1. Crushed
Il paddock pullulava di gente. C'erano così tante persone che Selene quasi faticava a respirare. Non era la sua prima volta ad una gara, anzi, ma già dal primo istante in una pista si era convinta che non si sarebbe mai abituata ad un caos del genere.
Le piaceva la confusione, le piaceva il rumore, certo, ma a tutto c'era un limite, no? E poi... non era proprio in vena di festeggiare. Aveva accettato di accompagnare Mr Tonto, aka signor idiota e campione del mondo Max Verstappen, soltanto perché gliel'aveva chiesto Maggie, la sua migliore amica, nonché fidanzata del pilota.
L'ultima cosa che Selene avrebbe voluto era trovarsi lì. In quel momento il suo unico desiderio era quello di rintanarsi il prima possibile dentro la sua camera d'hotel per piangere. Il cuore le faceva tanto male, lì, nel petto e più di una volta si era ritrovata a sperare di mettere un punto a quel dolore, tuttavia non poteva.
Non poteva, perché non era un'ipocrita.
Quando la sua migliore amica stava soffrendo, quando le sembrava che il mondo stesse per crollarle addosso una seconda volta, lei le aveva teso la mano, l'aveva consolata. Un giorno smetterà di piovere, aveva continuato a ripeterle. Possibile che ora, invece, non fosse nemmeno più in grado di dare ascolto ai suoi stessi consigli?
Certo... a parlare sono buoni tutti. Sono i fatti a dimostrare quanto coraggiosa sia veramente una persona. Ed in quel momento... in quel momento Selene si sentiva la più codarda di tutti.
Erano passate diverse settimane da quando Samuel Fernando, Sam, l'aveva lasciata e da allora non aveva mai smesso di piangere. Ogni volta che si guardava allo specchio vedeva il riflesso di quella che era stata la loro relazione e le lacrime tornavano. Non importava quanto tempo passasse, non riusciva a togliersi quel ragazzo dalla testa.
«Mi spiace, Sel» le aveva detto. «Mi dispiace davvero, ma sappiamo entrambi di non poter più andare avanti così»
Sì, era vero. La loro relazione non era perfetta, se ne rendeva conto, ma i cinque mesi che avevano passato insieme rientravano nella classifica dei periodi più belli che Selene avesse mai vissuto, ed il fatto che l'avesse lasciata così... beh, la distruggeva.
Specie perché Sam lo sapeva.
Sapeva che cosa il futuro avesse in serbo per lei. Sapeva delle sue paure, dei suoi timori, sapeva dei suoi referti medici, ed aveva scelto di ignorare tutto quanto. Non gli era importato quando lei aveva cominciato a piangere, né tantomeno quando l'aveva supplicato di restare, si era semplicemente comportato da egoista.
E quella che ci aveva rimesso era stata lei.
Era sempre lei a farlo.
Chissà come mai, da ogni relazione fallimentare che aveva avuto, la parte di quella infossata, di quella che soffriva spettava sempre a lei. Era un po' come un ruolo fisso, come Jennifer Aniston che recitava sempre in film comici.
Diceva Pierre de Ronsard che amore e fiori non durano che una primavera ma Selene non gli aveva mai dato troppo peso fino a quel momento. Si era innamorata di questo poeta all'università, quando l'aveva studiato perché membro della Pléiade francese e mai come allora si era sentita tanto legata alle sue parole.
Era vero, dopotutto.
L'amore aveva la stessa durata di Federico, il suo ex, a letto. Trenta secondi se andava bene.
Beh, forse non era il migliore dei paragoni da fare... ew! No, decisamente non lo era.
Fatto sta che completamente sbagliato quel paragone non lo era. Per Selene c'era una differenza sostanziale tra il vero amore, come quello che c'era tra Maggie e Max, e un semplice e banale sentimento. Tutte le relazioni che aveva avuto appartenevano a quest'ultima categoria, niente di più e niente di meno.
Più volte era stata innamorata, sì, ma non era mai stata ricambiata - non come avrebbe meritato, almeno, e la cosa la distruggeva. Che senso aveva essere dotati di così tanto amore se poi si finiva sempre devastati?
Selene aveva amato, tanto, forse anche troppo, ne era rimasta talmente scottata che ogni cuore spezzato non aveva fatto altro che contribuire alle sue lesioni, alle sue insicurezze. Con il tempo, relazione dopo relazione, uomo dopo donna e donna dopo uomo, aveva iniziato a credere di non essere abbastanza.
