3. Giro turistico
Camille si presentò in perfetto orario e trovò Logan già nel posto indicato. Si aspettava di vederlo in incognito, quello che la stupì fu la reflex attorno al collo. Era pronta a tutto, tranne a osservarlo nella sua versione da turista. Lo studiò da dietro le proprie lenti da sole specchiate, ringraziando la moda del momento che permetteva di guardare senza essere scoperti. Non le sembrava felice.
Logan, d'altro canto, era impaziente di dedicarsi a qualcosa di diverso. Visitare una città era sempre interessante, ma aveva deciso di portar con sé la macchina fotografica per immortalare e ricordare i bei posti che avrebbe visto, sicuro non fossero poi molti quelli in grado di colpirlo. Inoltre era preoccupato di essere in presenza di una persona che non conosceva. Una fan. Magari era pazza, oppure avrebbe sfruttato l'occasione per avere i propri quindici minuti di gloria. La cosa non lo rendeva tranquillo.
«Ok, ho pensato a un itinerario.» Iniziò lei dopo averlo salutato. «Partiamo dal punto più lontano per poi arrivare sempre più vicino a casa così, quando saremo stanchi, non avremo molta strada da percorrere.»
«Mi sembra un'ottima idea.» Rimase colpito. Adorava essere organizzato, anche se non era il tipo da farsi veri e propri programmi. Quel compito spettava più a Carter e Seth, i veri pianificatori del gruppo.
«Quindi ora prendiamo il tram.» Camille si incamminò verso la stazione più vicina, a disagio per l'imbarazzo tra loro. «I mezzi sono puntuali, ma la linea tranviaria è migliore dell'autobus, copre meglio la superficie cittadina, tocca le zone più importanti da raggiungere e permette di vedere parti più suggestive della città. Ricordalo per il futuro, nel caso ti servisse uscire dalla nostra zona.»
Logan non pensava di averne bisogno, ma memorizzò la cosa. Se non sbagliava loro due abitavano nella periferia del centro cittadino, il quale avrebbe dovuto essere ben fornito. Abbastanza da evitargli grandi spostamenti.
Senza attendere una vera risposta dal batterista, continuò per la sua strada e prese un biglietto per lui alla biglietteria automatica. Logan tentò di darle i soldi, ma lei rifiutò di prenderli.
«Non avresti dovuto.» Borbottò contrariato, detestava sentirsi in debito verso qualcuno.
«Non ti ci abituare. E poi a te spetta il pranzo.» Sorrise divertita. «Prego.»
Fu così che l'avventura ebbe inizio. I silenzi, dapprima imbarazzanti, furono riempiti da chiacchiere di circostanza sterili, ma quando si ritrovarono davanti ai primi siti storici Camille divenne una perfetta guida e snocciolò ciò che ricordava di quanto appreso da piccola. Logan, con sua grande sorpresa, si trovò a fotografare più posti del previsto. C'era molto che meritava di essere immortalato e la bella giornata, piuttosto calda e soleggiata, lo aiutava nel catturare scatti con la luce migliore. La città era un misto tra palazzi d'epoca e strutture moderne e all'avanguardia, eppure riuscivano a coesistere in modo del tutto naturale. Inoltre aveva constatato con i propri occhi la sua importanza come polo universitario e, doveva ammetterlo, i giovani erano tantissimi per le strade.
Fecero una pausa per pranzare e si trovarono seduti al tavolo di un bistrò.
«Sei molto didattica.» Le disse Logan durante l'attesa delle loro ordinazioni, mentre Camille aveva ripreso a spiegare ciò che avrebbero visto di lì a poco. Era una delle poche frasi che le aveva rivolto.
«È un modo carino per dirmi che sembro un libro stampato e che, quindi, sono noiosa?» Alzò un sopracciglio, stupita e incuriosita dall'esternazione di lui. Non si erano parlati molto durante le ore precedenti, era quindi strano che il batterista le si rivolgesse in modo così diretto e schietto.
«Circa.» Accennò un sorriso con un solo angolo della bocca e Camille pensò di potergli perdonare tutto, se l'avesse fatto di nuovo.
