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Fiori d’arancio, labbra rosse e pelle ruvida. Vorrei ricordare quella primavera del 1997 così, tra una carezza e l’altra, tra un bacio fugace e uno sguardo lascivo; ma per sempre il marchio della morte e della lussuria resterà impresso su di me, portandosi in una fredda nube cupa il puro ricordo di quell’innocente ragazza che fui.
20 ottobre 1996
«Hermione…» mormorava Viktor. Lo sussurrava sulla pelle fremente della mia guancia, con i taglienti peli della barba che mi graffiavano il volto. «Hermione, Hermione…» Le sue dita mi solleticavano i fianchi, la schiena, il collo. Provai a dire qualcosa, ma la mia voce si spezzò in un acuto gemito di sorpresa e di piacere, mentre Viktor continuava a sfiorarmi, pezzo dopo pezzo, respiro dopo respiro. «Oh, Hermione…» Aveva un odore rude, un sapore aspro, i suoi denti voraci e affilati mi mordicchiavano il collo, mentre le brusche mani mi lambivano appena. Un fremito mi attraversò la schiena, il seno, il ventre, fino a raggiungere un’area che nessuno aveva mai esplorato, dove adesso incombevano le dita agili e curiose del giovane bulgaro che mi stringeva al suo corpo possente. Azzannai il labbro inferiore con i denti, affondai le unghie timorose sulla sua pelle nuda, e un respiro mi morì in gola, lasciando le mie labbra spalancate.
«Hermione!» Non era più la voce profonda e roca di Viktor. Era una voce impastata di cibo, più acuta e decisamente meno sensuale. «Tutto bene?» mi chiese Ron, sputando un pezzo di panino sulla mia guancia.
Lo scacciai col dorso della mano e mi misi a sedere sull’erba inumidita di rugiada. «Stavo dormendo?» Harry fece un verso d’assenso.
«Sembrava stessi male da come respiravi» aggiunse Ron, masticando a bocca aperta. Sentii le mie guance avvampare, rimproverandomi certi sogni infantili e banali.
«Beh, è una giornata afosa. Avevo caldo.» Harry mi lanciò uno sguardo interrogativo, ma proprio mentre stava per parlare con il sorrisetto di chi aveva scovato qualcosa di licenzioso, fu interrotto dallo scalpitio di otto zoccoli di cavallo che attraversavano il giardino. Una piccola carrozza di legno guidata da un cocchiere vecchio e ingobbito ci passò davanti in quello che sembrò un secondo, ma che ci diede il tempo di vedere da chi fosse occupata. Le tendine bianche coprivano l’intera fessura della carrozza, ma il vento svelto le scostò, rivelando il profilo corrucciato di Severus Piton, avvolto nelle sue vesti nere, più coperto del solito. Ci fu un attimo di silenzio mentre gli studenti si sporgevano e si alzavano in punta di piedi a osservare la carrozza che si faceva sempre più piccola, sempre più lontana.
«Dove sta andando?» chiese Harry, trovando finalmente una scusa per chiudere il libro che fingeva di leggere.
«L’importante non è dove, ma per quanto tempo» sentenziò Ron. «E spero che sia tanto.»
«Non credo comunque che sia per poco» risposi, mantenendo fissi gli occhi sul punto in cui era scomparso il professore. «Non tutti partono in carrozza. Se fosse andato via per qualcosa di rapido, di certo avrebbe usato un altro mezzo.»
«Hagrid ne saprà qualcosa» disse Harry, e, senza attendere il nostro consenso, trottò lesto alla capanna.
Bussammo più volte, ma riuscivamo solo a sentire l’abbaio feroce di Thor a cui, forse, avevamo disturbato il sonno.
«Che facciamo?» chiesi, mentre Ron cercava invano di forzare la maniglia consunta della porticina in legno.
«Lo aspettiamo qui…» suggerì Harry in un sospiro, avanzando di qualche passo. «O ce ne torniamo da dove siamo venuti. Non è così importante, dopotutto.»
