23. Con affetto, Carter
Logan era steso sul letto e si sentiva soffocare. Il soffitto bianco sembrava opprimerlo da quando aveva messo piede in quella stanza. Voleva del tempo per pensare al da farsi, ma recludersi nella propria stanza dello studio, circondato da tutta la crew e dal gruppo, non gli era sembrata l'idea migliore, così aveva prenotato una suite nel primo hotel trovato su internet. Nel giro di due ore aveva preparato i bagagli e se ne era andato senza salutare.
Però il suo essersi isolato gli si ritorse contro: non riusciva a scappare da se stesso. E quella era la peggior punizione che potesse infliggersi. Era solo, confuso, con i peggiori pensieri a fargli compagnia e più domande che risposte. Gli argomenti da affrontare erano troppi e non sapeva dire quale fosse il più doloroso.
Era stato ferito dalle persone a cui teneva di più, e sembrava che pure la musica non fosse dalla sua, al momento.
Aveva chiamato zia Jules, che era stata informata da Carter su quello che era successo dall'altra parte del mondo. Si era detta dispiaciuta e non giustificava il figlio perché aveva sbagliato ma, come al solito, non aveva voluto dare alcun consiglio a Logan, avrebbe dovuto prendere da solo le proprie scelte, di modo da fare quello che realmente avrebbe desiderato. Era davvero un peccato, quindi, che lui non sapesse quale direzione prendere. Jules si era preoccupata che lui stesse bene e fosse in grado di riprendersi da solo. Di fatto, era l'unica a mostrare un po' di fiducia nei confronti di Logan, e questo placò – almeno per un momento – la morsa che gli stringeva il cuore.
Cercò di fare chiarezza dentro di sé, ma era difficile quando lui per primo non era lucido. Aveva scoperto quanto il dolore potesse ottenebrare la ragione, non c'era bisogno di alcol, droghe o farmaci per infliggersi del male e ridursi a uno straccio. Bastava essere il migliore nemico di se stesso, e lui era bravo in quello, aveva molta esperienza alle spalle.
Era uno straccio. Non sapeva dire da quanto fosse lì o a quando risalisse l'ultimo pasto, ma la verità era che non gli interessava molto, perché non provava più niente. Era come se gli avessero strappato il cuore dal petto. Ed era esattamente così che si era sentito con le droghe: imbattibile, come se nulla potesse scalfirlo. Gli mancava solo quella sensazione di potenza e arroganza che la chimica poteva dargli, ma si sentiva ben lontano dall'onnipotenza delle droghe e soltanto l'aver accostato le due sensazioni lo fece sentire ridicolo.
Controllò il cellulare e, dopo un rapido calcolo, si accorse di essere in quella stanza da tre giorni. Lasciare il gruppo gli era sembrata l'idea migliore, a caldo, così come l'idea di tornare a Los Angeles, ma non era riuscito a mettere davvero un punto alla questione.
Allontanarsi dalla Francia, chiudere con Montpellier, avrebbe voluto dire rendere effettive le sue scelte, e non era sicuro delle proprie decisioni. Tornare alla sua vita di sempre avrebbe significato lasciarsi alle spalle Camille – il vero motivo per cui non era salito su un aereo – e non era pronto, per quanto lei l'avesse straziato senza dargli il beneficio del dubbio.
«Tu sai cosa fare.» Continuava a ripetersi la frase di Zia Jules. Era contento che almeno una di loro credesse realmente che Logan potesse uscire da quel casino, e che potesse farlo indenne. Era consolante.
Poi c'era la musica. Il motivo della sua esistenza, tanti sforzi fatti per migliorare ogni volta e mettersi in gioco sempre di più. Era rinato già una volta con essa dopo il suo momento peggiore, non era sicuro che quello potesse essere un addio, il cerchio non poteva chiudersi in quel modo. La musica sarebbe finita nel momento in cui lui non avrebbe avuto altro da dire, e in quel periodo aveva troppe sensazioni da riversare nelle canzoni. Una cosa che non gli era capitata spesso, ma che con l'album in registrazione era avvenuta con un discreto successo.
Dopo mesi poteva dire che gli mancava suonare la batteria, ne sentiva il bisogno. Ridicolo che quel legame fosse tornato a essere necessario dopo che la sua vita era andata a rotoli per l'ennesima volta.
Si buttò sotto la doccia con rabbia, pensando a come le cose potessero cambiare in poco tempo. Era arrivato a Montpellier per dimostrare di essere maturato e tornare il prima possibile alla propria vita, aveva pensato con insistenza e malinconia alla normalità della West Coast, eppure, quando era sembrata a portata di mano, avrebbe fatto di tutto per rimandare il ritorno a casa.
