconosciuta che – grazie alla sua fama – provava a uscire dall'anonimato. Da quando i Glory erano diventati famosi, lui era diventato una delle vie brevi per il successo. Aveva imparato che più si era in alto, più si era soli. Forse la sua condizione a  Montpellier era lo specchio perfetto della propria vita.

              «Perché le persone tormentate, di norma, sono anche le più interessanti.» Ammise lei con voce fievole, senza smettere di dirigersi verso il punto che più le interessava. «Oltre ad avere un qualcosa di importante da proteggere.»

              Non arrabbiate o represse, ma tormentate. Logan notò quelle parole perché era la prima volta che si sentiva di poter calzare in una descrizione altrui senza offendersi. Camille sembrava aver il dono naturale di comprenderlo e, se una minima parte di lui ne era terrorizzata, l'altra era incuriosita da tutta la situazione. Per la prima volta dopo mesi iniziava a sentirsi capito, una sensazione in cui non sperava più da tempo.

              «Cosa?»

              «Meglio usare il chi.» Lei si fermò in modo da fargli dare le spalle al posto in cui l'aveva portato. Voleva che lui si focalizzasse su quelle parole. «Loro stessi.»

              Lo vide per la prima volta sgranare gli occhi in segno di sorpresa e si godette il momento, aveva il presentimento che non succedesse spesso. Camille voleva fargli capire che non c'era motivo di arrendersi, che quel periodo – qualunque cosa fosse successa – sarebbe passato, pensava che avesse bisogno di qualcuno pronto a ricordarglielo.

              Il batterista, invece, cominciava a pensare che Camille avesse capito qualcosa di lui che nemmeno Logan stesso conosceva.

              Sentì una crepa nel muro che nell'ultimo periodo aveva eretto tra sé e il mondo che sembrava in grado di ferirlo e, al posto di sentirsi spaventato, era contento che fosse stata lei – con la sua delicatezza e sincerità – a scheggiarlo, era quello di cui aveva bisogno. Si sentiva più leggero, perché anche senza parlare era riuscito a farsi capire.

              Dopo quel silenzio carico di significati per entrambi, così stridente con il brulicare di vita attorno a loro, Camille spezzò la bolla in cui si erano chiusi per concentrarsi sulla serata. «Cercavi Los Angeles? Forse qui puoi ritrovarla, almeno un po'.»

              Lo fece girare verso l'ampio ingresso di un centro commerciale illuminato a giorno. «Non c'è qualcosa di simile là?»

              Il sorriso entusiasta sul volto di Logan si allargò man mano che la sua consapevolezza aumentava. Dai cartelli davanti a lui poteva leggere le parole accompagnate dalle varie frecce. Negozi, acquario, planetario, pista di pattinaggio, multisala, go kart e bowling. Era un sogno bilingue, dato che sotto le scritte in francese c'erano quelle in inglese. Era estasiato.

              Aveva sempre pensato che Los Angeles fosse il centro del mondo, quel posto in cui c'era tutto ciò che una persona cercava, ma si sbagliava. L'Odysseum, così recitava il cartello, era un centro commerciale simile all'Hollywood Citywalk a Studio City, un agglomerato di ristoranti e negozi che collegavano parte della città con il parco tematico della Universal. La sera era pieno di vita, un posto divertente come lo era quello che aveva davanti agli occhi. Si sentiva stupido, perché ritrovarsi in un centro commerciale equivaleva ad ammettere che l'umanità aveva perso la propria battaglia contro l'idiozia, ma era il poter avere qualcosa di simile a quello che aveva a casa a renderlo felice. Sentiva quel senso di familiarità che provava a Los Angeles.

              Dopo quasi un mese si sentiva a casa. E non riusciva a capacitarsi di come Camille, anche se indirettamente, comprendesse sempre ciò di cui aveva bisogno.

              «Da dove vuoi partire?» Gli chiese con curiosità, voleva dargli la libertà di scegliere e non sentirsi costretto a fare qualcosa contro il suo volere.

              «Qual è il tuo posto preferito?» Accennò un sorriso. Era tipico suo porre un'altra domanda al posto di rispondere, ma era parte del suo fascino. Glielo diceva sempre sua madre da piccolo, poi aveva continuato zia Jules. Inoltre era desideroso di pareggiare la conoscenza reciproca con Camille, interessato a scoprire qualcosa di lei per comprenderla meglio.

