Capitolo 16 - In viaggio verso Volr (Parte 1 di 4)
Era la prima notte della compagnia in quella landa desolata. Baltigo si era riunito agli altri spettri, mentre i soldati si organizzarono per dormire.
Muscatt prese subito in mano la situazione e stabilì i turni di guardia, ordinando a quelli fuori turno di non rilassarsi troppo, anzi di dormire con un occhio sempre aperto.
Gli spettri non avevano di questi problemi: non si coricavano e non si stancavano. Mescolati nell'oscurità, circondarono il perimetro di quell'accampamento improvvisato, levarono il pugno chiuso e usarono un potente incantesimo di occultamento collettivo: nessuno avrebbe potuto vedere gli uomini accampati.
Mantenere un incantesimo tanto potente per tutta la notte sarebbe stato impossibile per un singolo spettro, ma una mezza dozzina avrebbe avuto successo.
Nessuno li disturbò quella notte e i soldati di scorta fecero la guardia a turno per niente; eppure Baltigo li avvertì che sarebbe stato inutile e che avrebbero pensato a tutto gli spettri, ma la diffidenza di Muscatt l'ebbe vinta ancora una volta.
«Niente di strano?» chiese il capitano ai soldati di guardia.
L'alba stava sbucando dall'orizzonte, dando l'impressione di essere a portata di mano.
«No, niente» confermarono all'unisono.
Gli spettri interruppero l'incantesimo di occultamento e Baltigo si riunì ai soldati.
La traversata proseguiva così, in marcia di giorno e accampati alla bell'e meglio di notte. Ogni tanto si imbattevano nelle tracce di qualche animale, ma nulla di più, almeno fino al quinto giorno.
«Che cosa c'è, Baltigo?» chiese Aristides.
Lo spettro, che li precedeva, si era fermato improvvisamente. Alzò il braccio e fece loro segno di arrestare la marcia.
«Tracce» rispose lo spettro.
«Di cosa?» domandò Aristides.
Quando si affiancò a Baltigo, poté vedere con i propri occhi: l'erba era stata calpestata così tante volte che un solco era stato scavato in quell'oceano di steli.
«Ah, una mandria!» esclamò Aristides.
«No, un'orda» lo corresse Baltigo.
«Golgothiani!» chiarì Muscatt, la voce ridotta a un filo.
«Maledizione! Sono vicini?» chiese Stell, la spada sguainata mentre la truppa si armava pronta a combattere.
«No» rispose Baltigo, imperturbabile. «Sono passati qualche giorno fa.»
«E tu come lo sai, spettro?» domandò Stell, una palpabile agitazione nella voce.
«Vanno e vengono. Ogni tanto sconfinano e saccheggiano qualche villaggio, soprattutto nei regni dell'ovest; poi se ne ritornano da dove sono venuti.»
«Golgoth dista molto?» chiese Aristides.
«Qualche giorno. La pianura è molto vasta e non sappiamo in quale punto si siano insediati.»
«Avranno bisogno di acqua, quindi saranno vicini al Mirith» ipotizzò Muscatt.
«Probabile. Mettete via le spade. Non sono nei paraggi» li rassicurò Baltigo.
«Ne sei proprio certo?» chiese Aristides.
«Quando l'orda passa, fa tremare la terra e niente sta tremando, a parte i soldati della tua scorta.»
Baltigo li spronò a procedere più speditamente. Il Mirith era prossimo a mostrarsi. Il suo scorrimento si faceva sentire con una voce chiara e limpida e i suoi flutti gridavano infrangendosi tra le rocce. I carri faticarono ad arrivare al ponte che Baltigo aveva indicato sulla mappa, visto che si innestava su un'altura.
Lo spettro fece loro cenno di attendere, pronto a sondare la tenuta del ponte. La costruzione doveva esser stata solida un tempo, ma ora la pietra era ricoperta da muschi e rampicanti e in alcuni punti era decadente e le parti mancanti. Baltigo spronò il suo pegaso e avanzò con prudenza, ben attento a non cadere nel fiume.
«Venitemi dietro, voi a cavallo, mentre voi coi carri avanzate piano.»
La compagnia gli obbedì, nonostante qualcuno sentisse il ponte tremare sotto gli zoccoli dei loro destrieri. C'era un punto, proprio nel mezzo del fiume, in cui il ponte era tanto rovinato da farci passare a stento un carro. Baltigo oltrepassò quello spazio senza esitazione.
