Capitolo 24 - Una strana creatura
Gli spettri volavano lisci nella notte, luogo e tempo in cui erano più a loro agio, senza rallentamenti o palle al piede.
Baltigo ne era convinto: le Grotte di Madanar sarebbero state la loro destinazione finale.
Prima che lasciassero Fegomir, la capitale di Volr, il camerlengo si premurò di dare loro una mappa e indicare su di essa l'ubicazione dei villaggi attaccati.
La loro prima destinazione era segnata su quella mappa, ma Baltigo era certo che non sarebbe stata l'ultima.
«Quel cappello è un artefatto magico?» gli chiese un suo simile.
«Già, a che serve?» gli fece eco un altro spettro.
«A niente» rispose liscio Baltigo.
«E perché l'hai preso?»
«Mi è stato dato.»
«Perché?»
«È un regalo. L'ambasciatore me l'ha dato per avergli salvato la vita.»
«Mah, io non capisco il senso!»
Dopo quel breve scambio di battute sul nuovo look di Baltigo, gli occhi degli spettri avvistarono un villaggio sul confine, in pessime condizioni: le case erano diroccate e sembrava disabitato.
I pegasi atterrarono dolcemente sul terreno sassoso su cui sorgeva quel piccolo insediamento umano.
«Percepite segni di vita?» chiese uno spettro agli altri.
«No, sono tutti morti.»
Il villaggio pareva essere stato investito in pieno da una scossa di terremoto. I muri di sasso erano in gran parte crollati, la paglia che ricopriva i tetti era sparsa ai loro piedi e tutto era insozzato da sangue rappreso. Non c'erano corpi in mezzo a quella distruzione, né di uomini né di animali.
Cos'era successo?
Gli spettri si sparpagliarono per ispezionare il villaggio.
«La creatura è senza dubbio passata di qui» osservò Baltigo.
«Potremmo seguire le tracce di sangue fino alla sua tana» propose uno spettro.
«Se ne ha una...» commentò un altro.
«Il sangue si ferma in questo punto» fece voce un altro spettro ancora.
«Come la troviamo, allora?»
«Forse ha mangiato le sue prede sul luogo della caccia, ma di certo non vola» disse Baltigo, la testa piegata davanti all'impronta della bestia.
Era lunga mezzo metro.
Baltigo chiamò gli altri spettri e si chinò per ispezionarla.
«È fresca. Magari li ha uccisi tutti dieci giorni fa e li ha lasciati qui per un po' prima di portare via i corpi» disse Baltigo.
«Seguiamo le impronte, dunque?» chiese un altro spettro.
«Sì» rispose Baltigo.
La pattuglia di spettri avanzò nell'oscurità, che ai loro occhi era chiara come la luce del sole, le impronte della belva a far da guida.
Marciarono in groppa ai pegasi fino all'ingresso delle Grotte di Madanar.
Ne ero certo..., pensò Baltigo, mentre osservava il buco dinanzi a sé inghiottire la notte e il buio senza lasciare possibilità di scampo.
L'ingresso portava a un labirinto di cunicoli che scendevano nelle viscere della terra.
«Mettete mano alle spade» disse Baltigo.
Entrarono e scesero lungo il cunicolo che si ramificava sempre di più verso l'interno. Si divisero e ognuno percorse una via diversa.
Il cunicolo era stretto e Baltigo si fece scivolare il cappello sulla schiena. Il laccio di cuoio legato al copricapo gli consentiva di farlo pendere assicurandolo al collo. Durante la sua camminata, qualche sasso sdrucciolava rimbalzando allegro. L'eco si propagava lungo i cunicoli; tuttavia non era l'unico rumore ad avere origine in quel luogo. Man mano che avanzava si sentiva lo scricchiolio di ossa masticate, flebile e distante.
Baltigo si concentrò su quel suono lontano e lo seguì usandolo per orientarsi fino allo sbocco del cunicolo in un'enorme cavità sotterranea nella roccia.
Il cunicolo sbucava nel vuoto e, per raggiungere la roccia, Baltigo avrebbe dovuto fare un salto di una decina di metri circa.
Sul fondo di quel baratro, giaceva un essere strano: quattro zampe, due teste di cane e la coda serpentina.
Baltigo lo sentiva masticare forsennatamente e sbriciolare le ossa come fossero grissini.
Al suo naso arrivava un tanfo di putrida morte, tanto che lo spettro ipotizzò che quella bestia uccidesse le proprie vittime e le lasciasse marcire per qualche giorno prima di portarle nella propria tana e cibarsene.