              «Facile.» Disse con un sorriso brillante che lo colpì più del dovuto, ricordandogli il bagliore del sole al tramonto. «Il planetario.»

              Logan ricambiò il gesto, incurvando le labbra all'insù. Il fatto che avesse scelto un posto buio dove non si dovesse parlare a causa dell'atmosfera e delle spiegazioni gliela fece sentire più vicina.

• • •

              Il planetario era stato la scelta migliore: aveva dato modo di abituarsi alla presenza dell'altro senza usare parole frivole o vuote. Logan, dopo aver passato il tempo al chiuso, si era rilassato, ora si sentiva più predisposto verso il mondo, e il merito era di Camille che sembrava interpretare i suoi silenzi ancor meglio delle parole.

              Camminarono in mezzo alla folla serale senza una meta precisa, cosa che gli piacque. Era da un bel po' che non si lasciava andare a quel modo: niente a cui pensare, la testa leggera e il peso sulle spalle – formato dalle aspettative altrui – inesistente. L'aria frizzante di metà marzo lo spinse a godersi appieno la notte appena arrivata così, per la prima volta, fu lui a intavolare un discorso.

              A primo acchito era un tipo schivo, come dimostrava nelle interviste, perché non gli piaceva parlare di sé o che la gente si facesse i fatti suoi, lasciava dunque che a condurre i giochi fossero Seth e Carter, i quali adoravano ascoltare il suono delle proprie voci. Nonostante tenesse al suo privato e provasse a difenderlo dagli occhi indiscreti dei mass media, quando entrava in confidenza con la gente gli piaceva aprirsi un po' di più, soprattutto scambiare pareri ed esperienze, era sempre stato convinto che fosse quella la ricchezza del suo lavoro: poter entrare in contatto con realtà diverse e venirne a conoscenza. Aveva deciso che Camille era la persona che l'avrebbe accompagnato nel suo percorso a Montpellier, meritava di essere scoperta ma, cosa improvvisa e da non sottovalutare, Logan lo voleva davvero.

              Camille, da buona osservatrice, aveva notato in Logan un cambiamento, ma non glielo fece pesare, vedere come poteva essere ricettivo e coinvolto le piaceva. Era una bella novità, oltre che ricordarle la persona sicura di sé che aveva imparato a osservare negli anni. Le piacque pensare che un po' si stesse adattando a quella situazione a lui così ostica e che lei facesse parte di quel processo di accettazione. Non pensava di arrivare a tanto. Nei suoi sogni di maggior gloria aveva immaginato di incontrare lui e gli altri per caso in una città più grande, chiedere al gruppo una foto e ringraziarli per la musica che la toccava tanto, quindi tutto quello andava oltre ogni sua previsione.

              Logan la fece parlare del rapporto con i propri genitori e lei iniziò a raccontargli della famiglia, del suo essere figlia unica e di quanto la madre e il padre l'avessero sempre incoraggiata in ogni cosa che avesse fatto, nonostante la vedessero poco, perché vivevano a Lione.

«Non vuoi sapere niente di me? È strano, sei una fan dopotutto.» Logan alzò un solo angolo della bocca, un'espressione ironica dipinta sul volto. «Mi sento poco interessante, il mio ego ne risente.»

              Camille si sentì in dovere di affrettarsi a rispondere. «No! No, davvero. Avrei milioni di domande, ma non ci tengo a diventare inopportuna.»

              La verità era un'altra, pensò aggirando un gruppo di persone ferme vicino alla pista da pattinaggio.

              «Giusto.» Logan le diede corda, in apparenza sereno. «O forse dipende anche dal fatto che non vuoi ricollegarti all'argomento famiglia.»

              Tra loro aleggiò il silenzio colpevole di Camille che lo guardava con la bocca leggermente aperta.            Logan, nonostante la questione per lui delicata, si compiacque di aver segnato un punto simile. Camille non poteva leggerlo con una certa facilità e pensare di essere indenne allo stesso studio, non sarebbe stato corretto.

              «Tutti conoscono questa storia, giusto?» Le chiese mentre, con le mani in tasca e la voce asciutta, stava ben attento a non calpestare i piedi altrui.