E la vocina nella sua testa l'aveva incoraggiata a sentirsi in quel modo, come se addossarsi la colpa di tanti rapporti falliti potesse aiutarla a stare meglio. Inutile dire che non aveva funzionato, che non era guarita, era solo peggiorata.
Le sue gabbie, che prima erano soltanto mentali, erano diventate la scusa perfetta per chi voleva rompere con lei.
Non c'era nemmeno bisogno di trovare una motivazione per lasciarla, era lei stessa a fornirla, mettendosi a nudo, fidandosi, e venendo puntualmente pugnalata alle spalle.
Still got scars on my back from your knife - cantava Taylor Swift in Bad Blood, singolo che lei amava alla follia. Ho ancora le cicatrici del tuo coltello sulla mia schiena. Per poi aggiungere: Band-aids don't fix bullet holes - i cerotti non riparano ai buchi dei proiettili.
Quella canzone avrebbe tranquillamente potuto essere il suo inno. E Selene era certa che se l'avesse detto a Maggie, la sua amica sarebbe impazzita - era la più grande fan di Taylor Swift al mondo, probabilmente. Prima ancora di essere una figlia, un'amica, una fidanzata e bla bla bla, era una Swiftie.
Le scappò quasi un sorriso, osservando i capelli rosso fuoco della compagna ondeggiare sotto il cielo belga. Mano nella mano con Max, Maggie si reggeva al suo bastone - quello che era diventato il simbolo della sua sopravvivenza - e nel frattempo chiacchierava, salutando chiunque le capitasse a tiro.
Lei invece se ne stava indietro, i capelli corvini a svolazzare a causa del vento, ad osservare le spalle dei suoi amici, con l'aria di qualcuno che avrebbe voluto essere da tutt'altra parte. Che poi, era vero pure quello. Avrebbe voluto trovarsi tra le braccia di Sam, avrebbe voluto avercelo davanti, a dirle che si era trattato soltanto di uno scherzo e che quelle settimane che aveva speso a piangere erano state solo una gavetta.
Che il vero premio era il futuro che avrebbero costruito insieme.
Ma sognare... sognare era soltanto un'altra idiozia a cui lei aveva creduto per tutta la vita.
Non esistevano fate e principesse, soltanto mostri pronti a fare il possibile pur di farti cadere in un baratro. E Selene di mostri ne aveva conosciuti a sufficienza, sia direttamente che non.
Non era mai stata una persona religiosa, ma per la prima volta da anni sentiva il bisogno di aggrapparsi a qualcuno là in alto, affinché le desse la forza di proseguire, di andare avanti e di riprendersi, perché così non poteva continuare.
Non si sentiva più sé stessa e odiava il non essere in grado nemmeno di fare battute divertenti. Erano passati troppi giorni dall'ultima volta in cui era riuscita a far ridere Max insultandolo o da quando aveva costretto la sua migliore amica ad arrossire per un commento.
Che c'era di tanto sbagliato in lei, che non le permetteva di proseguire lungo il cammino della sua vita?
Ritornò alla realtà solo quando la mano di Maggie andò a posarsi contro il suo braccio, costringendola a rendersi conto di aver camminato troppo. Il box Red Bull di Max era davanti a loro, pieno di persone intente a lavorare sulla monoposto del pilota, e subito l'olandese si precipitò al suo interno per cambiarsi, non prima di aver regalato un bacio alla sua ragazza e un abbraccio alla sua sorellina.
«Ci vediamo dopo, ragazze! Devo andare in bagno, voi accomodatevi!»
«Buone prove!» gli gridarono dietro entrambe, scambiandosi un accenno di sorriso e prendendosi a braccetto.
Una volta preso posto, salutarono alcuni degli ingegneri, che ormai erano come una seconda famiglia persino per Maggie, e si misero a chiacchierare a bassa voce, attendendo pazientemente l'inizio delle prove libere.
«Sei sicura di stare bene, fengári? Se vuoi andare in hotel, sappi che possiamo scappare di qui in un nano secondo!»
Fengári... quanto amava quel soprannome! Era stata una vera e propria genialità chiamarla luna in greco, specie visto che il suo nome indicava la dea personificazione della luna.
«Non ti preoccupare, querida, siamo qui per supportare Max ed è quello che faremo!»
«È tanto che non fai battute, però...»
«Lo so...» sospirò. «Ma sto guarendo, sul serio. Prima o poi la ferita che Sam mi ha lasciato guarirà e tornerò ad essere più buffa e divertente di prima, lo prometto!»
