Capitolo 11
Richard si sedette nella dura pietra con un gemito. Era debole, non mangiava da due giorni, se non per un tozzo di pane duro come un sasso offerto da Pierrik solo sopra sua insistenza, non volendo toglierli anche la sua minima razione di cibo. Ed era assetato, sentiva la gola secca e bisognosa d'acqua. L'ho avevano punito per un futile motivo ma ciò bastava a dargli una scusa per divertirsi su di lui. Tra poco li avrebbero riuniti per dargli modo di eseguire le loro abluzioni, un'azione da compiere ogni settimane, affinché non soffrissero di malattie. Se fossero morti, sarebbe stato per mano loro e non per altro. Pierrik gli si avvicinò porgendogli la mano. "Su amico, dobbiamo prepararci davanti alla cella, tra poco arriveranno." Richard non aveva voglia di muovere un muscolo ma alzò la mano per afferrare quella del coetaneo, alzandosi in piedi. Pierrik cercò di sorreggerlo porgendogli la sua spalla ma Richard si scossò. Pierrik si accigliò "Sei un testone, riesci a mal appena a reggerti in piedi." Richard ricambiò lo sguardo. "Ti conosco da poco più di tre settimane e conosco solo il tuo nome, perché pensi possa diffidare di te e della tua generosità?" Pronunciò, sarcastico. Pierrik sospirò, passandosi una mano sui capelli castani, scuriti ancor di più dalla sporcizia. "comprendo la tua diffidenza, ma credimi quando ti dico che devi fidarti di me, io..." Dovette interrompersi, allorché il suono di un colpo alle sbarre li richiamò. Una guardia era dietro di esse e li fissava con sguardo ostile. "Perché non siete davanti alle sbarre? Muovetevi!" Richard si avvicinò, seguito dal compagno di cella. Non appena la cella si aprì, Richard si avvicinò alla guardia. "Come sta mio padre? E mia sorella?" Il carceriere non si prese la briga di rispondere, poiché avevano l'ordine di non informare i carcerati di ciò che accadeva fuori di lì, soprattutto quel carcerato. Quella volta però, Richard s'impuntò. "Ditemi immediatamente come stanno." L'uomo infastidito lo colpì con un bastone che portava sempre dietro per gestirli. Richard, già debole per la mancanza di cibo e le percosse ricevute, al colpo sulla spalla sembrò cedere piegandosi per il dolore, sotto lo sguardo sodisfatto della guardia. "Adesso vai con gli altri nel corridoio e non infastidirmi più con le tue domande." Pierrik si fece avanti per aiutarlo a sorreggersi, ma Richard scansò la sua mano e si sollevò da solo, anche se con una certa difficoltà, guardandolo determinato. "Non mi muoverò di qui se prima non so come sta la mia famiglia." Gli occhi blu dell'uomo scintillavano di determinazione e il carceriere si ritrovò ad avere timore di quello sguardo. Strinse i denti allora e contraccambiò colpendolo con più forza sul petto. "Come ti permetti di rispondermi in questo modo." Il colpo lo fece scaraventare a terra e l'impatto gli fece mancare il respiro per un attimo. Sotto lo sguardo allibito degli altri prigionieri, messi in fila nel lungo corridoio, il carceriere gli si avvicinò, fissandolo disgustato. "Quando vi renderete conto che adesso voi non siete più nessuno. Mi avete sentito? Nessuno. Siete uguale a questa massa di poveracci e come tale non avrete nessun privilegio e tanto meno informazioni sulla salute dei vostri cari." Detto questo, l'uomo lo oltrepassò urlando agli altri di seguirlo. Richard si sollevò mettendosi in ginocchio stringendo i denti per il dolore, ma soprattutto per la rabbia. Poco gli importava di essere il figlio di un Duca, in quel momento, l'unica cosa che desiderava, era sapere della sua famiglia e se stava bene. Essere così vicini a loro eppure così lontani era una sofferenza. Vide un'ombra stagliarsi sopra di lui. "Richard?" Quest'ultimo sollevò il capo verso la voce. Pierrik lo fissava, non con sguardo di commiserazione e gliene fu grato, ma con sguardo di