«Uno alla volta in questo punto» li avvertì.
Sotto alla pietra, tempo addietro, c'era un arco a sorreggere quella struttura fatiscente; quello che ne rimaneva sentiva il peso degli anni e dell'usura e non vedeva l'ora di crollare.
Aristides trattenne il fiato e gli andò dietro. Lo scricchiolio dell'arco gli fece battere il cuore all'impazzata, ma arrivò in un punto più solido del ponte.
Gli altri fecero la stessa cosa, poi fu la volta dei carri. Erano anni che quel rudere non sosteneva un carico simile. Il primo carro era il più importante, quello delle provviste e passò, seppur con qualche scossa. Il secondo conteneva vestiti e attrezzi di vario genere come le ruote di scorta: passò a stento e i soldati dovettero tirare i cavalli dall'altra parte per evitare che un altro pezzo del ponte cedesse. Al suo passaggio una pietra si staccò, tuffandosi nel fiume. Il terzo era il più pesante, quello delle armi.
«Non ci arriverà mai!» esclamò Stell. «Meglio scaricare e trasportare il contenuto a mano e farlo attraversare quando è vuoto.»
«Forse è una buona idea!» convenne Aristides.
«Hai sentito? Svuotalo e passa con il carro vuoto» ordinò Muscatt.
«Lasciate il carro dov'è» disse Baltigo.
«Cosa? Ci sono le armi lì dentro!» protestò Stell.
«Fermarci su un ponte pericolante è da folli» continuò Baltigo.
«In effetti qui siamo un bersaglio...» convenne Muscatt, «... ma non possiamo abbandonare le armi.»
«Il ponte è precario. Voialtri andate avanti e aspettate sulla riva» ordinò Baltigo. «Dico anche a te, ambasciatore.»
«Bene, ma siate prudenti» disse Aristides.
«Prendi bene le misure e attraversa di corsa senza fermarti. Così dovrebbe reggere.»
«Sei pazzo, spettro?» lo gelò Stell. «Perché rischiare? Ci metteremo un po' di più, ma...»
«Da queste parti girano i predoni. Se sei un mercante e devi attraversare il Mirith, devi passare da un ponte, uno dei pochi rimasti.»
«Ha ragione» convenne Muscatt. «È probabile che ci abbiano già notati.»
«Perché non usi un incantesimo per riparare il ponte?» domandò Stell.
«Nessuno di noi ha artefatti con un incantesimo di questo tipo, per riparare le cose» rispose secco Baltigo.
«Muoviti! Hai capito cosa devi fare?» gridò Muscatt.
Il soldato fece un cenno d'assenso, prese un respiro profondo e spronò i cavalli che partirono a razzo, e più correvano più li spronava. Il carro pesava e i cavalli fecero del loro meglio per volare sopra la pietra cadente, finché quella non cominciò a cedere e a cadere. Era vicino alla parte sicura quando la parte posteriore del carro decise di seguire quel tratto di ponte nel fiume. Il carro si inclinò, pronto per precipitare. I cavalli tentavano di tirare in avanti, frustata dopo frustata.
«Merda!» urlò Stell.
Il capitano e il tenente si precipitarono e afferrarono i cavalli per la capezza, puntando i piedi e tirando.
«Frusta! Frusta!» urlò Muscatt.
Il soldato obbedì ma, per quanto infierisse, i cavalli indietreggiavano anziché avanzare, trascinando con loro anche Muscatt e Stell.
«Spettro, aiutaci!» gridò il capitano.
Ma Baltigo rimase fermo nella propria indifferenza.
«Avanti, che aspetti!» gridò Stell.
Ancora niente.
Le ruote anteriori del carro stavano scivolando, in bilico sulla pietra che scricchiolava, desiderosa di farsi un bagno nel fiume.
«Baltigo, perché non ti muovi?» chiese Aristides a gran voce.
«La mia missione è far arrivare a Fegomir l'ambasciatore di re Battigar e dell'imperatore Meltero; poi, farlo tornare indietro sano e salvo.»
«Dannato spettro! Me ne ricorderò, non temere!» lo minacciò Muscatt.
Nonostante il loro sforzo, le ruote rotolarono indietro e il carro si inclinò in modo irreparabile.
«Salta giù, sbrigati!» lo sollecitò Stell.
Il soldato si sbilanciò e venne quasi sbalzato fuori. Si aggrappò al lato del carro con le unghie e con i denti.