Mi mordicchiai il labbro inferiore, abbassando lo sguardo alla punta delle mie scarpe. Era o non era importante? Effettivamente, non avevamo mai visto Piton lasciare Hogwarts, nemmeno per le vacanze; e che lui si esponesse così tanto – allontanandosi dalla scuola in carrozza, sotto gli occhi di tutti – non era qualcosa da ignorare. «Avremo notizie presto, in ogni caso» dissi, scrollando le spalle. «Se fosse una cosa seria lo verremmo a sapere a breve.» Harry annuì, ma non fece neanche in tempo a voltarsi verso di me per riprendere il passo, che sentimmo la voce tuonante e bonaria di Hagrid farsi sempre più forte. Ron smise – come stava ancora facendo – di colpire la porta con la spalla, Harry si girò di scatto e io sporsi la testa per vedere meglio. Avanzava con un’altra persona, gesticolando e ridacchiando di tanto in tanto, senza ricevere risposta.
«Benvenuto a Hogwarts, professor Trol… Tolly… Troml…» arrancò, grattandosi la folta chioma con la mano.
«Troll-e-m» lo corresse l’altro. «La enon si scrive ma si pronuncia.»
«Giusto. Benvenuto a Hogwarts, professor Trol-e-lhm.»
«Hagrid!» esclamò Ron, agitando un braccio per farsi notare. Il grande omone finalmente si accorse della nostra presenza, e con un eclatante “oooh!” si indirizzò verso di noi, accompagnato dallo sconosciuto.
«Questi sono i miei ragazzi: Harry, Ron ed Hermione. Salutate il professor Trollm.» Ron sollevò tre dita, Harry pronunciò un borbottato “salve”, poi gli occhi dell’insegnante indugiarono su di me. Mi sentii di nuovo arrossire, compressa in questo sguardoindiscreto. Era un uomo alto, sui trentacinque anni, con i capelli ordinati e ben spazzolati che splendevano di un castano chiaro, un tipo vecchio stampo, a giudicare dall’acconciatura e dall’elegante modo di vestire. Ma, sebbene a prima vista potesse sembrare un semplice uomo dabbene, i suoi occhi dicevano qualcos’altro. Occhi piccoli, verdi, sensuali. Occhi che mi guardavano come se fossi nuda, o come se fossi una preda. Sembrava una statua, con le mani ferme dentro le tasche dei pantaloni, il torace che non sembrava nemmeno respirare, i capelli neanche sfiorati dal vento, ma quegli occhi si muovevano, erano ora sulle mie labbra, ora sulle mie mani, ora sulle mie gambe, ora sul mio seno, ora sulle mie guance. Faticavo a seguirli; mi sentivo paralizzata, scomoda, impacciata, impudica.
«Insegnante di?» fu tutto ciò che riuscii a tirare fuori, sforzandomi di mantenere il contatto visivo.
Hagrid deglutì, mentre l’uomo prese un grande sospiro e mi sorrise bonariamente. «Il professor Silente mi presenterà ufficialmente stasera… Hermione, presumo?»
Un respiro mi morì in gola. Nessun uomo al di sopra dei venticinque anni – all’infuori di mio padre e di Hagrid – mi aveva mai chiamata per nome. «Signorina Granger» lo corressi, sfoggiando un sorriso di cortesia.
«Bene» tagliò Hagrid. «Io e il professor Trollm ci allontaneremo per fare un giro della scuola. A dopo, ragazzi!» L’uomo mi lanciò un’ultima occhiata prima di partire.
«Che tipo strano» commentò Ron.
«Mi chiedo se…» mormorò Harry, massaggiandosi la testa. Strizzò gli occhi e si morse il labbro inferiore, quasi volesse trafiggerlo. «Ho questo mal di testa lancinante da giorni.»
«Ti chiedi se?» lo esortò Ron.
«Beh, magari è il supplente di Piton.»
«Se fosse così, speriamo sia meglio di lui.»
Ci vollero dodici secondi di silenzio per farmi capire che gli occhi dei miei due amici erano puntati su di me, quasi in attesa che dicessi qualcosa. «Tu che ne pensi?» disse finalmente Harry.
«Beh, che ne dovrei pensare?» La mia voce uscì più acuta di quanto volessi.
«Chi credi che sia?»