solidarietà. L'uomo sollevò di nuovo la mano per aiutarlo. Per esperienza, di cui ancora ne stava subendo, diffidava di chiunque essere umano estraneo e del suo spontaneo altruismo. Perciò rifiutò, ancora una volta, la sua mano e si alzò da solo. Il compagno di cella rimase impassibile e lo segui per raggiungere gli altri, dove a uno a uno ogni prigioniero veniva gettato a dosso dell'acqua gelida per togliere di mezzo l'eccesso di sporcizia sul corpo, con addosso i vestiti. Non avevano tempo da perdere con loro. A poca distanza da dove si stava compiendo il tutto, un tavolo con ogni ben di dio era a disposizione dei carcerieri, altro modo per torturali. A ogni passo, l'odore del cibo si faceva più intenso e i crampi della fame tormentavano Richard. Era arrivato abbastanza vicino da vedere con i propri occhi cosa c'era. Vide pane e carne di diversi tipi, compresa la frutta. Se non fosse per la bocca secca, per mancanza di liquidi, avrebbe avuto l'acquolina in bocca. Si era già allontanato di qualche passo da dove stava il tavolo, quando un vociare attirò la sua attenzione. Erano due prigionieri che stavano discutendo animatamente vicino a dov'era stato lui poco prima, al tavolo. Rimase non poco sorpreso quando notò che uno dei due era Pierrik e sembrava che l'altro l'avesse molto con lui. "Muoviti, non stare lì impalato come un tronco." Stava dicendo l'altro. Il compagno di cella lo fissò con un sorriso di scusa. "Perdonami e che sono rimasto impalato di fronte a tutte queste prelibatezze, fanno venire fame non trovi?" Richard poté percepire da quella distanza la rabbia che aumentava all'uomo nei confronti di Pierrik. Non capiva che istigando un uomo affamato in quel modo, si sarebbe cacciato nei guai? Intanto, l'uomo in questione lo fissava minaccioso. "Attento, non provocarmi." La guardia, in fondo alla fila li richiamò. "Allora, datevi una mossa." Pierrik sembrò sorpreso dallo sguardo furioso dall'altro. "Cos'è? Vorresti picchiarmi? Non è colpa mia se non puoi gustare questo cibo prelibato." Disse indicando la tavola imbandita. A quell'ultima frase, l'uomo non resistette più e, con un grido di rabbia, si lancio sul compagno finendo sulla tavola e rovesciando tutto ciò che teneva. Ci fu il caos mentre i prigionieri si allontanavano dai due combattenti, incitandoli però a continuare, mentre i soldati cercavano di riportare l'ordine. Richard fissò la scena per un po', notando Pierrik in difficoltà. Evidentemente nella sua vita non aveva avuto molte occasioni di scontro come quello. Avrebbe dovuto infischiarsene e voltarsi dall'altra parte, ma lo sguardo lo riportava alla lotta. Alla fine, imprecando ferocemente, corse verso il duo scagliandosi verso il prigionerò che sovrastava il compagno di cella. Essendo tutti tre nelle stesse condizioni fisiche, fu una gara a chi resisteva di più. I soldati ci misero un bel po' a riprendere la situazione per mano e dividere i tre combattenti, rinchiudendoli nelle loro celle. Sia Richard sia Pierrik, furono scaraventati nella loro cella. "Non avrete certo bisogno di lavarvi voi, e scodatevi il vostro pasto per oggi." Detto questo il carceriere, si allontanò, seguito dai suoi compari. Richard, con un gemito, si sollevò sugli avambracci dando un pugno sul pavimento. "Maledizione." Un altro giorno senza aver messo niente sotto i denti, e considerando le energie spese nella lotta, non avrebbe resistito. Sentì l'uomo di fianco a lui fare un piccolo sghignazzo per poi diventare una grossa risata. Richard lo fissò, furioso con lui. "Cosa diamine ridi, brutto idiota." Si mise a sedere, continuando a guardarlo accigliato. "A causa tua sono rimasto un altro giorno senza cibo e tu stavi quasi per morire di botte, per la tua stupidità." Lo accusò. L'altro si voltò continuando a ridere, con la schiena sul terreno freddo, con le lacrime agli