«Wow. Brutale, ma liberatorio.» Si appoggiò allo schienale della sedia, sbalordita da quella rivelazione e per nulla offesa, apprezzava la sincerità. «Scusa, è che sono cose che ho imparato da piccola dai miei genitori e sto cercando di fare il possibile per rendere Montpellier bella ai tuoi occhi. Perché credimi, lo è, ma tu non sembri molto impressionato.»
Aveva notato in Logan una strana reticenza per tutto ciò che lo circondava. Sembrava spaventato da un posto che non riusciva a sentire suo e a comprendere, arrabbiato come se fosse stato solo ad affrontare un qualcosa che nemmeno lui riusciva a comprendere fino in fondo.
«In realtà è meglio del previsto. Dal punto di vista architettonico è molto interessante, inoltre è esteticamente bella, non lo nego. Certo, non è né Los Angeles né Londra, per la quale ho un debole, ma mi sta piacendo. Devo solo abituarmici.» Fu la frase più lunga che gli fosse uscita dalle labbra.
La tranquillità con cui lo ammise fu una piccola conquista per Camille, ma l'ultima parte la preoccupò un po'. C'era così tanta arrendevolezza da farla rabbrividire, era una lato di Logan che non era mai emerso in tutti quegli anni di interviste, anche se – doveva ammetterlo – sulla stessa base non avrebbe mai scommesso su un suo arresto; le era sembrato sempre sereno e pulito. Si domandò se quella parte di lui così fragile fosse passeggera o se invece fosse stato abile a nasconderla per così tanto tempo agli occhi del mondo.
«Scusa? Stai davvero paragonando una città come Los Angeles, tutta cemento, grattacieli e reticolati che la rendono quasi tutta uguale, a una città europea piena di storia?» No, non avrebbe accettato un paragone impari come quello. Montpellier non aveva nulla a che spartire con la città degli angeli, ma in quel caso le sembrava un bene. Se solo gli avesse confessato quali erano i suoi piani futuri, l'avrebbe presa in giro senza sosta. «O meglio, quale città americana ha una storia che non sia moderna?!»
«Non fraintendermi. Intendevo che per me Los Angeles è casa e c'è ogni cosa che un uomo possa volere. Qui non sono un semplice turista, o sono comunque temporaneo, e l'idea non è così facile da metabolizzare.»
I loro piatti vennero portati al tavolo, ma Logan si rabbuiò. Ripensare al motivo per cui si trovava lì cancellò il suo buon umore.
Camille avrebbe voluto indagare di più su quel cambio repentino, ma non c'era la giusta confidenza e non era certo sua intenzione passare per ficcanaso. Inoltre le parole di Logan l'avevano colpita in quanto vere: a Los Angeles c'era quello che anche lei cercava, ovvero il proprio futuro.
«Non per nulla la mia città europea preferita è Londra. Mi piace proprio perché è piena di storia. L'Europa è la culla della civiltà, ma Londra ha un cuore pulsante che di rado ho trovato in altri posti. Però posso garantirti che Montpellier, nel suo piccolo, è affascinante e si difende benissimo.» Continuò lui per argomentare il proprio pensiero.
Aveva iniziato a rivalutare Montpellier. La città francese non era grandissima, ma ben organizzata e piena di vita. Per quel poco che aveva visto era vissuta, con eventi sponsorizzati ovunque e artisti di strada in ogni dove che allietavano i passanti. Era frizzante senza essere caotica.
«Mi hai convinta, sembri sincero. Ti sei salvato.» Ammise divertita. «Comunque sappi che il meglio deve ancora venire.»
Le era parso che il batterista cercasse qualcosa di Los Angeles anche lì, e lei glielo avrebbe dato. Camille era felice di aver lasciato la parte più frivola e ronzante come ultima tappa, era sicura di fargli passare la nostalgia che poteva percepire nella sue parole.
«Mi stupisce come tu sappia parlare così bene l'inglese.» Le disse Logan alla fine del pranzo, quando si rimisero in marcia verso l'acquedotto antico della città, un punto rialzato nel cuore di Montpellier. «Quelle poche volte che ho parlato con qualcuno ci siamo capiti a stento.»
