Scherzi d'amore
Rendall prese il telefonino per leggere il messaggio che gli era appena arrivato: "aiuto".
Così. Semplice. Lapidario.
Ma in fondo non gli serviva altro per alzare gli occhi al cielo e sbuffare: il mittente era Susan... la sua Susan... o magari fosse stata sua. Non era la prima volta che gli scriveva messaggi simili, perciò sapeva che sicuramente non era in pericolo di morte e che non avrebbe dovuto chiamare il 911.
Ritrovò il numero sulla rubrica e fece partire la chiamata: «Cosa c'è stavolta?»
«Forse ti ho scritto perché non posso parlare, no?» La voce della donna era attutita da chissà cosa, forse semplicemente dalla mano a coppa sul microfono. «Non sono stata abbastanza esplicita? Ho bisogno di aiuto!»
Rendall sbuffò ancora: «Sì, chiarissima. Volevo solo capire di chi si trattava questa volta.»
Susan era una dei suoi migliori amici, si erano conosciuti subito dopo un suo concerto, più o meno un anno prima: era andata dietro le quinte per intervistarlo e da quel momento era iniziato il suo calvario lungo la strada dell'amore non corrisposto.
Lei era bella, simpatica, il suo lavoro di giornalista la rendeva spigliata e interessante. Ogni uomo che le orbitava intorno rimaneva intrappolato dalla gravità che si sprigionava da quel corpo flessuoso, lui compreso ovviamente.
Il problema di Rendall era che, benché fosse un cantante, era introverso e riusciva a liberare il vero se stesso solo cantando, imbracciando la sua chitarra acustica e mormorando parole che non sarebbe mai stato in grado di proferire.
Parlare con Susan, a Susan, quindi, si rivelava sempre difficile, a meno di affrontare discorsi generici, su passioni o sensazioni che non riguardassero assolutamente una ipotetica storia tra loro.
D'altro canto lei era molto più loquace dal punto di vista affettivo e non si faceva scrupoli a parlargli delle varie avventure che viveva di volta in volta con uomini diversi.
Lui l'aveva sempre difesa, però: non poteva sapere ciò che provava nei suoi confronti, quindi non l'aveva mai definita (ufficialmente) "stronza". Si limitava a supportarla quando necessario e a volte, purtroppo, anche a fare il lavoro sporco per lei, parlando con il belloccio di turno per allontanarlo definitivamente dalla "povera vittima".
«Dove sei?» le chiese per capire dove raggiungerla.
«In bagno.»
Lo sguardo di Rendall si perse nel vuoto, incredulo. Poteva quasi sentire il rumore del vento nel deserto e i covoni di sterpaglie rotolare saltandao. «Non era quest...»
«Mi sono dovuta nascondere!»
«Ah ecco. Sì, dicevo, mi servirebbe sapere allora in quale bagno ti sei nascosta.»
«Al terzo piano.»
«Ok, ora basta! Dove sei?»
«Al giornale, Rendall. Sono al giornale!» Era esasperata. Lei.
Quando Rendall raggiunse il giornale nel quale lavorava la sua Susan, le mandò un messaggio: "Non entrerò nel bagno al terzo piano. Dove ci vediamo?"
"..."
"SUSAN!" Forse con il caps lock gli avrebbe dato ascolto.
"Ok, vieni nella sala riunioni al primo piano. Dovrei farcela..."
Sembrava il messaggio di un soldato che deve lasciare la trincea per guadagnare terreno in battaglia. Il ragazzo sorrise entrando in ascensore.
Trovò la sala indicatagli ed entrò; dopo pochi secondi la porta si aprì e si richiuse rapidamente: una Susan affannata era acquattata sul legno, le ginocchia unite, i piedi divaricati in equilibrio instabile sui tacchi, i lembi della giacca del tailleur pendevano sui fianchi sottili.
Rendall scoppiò a ridere, attirando la sua attenzione.
Scattò indietro con la testa per guardarlo e fulminarlo con gli occhi. «Ssshhh! Vuoi che ci scoprano?»
L'amico poggiò il sedere sul bordo del grande tavolo per le conferenze e attese a braccia conserte che gli spiegasse la situazione.