occhi. "Non ridevo in questo modo da molto tempo." Disse solamente, tra una risata e l'atra. Richard strinse gli occhi, intenzionato a concludere ciò che l'altro prigioniero aveva iniziato. "Si può sapere cosa ci sia da ridere?" Sbraitò alla fine. Dopo un'ultima risata, l'uomo si alzò, risistemandosi la camicia già malconcia. "Mi fa ridere come un'azione così insignificante, come una piccola provocazione..." Si fermò spostando la mano sulla tasca destra dei pantaloni e fu in quel momento che Richard notò uno spessore sospetto. L'uomo uscì la mano insieme a due arance. "... crei una reazione così elevata, capace di far perdere per un attimo il controllo al soggetto." Gliele lanciò entrambe. "E chi sta intorno." Richard le afferrò al volo istintivamente. Le fissò, quasi non credendo davvero di avere in mano i frutti. Pierrik si sedette, difronte a lui, con un sospiro. "su mangia, prima che le guardie ti vedano e se le riprendono." Il solo pensiero sblocco Richard, che diede un morso al frutto non preoccupandosi della scorza. Non appena sentì il sapore dell'arancia invadere la bocca, niente ebbe più importanza che il frutto. Pierrik, notando l'entusiasmo dell'uomo, sorrise. "Sono felice che lo gradiate. L'arancia ti farà stare meglio, oltre che dissetare. " Solo dopo aver finito di mangiare il frutto, lo fissò. "Perché lo avete fatto?" Non poté non chiedere all'uomo. Quest'ultimo alzò le spalle, con non curanza. "Qualunque cosa io possa dire non mi crederesti, ovviamente. Ti basti sapere che per mia professione è un mio dovere aiutare il prossimo e tu, oltre che essere un uomo, sei un mio compagno di cella ed è giusto aiutarci tra noi." Richard non poté ribattere le sue parole, poiché avevano ragione a pensare che lui avrebbe diffidato delle sue intenzioni, qualunque fossero. Ma non poté negare a un fatto compiuto e, con un sospiro di rassegnazione, gli lanciò l'altro frutto.
Fu la volta di Pierrik di rimaner sorpreso, prendendo il frutto e fissandolo. Richard non ricambiò lo sguardo, preferendo fissare le sbarre verso l'esterno. "Come hai detto tu, siamo compagni di cella ed è giusto darci una mano avvicenda." Borbotto. Non ricevette risposta ma poté immaginare che stesse sorridendo e Richard lo detestò per questo. Ci fu un silenzio complice per qualche minuto, prima che Richard lo rompesse con una domanda. "prima hai parlato della tua professione, quale sarebbe?" L'uomo non esitò a dirlo. "Prima di finire qui stavo iniziando con la mia professione di medico." Rimase sbalordito allorché sentì Richard esplodere in una grossa risata. "fa così ridere la mia professione?" chiese Pierrik, ironicamente. L'altro scosse la testa, continuando a sorridere. "No, è che la vita a volte sa essere davvero bizzarra."
"Bene, direi che è quasi tutto pronto." Pronunciò Julia, sodisfatta. Erano già passati diversi giorni, da quando lei e il Duca erano rimasti rinchiusi nella cantina. E il tempo sembrò essere passato velocemente, gli inviti erano stati mandati e quasi tutti avevano accettato. Il castello si era riempito di nuove braccia e in cucina non si era smesso un attimo di preparato diverse pietanze che avrebbero accompagnato i piatti che avrebbero servito la prima sera. Gli uomini avevano ripulito i giardini e le barche per il lago, compreso il ponte che univa esso da un asse all'altra. C'era voluto parecchio lavoro e olio di gomito, ma stavano raggiungendo il gran giorno con ottimi risultati. Era già pomeriggio inoltrato e si era concessa una pausa insieme con le altre, in cucina. Guardandosi in torno notò un piacevole affollamento che al suo arrivo era mancato. Diverse cameriere e valletti passavano di lì e la cucina adesso era piena di allegria e risate. "Non saprei, è da molto che non cucino questi piatti e non vorrei commettere degli errori proprio in quest'occasione."