«Mollate o cadrete anche voi!» gridò il soldato. «Lasciatelo e continuate la missione.»
«Baltigo, salvalo!» si disperò Aristides.
Lo spettro non si mosse.
Aristides strinse le redini dal nervoso e scattò in avanti in aiuto del soldato, mentre Baltigo si mise di traverso.
«Questo non è necessario» disse piano lo spettro.
«Lasciami passare!» ordinò il barone.
«Il ponte è pericolante: non posso consentirlo.»
Aristides non lo ascoltò e corse ad aiutarli, rischiando di essere trascinato a sua volta nel Mirith.
I cavalli erano sull'orlo del baratro e la loro base d'appoggio stava venendo meno.
«Tira, Stell!» ordinò Muscatt.
«Ci sto provando, ma non ce la faccio più.»
Il soldato stava per mollare la presa e, quando le sue forze raggiunsero il limite, cadde. Venne afferrato dallo spettro che era atterrato sul carro dopo essere smontato dal pegaso a mezz'aria. La mano nera di Baltigo era fredda e liscia. La presa dello spettro era salda, permettendogli di sollevarlo e farlo volare al sicuro sul ponte. Il soldato atterrò in malo modo e venne subito soccorso dai compagni.
Aristides, Muscatt e Stell si stavano avvicinando sempre più al baratro, quando Baltigo sfoderò la spada e tagliò i finimenti che legavano i cavalli al carro. Gli animali scattarono in avanti, mentre il barone e i due ufficiali persero l'equilibrio e finirono con le chiappe sulla pietra. Il carro precipitò assieme allo spettro.
Aristides si affacciò e guardò i suoi resti scorrere via trasportati dal fiume. Trattenne il fiato solo per un momento, giusto il tempo di ammirare lo spettro volare sul pelo dell'acqua in groppa al proprio pegaso.
Baltigo si era lasciato cadere, ma venne ripreso e portato in salvo dal suo destriero. Dopo aver fatto un giro attorno alla struttura fatiscente del ponte, atterrò sull'erba.
«Proseguiamo» li invitò freddo lo spettro.
Il soldato era ammaccato e il capitano ordinò che si riposasse su uno degli altri carri, mentre i cavalli vennero presi in consegna dai soldati; dopodiché gli uomini si diedero una sistemata e ripresero la marcia.
Aristides era dietro allo spettro, affiancato dal capitano e dal tenente, mentre i soldati scortavano i carri.
Non ha fatto una piega, pensò il barone. Lo stava guardando cadere e non ha fatto una piega. Possibile che non gli interessi niente delle vite altrui?
«Dannato spettro! Giuro che me la pagherà cara!» sbottò Stell.
«Inutile cercare vendetta» dichiarò Muscatt.
«Ma capitano... quello ci avrebbe guardato morire senza alzare un dito; e io dovrei lasciar correre? Non ci sto!»
«Cosa vorresti fare? Pensi di poter uccidere uno spettro? Un essere che non dorme mai, non ha bisogno di mangiare e non sente fatica né dolore. Senza contare che ce ne sono altri cinque.»
«Dove sarebbero gli altri cinque? Non si vedono più.»
«Ci sono. Non li vediamo, ma ci sono!»
«Appena si distrae, gli ficco la spada nel petto» minacciò Stell, prima di sputare a terra.
«Qualcun altro la pensa così?» domandò Muscatt ai suoi, che stavano in silenzio, ma le loro facce mandavano un messaggio molto esplicito. «Fatevi passare il prurito. Gli spettri ci tollerano su richiesta del barone, ma se dovessimo attaccarli non si farebbero problemi a sterminarci e a continuare la missione senza di noi.»
«Pensate veramente che ne siano capaci, capitano?» chiese Aristides.
«Ne sono certo. Sembrano uomini, ma la compassione si tiene a distanza da quelle creature.»
«Però alla fine si è mosso.»
«Perché?»
«Perché sono venuto ad aiutarvi e stavo per cadere a mia volta nel fiume.»
«Non è venuto per aiutarci, ma per evitare che vi metteste in serio pericolo. Nessuna generosità dimora negli spettri.»
Il capitano aveva ragione e Aristides lo sapeva. Voleva non fosse così, ma sapeva che quanto aveva detto il capitano era incontestabile.
Spazio Autore
Grazie mille per aver dedicato il vostro tempo a questa storia.
Raccontatemi le vostre impressioni nei commenti e non dimenticate di lasciare una stellina!
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