              «Beh, sì.» Logan e ciò che era rimasto della famiglia di Carter avevano sempre cercato di difendere la loro riservatezza, ma era difficile quando si era parte di un gruppo di fama mondiale. Inoltre era fantastico per la stampa sguazzare in un passato burrascoso come il loro. Emeraude e Joshua, i genitori di Logan, erano morti in un incidente d'auto con il padre di Carter. Poco si sapeva del perché fossero insieme, mentre Jules fosse rimasta a casa con i bambini, ma la stampa si divertiva a rivangare l'argomento per poi ricollegarsi alla disintossicazione in giovane età di Logan. Non le piaceva essere considerata al pari di quelli che potevano essere chiamati a malapena giornalisti.

              La famiglia che si era venuta a creare dopo l'accaduto, con Jules tutrice legale di Logan, aveva sempre fatto di tutto per evitare che ulteriori dettagli trapelassero in favore dei media e, dovette ammettere tra sé, erano stati dei maestri a evitare che la gente mettesse il naso nei loro affari.

              «Già, hanno sempre voluto scavare a fondo nella faccenda. Però non hanno mai pensato alle conseguenze che ha avuto su di noi. Soprattutto su di me.»

              Il tono di Logan era così malinconico, solenne e ferito da indurla a tacere. Se avesse potuto, Camille non avrebbe respirato. Sentirlo accennare a una cosa così importante e privata la fece sentire importante ed esposta, non era convinta di essere pronta per la verità quindi, al posto di dire qualche frase di circostanza, preferì rimanere in un reverenziale silenzio.

              Lo stesso silenzio che convinse Logan ad approfondire l'argomento. Non amava parlarne perché lo sfiancava e lo rendeva emotivo, ma gli faceva sempre bene sviscerare i propri sentimenti. Per la prima volta sentiva il bisogno di confidarsi con qualcuno, una persona che al posto di subissarlo di domande e farlo sentire sotto giudizio, lo ascoltava senza interromperlo per lasciare che si aprisse. Era liberatorio, tanto da volerne approfittare.

              «Carter ha perso un solo genitore. Non che questo sminuisca l'accaduto, ma se anche li avesse persi entrambi sarebbe stato forte. Dei due sono sempre stato io quello più fragile. La morte dei miei ha creato una crepa dentro di me che si è acuita negli anni. Prima ho curato la depressione, poi ho cercato di riempire la ferita che non si rimarginava con altro, e la droga sembrava fare al caso mio.» Logan, perso nei propri ricordi, si accorse di raccontare gli eventi come se fossero accaduti a qualcun altro. In effetti, dopo la droga e la conseguente rehab, era diventato un uomo diverso grazie alla musica, di sicuro migliore. La persona che i suoi si sarebbero augurati che diventasse. Se si escludeva l'ultimo periodo, così simile a quello confuso e nero che aveva passato prima di cadere nel baratro della droga. «Mia zia mi ha voluto bene come se fossi un figlio e l'ho ricambiata come se fosse stata una madre, ma non era il suo amore quello che volevo, era il sentimento di due persone che non c'erano più quello che meritavo. E non ho potuto averlo.»

              Camille sentì un nodo alla gola e gli occhi pungere. Aveva sempre supposto che la scelta di arrivare a tanto con la droga derivasse da un disagio che non riusciva a colmare, ma immaginare una qualche teoria era ben diverso dal sentire la verità a riguardo, un dolore così profondo che ancora riecheggiava nella voce di Logan. Era insostenibile. Avrebbe voluto piangere e consolarlo. Rassicurarlo sul fatto che al mondo ci fossero un sacco di persone che gli volevano bene, e lei era da annoverare tra esse.

              Cedette alla tentazione di infondergli un po' di calore così, al posto di prenderlo tra le proprie braccia, gli posò una mano sulla spalla e la strinse, nonostante la notevole differenza di altezza.

              Quando Logan si voltò a guardarla non vide compassione nei suoi occhi, ma empatia e comprensione, cose che apprezzò di cuore. Aveva sempre temuto la pietà degli altri.

              La ricambiò con più sincerità di quanta entrambi si aspettassero.

              «E sai come cerchi di colmare questo vuoto?»

              Lei negò con la testa, insicura della propria voce, temeva di mettersi a piangere.

              «Con la tua distruzione.» Concluse asciutto e ben consapevole di quello che stava dicendo. Una cosa che mise a entrambi i brividi. «Perché non vuoi ricordarti chi eri e ciò che avresti potuto avere.»