"Bè dovremmo deciderci in fretta, non abbiamo molto tempo." Julia si diresse verso Carole e Corinne, sedute a tavola, sentendo le loro parole. "Qualche problema?" Chiese con disinvoltura, sedendosi difronte a loro. Le due la guardarono, accigliate. "Siamo combattute su cosa servire per desser. E' da molto tempo che non ci cimentiamo per un banchetto del genere e siamo un po' perplesse sul da farsi." Spiegò Corinne. Carol sbuffò. "La verità e che temiamo che le nostre idee di dolci siano un po' superate, per il palato dei nostri ospiti." Julia non riusciva ancora a capire dove stesse il problema. "Non sarà cosi difficile, vedrete" Volle rassicurarle. Le due donne non sembravano convinte. "Siamo a Moutiers, non sono una cuoca parigina con strambe idee culinarie. " Julia comprese che nell'atteggiamento strafottente della donna, c'era un orgoglio ferito per il suo lavoro. "Carol, i tuoi piatti sono deliziosi e il Duca è consapevole della sua fortuna ad averti. Vedrai ne saranno consapevoli anche gli invitati." La incoraggiò. "per quanto riguarda i dolci, protei aiutarti io." Propose Julia. Entrambe le donne la fissarono, sorprese. "Tu sai cucinare?" domandò Corinne. Julia sollevò le spalle, esitante. "Non sono brava quanto Carol, ma me la cavo con i dolci. Quando lavoravo dal Conte aiutavo molte volte la cuoca e mia madre mi ha insegnato parecchie ricette. Madame Morel ne era ghiotta..." S'interruppe, sentendo un nodo alla gola, pensando a sua madre e la sua grande famiglia nella residenza del Conte. Non avrebbe mai immaginato di sentire così tanto la loro mancanza. In quei giorni, grazie al lavoro, non aveva avuto modo di pensarci ma la notte, quando tutto taceva e si fermava, la nostalgia la invadeva. Pensava a come stava Madame Morel e John, temendo che si stessero affaticando troppo data l'età. A le sue colleghe e amiche e al Conte e Crystal, pensando a quest'ultima e le sue condizioni. Chissà come stava andando la gravidanza e se tutto stesse procedendo bene. "Julia." La richiamò, Corinne. Respirò profondamente, prima di sollevare lo sguardo verso le donne, che la fissarono con sguardo solidare. "Va tutto bene?" Chiese Carol e nelle sue parole sentì una nota di dolcezza che non aveva ancora sentito in lei. Annuì. "Sì, solo che devo ancora abituarmi alla mia nuova vita e sento un po' di nostalgia." Aveva avuto modo, di parlare con loro e di far conoscere un po' di se, come lei sapeva qualcosa di loro. Gli aveva raccontato di sua madre e che dopo la sua morte, la servitù della residenza era diventata la sua seconda famiglia. Aveva tralasciato, volontariamente, di parlare del padre. Corinne avvicinò la sua mano prendendo la sua dandogli il suo appoggio, gesto che Julia apprezzò molto. "Vedrai che ti ambienterai facilmente, perché non scrivi a loro una lettera per sapere come stanno, ti farà sentir meglio." Propose. "E' un'ottima idea, lo farò al più presto." Rispose Julia, con un sorriso. Carole batté le mani tra di loro. "Su adesso basta con pensieri nostalgici, occupiamoci del lavoro da svolgere." Julia annuì. "hai ragione. Ecco pensavo già a qualche dolce, molto gradito alla società parigina. Dolci come degli Éclair e dei soufflé che potremmo realizzare anche in versione salata, una mille-feuille e dei savarin..." Dovette interrompersi dal momento in cui sentì una vociare assordante all'entrata della cucina. Vincent e André fecero il loro ingresso cantando una canzone allegra tipica per le feste del paese. "Fratello, guarda come la cucina si è affollata in questi giorni." Pronunciò André in tono allegro. "Eccome se l'ho notato. Piena di delizie, vorrei aggiungere." Disse Vincent, facendo l'occhiolino a una ragazza che passava in quel momento di fianco a loro, facendola arrossire. Corinne si alzò da dov'era seduta per mettersi in posizione da colonnello. "Come al solito non svolgente un bel niente, limitandovi a fare i galletti." Carole scosse la testa. "Stesso sangue del padre, cosa potevamo aspettarci." Mormorò, sotto lo sguardo divertito di Julia. Entrambi i gemelli misero la mano sul petto, con sguardo ferito. "Noi svolgiamo sempre e con efficienza, vogliamo aggiungere, i nostri compiti." Ribatté André. "Ormai è quasi tutto pronto e i lavori giornalieri sono diminuiti da quando si è aggiunta manodopera." Aggiunse Vincent. "E che manodopera." Pronunciò provocatorio André ricambiando lo sguardo di una cameriera e accarezzandola con gli occhi, cominciando a indietreggiare per seguirla. Fu fermato per il colletto della camicia dalla mano di Corinne. "Stai buono." Ordinò. André si risistemò il colletto. "Corinne comprendo che il desiderio diventa a volte difficile da gestire, ma bisogna controllare i nostri istinti, oltre al fatto che sei stata una cara amica di mia madre..." Corinne, divenne rossa come un pomodoro. "Come osi, mascalzone." Prese una scopa, poggiato in un angolo, e cercò di colpire il ragazzo che con disinvoltura riuscì a deviare i suoi, copi, ridendo a crepapelle. Anche Vincent rideva, mentre si voltava verso le altre due donne. "Meglio che intervenga."