Quattro mesi a Montpellier e si era sentito più vivo che mai, con sentimenti così intensi da spaventarlo, perché si era reso conto che per Camille provava qualcosa di talmente profondo e sincero da terrorizzarlo, non gli era mai successo di essere travolto da un sentimento totalizzante come quello. Sarebbe riuscito a perdonare la ferita all'orgoglio e a mettersi in gioco? Non lo sapeva, ma ci avrebbe pensato.
«Tu sai cosa fare.» Mormorò tra sé mentre, con lo shampoo tra i capelli, teneva il tempo di una delle nuove canzoni dell'album a cui stavano lavorando. Ne avrebbero registrate almeno una trentina prima di fare la selezione definitiva, e i Glory erano a un quinto del lavoro.
Alzò lo sguardo, non meno ferito o arrabbiato, ma almeno con le idee più chiare e uno scopo ben preciso. Sua zia aveva ragione, sapeva cosa fare.
• • •
Il giorno seguente Logan chiamò un taxi e, dopo venti minuti caricò entrambe le valigie che aveva con sé, poi diede l'indirizzo all'autista e cercò di convincersi a non fare la parte dell'idiota.
Dieci minuti più tardi era sotto il portone, deciso a suonare il campanello. Poco dopo si ritrovò nello studio e, per quanto non si sentisse soffocare come in precedenza, era come se avesse perso tutta la familiarità degli ultimi mesi.
«Pensavo fossi partito.» Seth lo abbracciò a tradimento, mentre Logan era perso tra i propri pensieri.
«Avevo bisogno di tempo per pensare.» Ma non contraccambiò il gesto, era più forte di lui.
«Se pensare ti ha riportato qui, sono felicissimo.» Aggiunse Oliver, arrivando dal corridoio della sala di registrazione.
«Non fatevi strane idee.» Li avvisò amareggiato. «Sono tornato, ma non è facile come prima.»
Avrebbe fatto di tutto per tornare indietro e affrontare le cose in modo diverso, tutto per non ritrovarsi a quel punto.
«Come se lo fosse mai stato.» Carter, che era stato in silenzio fino a quel momento, cercò di sdrammatizzare la situazione, tanto che accompagno quelle parole con un timido sorriso.
«Non scherzare col fuoco.» Lo freddò Logan, con l'intento di chiarire bene chi fosse a dettare legge. Aveva delle condizioni da porre prima di rientrare in studio e di avere a che fare con il gruppo, e non avrebbe mai permesso loro di scendere a patti.
«Avanti, spara. Perché sei tornato?» Fu sempre Carter a cogliere la sfumatura determinata delle sue parole e a invitarlo a parlare.
«Non lascerò il gruppo. Non ancora.» Alzò una mano per frenare le repliche entusiaste degli altri tre. «Ho speso tanto in questi mesi negli arrangiamenti e ho altre idee. In base a come andranno le cose deciderò il da farsi. Non è molto, ma più di così non posso fare.»
«Io ci sto.» Oliver si disse d'accordo. Per quanto il rapporto con Logan non fosse così rilassato, gli era mancato. Era l'anima del gruppo. «È comunque un inizio.»
«Voglio che l'album sia grandioso, perché lo sento mio, molto più degli altri.» Il batterista elencava i propri punti in modo irremovibile, tanto da renderlo autoritario come si era augurato. «E ho una condizione specifica per la mia permanenza: ho in mente un titolo e voglio che sia quello.»
«È tassativa come cosa?» Carter, che era solito occuparsi di quei dettagli, tese il corpo in uno stato di evidente preoccupazione.
«Sì.» Logan sorrise dell'agitazione del cugino. Era soddisfatto di averlo messo in difficoltà.
«Allora diccelo.»
Avrebbe desiderato renderli nervosi con qualcosa che loro non potessero comprendere, ferirli con lo strumento che più poteva lederli, ma non era come loro. Ci teneva a quello che aveva creato da quando era a Montpellier e aveva idee valide in cui credeva, non aveva cuore di buttarle al vento, nemmeno per vendicarsi e far capire ai Glory come ci si sentisse a essere vittima delle scelte altrui.
«Eargasm.» Disse senza indugiare oltre. Era un termine suggerito da Camille, uscito per scherzo in una delle loro strambe conversazioni notturne, dove si sentivano protetti dal buio e – quindi – liberi di lasciarsi andare a pensieri più intimi. Logan lo trovava adatto. Le sonorità che ne erano uscite fino a quel momento erano pulite ma cupe, i testi erano importanti e tormentati e la musica potente. Era l'unica parola con cui riusciva a descrivere ciò che era stato creato e ciò che avrebbero prodotto.