«Non voglio vederti triste, mija. Mi si spezza il cuore»
«Lo so, Mags, lo so, e mi dispiace. Però andrà tutto bene»
«Per qualsiasi cosa, lo sai, sono al tuo fianco»
Selene allora le strinse la mano, sorridendole. «Lo so, e ti voglio bene da morire per questo, Mags»
«Ti voglio bene anche io»
Prima ancora che Maggie potesse aggiungere altro, la corvina la interruppe. «E tu e Max stasera ve ne andate ad un appuntamento!»
«Cosa? Ma... Sel...»
«Ve lo meritate, mi amor, siete stati addosso a me per settimane, vi meritate un po' di riposo»
«Ne sei sicura, tesoro?»
«Certo! Io starò bene, e poi sono sicura che un po' di pace dalla presenza petulante del tuo fidanzato non possa fare altro che giovarmi!»
«Quando ammetterai di fronte a Max che in realtà gli vuoi bene?»
«Quando io e te non saremo più spagnole e quando il sole smetterà di sorgere, stanne certa!» esclamò, un piccolo ghigno ad ornarle il volto. «Però voi due stasera uscite ed io starò bene, sarò felice! Me lo sento!»
Felice un corno.
Maledetto karma.
«Ahh, e che cazzo!» borbottò, l'impugnatura dell'ombrello ben stretta nella mano destra. «Ma dove sono quelle chiavi maledette?!»
Sembrava una povera idiota, lì, nel bel mezzo del tragitto dall'hotel alla pista, sotto l'incessante pioggia belga, ma aveva una spiegazione, poteva giurarlo!
Non riusciva più a trovare la scheda che le avrebbe permesso di accedere alla propria stanza e così si era messa in testa di ritrovarla, pur di infilarsi finalmente a letto a piangere. Armata di ombrello, aveva deciso di affrontare l'acquazzone, scendendo in strada.
Ora, però, con i capelli inzuppati e appiccicati alla faccia sembrava la figlia perduta del cugino Itt.
Davvero, a vederla assomigliava più a un'imbecille che ad una persona!
«Tutto bene?»
Una voce alle sue spalle la fece saltare per lo spavento, rischiando quasi di farla scivolare sull'asfalto e buttarla a sedere per terra. Quando si voltò, un paio di occhi marrone scuro era fermo su di lei.
Selene aprì la bocca per rispondere, ma non ne uscì neppure un suono. Perché non c'era una persona normale a chiederle come stesse, no.
C'era Lewis Hamilton, lì.
Annuì piano, scostandosi una ciocca appiccicosa di capelli dalla guancia. «T-tutto bene»
Il pilota rimase a guardarla un attimo prima di esordire ancora con un discorso. «Io ti conosco»
«Sì, è probabile che mi...»
«Tu sei l'amica di Verstappen! Selene, giusto?»
Nonostante la sorpresa, la spagnola cercò di tornare a comportarsi come una persona normale. «Sì, sono Selene» fece, provando a recuperare almeno un briciolo del coraggio che aveva di solito. «Beh, più che altro sono la migliore amica della sua ragazza»
«Certo, so chi sei. Ma in realtà ogni volta che l'ho sentito parlare delle sue donne ha sempre usato un nome strano per riferirsi a te, credo olandese...»
Selene sorrise. «Zusje, vero?»
«Sì, è...?»
«È olandese, sì, significa sorellina» spiegò, non potendo ignorare il calore che provava nel petto. «Siamo amici»
«Beh, bello, no?»
«Sì» annuì lei. «È un po' tonto, ma è come un fratello» il suo accento inglese normalmente sarebbe stato migliore, ma in bocca aveva almeno mille capelli talmente impastati da fare invidia alla colla vinilica ad impedirle di parlare correttamente.
«Ti serve una m...»
Prima ancora che LEWIS DIVINITÀ HAMILTON potesse finire di parlare, l'ombrello che Selene reggeva in mano si ruppe. Si bucò così, senza motivo. Si ruppe e basta. E tutta la pioggia che non aveva ancora preso le cadde addosso in quell'istante.
Ora sì che era zuppa da capo a piedi.
«Odio la vita» asserì, roteando gli occhi infastidita e accorgendosi di poter persino osservare il cielo. Il buco nella copertura era così grande che se Gesù le avesse fatto 'ciao ciao' con la mano, lei l'avrebbe visto.
Un'enorme goccia d'acqua le piombò in mezzo alla fronte, portandola a sbuffare ancora. «Gesù, sul serio, che ti ho fatto di male?!»
Lewis non poté evitare di iniziare a ridere e subito Selene lo fulminò, scoccandogli un'occhiataccia.
«Non è divertente» sibilò.