«Gli anziani non conoscono l'inglese e la nostra zona è prettamente residenziale, ma basta spostarsi di poco per non avere problemi. Ormai gli abitanti più giovani della città sono abituati a parlarlo senza difficoltà. Sai, tutti questi studenti fuori sede hanno reso la cosa possibile.» Si giustificò Camille, conscia che i francesi fossero famosi per essere ostici alla parlata anglosassone.
Logan si maledisse, quella era la giusta punizione per il suo comportamento. Il suo rifiuto a uscire, allontanarsi da casa o scoprire la città fino a quel momento gli si era ritorto contro.
Camminarono fino al famoso Château d'eau e la conversazione si interruppe davanti al panorama. Logan si mise a scattare tantissime foto, sembrava che quel luogo fosse riuscito a scuoterlo almeno un po'. Dopo un'accurata scoperta del posto, avvenuta tramite Camille che attinse volentieri alle sue conoscenze, si rimisero in viaggio verso la parte pulsante della città, la strada che li avrebbe condotti verso il loro punto di partenza.
«Quando ci siamo scontrati... è stato uno shock.» Le rivelò senza pensare troppo a trattenersi, per far seguire a quelle parole il primo sorriso, aperto e sincero. «Ci ho messo un paio di giorni a capire che ti eri rivolta a me in inglese. Anzi, non solo, mi avevi insultato con una certa padronanza della lingua.»
«Un vero trauma scoprire che qualcuno conosce l'inglese, vero?!» Lo prese in giro Camille mentre lo seguiva. Logan aveva notato qualcosa e si stava dirigendo in quella direzione, come se avesse finalmente preso confidenza con l'ambiente circostante.
«In situazioni normali no, ma visto che non trovavo nessuno che riuscisse a capirmi sei stata una boccata d'aria fresca dopo una lunga apnea. Ho fatto in modo di rivederti.» Lo disse con la macchina fotografica davanti alla faccia, come se fosse un filtro tra loro due, ma quelle parole la colpirono con una certa intensità.
«Cosa?» La rivelazione l'aveva sconcertata.
«Mi sono messo ai tavolini del café per cercare di incontrarti di nuovo.» Ammise senza alcuna difficoltà, cosa che lo fece sembrare più uomo di quanto Camille si fosse aspettata da quando l'aveva incrociato sotto casa la prima volta. «Come fai a conoscerlo così bene?»
Il cambio d'argomento la rese all'apparenza più serena, anche se dentro di lei c'era un tumulto che faticava a tacere. Non si riteneva così importante da poter colpire una persona del suo calibro. Era convinta che gli artisti non vedessero nemmeno le persone normali. Eppure, in fondo, a camminare per la città, erano due esseri umani qualunque, con un passato che li aveva portati a essere quello che erano e un futuro non ancora scritto.
«Vuoi la storia lunga o corta?» Gli chiese quando fu sicura di sentire la propria voce ferma.
Logan si domandò se fosse meglio ascoltare e rischiare di annoiarsi, o azzardarsi a subire domande scomode. Rispose senza esitazioni. «Lunga.»
In fondo era davvero curioso, voleva saperne di più di quella ragazza che, nonostante le prime reticenze, si era dimostrata disponibile con lui senza farlo sentire un perfetto idiota.
Camille annuì e si prese del tempo per fare mente locale e trovare un punto di partenza al discorso che avrebbe dovuto fare. Studiò ancora una volta i tratti di Logan, perdendosi nelle proprie ipotesi che lo riguardavano. Nonostante i capelli e gli occhi scurissimi aveva un aspetto bonario. La sua presenza non era minacciosa data l'altezza, ma donava una certo senso di protezione. Era un uomo misterioso, soprattutto perché non era facile da interpretare, ma c'era uno spiraglio nella sua corazza che offriva una panoramica sul mondo controverso che lo rappresentava. Gli occhi scuri, quasi neri, erano inquieti e persi. Erano profondi e la portavano a chiedersi cosa si nascondesse dietro essi, perché era chiaro che avesse molto dentro di sé e facesse tanto per tenerlo privato. Se soltanto Logan avesse saputo quanto con una rapida occhiata si potesse percepire di quel disagio, era convinta che si sarebbe chiuso a riccio. Provò il desiderio di voler distruggere il muro dietro cui si era trincerato, ma lei stessa ne aveva costruito uno anni prima e sapeva che il tempo era l'unico alleato per una simile impresa.