«Ti piace vincere facile, non è vero?» Seth gli diede una pacca sulla schiena, contento di riavere con sé l'amico con le idee giuste e l'ispirazione selvaggia. «Come puoi pensare che non ci vada bene un titolo simile? È semplicemente adatto alla nostra musica.»
«Anche se siamo ancora in alto mare è perfetto.» Carter sorrise convinto. Era come se sentisse quel titolo già suo.
«Ok, allora affare fatto. Sono di nuovo dentro.» Logan si diresse verso le scale per il piano superiore, con i bagagli nelle mani, poi si fermò. Si sentiva in dovere di precisare la sua posizione, non voleva essere frainteso, dato che con loro sembrava una moda. «Ma non vi aspettate armonia, amicizia e quant'altro. Una volta fuori dalla sala di registrazione non voglio avere niente a che fare con voi.»
Seth, Carter e Oliver annuirono. Anche se non erano felici di quella postilla, la accettarono perché sapevano che Logan aveva bisogno di tempo. E loro di farsi perdonare.
• • •
Carter, il giorno dopo la partenza di Logan, non aveva avuto il coraggio di guardare in faccia le persone che lo circondavano. Seth e Oliver, per quanto dispiaciuti per la decisione presa dal batterista a causa del suo comportamento, gli mostrarono la più totale comprensione, forse per rimanere uniti dopo l'abbandono dell'amico.
Cosa avrebbero fatto? L'idea era quella di continuare a lavorare sul materiale che avevano a disposizione e poi tornare a Los Angeles, era l'unico modo per accontentare la casa discografica e cercare di appianare le cose con Logan.
Ma c'era un'altra questione che tormentava Carter: Camille. Come avrebbe potuto risolvere le cose tra lei e Logan?
Da quando le aveva parlato un pensiero gli girava per la testa, ma non era riuscito a concretizzarlo. Non subito, perlomeno. Dopo che ebbe preso forma passò tutta la giornata successiva alla finestra, nell'attesa di poter attuare il piano che aveva in mente. Da un certo punto di vista meno invasivo, ma comunque efficace, o così cercava di convincersi. Era l'unico in grado di poter mettere una pezza sullo strappo e non ci avrebbe rinunciato, ne andava della felicità di suo cugino.
«Serge!» Urlò poco convinto, dopo aver passato ore a osservare le strade che scorrevano sotto le finestre dello studio. Gli era bastato intercettarlo per sentire la speranza riaccendersi, ma a quanto pareva il vicino non era intenzionato a collaborare.
Lo vide, ma tirò dritto senza prestargli attenzione.
«Serge, aspetta!» Gridò di nuovo Carter. Più vigile rispetto a quella specie di veglia sonnolenta, si precipitò giù dalle scale come una furia. Era necessario che lo raggiungesse prima di vederlo sparire dietro il portone del suo palazzo.
Per fortuna aveva dalla propria anni di allenamento e una respirazione da far invidia, così riuscì nel suo intento.
Serge, che non poté più ignorarlo, si girò al richiamo della mano del cantante sulla spalla per riservargli uno sguardo truce.
«Uh, a cosa devo questo onore, Mister Manipolatore?» Domandò con tono duro. «Hai voglia di prendere qualche decisione al posto mio?!»
Camille doveva avergli raccontato tutto. Era giusto, in fondo, era il suo migliore amico. Carter accusò il colpo senza contestare.
«Ho bisogno del tuo aiuto.» Non voleva girarci attorno, era chiaro quanto Serge non fosse disposto a perdere tempo con i convenevoli. E nemmeno con lui.
«Bella faccia tosta!» Gli disse con una certa enfasi, pronto a riprendere la sua strada.
«Non è come pensi.» Carter cercò di bloccarlo con quelle parole. Avrebbe preferito fare presto, non ci teneva a essere visto, soprattutto da Camille. Avrebbe soltanto peggiorato la situazione.
«Ah, no?»
«No. Se mi lasciassi spiegare potresti decidere se vale la pena darmi una mano o meno.» Era stato bravo a incuriosirlo e, soprattutto, a dargli la possibilità di scegliere se ascoltarlo o meno. Costringere la gente a stare a sentire non la rendeva disponibile, ma dare la scelta di farlo cambiava le cose, difatti Serge sembrava pensare davvero a come agire di conseguenza.