La carne rancida si scioglieva nelle fauci di entrambe le teste, staccandosi dalle ossa senza resistenza, mentre queste ultime davano croccantezza alla pietanza.
Baltigo vide gli altri spettri sbucare da altri cunicoli. Uno si nascose dietro una roccia, un altro rimase vicino alla parete rocciosa, gli altri tre rimasero in attesa sul ciglio dei rispettivi cunicoli.
Uno di loro balzò giù e una testa della creatura sollevò le orecchie, attirata dal suono.
L'altra sembrava non volerne sapere di staccarsi dalla prelibatezza che stava spolpando e non ci badò.
Dopo un attimo di indecisione, la creatura si alzò e iniziò a fiutare l'aria greve di quella tana.
Quell'antro era tanto buio che solo gli spettri avrebbero potuto orientarsi senza una luce.
Baltigo aveva la spada in mano e attendeva che la creatura passasse sotto di lui per coglierla di sorpresa.
Un lampo di luce e fuoco colpì la bestia e altri ne seguirono. Quelle temporanee e passeggere ondate di luce e fuoco illuminavano il bersaglio mettendone in risalto i particolari.
La creatura era un ortro, un cane gigante a due teste dalla coda di serpente che apparteneva a un'epoca tanto antica da essere definita mitologica.
Gli spettri provarono ogni tipo di incantesimo in loro possesso per ferirlo, ma l'ortro aveva la pelle dura e gli incantesimi di offesa non la scalfirono.
Uno spettro provò a bloccarlo stringendolo con la propria catena, ma niente da fare: venne sbalzato contro la parete rocciosa.
L'ortro era grosso, agile e svelto e cercava in ogni modo di azzannarli, squarciarli e rompere le loro ossa.
Uno spettro fu infilzato dagli artigli della belva e un altro venne morso, il busto che gli spuntava dalle fauci.
L'ortro era una furia e una testa strattonava il povero spettro di qua e di là, mentre l'altra ringhiava e sbavava contro gli altri.
A quel punto la creatura era vicina e Baltigo avrebbe potuto farcela. Lanciò la catena, la assicurò a una stalattite e si buttò sull'obiettivo. La catena si sciolse lasciandolo a mezz'aria e si gettò di peso, la spada brandita con entrambe le mani. Gliela conficcò nel dorso.
Nonostante fosse precipitato da una grande altezza, la spada penetrò solo di qualche centimetro.
L'ortro sentì Baltigo cercare di affondare la lama e, in uno scatto d'ira, sputò lo spettro che aveva in bocca. Si dimenò e se lo scrollò di dosso.
La spada di Baltigo volò tra le rocce tintinnando, mentre il suo proprietario cadde in piedi. Si ritrovò ad affrontare l'ortro da solo. Cercò di legargli le zampe con la catena, ma la creatura continuava a portare avanti le teste per strapparlo in due e divorarlo; dal canto suo, Baltigo rispondeva a ogni assalto con l'incantesimo Ignio. Riusciva a tenerlo a distanza, ma il fuoco, più che ferirlo, lo infastidiva e basta, anche se qualche risultato, ripetendo l'incantesimo più volte, cominciava a vedersi.
Nel frattempo gli spettri curavano i feriti, non per compassione o solidarietà, ma perché affrontare quella creatura in sei sarebbe stato meglio che in quattro.
Baltigo riuscì ad avvolgere la catena attorno alle teste dell'ortro in un groviglio inestricabile.
La bestia reagì nel peggiore dei modi correndo a tutta velocità, arrampicandosi sulla parete rocciosa e cercando di infilarsi nell'unico cunicolo abbastanza ampio da farla passare, trascinandoselo dietro.
L'iniziativa del cane a due teste non raccolse il favore dello spettro, che si affrettò a bloccarne la corsa.
«Dissolvi» scandì lo spettro, l'anello puntato contro una stalattite che pendeva sull'ingresso del cunicolo.
La base che la collegava al soffitto roccioso si dissolse e il resto precipitò con un gran fragore sbarrando la strada.
L'ortro, come impazzito, rotolò su sé stesso finché Baltigo, stremato, non sciolse la catena.
Lo spettro era a terra e si rialzò malridotto. Proprio quando la creatura stava per travolgerlo, gli altri spettri la investirono con gli incantesimi di offesa. Baltigo, invece, allungò la catena per recuperare la propria spada. La riagganciò e la agguantò al volo.
«Vulnero» urlarono all'unisono gli altri spettri e qualche piccola ferita cominciò ad aprirsi.