«Ho compiuto da poco ventisei anni. Subito dopo il liceo ho iniziato l'università, arte e spettacolo, per poter realizzare il mio sogno: fare la sceneggiatrice.» Gli accennò un sorriso nel tentativo di fare forza a se stessa. Non le faceva male raccontare la propria storia, ma aveva il timore di apparire patetica. «Il primo anno è filato liscio. Avevo le amiche, un ragazzo, Luc, dalla quarta superiore e avevo mille cose da fare. Mi sentivo realizzata, ma volevo di più.»
Logan annuì mentre, orecchie tese nella direzione di Camille, fotografava attorno a sé le cose che lo colpivano. Da quell'inizio capì che non avrebbe dovuto dirle molto, ma gli andava bene così.
«Il secondo anno sono andata in Erasmus. Milano, Italia. Un modo di vivere diverso e straordinario. Ho imparato a cucinare e a divertirmi davvero.» Annuì, come se alcuni ricordi fossero tornati all'improvviso a farle visita. «Quando tornai a casa, Luc mi evitò. Mi sistemai con calma e ripresi i miei ritmi. Soltanto quando fui di nuovo immersa nella mia realtà riuscimmo a parlarci. E lui mi lasciò. Mi aveva tradita, ma pensava di amarmi ancora, per quello me l'aveva detto, per essere sincero e cercare di sistemare le cose.»
Logan la vide fare una smorfia.
«Ma? C'è sempre un ma.» Lui ne sapeva qualcosa. Il ma tra Kat e lui era ancora in corso, un'equivalenza a dei puntini di sospensione che aveva il timore potessero riportarli a incrociare di nuovo le loro strade in un momento di vuoto o noia, come era sempre stato.
«Ma la lei in questione era una mia compagna di corso. Non so perché una simile giustificazione facesse la differenza, ma non lo perdonai, anche se è stato il mio primo, e forse unico, amore. Luc ha iniziato a comportarsi in modo arrogante, finché non mi ha totalmente sconfitta a livello morale. Ne sono uscita male sotto ogni punto di vista, ma l'unico che mi interessava era quello emotivo. Ero a pezzi.» Alzò le spalle per minimizzare la cosa, ma ai tempi aveva sofferto. Ora era libera di parlarne, però quell'esperienza aveva lasciato cicatrici che era impossibile dimenticare. «Inoltre le mie amiche, tutte più grandi di me, si stavano laureando e avevano già trovato le loro strade lontano da Montpellier. Ora Sophie vive a Tokyo, Céline a Londra ed Eve a San Francisco. Mi sentii persa.»
«E cosa hai fatto?» Avrebbe voluto dirle che la capiva appieno, ma non aveva voglia di dare spiegazioni su una simile frase. Rimase comunque colpito da quel primo e vero punto di congiunzione tra loro. Era convinto che le affinità sarebbero emerse soltanto con i gusti musicali e la band, invece si dovette ricredere.
«Ho lasciato Montpellier e i miei genitori.» Camille si morse il labbro prima di continuare: «Mi sono trasferita in Australia per rimanerci quasi due anni. Poi ho trascorso una decina di mesi a Londra e un breve periodo ancora a Milano. Quindi ho imparato abbastanza bene l'inglese, avendo vissuto all'estero.»
«Perché sei tornata qui?» Per Logan la questione della lingua era diventata secondaria. Quella ragazza si era rivelata un'autentica sorpresa.