              Con quella frase più dura del previsto Logan sembrò perdere la sua loquacità, tanto che l'argomento cadde nel vuoto all'improvviso.

              Camille lo trovò strano ma comprensibile al tempo stesso. Era già stato un passo avanti sentirlo parlare tanto e di argomenti importanti e personali, sapeva dunque che interrompersi lì dove in teoria il vero discorso iniziava era un modo per darsi pace. Non era facile riaffrontare tutto e farlo in una sola volta. In fondo dalla riabilitazione era uscito ciò che era adesso e che l'aveva portato fino a quel momento. Lei non aveva fretta. L'istante intimo appena vissuto le fece capire che per lui ci sarebbe stata, se soltanto Logan l'avesse voluto. Le persone come lui erano rare, non gli avrebbe permesso di scappare e rintanarsi in se stesso.

              «So che non è molto...» Esordì lei dopo lunghi istanti di silenzio con la consapevolezza di aver riacquistato il proprio buonumore. «Ma cosa ne dici se iniziamo con l'avere un pasto caldo davanti?»

              Logan le fu grato di non insistere sull'argomento, si ritrovò dunque a seguirla senza nemmeno aver dato il comando alle proprie gambe. C'era un lato di Camille molto affascinante nella sua semplicità che lo attirava verso di lei. Era strano, gli era successo poche volte e con donne verso cui provava desiderio. Donne ben diverse dalla ragazza che aveva di fronte, per quanto non fosse affatto brutta. «Direi che è un'ottima idea. Però non mi va di buttarmi nella zona ristorazione del centro commerciale. Non sono un fan dei fast food.»

              Adorava il cibo spazzatura, ma non c'era bisogno di precisarlo.

              «Ti piace la cucina spagnola?» Lo fissò con un sopracciglio alzato e un'aria furba.

              «La adoro.» Era da un pezzo che non la mangiava, ma gli piaceva al pari del giapponese e del messicano. Dio, solo il pensiero della paella lo faceva salivare in modo indecente.

              «Allora andiamo in un posto qui vicino. Non è affollato come qui, anche se è nei paraggi, ed è fantastico.» Camille accelerò e lo guidò attraverso la folla. «Seguimi.»

• • •

              Poco dopo si ritrovarono seduti in un ristorante con le luci basse, le pareti rosse con i profili bianchi e delle lanterne colorate che pendevano dal soffitto. Un ambiente che fece sentire a suo agio Logan, una sensazione gradita.

              Si confrontarono sul menù e, dopo aver scoperto di aver gusti simili, ordinarono una paella per due e qualche altra pietanza per contorno.

              Nell'attesa iniziarono a parlare di film e libri e, nell'approfondire il discorso, si confrontarono sulle ultime uscite. Divertente per lui scoprire come Camille amasse i film d'azione, mentre lui non disdegnava un po' di emozione senza paura di ammetterlo.

              L'arrivo dei loro piatti non interruppe l'atmosfera e, anzi, intervallarono la cena con le loro chiacchiere. Camille regalava battute divertenti, come poté notare Logan e, verso la fine del pasto, si rese conto di quanto la bocca di lei fosse bella. La usava per dire cose interessanti, ma soprattutto per ridere. Era una persona solare e quello faceva bene al suo umore, riusciva a riscaldarlo. Era un vero lenitivo per la rabbia che aveva accumulato negli ultimi mesi e che, piano, lì a Montpellier iniziava a scemare.

              Camille era a suo agio con se stessa senza essere troppo sicura, c'era un'armonia in lei che si percepiva e le aleggiava attorno. Logan la invidiò per questo. Si ricordò che prima della fama degli ultimi anni e del secondo arresto anche lui era così. Forse più sicuro di sé, tanto da fregarsene del giudizio altrui, ma aveva un modo di vivere più rilassato e positivo. Ogni cosa era una sfida eccitante, non un ostacolo, ma non avrebbe saputo dire quando tutto aveva iniziato a cambiare.

              Logan pensò che in pubblico, soprattutto nelle occasioni ufficiali, non si perdeva in discorsi lunghi che l'avrebbero esposto, ma era sempre stato bravo con i gesti; avrebbe sempre preferito un abbraccio a un "sei importante". Eppure erano modi di fare che gli mancavano da tempo, come se avesse paura di fare la cosa sbagliata. Nello studiare Camille quella sera si ripropose di tornare a essere se stesso, perché quelle piccole cose facevano parte della sua essenza. Per la prima volta trovò in Montpellier un'occasione di rinascita e fu grato di essere lì, senza nessuno di conosciuto su cui appoggiarsi.