«Oh no, certo!» subito l'inglese divenne serio, seppur le labbra avessero preso a tremargli per quel sorriso che stava trattenendo, e tese il proprio ombrello verso di lei, andandole a coprire il capo.
«Ma così ti bagnerai anche tu!»
«Non importa»
«Sì, invece, importa, perché se poi ti ammali è colpa mia e...»
«Selene»
«E poi dopo il tuo team mi uccide...»
«Selene»
«E se la Mercedes mi ammazza poi dopo la...»
«SELENE»
Solo allora la ragazza si zittì, andando ad incrociare nuovamente lo sguardo con quello dell'interlocutore. «Sì?»
«Che stavi cercando?»
«La scheda della mia stanza, l'ho persa ed ora non riesco ad entrare»
«L'hai trovata?»
«No, e se Maggie lo sa mi uccide!»
«Dovresti rientrare! Sei bagnata fradicia»
«Di solito mi è stato detto in altri contesti»
Quando si rese conto di ciò che aveva detto, gli occhioni verde smeraldo della spagnola si spalancarono, con le guance che le divennero dello stesso colore di una melanzana.
Non l'ho detto sul serio, pensò.
Oh, invece sì. Sì che l'aveva detto.
Lewis dapprima la osservò sorpreso e poi scoppiò a ridere.
E per la prima volta da settimane la corvina sentì il bisogno di fare lo stesso.
Si lasciò andare, concedendosi un momento di pace, e seguì il compagno del suo migliore amico a ruota. Per qualche secondo si sentì soltanto l'eco del loro divertimento, sommato al croscio della pioggia, e fu abbastanza.
Fu abbastanza perché il cuore di Selene riuscisse a recuperare il primo di tanti, tanti pezzi, rimettendolo a posto.
Fu abbastanza perché ricominciasse con il primo di una lunga serie di battiti.
Fu abbastanza perché la sola vista di Lewis bastasse per farla illuminare.
«Dicevo sul serio, però...» le sussurrò, una volta assopita la serie di risate. «Dovresti rientrare, ti può far ammalare veramente»
«Non ho le chiavi, è inutile a prescindere»
Il campione del mondo allora abbozzò un sorriso, infilandosi la mano in tasca ed estraendo la propria scheda. Gliela porse, con fare gentile, e Selene non seppe bene nemmeno cosa fare. «Entra nella mia»
«Cosa? Ma...»
«Hai bisogno di asciugarti, nell'armadio ci sono alcuni vestiti puliti, prendi tutto quello che ti serve»
«Ma tu...?»
«Non ti preoccupare di me, ci sono abituato. Io arrivo tra qualche minuto, dammi l'ombrello, vado a gettarlo»
«Oh ma non ce n'è bisogno, posso...»
Lewis la interruppe ancora. «Coraggio, prendila» continuò a ripetere, almeno fino a quando le dita esili della mano di Selene si avvolsero intorno alla scheda, stringendola. «Non sono un cannibale, non ti uccido, puoi stare tranquilla»
«No, è che... potrebbe sembrare un po' strano, no? Voglio dire...»
«Che c'è di più strano di Daniel e Max che vanno in giro con un passeggino?»
Selene sorrise. «Niente, effettivamente»
«Allora non preoccuparti. Vai tranquilla, prometto di tornare subito. È la 313»
«Grazie» gli sussurrò, lo sguardo piantato sull'asfalto. Era talmente rossa in volto che sembrava fosse in procinto di svenire!
«Di niente» la rincuorò subito lui, ignorando le gocce di pioggia che gli inondavano il viso e le treccine. «Hai mangiato?»
«Eh?»
«Hai mangiato? Perché se vuoi posso ordinare qualcosa dal bar»
«Oh no, non importa, hai già fatto abbastanza!»
«Insisto!»
«Allora... beh, ordina quello che vuoi. Solo una cosa, però... non prendere le olive, io odio le olive»
L'inglese le rivolse uno sguardo amichevole, annuendo. Il suo giubbotto grondava d'acqua, notò, mentre andava a strappare dalla mano della ragazza il suo vecchio ombrello distrutto. «Niente olive, promesso»
«Grazie ancora»
«Di niente»
«Lewis, sul serio...»
«Sta tranquilla, Selene! È tutto okay!»
«Oh s-sì, certo! Allora... vado, eh?»
«Sì, vai, ti raggiungo»
«Mh mh»
E senza dargli neppure il tempo di dirle altro, gli diede le spalle e si mise a correre.
Smise di piovere nel momento esatto in cui si chiuse la porta della stanza di Lewis Hamilton alle spalle.
«In che razza di guaio mi sono cacciata?»
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