«Mi ero stufata quasi subito di non avere un obiettivo da perseguire. Così mi ero ripromessa di mettere da parte più soldi possibili nel corso degli anni e, una volta raggiunta una cifra che mi garantisse una certa tranquillità, sono tornata per finire gli studi e cercare di rincorrere il mio sogno. Ho seguito di nuovo tutti i corsi del secondo anno, questa volta nella mia università e non in Italia, e ora sto lavorando alla tesi per laurearmi a luglio. Dopo vorrei frequentare un corso di sceneggiatura.» Gli indicò una fontana molto bella da fotografare.
«Dove?» Le alternative non erano così scontate, dipendeva in quale settore volesse specializzarsi: cinema, serie tv, teatro e quant'altro.
«In America, anche se non penso di avere possibilità. Nel caso non dovessi essere ammessa ripiegherò su Londra.» Continuarono a camminare nella luce calda del pomeriggio inoltrato.
«E il tuo ragazzo?»
«Quale ragazzo? Ti ho detto che ci siamo lasciati anni fa.» Lo guardò con sospetto, l'idea di aver parlato di cose private a vanvera non l'allettava per niente.
«Quello con cui ti ho vista in giro all'incirca ieri. Il piccoletto rachitico.» Sapeva quanto non fosse carino rivolgersi a una persona in quei termini, ma era anche il modo più efficace per farsi capire.
«Serge?» Camille scoppiò in una fragorosa risata, così autentica e argentina che dovette fermarsi e mettere le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. Dopo essersi ricomposta, parecchi minuti dopo, rispose alla domanda. «È il mio coinquilino. Ed è gay. Però è l'unico amico che mi sia rimasto in città. Lui e Marc, l'altro ragazzo che condivide l'appartamento con noi, anche se non c'è mai. Ed è il figlio della cugina di mia madre, quindi se mi incontri con un tizio che non hai mai visto, la prossima volta, evita di scambiarlo per il mio ipotetico ragazzo, per favore. Ai miei occhi sembrerebbe una cosa incestuosa.»
Accompagnò la frase con una smorfia schifata, poi si immerse nei pensieri. Ricordò come le amiche e Serge cercarono di essere presenti negli anni nonostante la distanza e il fuso orario. Non era bello o immediato come averli accanto, ma avere la certezza di poter contare sulla loro amicizia era stata la più grande forza di Camille negli anni lontana da casa.
«E perché non c'è mai?» A Logan la vita di lei sembrava molto interessante. Di sicuro imprevedibile.
Il fatto che entrambi avessero amici omosessuali, inoltre, lo sorprese molto. Al contrario suo, però, Camille sembrava avesse accettato la cosa senza difficoltà. Logan iniziò a pensare di essere la causa di molti dei propri problemi, una conclusione a cui non era mai giunto prima.
«È un documentarista, per cui è sempre in giro per il mondo per società come "National Geographic", cose così.» Gesticolò ammirata prima di guardarsi attorno e riconoscere un paesaggio decisamente familiare come quello che, di lì a poco, li avrebbe riportati ai loro appartamenti. «Ma ho parlato pure troppo. Ora tocca a te.»
Il momento che Logan aveva temuto era purtroppo arrivato. Ma le analogie che gli facevano percepire Camille più vicina l'avevano convinto che confidarsi, nei limiti che riteneva giusti, fosse il miglior modo per sdebitarsi con lei, l'unica persona che al momento non l'aveva giudicato per come si comportava.
«Sapevo che non poteva durare per sempre questa pace. Aspetta, fammi scattare una foto.» Prese tempo prima di correre il rischio di rivalutarla. «Chiedi pure.»
«Cosa ci fa una rockstar a Montpellier?»
Logan si fermò per strada per fissarla. Si era aspettato di tutto, soprattutto domande personali o, peggio, sui gossip che lo riguardavano. Invece gli aveva domandato qualcosa di relativo alla musica, un argomento per nulla privato o scottante.
«Anche a te, a quanto pare, piacciono le storie lunghe.» La prese in giro prima di iniziare il proprio racconto. «Sono qui a causa della casa discografica nuova. Abbiamo un contratto, anche se la notizia non è ancora stata divulgata. Questa etichetta ne ha assorbita una piccola che era qui in pianta stabile, probabilmente attratta dal vasto mercato offerto dagli universitari, e ci ha quindi fatto un accordo vantaggioso.»
