02; Degrado casalingo e cambio di rotta
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Quella calda ma piovosa serata estiva di fine luglio, non appena terminato il proprio turno di lavoro al ristorante, Shawn piombò con grande enfasi in casa.
Erano le undici di sera, e, non appena il ragazzo aprì la porta, spaventò a morte Tom, il suo conquilino, che fino a poco prima se ne stava stravaccato sul divano a guardarsi annoiato un programma di cucina.
«Eccomi tornato!» esclamò Shawn, sbattendo la porta rumorosamente dopo essere entrato con l'ombrello ancora in mano.
«AAAAH! Mi hai spaventato!» trasalì Tom, saltando seduto e rivolgendo un'occhiata disorientata al ragazzo appena entrato, che di tutta risposta sbuffò sonoramente.
Quest'ultimo se ne andò in cucina per sgranocchiare qualcosa, affamato com'era, ma lo scempio che trovò sul tavolo lo confuse non poco.
«E questa che roba è?!» fece, alludendo al pasticcio che troneggiava davanti ai suoi occhi, cercando Tom con lo sguardo, che lo aveva già raggiunto silenziosamente alle spalle, pronto a spiegargli tutto, non dopo essersi grattato la nuca imbarazzato.
«Sto sperimentando... la dieta dei liquidi. Solo che è più difficile del previsto far entrare le lasagne dentro una bottiglia, lo sai? Mi sono momentaneamente preso una pausa. Ma, quando ci riuscirò, tutte le industrie alimentari recheranno scritto il mio nome a caratteri cubitali: "Tom Holland, l'uomo della dieta liquida." Non è pura poesia, amico?» gli rifilò Tom, parlando a raffica come una radio accesa, mentre gesticolava coerentemente con le sue parole, e assumeva espressioni facciali a dir poco esilaranti.
Shawn lo fissò ad occhi spalancati, sempre più sconvolto. Era la disoccupazione ad averlo ridotto così, non c'era altra spiegazione. Da quando lo avevano licenziato, era passato ad occupare la propria vita facendo una pazzia dopo l'altra, al posto di trovarsi un lavoro come si deve.
«Tom, tu non stai benissimo! Esci fuori da questa campana di vetro, conosci nuova gente, trovati un lavoro! Insomma, guarisci da questa tua asocialità patologica!» esclamò, poggiandogli entrambe le mani ancora umide sulle spalle e squadrandolo con uno sguardo più serio che mai.
«Ehi! Io sto benissimo, amico! Ora, con permesso, vado a continuare a poltrire» disse Tom in risposta, scansandosi dalla presa del suo coinquilino e facendo per tornare alle sue mansioni di fancazzismo supreme in salotto.
Tuttavia Shawn lo bloccò prontamente, agguantandolo per il colletto della sua camicia da quattro soldi.
«Tu non vai da nessuna parte!» sentenziò, per poi puntargli contro l'ombrello chiuso appena utilizzato e ancora gocciolante.
«Ma fuori piove?» cercò di cambiare tatticamente argomento Tom, da bravo furbetto qual era.
«No, mi piace fare la dama dell'Ottocento con l'ombrellino, non vedi?!» Shawn colse al volo l'occasione per poter esternare il proprio sarcasmo, aprendo l'ombrello che teneva ancora in mano con uno scatto - che schizzò nei paraggi un po' d'acqua - e poggiandoselo sulla spalla con fare ironico.
«Dai, smettila con queste stupidaggini!» sbuffò Tom, soffocando una risata e tornando a tuffarsi sul divano.
«... disse Mr. Lasagne-nella-bottiglia.» rispose Shawn con una frecciatina molto in tema, non riuscendo proprio a trattenersi.
Tom usava il sarcasmo semplicemente perché lo divertiva, ma per Shawn era la sua unica difesa contro il mondo là fuori... mondo da cui a quanto pare invece Tom si stava prendendo una - più che allungata - pausa.
«Accidenti, speriamo che domani il tempo migliori...» borbottò quest'ultimo con una smorfia.
«Ma a te cosa cambia? Tanto stai sempre in casa!» ribattè Shawn, sfidandolo con lo sguardo.
«Si dà il caso che domani ci sia il matrimonio di mio cugino al White Sand, all'aperto, e a cui tu tra l'altro dovrai lavorare, signor cameriere!» gli fece presente l'amico, picchiettando un dito sul tavolino di vetro antistante il divano.
Shawn sospirò sconsolato.
«Uh, giusto, me lo stavo quasi dimenticando...»
Non aveva proprio voglia di prestare il proprio servizio da cameriere ad un matrimonio, però del resto era stato raccomandato nientemeno che da Tom, il cugino dello sposo, e quel lavoretto gli avrebbe anche fruttato abbastanza soldi per potersi permettere una nuova chitarra, dato che quella che aveva al momento era ridotta in uno stato pietoso.
Sì, perché Shawn adorava tantissimo suonare, ed era anche abbastanza bravo a cantare, ma purtroppo non aveva mai avuto occasione di praticare questa sua passione come un lavoro stabile, e così... beh, aveva ripiegato sul darsi da fare nei servizi di ristorazione.