«Ok, parla, ti ascolto. Ma non garantisco sul risultato finale.» Gli concesse infine, scuro in volto. Serge non era felice della situazione, ma era curioso di sapere perché Carter avesse bisogno del suo aiuto.
«Dovresti darmi gli script migliori di Camille.» Disse senza tanti giri di parole. Era una richiesta strana, ne era consapevole, ma era l'unico modo per arrivare dritti al punto ed evitare che Serge lo stroncasse sul nascere. In quel modo si era garantito la sua attenzione. «Immagino tu sappia quali suono. Riusciresti a recuperarli?»
«Scusami?! A cosa ti servono?» Serge scosse la testa, sconvolto. Prima si metteva in mezzo tra la sua amica e Logan, poi voleva gli script di lei per avere la lettura della buonanotte? Non lo aveva mai pensato così presuntuoso. «Tu sei davvero malato.»
«Senti. Io posso aiutarla a concorrere per l'Arts Academy. Posso farle avere una lettera di presentazione di tutto rispetto.» Fu terribilmente serio e determinato nel pronunciare quella frase, tanto che zittì l'altro. «Ma prima devo essere sicuro di fare la cosa giusta. Devo accertarmi che sia davvero brava in quello che fa, deve davvero meritarsi un posto, perché la selezione è micidiale, soprattutto se si cerca di ottenere una borsa di studio.»
Non poteva esporsi per una persona senza un vero talento. In fondo la lettera di raccomandazione serviva a garantire quanto l'aspirante candidato fosse portato e, quindi, meritevole del posto.
«Non hai imparato, vero?» Serge gli si rivolse con un tono amareggiato e stanco. «Vuoi ancora metterti in mezzo alle decisioni di Cam?!»
«No, non fraintendermi!» Si affrettò a rispondere, non voleva essere travisato. «So di aver fatto una cazzata, ma sto cercando di rimediare.»
«E come? Intralciandola di nuovo?»
«Ascolta, Los Angeles è il suo sogno, il posto ideale per il futuro che si è sempre augurata. E non dimenticarti che a LA c'è pure Logan.» Carter non voleva rivelargli tutte le sfumature della faccenda, era abbastanza che Serge sapesse che a guadagnarci era soltanto Camille. Soprattutto lei. «Se ci fosse anche solo una possibilità di riavvicinarli, farò in modo che accada, per quanto al momento non si parlino.»
«Spero che tu non abbia intenzione di far sì che avvenga, perché hai già fatto abbastanza.» Ma era meno duro, quasi come se le parole di Carter fossero iniziate a piacergli.
«Io so che c'è una possibilità di azzerare almeno la distanza fisica, facendo in modo che entrambi siano felici.» Era quello l'importante, per lui: riportarli vicini e dar loro modo, così, di potersi incontrare. «Logan può essere messo al corrente della situazione, poi agire come più gli pare. Se avrà il coraggio potrà cercarla per un confronto, oppure potrà leccarsi le ferite e perdersi la sua più grande possibilità. E poi non è detto che Camille venga presa.»
«Mh, non so...»
Carter accennò un sorriso, l'indecisione di Serge era ciò di cui aveva bisogno.
«Cam potrebbe avere una concreta opportunità di entrare nel corso di sceneggiatura che ama e a cui aspira da una vita. Essere nella stessa città di Logan potrebbe essere un extra che la renderebbe felice, se riuscissero a incontrarsi.»
«Tu pensi sempre a tutto?» Fu la domanda seccata di Serge, che non aveva più argomenti validi con cui controbattere.
«Sì, soprattutto a come risolvere i casini che creo io stesso.» Dire la verità era meno difficile di quanto Carter credesse.
Serge alzò gli occhi al cielo. «Per quando ti servono gli script?»
«Il prima possibile.» Non c'era tempo da perdere, ogni minuto era prezioso per fare ciò che aveva in mente. «La laurea di Cam non è tra qualche giorno?»
«Cinque, per la precisione.» Valutò l'altro nel suo inglese con la tipica inflessione francese, così buffa da diventare affascinante. «Preferisci il cartaceo o i file?»
«I file andranno benissimo. Così appena li ricevo li leggo. E, in caso, mi procuro la lettera di presentazione adatta e di allegarla al suo fascicolo.» Non era da lui rivelare tutti quei dettagli, ma condividerli con qualcuno rendeva la cosa concreta, reale. Era come se il piano ormai fosse in moto e lui sentisse il bisogno fisico di vederlo realizzato nel minor tempo possibile. Era la stessa sensazione che provava per un album, anche se senza Logan non era lo stesso. Anzi, in una simile occasione non era bello per nulla.