«Un professore, no?» sbottai con un sorriso beffardo. Raccolsi la tunica della mia divisa e la chiusi sul petto, incrociando le braccia. Alzando il mento aggiunsi, con aria superficiale: «Mi stupisco di come non capiate le cose più ovvie.» Harry alzò un sopracciglio e diede un’amichevole gomitata a Ron. «Cosa c’è?» domandai, austera.
«Beh, la nostra Hermione è diventata una ragazza.»
Il mio petto si infiammò per due ragioni: primo, perché mi sentii particolarmente offesa da questa sua considerazione di me; secondo, perché sapevo perfettamente cosa intendesse. «Non è affatto come pensi.»
«Hai una cotta per il professore» affermò fiero Harry.
«Tu avrai una cotta per il professore» ribattei. Oh, dov’è finita la tua grinta, Hermione? Per l’amor di Dio! «Non ho mai provato altro che rispetto nei confronti dei nostri insegnanti.»
«Quanto vorresti rispettarlo come si deve, eh?»
Arricciai le labbra in un’espressione disgustata. «Da quando sei così volgare, Harry?»
«Ammettilo, Hermione, nascondi una dolce anima da ragazzina sognante sotto quella maschera di libri.»
Sbuffai e portai le mani ai fianchi. Involontariamente, affondai le unghie nella mia pelle per concentrare lì tutto l’imbarazzo che minacciava di manifestarsi sulle mie gote. «Beh, non sono un automa, ma di sicuro non provo niente per un professore. Che sciocchezza!»
Ron, avvolto nel suo inspiegabile silenzio e con il muso lungo, si fece spazio tra me ed Harry e si allontanò, con il volto abbassato a guardare il suolo. Camminava rapidamente, le braccia rigide che si muovevano avanti e indietro come la marcia di un soldato. «Che gli prende?»
Sospirai infastidita mentre lo guardavo andare via, tutto corrucciato e offeso. «Starà andando da Lavanda.» Non riuscivo proprio a comprendere quella testa dura di Ron. Stava con la piccola e innocente Lavanda Brown, biondina e dalle guance rosa, e tutti e due rappresentavano il perfetto modello di una coppia candy; eppure, tra uno sbaciucchiamento e l’altro, alzava gli occhi al cielo quando si parlava di lei, e portava avanti la gelosia della palese cotta che aveva per me. Era un ragazzo complicato. O forse solo molto insicuro. «Ora vado a studiare» decisi, lasciando Harry da solo.
Scossi la testa alle assurdità che erano state dette poco prima. Semplicemente, per me era difficile comportarmi in un certo modo con gli adulti, specie se con l’intelligenza e la cultura di un professore. Harry e Ron, così come tutti i miei coetanei, avevano una mente abbastanza banale da poter essere raggirati e trattati con sufficienza, mentre mi ritrovavo spesso ad arrossire e vacillare davanti a persone come Silente o la McGranitt. Solo Hagrid non mi faceva quest’effetto. In più, l’espressione di quel professore, così sfacciata e subdola allo stesso tempo, così volgare ed elegante, così insidiosa e intima… mi faceva rabbrividire.
La Torre di Astronomia era recentemente diventata il mio posto preferito per studiare. Da lì, le stelle si vedevano splendere come candele, e il rigido vento di ottobre diventava una fresca brezza piacevole che mi scostava i capelli e la gonna. Le voci fastidiose degli alunni che si scagliavano l’un l’altro magie buffe diventavano lontane, echi bassi e poetici che facevano da sottofondo agli argomenti solenni di Storia della Magia. La pace di quel luogo solitario non veniva mai spezzata, se non da Lavanda Brown e Ron che si appartavano come conigli pensando di essere da soli. Infatti, quando sentii dei passi furtivi avvicinarsi, mi schiaffeggiai il libro sulle gambe nude ed esclamai: «Per l’amor del cielo, basta!»
Un silenzio di qualche secondo mi fece intendere che i due scansafatiche erano andati via, ma una voce maschile e suadente mi rivelò il contrario: «Se desidera, me ne vado.» Un brivido mi attraversò la schiena quando riconobbi chi stava parlando. Mi voltai di scatto, mettendomi in piedi in un balzo.
«Professor Trollm! Non intendevo…»
«Hermione» constatò lui, realizzando in quel momento chi fossi. «Sono di troppo?»
«Per carità, no! Mi scusi, pensavo che fosse… qualcun altro.»