«Eh, vedi, se non ci fossi io!» lo riportò alla realtà Tom, lanciandogli uno sguardo ammiccante.
«Se non ci fossi io un corno! Semmai questo lo devo dire io! Sono io qui l'uomo della situazione che porta a casa il cash, mentre tu è quasi un mese che fai il casalingo disoccupato!» lo apostrofò ironicamente Shawn, seppur con un tono leggermente sprezzante nella sua voce, per poi pentirsene subito dopo.
Alle volte era più forte di lui parlare così. Spesso e volentieri tornava dal lavoro nervoso, e non riusciva a trattenersi, specie se Tom gliela serviva su un piatto d'argento.
Doveva sbollire la tensione giornaliera accumulata in qualche modo, e l'unica maniera per farlo era quella di chiudersi in camera ed esibirsi in alcune delle sue cover preferite... non dopo essersi fatto una doccia sotto un getto d'acqua fresca per riprendersi.
«Va bene, va bene, ma non era questo il nostro argomento di conversazione!» ribattè Tom, con un gesto della mano, per poi continuare sconsolato. «Stavo dicendo... Se piove, siamo fottuti. Andrà tutto all'aria, e dovranno rimandare»
«Beh, alla peggio si monta un tendone e ci mettiamo tutti lì sotto appiccicati come sardine... oppure ci mettiamo a fare la danza della pioggia e a cantare a squarciagola, sarà super divertente!» se ne uscì Shawn con un'altra delle sue, lanciando a Tom un sorrisone a trentadue denti.
«Pfft... Così potrai finalmente farti notare per le tue doti canore!» borbottò quest'ultimo, a braccia conserte, per poi ricordarsi di un particolare di fondamentale importanza di cui era venuto a conoscenza non molto tempo prima. «Comunque, parlando seriamente... ci sarà un'orchestra a suonare dal vivo»
«E tu me la dici solo adesso una cosa così importante?!» si alterò Shawn, fulminandolo con lo sguardo.
«Calma, amico, l'ho scoperto anche io oggi; me l'ha scritto mio cugino per messaggio, altrimenti come avrei potuto saperlo?» disse Tom, alzando le spalle.
«Sarebbe proprio l'occasione perfetta per farmi notare!» esclamò Shawn, esternando a parole per l'ennesima volta il suo sogno di una vita.
«Ehm... ti ricordo che tu dovrai servire ai tavoli» cercò di riportarlo alla realtà Tom, ma l'amico non lo ascoltava già più, già preso com'era dalle sue riflessioni ad alta voce, da bravo ragazzo sognatore che era sempre stato.
«Potrei finalmente avere una qualche chance, fare vedere di che pasta sono fatto, sfondare nel mondo dello spettacolo... e fare in modo che chiunque si ricordi di me, anche quando sarò morto! Non è emozionante?»
Tom sbuffò, scuotendo la testa, per poi puntare i suoi occhi in quelli del coinquilino, con un'insolita aria da cane bastonato.
«Per te! Se io morissi, l'unica traccia che lascerei di me è l'impronta del mio posteriore su questa poltrona!» si lamentò, abbacchiato.
«Ma no! Hai appena detto che tutti sapranno di te per la tua dieta dei liquidi o sbaglio?» gli ricordò Shawn, sorridendogli con una buona dose di ironia.
«Beh, sì, io... ecco... Ma n-non... non dicevo sul serio, sai...» si sminuì Tom, con un gesto della mano.
Nel frattempo Shawn giunse al suo cospetto e gli appoggiò con forza una mano sulla spalla.
«Bene, l'importante è esserne convinti»
«Sì, ma io-» cercò di dire l'altro, ma inutilmente.
«Ne parliamo dopo, okay? Ora, con permesso, vado a farmi una doccia» lo fermò infatti in tempo Shawn, ben sapendo che, quando ci si metteva, Tom Holland era veramente capace di diventare una radio accesa a tutti gli effetti.
Detto ciò, corse via in bagno, spogliandosi e lanciandosi in quattro e quattr'otto sotto il getto della doccia, senza cercare di pensare a niente, e di godersi quei pochi momenti per sé che aveva a disposizione nell'arco della giornata.
Ma, si sa, la doccia - insieme all'autobus - è il luogo di riflessioni per antonomasia.
Quindi, mentre innumerevoli goccioline d'acqua fredda scorrevano lungo il suo corpo perfetto, Shawn si mise a pensare: pensava al fatto che forse stesse sprecando la sua vita appresso a mansioni del genere che neanche gli piacevano, pensava che magari sarebbe stato meglio provare a cimentarsi in qualcos'altro di più gratificante per se stesso, ma pensava anche che solo con la chitarra e la sua voce non avrebbe fatto abbastanza nella sua vita, pensava... sì, forse pensava troppo e agiva troppo poco.
Era proprio questo il suo problema. Innumerevoli castelli in aria e nessuno di essi mai realizzato, sin da quando era piccolo.
Sotto sotto, infatti, oltre ad essere un ragazzo sognatore, era anche molto insicuro, anche se all'esterno non lo voleva dare a vedere.