«C'è altro che io debba sapere prima di pentirmi dal diventare tuo complice?»
«No, affatto.» Carter gli sorrise con un accenno di quella presunzione che era riuscita a portare lui e i Destination: Glory negli annali della musica.
«Lo sai che non ti perdonerà? Tentare di corromperla non cancellerà il male che le è stato fatto.» Serge non si riferiva soltanto a lui, ma al comportamento di Logan. Inoltre la sola idea che con quel piano – seppur buono, dovette ammettere a se stesso – Carter si potesse sentire meno in colpa per quello che aveva fatto alla sua amica, non gli andava giù.
«Non intendo corromperla, ma di sicuro voglio provare ad aiutare una persona a cui tengo. Se per vederla contenta faccio felice anche lei, meglio per tutti. Inoltre non è me che deve perdonare.» Con lui poteva avercela per sempre, l'avrebbe capita e accettato la cosa. Ma non poteva vivere con l'idea che Logan non gli rivolgesse la parola.
Alzò gli occhi al cielo, esasperato. «Scrivimi la tua mail sul telefono. Appena li recupero te li giro.»
«Grazie, sei il migliore!» Lo baciò sulla guancia. «Li attendo con ansia, non abbiamo tempo da perdere!»
«Tu sei il peggiore!» Gli ricordò Serge mentre apriva il portone. «Ti salvi soltanto perché sei carino, talentuoso e altamente carismatico.»
«Lo so, ma sono le persone come te a rendermi speciale.» Gli fece l'occhiolino e poi si allontanò, doveva fare un paio di telefonate intercontinentali. «Spero di poterti dare presto buone notizie.»
• • •
Quindi, quando quattro giorni dopo l'incontro con Serge, Carter trovò nella casella di posta la mail che aveva aspettato, si allontanò dalla sala di registrazioni e da Logan, ormai tornato con i Glory, e si ripromise di stampare quelle carte il prima possibile.
• • •
«Sono o non sono la migliore del mondo?» Appoggiata con finta indifferenza allo stipite della camera di Camille c'era una ragazza con un taglio alle spalle, mosso e di un rosso pallido, quasi arancio. Una bellezza che Cam riconobbe subito.
«Céline! O mio Dio!» Le corse incontro per abbracciarla. «Cosa ci fai qui, non pensavo saresti venuta!»
«Oh, e come potevo perdermi la laurea della mia amica?» Le restituì il gesto con calore, poi la osservò da sotto gli occhi stanchi. Per quanto fosse arrivata a Montpellier la sera prima, aveva dormito poco. «Sono qui anche in rappresentanza di Eve e Sophie che, vivendo dall'altra parte del mondo, non hanno potuto esserci.»
«Mh mh.» Serge si schiarì la voce con una certa impazienza, da dietro le spalle di Céline.
«E ovviamente la sorpresa è riuscita perché l'ha architettata quel genio di Serge.» Lo prese in giro la diretta interessata. «Così astuto da custodire addirittura un segreto.»
«Ma non è finita qui.» Continuò l'amico, orgoglioso del suo operato. «Guarda chi c'è!»
Il cuore di Camille perse un battito, aspettandosi di vedere Logan.
«Ehi, sorpresa!» Si presentò Marc, il parente alla lontana che viveva con lei e Serge.
Per quanto non fosse stato chi si aspettava, era felicissima di vederlo e corse ad abbracciare pure lui.
«Lasciatelo dire tesoro, sei uno schifo.» Asserì Céline dopo averle osservato con una certa attenzione il viso. «Dormi la notte?»
Una domanda all'apparenza innocua, ma che in realtà rivelava una certa continuità, la triste routine in cui Cam era caduta dopo aver perso Logan.
«Non molto, in effetti.» Le rispose con un filo di voce.
«Si vede.» Le tirò le guance in un gesto d'affetto, così da dar loro un po' di colore.
«È bello sentirsi dire certe cose.» Camille si prese gioco di lei, facendo una smorfia.
«Mi vuoi bene proprio perché sono sincera.» Rispose l'altra, con le mani nell'armadio per studiare i vestiti scelti per quel giorno importante.
«Sarà un po' di ansia per oggi.» Si intromise Marc, ignaro del vero motivo del suo malumore. «Vedrai che non è niente. Passerà in fretta e sarai bravissima!»
Céline stava per controbattere, ma vide Cam farle un cenno negativo con la testa per poi mimare con le labbra "Stanno arrivando i miei, lascia perdere", così si limitò ad annuire e a cambiare argomento, prima che Marc venisse a conoscenza del reale argomento della sua mancanza di sonno.