«Bene, allora posso farle compagnia.» Senza guardarmi mi sorpassò e si affacciò alla silenziosa serata luminosa, alzando il capo al cielo. Estrasse un taccuino dalla sua giacca di velluto e lo aprì, scarabocchiando qualcosa. Sembrava concentrato solo sulla sua penna e sul telo nero al di sopra della propria testa, come se lo stesse disegnando. Quando si voltò verso di me mi accorsi di essere stata tutto il tempo a osservarlo, immobile e in piedi dietro di lui. «Può continuare a studiare, se vuole.»
«No…» abbozzai, piegandomi a riprendere il libro che avevo lasciato per terra. «Devo andare a cena.» Annuì e riprese la sua meticolosa, misteriosa azione. «Lei non viene?» aggiunsi.
Si voltò un’altra volta, chiuse il taccuino mantenendo il segno con il pollice, e sorrise di lato. «Non vuole andare da sola, Hermione?»
«No» sbuffai, poi aggrottai le sopracciglia. «No nel senso di sì. Insomma, non è per quello. È che, beh… c’è la cena.»
Abbassò lo sguardo alle proprie scarpe e si avvicinò disinvolto a me. «E va bene, la accompagnerò.» Non sapevo se dover essere imbarazzata per aver mostrato un desiderio – infondato – di averlo con me, o infastidita per la sua presunzione di sapere cosa intendessi. Ad ogni modo, qualunque pensiero venne scacciato dalla sua mano calda sulla mia schiena, che voleva accompagnarmi delicatamente alle scale. Non riuscii a muovermi, né lui – per la leggerezza con cui mi stava sostenendo – riuscì a spostarmi. «Va tutto bene?»
«Mh?» chiesi, come colta in un momento di distrazione. «Sì, va tutto bene. Possiamo andare.»
Le scale che conducevano al piano inferiore non erano troppe, eppure la sensazione di attraversarle con un insegnante le faceva durare un’eternità. Quel momento fu uno dei più strani che ebbi mai vissuto: mi sembrava di essere intrappolata nel corpo di un’altra persona, perché una chiacchierona come me non si era mai ritrovata in una situazione talmente imbarazzante da non riuscire a trovare argomenti di cui parlare. Mi mordicchiai il labbro inferiore e alzai gli occhi come per consultare il mio cervello e scavare, scavare finché non avessi trovato qualcosa da dire.
«Dunque…» cominciò lui. Grazie a Dio… «Ho sentito che lei è una delle migliori studentesse della scuola, se non la migliore.» Non seppi come rispondere, quindi gli sorrisi cordialmente, sperando che avesse qualcosa da aggiungere che mi permettesse di ribattere. «Sarà un piacere lavorare con lei.»
«Quindi insegnerà qui?» domandai, guardandolo dal basso in alto.
«Beh, mi sembra ovvio.» Il modo in cui pronunciò quelle parole mi fece sentire stupida. Mai provato prima. «Sostituisco il professor Piton in Difesa contro le Arti Oscure.»
«Perché il professore è andato via?»
«Non mi è dato saperlo» e, dopo una breve pausa, aggiunse: «O forse non leè dato saperlo.» Mi rivolse un occhiolino pacato.
Ridacchiai – più per cortesia che per altro – e ripiombammo nel silenzio. «Mh, lei…» cominciai, incerta. «Lei da dove viene? Trollm è un cognome che non ho mai sentito da queste parti.»
«Ho origini norvegesi» spiegò. «Questo cognome impronunciabile mi ha recato non pochi problemi in Inghilterra.»
«Beh, così come il mio nome» risposi, rivolgendogli un sorriso ironico. Lui rise, inaspettatamente.
Quando le porte della Sala Grande si palesarono davanti a noi, sfuggii subito alla mano del professore ancora appoggiata sulla mia schiena: Harry, Ron e Lavanda ci fissavano, chi in modo malizioso, chi – potete immaginare – accigliato. «Bene» dissi tremolante, continuando a tenere gli occhi puntati sui tre ragazzi che ricambiavano il mio sguardo. «È stato un piacere, Mr. Trollm.» Incapace di guardarlo negli occhi, andai dritta alla Sala Grande.
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