Spesso e volentieri, soprattutto durante gli anni del liceo, era stato sull'orlo di scoppiare in crisi di pianto, per il fatto che sapeva che cosa voleva dalla vita, ma purtroppo sapeva anche che non avrebbe mai potuto realizzare il suo sogno.
E poi lui era Shawn Mendes, e, come gli diceva sempre suo padre, i Mendes non piangono mai.
Il suo vecchio era sempre stato contrario a vedere il figlio cimentarsi nella carriera musicale, e la madre non era da meno, dato che entrambi erano molto più interessati al denaro che a ciò che desiderava veramente loro figlio.
Lucas, il fratello maggiore di Shawn, aveva seguito alla lettera la scaletta che i loro genitori si erano prefigurati per lui, andando a studiare economia e commercio alla Yale, ma, quando era giunto il suo turno, Shawn non ne aveva proprio voluto sapere.
Perciò era ricorso ad una soluzione alquanto drastica, ma necessaria: terminato il liceo, quando era ora si iscriversi all'università, si era ribellato, e, cercando di non creare troppo scompiglio in famiglia, orgoglioso com'era, aveva deciso di smettere di sottostare ai comandi dei suoi genitori, andando a vivere da solo e smettendo di ricevere da loro ogni qualsivoglia tipo di finanziamento.
Così si era finalmente liberato di un grosso fardello, ma, dall'altro lato della medaglia, aveva anche cominciato a sperimentare la dura arte di cavarsela senza genitori.
Era da ormai un anno che era diventato pienamente autosufficiente, pur dovendo svolgere un lavoro che non gli piaceva affatto per mantenersi, e arrivare a fine mese coi soldi contati.
Per di più, ora che il suo coinquilino era stato licenziato dall'ufficio in cui lavorava, la loro situazione economica stava andando sempre peggio.
Shawn, da bravo amico, voleva aiutarlo, ma riusciva a malapena a mantenersi per se stesso, quindi prendersi cura anche del proprio coinquilino era un'impresa non da poco.
Dunque sostanzialmente era per questo che ultimamente rincasava dal lavoro sempre nervoso e con un accidente per capello, ma allo stesso tempo non riusciva a vedere alcuna via d'uscita dalla sua attuale situazione.
Per questo l'unica soluzione che gli si prospettava davanti era quella di continuare a vivere pensando giorno per giorno, senza preoccuparsi troppo del futuro, ma per Shawn era davvero faticoso.
Per ora, però, doveva concentrarsi soltanto sull'indomani, e pensare al fatto che forse - fatto molto improbabile ma non del tutto impossibile - avrebbe avuto la possibilità di mostrare le sue doti musicali a qualche membro dell'orchestra, e magari gli sarebbe anche miracolosamente fruttato.
Quest'ultima cosa in realtà non era molto difficile: sin dalla sua prima gioventù, non aveva mai smesso di sperare in un miracolo.
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«Accidenti... Io odio il giallo» sbuffò Evelyn, guardandosi poco convinta allo specchio del camerino in cui si era appena cambiata.
Dopodiché scostò la tendina, rivelandosi al resto del mondo.
«Tesoro, ti sta benone!» si complimentò sua madre, sorridendole.
Evelyn alzò gli occhi al cielo, portandosi le braccia al petto e osservandosi di nuovo allo specchio.
«Mamma! Mi fa sembrare un canarino!»
«Io direi più... un limone» si intromise il signor Smith, sbucando da dietro la spalla di sua moglie.
«Papà! Non ti ci mettere anche tu, insomma!» si lagnò la ragazza, pestando un piede.
«Amore, ti avevo detto che non c'era bisogno di venire...» la madre di Evelyn parlò tra i denti a suo marito, che sembrava più gasato di loro due messe insieme.
«Lo so, ma proprio oggi avevo il giorno libero e non potevo perdermi questo shopping sfrenato last minute!» gongolò l'uomo, ridacchiando come un bambino, ma Evelyn lo ignorò.
Continuava a contemplare il riflesso della propria figura e a riflettere.
Il giallo non le era mai piaciuto, e, anche se quello in particolare era un vestito niente male e risaltava il suo colorito olivastro, non c'era niente da fare: non ne era convinta.
Ma, a quanto pare, oltre all'opinione di sua madre e al tempo che stringeva, anche la disponibilità in negozio era contro di lei, in quanto non era rimasto proprio un bel niente da nessuna parte.
«Io dico che ti dona, secondo me dovresti prenderlo» affermò sua madre, annuendo. «E poi, anche se non ti piace, comunque non dovrai mai più rimetterlo.»
Sua madre aveva ragione. Vestiti come quelli indossati a cerimonie importanti del genere non si rimettevano mai più nella vita. Quindi alla fine avrebbe dovuto sopportare soltanto per un giorno.
«Va bene, va bene... e che giallo sia» cedette quindi alla fine Evelyn, seppur di malavoglia.
Fosse stata una festa tra amici o in discoteca, non l'avrebbe di certo indossato.
Ma qui era sicura che tanto non l'avrebbe vista nessuno con cui lei avrebbe potuto fare brutte figure.
Peccato per lei che però non sarebbe stato esattamente così...
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