«Forza allora, vediamo di coprire queste occhiaie e renderti bellissima, non abbiamo molto tempo.» Céline le sorrise prima di guardare l'orologio, poi aggiunse: «Per fortuna non c'è molto lavoro da fare con te. Sei stupenda, occhiaie o no.»
«Grazie.» Le sorrise riconoscente. Era felice che fosse lì.
Si misero all'opera e dopo una ventina di minuti giunsero anche i parenti di Cam, capitanati dai genitori, giunti a Montpellier appositamente per la laurea.
Si diressero tutti insieme all'ateneo e, con leggero ritardo, videro la figlia ottenere l'attestato con i voti migliori. Ci fu qualche foto di rito con la famiglia e gli amici, qualche telefonata per le congratulazioni e i saluti tra i compagni di corso, che si complimentarono gli uni con gli altri. Fu una mattinata frenetica, ma piacevole, che trascorse in un attimo.
Camille fu felice di non aver avuto nemmeno il tempo di pensare, perché altrimenti si sarebbe soffermata sulle assenze importanti di quel giorno, dedicando tempo a una persona che avrebbe voluto con tutto il cuore fosse lì. Logan l'aveva sempre aiutata con il suo script e le sembrava impossibile che non fosse lì a condividere con lei quel momento e il merito, perché sentiva che un po' era anche del batterista. L'ispirazione migliore l'aveva sempre avuta accanto a lui.
Scosse la testa per scacciare i pensieri tristi e il nodo alla gola per dedicarsi alle persone che invece avevano fatto di tutto per essere testimoni di quel momento, così si diressero in un ristorante elegante per poter pranzare e festeggiare a dovere.
Tornarono tutti verso il suo piccolo appartamento per salutarsi, perché i parenti alloggiavano in un albergo lì vicino, mentre Céline sarebbe tornata a casa dai suoi genitori. Prima che gli amici si dividessero, però, Camille si accorse di qualcuno che, seduto al bistrot sotto lo studio di registrazione, protetto da una scura tenda da sole, era intento a guardarla. Quello che la stupì fu vedere che parlava con Serge.
L'amico che, poco dopo, sembrò incamminarsi verso di lei. Reggeva qualcosa in mano.
Carter, con tutta la calma del mondo, le rivolse un saluto con un cenno della mano e continuò a studiarla dalla distanza.
«È per te.» Le si rivolse Serge, imbarazzato, mentre le porgeva una lettera che sembrava voluminosa.
Lei si indicò, stupita, e lui annuì colpevole. Quella lettera veniva da Carter, cosa poteva avere da darle?
Camille si scusò con i ragazzi con cui stava per entrare nel proprio palazzo, e chiese loro di aspettarla lì.
«Arrivo subito.» Disse distratta. Non voleva essere lasciata sola con Carter, non era sicura di essere in grado di gestire la situazione. Riluttante, gli andò incontro.
«Congratulazioni.» Esordì lui, delicato ma asciutto; non voleva darle l'impressione di essere lì per invocare perdono, sapeva che lei non l'avrebbe gradito.
«Grazie.» Mormorò con tono più duro del previsto. Era rigida come un fuso, a dimostrazione di quanto non volesse trovarsi davanti a lui in quel momento.
«Vedo che non l'hai distrutta. Non ancora.» E, nel dirlo, indicò la lettera tra le dita di lei. Camille era titubante, non si fidava e lui poteva vederlo chiaramente, ma al tempo stesso era curiosa di sapere cosa ci fosse nella busta e perché Carter gliel'avesse fatta recapitare. «È un regalo per l'occasione. Beh, a dire il vero è più una comunicazione, ma fa lo stesso.»
«Non voglio niente da te.» Tornò sulla difensiva. Accettare regali da lui implicava perdonarlo o comunque accettare le sue condizioni, e non era disposta ad averci a che fare o a scendere a patti. Non dopo quello che le aveva fatto.
«Penso che tu abbia ragione e anche tutto il diritto di dirlo, ma ci tenevo che lo sapessi il prima possibile. Avanti, aprila.»
«Ok» Rispose Camille controvoglia dopo aver aperto la busta con una certa veemenza. Infine, seccata, distese i fogli e lesse il primo dei tre che erano stati piegati insieme.
Era un foglio bianco, scritto a mano. Poche frasi che riempivano il centro di quella che sembrava una lettera uscita dagli anni passati, quando ancora non esistevano le e-mail e i cellulari.