Susan sospirò solo quando non avvertì più alcun rumore provenire dall'esterno, abbassò le spalle, sollevata, e trasformò il suo sguardo da truce a supplichevole: aveva bisogno di lui e non poteva innervosirlo.
«Sto aspettando. Di chi si tratta?»
Una risatina nervosa le sfuggì dalle labbra: «Philip dell'ufficio legale.»
Rendall rincorse un momento i ricordi: «Quello con cui sei uscita la scorsa settimana?»
Lei annuì come una brava scolaretta.
«Ma non avevi detto che era, cito testualmente, un Adone?»
La ragazza annuì di nuovo.
«E non avevi detto che ciò che avete fatto a letto, cito testualmente, non avrebbe potuto essere raccontato ad anima viva?» Sperò che quella bile amara che sentiva in bocca non desse alcuna inflessione alla propria voce.
«Sì, sì, l'ho detto, ma ora è diventato... come dire? Appiccicoso!»
Rendall inclinò la testa da un lato, lasciando affiorare un ghigno perfido sulle labbra: «E io cosa c'entro?»
Lei gli si avvicinò per afferrargli i polsi intrecciati sugli avambracci: «Dai, Rendall, aiutami! Tirami fuori da questo pasticcio e ti prometto che non ti chiederò mai più un favore.»
«Sì, ricordo vagamente queste parole...» finse di afferrare un pensiero fugace «credo che le abbia dette più o meno una paio di mai più fa.»
La testa della donna crollò sul suo petto, sconfitta, rassegnata: «Ti prego!» la voce piagnucolosa. Quella voce che addosso a un'altra gli avrebbe urtato il sistema nervoso, ma indossata da lei diventava un'arma micidiale.
Le sollevò il mento e ancora una volta, perdendosi in quegli occhi marroni, dovette ingoiare un quantitativo di saliva grande come un rospo: «Che vuoi che faccia? Non posso mica picchiarlo o minacciarlo.»
Susan sorrise perché sapeva già di averlo convinto: «No, certo che no! Però puoi fingere di essere il mio ragazzo, così si leverà di torno.»
L'uomo si sentì avvampare dallo stomaco in un secondo, sperando di aver capito male, sperando che quel rossore, che sentiva dilagare sottopelle, non andasse oltre il colletto della camicia.
Che diavolo le era saltato in mente? Starle vicino era già una sofferenza, vibrava ogni volta che la sfiorava, come poteva pensare di poter gestire una richiesta simile?
Ma non riuscì a portare avanti quelle fisime mentali che la porta si aprì in un colpo e un tipo alto almeno dieci centimetri più di lui fece la sua apparizione: «Susan, eccoti!»
«Philip...» un sussurro soffiato tra i denti.
Capelli a spazzola, rasato di fresco, abito su misura e due bicipiti che gli fecero perdere qualsiasi idea di fare a botte per amor della fanciulla.
«Ti cercavo. Amelia mi ha detto di averti vista entrare qui.»
«Oh, sì... e mi hai trovato!» L'acuto con cui pronunciò quelle parole fece immaginare a Rendall che Amelia avrebbe passato un brutto quarto d'ora.
«Ma... scusa, ma... come mai...?» Pareva che l'Adone avesse perso le parole, spostando lo sguardo da lei a lui e viceversa.
Susan prese l'incertezza al balzo e infilò le mani sotto il braccio dell'amico, per entrare subito nella parte: «Giusto, voi non vi siete mai incontrati. Ti presento Rendall, il mio ragazzo.»
L'avvocato sbiancò evidentemente, l'altro si irrigidì impercettibilmente, mentre lei continuava a sorridere soddisfatta del suo piano diabolico.
«Susan, ma quando...?» provò ancora a capire Philip.
La donna lasciò svolazzare una mano davanti al viso, con noncuranza: «Qualche giorno fa, sai, amore a prima vista.» Si strinse ancor di più al braccio dell'amico, premendogli contro il petto e mandandolo inconsapevolmente fuori di testa.