«È vulnerabile al fuoco. Puntate tutti alla testa alla mia sinistra» disse Baltigo.
«Ignio» pronunciarono a gran voce gli spettri.
Lampi di fuoco avvolsero la testa dell'ortro, che smaniò assalendo i suoi aggressori.
«Tenetelo fermo» urlò Baltigo.
Gli spettri provarono ad avvolgerlo da più lati con le catene. Puntarono i piedi per evitare di essere sbalzati via, ma la bestia era forte e balzò aggrappandosi alla parete rocciosa, gli artigli conficcati nella roccia che franava.
Gli spettri furono trascinati e a fatica riuscirono a tenerlo: ci misero tutta la loro forza per scardinarlo e buttarlo a terra.
Baltigo puntò gli anelli magici, la spada nell'altra mano.
«Dissolvi» scandì e la parete di roccia franò facendo perdere l'appoggio alla belva.
Cadde per metri e si schiantò sulle stalagmiti.
«È morto?» chiese uno spettro.
Non ci fu bisogno di rispondere: l'ortro si alzò, una testa ringhiava furiosa mentre l'altra gemeva ustionata e dolente.
Un colpo di coda e uno spettro volò al tappeto. Un altro si fece avanti brandendo la spada e l'ortro lo azzannò e lo sbatacchiò di qua e di là prima di mollarlo, il braccio quasi staccato. Mentre gli altri spettri lo tenevano occupato, Baltigo usò l'incantesimo del fuoco sulla propria spada e questa si infiammò. Lo ripeté cinque volte almeno. Si avvicinò quatto quatto mentre l'ortro era impegnato a tenere testa agli altri spettri e lo trafisse al fianco destro.
La belva si girò di scatto e lo fece cadere spalle a terra. La testa sana dell'ortro piombò su di lui e Baltigo mise la spada infuocata di traverso. Il morso dell'ortro era serrato attorno a essa nel tentativo di strappargliela di mano. Gli altri spettri si fecero sotto con catene e fendenti di spade e la bestia si allontanò.
Baltigo si tirò su mentre l'ortro correva in tondo per evitare i loro incantesimi.
Nella sua corsa travolse e squarciò la carne di due spettri, poi puntò all'unico punto luminoso, la spada infuocata nell'oscurità. Gli occhi dello spettro e quelli dell'ortro erano in grado di fendere la stessa oscurità e, in quel momento, a Baltigo venne un'idea.
«Illumino» scandì e dalla spada infuocata si diffuse un fascio di luce che schiarì tutto l'antro.
L'ortro ne rimase accecato ed emise un rantolo che lasciò trasparire tutto il suo fastidio.
Baltigo intravide un'occasione. Corse verso il mostro e lo trafisse in pieno petto. Tutta la lama infuocata penetrò nel suo torace.
L'ortro emise un urlo straziante di dolore e si impennò.
Baltigo teneva la spada saldamente a due mani e la estrasse solo quando l'ortro si piegò a terra.
Dalla ferita sgorgò un liquido putrido e nero e del fumo dall'odore aspro e penetrante.
Il corpo della creatura si consumò in un batter d'occhio e sulla roccia rimasero solo lo scheletro e una sagoma di cenere, mentre le pareti della grotta si creparono per effetto del boato che si liberò alla sua deflagrazione.
Gli spettri incolumi si adoperarono per rimettere in piedi i loro simili. Dovettero dar fondo a tutta la loro magia per farlo.
Baltigo avvicinò la spada al suolo e la passò sopra di esso per illuminarlo.
La sagoma sembrava un disegno definito e allo stesso tempo strappato, visto che dal suo centro si dipanava una ragnatela di crepe nella roccia.
Lo spettro toccò la cenere e si accorse che non gli sporcava le dita, anzi rimaneva lì dov'era.
«Quella creatura era magia» constatò Baltigo. «Ma quale magia? Non so dirlo. E voi?»
«Credo che nessuno spettro sappia rispondere a una domanda del genere» disse un altro.
«Gli unici che possono dare la risposta corretta sono ad Amarax. Dobbiamo riferire all'Adunanza» concluse Baltigo.
La mezza dozzina di spettri assicurò i teschi dell'ortro alle catene e fece la strada a ritroso. Avevano una missione da portare a termine: Aristides doveva essere riportato a Mifa sano e salvo e dovevano riferire ai sovrani dei regni dell'ovest dell'uccisione della bestia.
Spazio Autore
Grazie per aver letto fin qui. Se lo avete fatto, la storia vi è piaciuta. Fatemelo sapere con una stellina. Ci impiegherete soltanto un secondo a votare.
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