Prima di arrabbiarti per il mio intervento assicurati di leggere tutto, perché in fondo ho fatto ben poco, questa volta. Ho solo puntato su di te i riflettori, sono stato un tramite che non ha detto altro che la verità.
Sei brava, hai davvero talento. E lo so perché ho corrotto quel povero cristo di Serge per avere qualche tuo script. Non avercela con lui, ma dovevo essere certo di quello che stavo per fare.
Non cerco di comprarti né di farmi perdonare, ma dare a te il futuro che meriti e a Logan l'opportunità che io gli ho tolto.
Mi auguro che possa essere una bella sorpresa e ti faccio le mie congratulazioni per aver raggiunto questo traguardo oggi, nella speranza che sia il primo di molti altri.
Buona fortuna per la tua nuova avventura e, mi raccomando, prima di fare qualsiasi azione avventata leggi ogni foglio di questa lettera, anche se poi ti arriverà la mail ufficiale.
Mi dispiace davvero per tutto,
Carter
Alzò lo sguardo, preoccupata e confusa, ma lui la intimò a continuare, così passo al foglio successivo.
Si ritrovò quindi davanti una lettera di raccomandazioni scritta da Carter in persona – dove lodava le sue sceneggiature e ne evidenziava i punti di forza – che si era firmato come uno studente e, siccome quella che Camille aveva tra le mani era soltanto una copia, lui aveva aggiunto una post scriptum in cui le rivelava di aver studiato dizione e recitazione proprio nella sede dell'Arts Academy di Los Angeles, per prestare la voce agli audiolibri che aveva inciso prima di partire per Montpellier; il progetto per cui era finito su tutti i siti di gossip mesi prima.
Camille, dunque, si rese conto dell'importanza di quella presentazione e, nonostante la rabbia che provava nei confronti di Carter, gli fu grata per lo sforzo. Non solo per averla scritta, ma per aver letto con attenzione i lavori citati e analizzati all'interno della lettera.
Infine, con le lacrime che minacciavano di offuscarle la vista, passò alla lettera di ammissione al corso di sceneggiatura, con tanto di borsa di studio.
«Perché?» Fu l'unica cosa che riuscì a chiedergli. Non aveva il coraggio di aggiungere altro, non era certa che la voce avrebbe retto. Non era nemmeno sicura di aver compreso quello che aveva letto, perché aveva l'aria di essere un sogno troppo bello per essere vero.
«Perché dovevo restituirvi parte della felicità che vi ho sottratto, e azzerare le distanze tra voi mi sembrava il minimo.»
Entrambi pensarono al futuro, come se lei e Logan ne avessero uno. Era incredibile come in quel momento lo sentisse distante. E le faceva male, sempre, in modo costante.
«Come se fosse quello il problema.» Sorrise triste, con un principio di lacrime agli angoli degli occhi. In quel momento provava così tante emozioni da non sapere quale potesse prevalere.
«È un inizio.» La incoraggiò il cantante.
Lo abbracciò senza aggiungere altro. Non "Ti perdono", nemmeno "È tutto a posto", perché niente lo era per Camille, ma gli era davvero grata e, col tempo, magari avrebbe ascoltato le loro canzoni senza provare rancore.
«Se ti dovesse servire una guida a LA sai a chi chiedere, immagino che saremo tutti al tuo servizio. È il minimo.» Carter tentò di spezzare l'imbarazzo del momento. Si era messo a sua disposizione volentieri, ma sperava che il compito potesse spettare a Logan. L'importante era che uno dei due muovesse un passo verso l'altro. «Devo andare.»
«Grazie.» Cam annuì per enfatizzare il significato di quell'unica parola poi, senza aggiungere altro, lo guardò allontanarsi. Fece qualche passo indietro e si ritrovò così all'angolo di casa sua, senza la forza di spostarsi verso il proprio palazzo o correre verso Carter per prenderlo a schiaffi e poi ringraziarlo di nuovo per essersi intromesso, ancora una volta, nella sua vita.
«Cavoli, devo dire che è davvero notevole.» Céline la abbracciò da dietro, quasi avesse voluto proteggerla. Le posò il viso sulla spalla, approfittando della sua altezza. «No ok, è proprio un figo pazzesco.»
Sospirò incantata, mentre Camille seguì il gesto, ma il suono fu più arreso, stanco.
«Sì lo so, ma non è proprio il mio tipo.» Le sembravano passati secoli da quando pensava di essere attratta da Carter, da quando lo considerava uno sconosciuto inarrivabile, ma a suo modo perfetto. Cercò di apprezzare il modo dell'amica di spezzare la tensione, però le gambe non ne volevano sapere di muoversi da lì. E se avesse scoperto di aver sognato tutto? «Cioè, non più. Da quando sai... Insomma, diciamo che altri mi hanno fatto cambiare idea.»