Ok, quindi non c'era nessuna modella di mezzo. Nonostante fosse assurdo, la cosa rasserenò Camille.
«Del tipo? Spiega in parole povere, io non conosco il mondo musicale. Non dal vostro punto di vista, almeno.»
Logan, mentre cercava di riordinare le idee e i concetti da esporre, le chiese se la direzione intrapresa fosse quella giusta, così lei annui.
«Allora, vediamo. Le case di produzione finanziano gli album, ma sono soldi che tu devi restituire con le vendite, che ovviamente non sono mai abbastanza, quindi ci aggiungi il tour. Peccato che spostare l'attrezzatura, un'intera crew e affittare gli stadi e la sicurezza in ogni posto non sia proprio remunerativo, se non sei una band conosciuta.» L'intero iter era stato semplificato all'osso, ma non c'era bisogno di spiegare le cose nel dettaglio, non erano di facile comprensione per una persona che non era dell'ambiente. «Risulta così difficile saldare il debito, ma non impossibile. Fatto sta che la nuova etichetta ci ha proposto di riorganizzare a nostro gusto e usare lo studio di Montpellier, così il debito nei suoi confronti sarà meno ingente.»
Era la prima volta che parlava dell'intera questione con qualcuno e, oltre a volersi assicurare il silenzio di Camille, era felice di potersi sfogare. Finché non aveva esternato la questione non pensava di aver bisogno di confidarsi con qualcuno a riguardo.
«E come può essere possibile?» Camille, da estranea a quel mondo, non riusciva a vedere il nesso tra i ragazzi, lo studio e il debito verso l'etichetta.
«I Destination: Glory sono un gruppo da milioni di dollari ormai. Siamo al pari di Coldplay, U2 e Red Hot Chili Peppers, per intenderci. Siamo una garanzia. Per l'etichetta averci sotto contratto è vantaggioso, il nostro stesso nome lo è. Così possono alzare gli interessi nei confronti degli altri gruppi. Poter dire "Ehi, state usufruendo di uno spazio concepito e utilizzato dai Glory", per loro non ha prezzo. E nemmeno per gli artisti che possono farsi pubblicità con questa cosa. "Ho registrato nello stesso posto di Carter Madden e compagni gente, sono al suo pari", è questo il messaggio che ne esce. Più o meno gira tutto attorno a questo. Con la nostra notorietà ci guadagnano in tanti, noi per primi.»
Era il discorso più lungo che gli avesse mai sentito fare in tutta la giornata. Non pensava che la rabbia lo spingesse a parlare tanto, perché sì, si vedeva che l'argomento non lo rendeva allegro. Forse era quello il motivo del broncio che, in maniera inconscia, indossava da quando l'aveva incontrato la prima volta.
«Ma dove sono Carter, Oliver e Seth? Li hai tagliati a pezzi e messi nel freezer?» Voleva alleggerire la tensione, ma le sembrava abbastanza chiaro che non fossero nei paraggi.
«Vedi, è la parte divertente della questione: lo studio lo sto sistemando io. Perché essere qui in quattro quando il lavoro lo può fare uno soltanto? Avremmo litigato su come renderlo, perché ognuno ha la sua visione a riguardo.» Sorrise amaro, una sfumatura che sembrava uscirgli fin troppo bene e in modo naturale. «Inoltre Carter ha degli impegni a Los Angeles che non poteva rimandare.»
«Già, il doppiaggio degli audiolibri. Ho visto su Instagram.» Accennò Camille. Ricordava qualcosa a riguardo.
«Esatto, oltre alla linea di abbigliamento da concludere prima di partire. Oliver sta organizzando il suo matrimonio. Seth ha un marito a cui fare riferimento. L'unico rimasto sono io. Hanno pensato che fosse il momento ideale per allontanarmi dalla città e da tutto il resto, sai...» Lasciò cadere il discorso. Da fan quale era, Logan era convinto che sapesse a quali fatti stesse alludendo.