              Sorrise a quel pensiero, quasi rincuorato, ma non si fece distrarre e continuò a prestare attenzione ai discorsi di lei, così diversi da quelli a cui era abituato dalle sue frequentazioni. Non smalti e parrucchieri, ma interessi veri e opinioni autentiche, era una persona con cui confrontarsi. Una bella novità per lui.

              «Prendi pure la mia carne, io non ce la faccio più.» Camille aveva notato uno sguardo strano in Logan, ma il sorriso – costante e vagamente perso – che aveva stampato in faccia le metteva allegria. La scaldava, come se ritrovasse in lui qualcosa di famigliare, una sensazione di calore che nasceva con poche persone. Era bello, ma non riguardava solo l'aspetto fisico. Logan aveva mille sfaccettature dentro di sé e le sfumature con cui si mostrava solo in parte lo rendevano affascinante. C'era qualcosa che lo tormentava, ma era la somma di più contraddizioni e quindi risultava attraente. Anche se, doveva ammetterlo, le fossette che si formavano quando sorrideva e che spuntavano lo stesso da sotto il velo di barba, facevano la differenza.

              «Sicura?» La guardò spostarsi i capelli dal viso per l'ennesima volta, trovandolo un gesto incantevole. I modi di fare delle ragazze che aveva frequentato erano sempre studiati. Modelle che seguivano il copione del lavoro anche fuori dall'ambiente, mentre Camille era spontanea. L'avrebbe paragonata alla prima sorsata di acqua ghiacciata dopo una giornata di afa. Era rinfrescante, una cosa a cui non era abituato.

              Lei interruppe il suo flusso di pensieri con un sì convinto.

              «Devo tenere un posto per il dessert. Ti rubo un gambero, però.» Senza aspettare l'assenso da parte del batterista, si piegò sul suo piatto e rubò il crostaceo senza farsi problemi. Logan le aveva detto che condividere non gli dava fastidio, pensò che si riferisse anche al cibo. Anzi, soprattutto a questo e meno ad altro. «Sai, il pesce non riempie.»

              Una donna che mangiava, una piacevole novità. Era rimasto stupito dal gesto ma, al posto di dargli fastidio, lo confortò. Notare di essere ancora in grado di mettere a proprio agio le persone gli fece piacere. La guardò con un sopracciglio alzato. «Te la farò pagare.»

              «Cosa? La cena?» Gli rivolse una linguaccia, divertita dalla nottata che si era rivelata più produttiva del previsto. A ogni frase che Logan pronunciava, l'idea di avere a che fare con un personaggio famoso svaniva per lasciare il posto a una persona qualunque che aveva qualcosa da raccontare, ed era bello.

              «Ah, ah.» Vedere Camille ben oltre il suo lato utile fu sconvolgente, era come osservarla per la prima volta. Era passata dall'essere una persona qualsiasi a cui aveva chiesto aiuto, al diventare una ragazza con cui desiderava passare più tempo perché si sentiva a proprio agio. Un qualcuno che avrebbe potuto far parte della sua quotidianità perché si era instaurato il giusto grado di confidenza, uno scambio equo tra dare e ricevere che non si era aspettato di trovare. Era ancora presto per dire se quelle ipotesi si potessero realizzare, ma la serata aveva aperto un nuovo ventaglio di possibilità a riguardo.

                  «Ci può portare due creme catalane?» Logan fermò un cameriere, poi tornò a concentrarsi su di lei. «Questa la metto sul tuo conto.»

Eccoci qui, con un nuovo capitolo.
Un capitolo pieno di malinconia, ma anche di speranza.
Immagino che la storia di Logan vi abbia incuriosite, almeno un po'. Beh, non preoccupatevi, perché questo è stato solo l'inizio e prima o poi la conoscerete per intero. Ogni cosa a tempo debito.
Intanto iniziamo con piccole info e piccoli passi, come la condivisione del cibo durante la cena. Un dettaglio per me insignificante ma importantissimo, perché denota intimità e sentirsi a proprio agio con l'altra persona.
Bene, penso di aver detto abbastanza.
Ci vediamo mercoledì con (Im)perfetta per me, altrimenti a lunedì con il prossimo aggiornamento di Lost.

Cris

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