Rendall smise di pensare a ciò che stava facendo e alle conseguenze dei suoi gesti: allungò una mano verso l'altro a indicarlo «Quindi tu sei Philip» guardò Susan per chiedere una conferma «lo stesso Philip che ti manda quei messaggi?»
Accadde con la coda dell'occhio, ma Rendall la vide: una gocciolina di sudore che scendeva rapida dalla tempia dell'avvocato fin sotto l'orecchio. Una misera soddisfazione, se pensava alle parole con cui lei l'aveva descritto solo la settimana prima; ancora gli ribolliva il sangue nelle vene al pensiero, perciò dovette sforzarsi parecchio per mantenere un certo autocontrollo e non svelare le sue carte.
«Oh, beh, sì, ma... tesoro, siamo solo colleghi. Giusto, Philip?»
Quello scosse vistosamente la testa per affermare e il cantante ebbe la sensazione che avrebbe acconsentito a tutto in quel momento. Forse l'aveva sopravvalutato a causa della stazza, ma sembrava un bravo ragazzo.
Invece lo sorprese, perché sembrò riscuotersi e non voler mollare l'osso: «Susan, credevo ci fosse qualcosa tra noi...» mosse un passo verso di loro e lei si strinse ancora di più al braccio dell'amico.
Quel gesto fu per lui come gli spinaci per Popeye: spostò un braccio attorno alla vita della donna, era sua e quel bell'imbusto non gliel'avrebbe portata via.
Susan sorrise maliziosa, abbassò le palpebre e sollevò la testa verso di lui: «Credimi, Philip, mi dispiace, ma è Rendall che amo.» Parlava allo spasimante, ma guardava l'amico, che nel frattempo aveva ingoiato tutto l'ossigeno a disposizione nella stanza, o almeno quella fu la sua impressione.
Il cuore gli martellava nel petto, il sangue gli andava al cervello e la vista gli si appannava, mentre Susan si sollevava sulle punte dei piedi per raggiungere le sue labbra e baciarlo.
Immaginava fossero morbide, ma sentirle sulle proprie fu comunque una sorpresa per lui; si abbandonò, la avvolse premendo le mani dietro la sua schiena; ora che l'aveva con sé, non l'avrebbe più lasciata andare.
Invece Philip che sghignazzava qualche metro più in là lo fece tornare sulla Terra: quella era una finzione. Ma allora... Rideva? Perché rideva?
Riaprì gli occhi in direzione dell'uomo, che sollevò le braccia arrendevole: «Credo che il mio compito qui sia finito. Ci vediamo, Susan!» Uscì dalla stanza lasciando molti più interrogativi che risposte.
Rendall abbassò di nuovo lo sguardo sulla sua amica, che, stranamente, gli stava ancora lanciando occhiate languide.
«Pesce d'aprile» la sentì mormorare.
Ci mise qualche secondo in più per assimilare il vero senso di quelle parole nel cervello.
Uno scherzo? Era stato tutto uno scherzo? Le sopracciglia aggrottate nello sforzo di capire.
Fu così che lei si accorse che doveva affrettarsi a non fargli del male al cuore: «No, aspetta!» posò i palmi sul suo petto. «Uno scherzo orchestrato con l'aiuto di Philip, sì, ma...»
«Cosa? Davvero?» Era arrabbiato, furioso, deluso e sentiva il suo cuore creparsi in più punti. «Mi hai baciato per scherzo! Mi hai usato per... per cosa poi?»
Susan gli tappò la bocca con una mano, impedendogli di continuare, di allontanarsi: «Ti saresti mai fatto avanti, prima o poi?» Lo fissò negli occhi, in quegli occhi che cercavano di capire, per poi fuggire, ma lei non mollò la presa. «Mi sono innamorata di te, di noi e dell'idea di ciò che potremmo essere e non ho più intenzione di aspettare una tua mossa.»
Il solco tra le sopracciglia di Rendall si appianò lentamente, man mano che capiva ciò che lei aveva fatto per lui e immaginava ciò che lui, adesso, sarebbe stato disposto a fare per lei. «Ti odio.»
Scosse la testa sorridendo: «È un pesce d'aprile. Mi ami.»
Scoppiò a ridere con lei e l'abbracciò forte: «Sì, è vero, ti amo.»
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