«Oh.» Fu la laconica risposta di lei quando capì il riferimento all'arresto, alla multa e al servizio sociale.
«È una specie di punizione.» Ammise Logan con una punta di tristezza e delusione nella voce. «Ma che viene vista come una sorta di riscatto da parte mia verso gli altri.»
«Beh, spero di aver cambiato anche il tuo, di punto di vista, riguardo questa "punizione".» Camille cercò di sdrammatizzare, nella speranza che Montpellier potesse smetterla di sembrargli una prigione e assumesse le sembianze di un rifugio, anche se dopo quelle confessioni riusciva a immaginare il perché dell'umore così delicato e la sua apparente scontrosità, una cosa che in anni di muta adorazione non aveva mai visto.
Logan agitò la macchina fotografica dopo essersi sistemato alcuni ciuffi di capelli dietro le orecchie. «È un buon inizio, migliore di quanto mi fossi aspettato.»
Era come se riuscisse a vedere una nuova speranza in quell'occasione. Sembrava che non tutto fosse perduto, a partire da lui.
Arrivarono nei pressi del loro quartiere con la consapevolezza che qualcosa era cambiato, non erano più due sconosciuti dopo certe confessioni. Avevano fatto un buon passo avanti per essere in sintonia, anche se ben lontano dall'essere amici.
«Cosa ne dici di passare alla seconda parte del programma?» Camille, nel tentativo di allontanare la mente di lui da tutti i pensieri che la stavano affollando, cercò di distrarlo con un'altra offerta.
«Seconda parte? Ero convinto che il giro turistico fosse finito.» Guardò l'ora. Erano quasi le sette e, per la prima volta dal suo arrivo, poteva dirsi stanco e soddisfatto della giornata trascorsa.
«Oh no, c'è la parte serale.» Gli strizzò l'occhio. Era consapevole che non potesse bere, o almeno ne era convinta, ma c'erano modi alternativi di passare una serata in città. Inoltre era certa che un giro per i posti in cui si riuniva la gente di notte non gli avrebbe fatto male, anche se magari non subito. Prima avrebbe dovuto capire per quale motivo fosse stato arrestato mesi prima.
Persa nelle proprie riflessioni si accorse in un secondo momento del telefono che ormai squillava da un po'.
«Aspetta un attimo.» Si rivolse a Logan che le fece un cenno di comprensione con il capo.
Non si allontanò nemmeno, avrebbe parlato in francese perché era la chiamata di una sua cliente.
L'unico concetto che capì Logan fu una serie di "oui" che anticipò la fine della telefonata. Una cosa veloce, apprezzabile.
Camille si girò verso di lui con aria colpevole e un sorriso dispiaciuto. «Ecco, a proposito della serata... Mi sa che dobbiamo rimandarla. È un problema? Devo lavorare, un impegno improvviso.»
«Direi di no.» Rispose Logan con la testa già rivolta ai suoi amici. Avrebbe dovuto chiamare un po' di persone a Los Angeles per aggiornarle sui lavori e sulle idee che aveva avuto durante il giorno, alcune non erano affatto da buttare. «Anche perché, se vogliamo essere onesti, era stata una tua decisione. Soltanto tua.»
Sottolineò con quel suo modo di fare leggermente indisposto che nascondeva invece della sana ironia.
«Sei sempre così di buon umore, tu, o in questi anni lo hai nascosto bene nelle interviste?» Voleva capire se fosse la sua presenza a solleticare il suo sarcasmo e, perché no, ritornargli la battuta con cui lui aveva attaccato bottone il giorno prima.
«Sono così solo quando mi sveglio dalla parte opposta del mondo.»
«Opposta o sbagliata?» Si lasciò sfuggire senza poter porre un freno alle proprie parole.
«Non hai detto che eri focalizzata sulla tua tesi? Pensavo non lavorassi.» Logan affilò lo sguardo. Camille era un'acuta osservatrice e la cosa gli stava un po' stretta. Non l'aveva mai giudicato ed era una bella sensazione, ma nonostante tutto si sentiva studiato e non era sicuro che la cosa gli piacesse.