«Ah, vuoi dirmi dunque che non ci hai fatto sesso?» Céline le rivolse uno sguardo malizioso, accompagnato da un sorriso contenuto, ma non meno significativo.
«Cosa! Scherzi?» Cam quasi urlò e si voltò per guardarla in faccia. Forse durante lo sfogo in Skype doveva essersi espressa male.
«Cam.» Céline, con tutta la calma possibile, le indicò finestra della cucina dello studio e le mostrò Logan, intento a fissarla.
Camille deglutì e subito si sentì in debito d'aria. Era come se il tempo avesse rallentato la sua corsa e il cuore accelerato i battiti. Tutto era dilatato e veloce allo stesso tempo, non permettendole di ragionare con lucidità. Quegli occhi così scuri sembravano trapassarla, come se volessero sapere cosa le succedeva dentro, e al tempo stesso parevano voler fare un discorso così lungo che era impossibile per lei distogliere lo sguardo.
«Ah ok, pensavo...» No, in realtà non pensava affatto. Era come se la ferita che provava si fosse riaperta, ma sentirla sanguinare era un dolore necessario e rassicurante. Respirare era diventata un'azione pesante, ma ogni volta che espirava sentiva la testa leggera, così come le gambe, che non sembravano rispondere agli ordini che cercava di impartire al proprio corpo.
Era in balìa del momento. Di Logan.
«Sì, ho capito. Sono belli entrambi, per quanto diversi, è innegabile.» Céline continuò, con la voce delicata come il velluto e lo sguardo fisso sulla finestra, sentendosi di troppo per l'intimità che intercorreva tra quelle due paia d'occhi; le sembrava di essere capitata in mezzo a un mondo che non le apparteneva. «Ma il modo in cui ti guarda Logan sta facendo venire i brividi a me.»
Non solo a lei, pensò Camille tra sé.
«Torno da Serge, dobbiamo continuare a discutere dei festeggiamenti di stasera.» Indicò la lettera che Cam stringeva tra le mani. «Abbiamo una cosa in più per cui brindare!»
Si allontanò con un sorriso soddisfatto e speranzoso, contenta di aver creato di nuovo una connessione tra i due. Un gesto, quello di lei, di cui nessuno si accorse, impegnati com'erano nella loro comunicazione non verbale.
Impossibile distogliere lo sguardo. Impensabile sostenerlo.
Camille non poteva sapere che dietro gli occhi tormentati e seri di Logan si nascondeva la paura, perché da là sotto assomigliava alla rabbia. Aveva creduto di conoscerlo, ma si era accorta che non era così facile capirlo, in realtà.
Logan, invece, non poteva sapere che quello sguardo freddo e triste, tanto da sembrare furioso, in realtà nascondeva sofferenza e delusione. Era convinto di averla ferita abbastanza, era meglio non peggiorare la situazione.
Eppure si ritrovò con la mano sul vetro e l'accenno di una parola sulle labbra, quasi avesse voluto attirare la sua attenzione e iniziare un discorso. La vide indietreggiare di un passo e girarsi di scatto per tornare dai suoi amici.
Un chiaro segno che per lui era troppo tardi. L'unica mossa possibile per Camille per tornare a respirare e, soprattutto, nascondergli le lacrime.
Logan, finalmente, capì che Camille l'aveva ferito, ma senza di lei soffriva ancora di più. Non era disposto a lasciare che lei uscisse dalla sua vita, ma non sapeva come fare per farla tornare. Avrebbe dovuto trovare il modo di superare le proprie paure, di spiegare quello che era successo e di farsi perdonare prima che fosse troppo tardi.
Aveva bisogno di un discorso.
Aveva bisogno di un piano.
Ma, soprattutto, aveva bisogno di lei.
BOOM!
Capitolo più lungo del solito perché avevo bisogno di dissipare un po' di punti.
Logan che torna sui suoi passi, Carter che fa i salti mortali per far avere l'ammissione a Camille per la laurea e, quindi, di straforo. Vie ufficiose e non ancora ufficiali.
Non vuole farsi perdonare, ma ce la mette tutta per espiare le proprie colpe.
Tipico di Carter, ma in fondo gli si vuole bene (circa, dai 😂) perché è così.
E ora?
Ce la farà Logan a elaborare un piano?
Ma, soprattutto, riuscirà a farsi perdonare?
A lunedì,
Cris
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