«Beh, faccio la baby-sitter quando capita. I soldi li ho, ma non sono tantissimi. Qualche extra fa sempre comodo.» Gli concesse quel cambio di discorso con una certa facilità, per quella giornata aveva già ottenuto troppe informazioni, visto e considerato che Logan non era una persona che amava aprirsi con il primo che gli capitava a tiro.
Si ritrovarono all'angolo da cui erano partiti, era arrivato il momento dei saluti.
«Capisco. Allora ciao, meglio che vada prima che Oliver o Seth mi diano per disperso.» Aveva il timore che potessero chiamarlo e che volessero conoscere i dettagli della sua giornata, ma non era disposto a condividere Camille. Era la sua fonte personale di informazioni, per il momento preferiva rimanesse tale. «Magari ci aggiorniamo per la seconda parte del giro turistico.»
Un buon modo di tenersi sul vago e non accorciare le distanze, dovette ammetterlo a se stessa. Ma, nonostante quella lontananza, lei gli lasciò un biglietto con un recapito.
«Qui c'è il mio numero di cellulare, ma se non vuoi che io conosca il tuo puoi sempre citofonare al civico ventotto, campanello Dubois-Bertrand-Leroux.»
Alzò un sopracciglio, impressionato dal modo in cui Camille gli si era rivolta. «Te l'eri studiata?»
«Ovvio, ho dovuto racimolare tutta la sicurezza in me stessa per non sembrare un'idiota.» Sorrise appena, imbarazzata. «Ora devo andare, buona serata.»
«Aspetta.» La fermò prima che potesse allontanarsi. C'era una cosa che doveva sapere. «Non dirai a nessuno che sono qui, vero?»
«E passare per la pazza che racconta bugie e deve occupare il tempo a convincere la gente che invece quello che dice è vero? Scusami, non ci tengo proprio.» Fu così che Camille vide tutti i progressi fatti quel giorno vanificati dalla diffidenza di Logan, a testimonianza della differenza che intercorreva tra loro e che non avrebbe mai potuto essere colmata, quella tra una rockstar e una semplice fan.
«Quindi mi garantisci che non lo scriverai in alcun social?»
Non era insicuro, ma paranoico. Carter l'aveva chiamato "l'effetto Kat", ma il nome poteva essere sostituito da uno qualsiasi delle altre sue ex.
«Te lo prometto.» Annuì per rimarcare il concetto.
«Grazie.» Non le diede il tempo di rispondere e si chiuse il portone alle spalle.
«Grazie a te.» Mormorò Camille, grata per averle permesso di entrare per un po' di tempo nella vita di Logan e averle mostrato chi ci fosse dietro l'immagine che tutti conoscevano di lui.
Ok, è stato il giro turistico più strano della storia, ma la sapete una cosa? È voluto.
Non solo Logan ha accettato, anche se non è contento di affidarsi ciecamente a qualcun altro, ma sono due sconosciuti. Due estranei che non sanno come approcciarsi all'altro, di cui uno dei due fa resistenza nei confronti dell'ambiente che lo circonda, persone comprese. E diciamo anche che, di solito, la frase più lunga che dice alla gente con cui non è in confidenza è: "sì".
Quindi questo, per Logan, è un vero atto di fede che è andato meglio del previsto.
E poi mi piace tanto farli parlare e interagire, perché è così che si conoscono davvero le persone: ascoltando quello che hanno da dire e imparando dai silenzi. Logan e Camille, in questo, saranno bravissimi... la maggior parte delle volte 😉
Ma ora manca il giro serale. Di cosa si tratta?
Per quanto riguarda le informazioni fornite riguardo l'ambiente discografico da Logan, le ho apprese in un documentario che parla proprio di queste cose. È dei Thirty Seconds to Mars (o meglio, è l'opera di Jared Leto) e si chiama ARTIFACT.
La scorsa settimana ho cambiato header, vi piace? Io lo trovo più coerente con la storia!
A lunedì.
Cris
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