"Sta attento a ciò che dici se non vuoi finire sotto l'arma di Corinne." Lo avvisò ridendo Julia. Carol sospirò, fissando il trio. "Avrebbero bisogno di una bella lavata di capo, questo è certo." Poi un sorriso sincero distese i lineamenti irrigiditi del suo viso. "Ma è sempre bello vederli spensierati e sereni. Julia fissò, ricambiata dallo sguardo triste della donna. "A volte mi arrabbio per un non nulla ma mi ritengo davvero fortunata per essere uscita da quell'esperienza orribile, indenne. Mio marito mi ha lasciato poco dopo la madre dei gemelli a causa della stessa malattia, che in quel periodo alleggiava nell'aria. Dopo la morte del precedente Duca, tutto cambiò ed io fui fortunata essendo anziana e che servivo per riempire i loro stomachi, ma purtroppo per gli altri non fu semplice. Corinne perse il marito, ucciso dai soldati di quell'uomo e i gemelli, insieme al padre furono rinchiusi nelle celle, subendo maltrattamenti di ogni genere. E' incredibile come Roger sia riuscito a sopravvivere, nonostante tutto. L'amore per i figli e il volerli proteggere è stato così forte da riuscir a sopravvivere." In un primo momento s'irridi pensando a cosa aveva appena detto ma, notando lo sguardo solidare della donna, si tranquillizzò. Il trio nel frattempo sembrava essersi calmato e chiacchieravano in toni tranquilli, per poi vederli scoppiare in una risata di gruppo. "Non è sempre così, l'amore rende anche deboli." Non riuscì a trattenere le parole Julia, pensando al padre. Suo padre aveva sempre sostenuto di amare la moglie e lei ma niente gli aveva impedito di andarsene e lasciarli per seguire i suoi sogni di gloria. Sotto lo sguardo della donna, Julia rimase in silenzio sperando che non gli ponesse domande e fortunatamente non arrivarono. Poco dopo si avvicinò il trio e notò che Carol sembrava avere gli occhi più splendenti e felici, segno che la compagnia dei gemelli le faceva molto bene. "Allora , a quando la festa?" Chiese improvvisamente André. Julia lo fissò perplessa. "La nostra festa." Specificò l'uomo. Lei lo fissò ancora più perplessa, facendolo sospirare. "Non mi dirai che non hai pensato a una festa per noi?" scosse la testa, fingendo disapprovazione. "Governate, mi delude. Non hai pensato a un modo per ringraziarci del lavoro compiuto in questi giorni, con grande fatica e senza fermarci un attimo." Comprendendo l'ironia nelle sue frasi, Julia stette al gioco. "Mi dispiace, non ho proprio pensato a un modo per ringraziarvi a dovere, ma provvederò all'instante." Disse alzandosi dalla sedia. "Subito dopo aver effettuato una commissione per me."
Richard schivò per un pelo l'attacco che avrebbe potuto causare gravi lesioni in un vero combattimento. Diede uno sguardo a Pascal, che sorrideva sodisfatto. "Sei migliorato." Si complimentò Richard con l'amico. Quest'ultimo lo fissò, beffardo. "Migliorato? In un vero combattimento ti avrei già ucciso non so quante volte. Vi ho superato di molto, Vostra Grazia." Lo beffeggiò. Erano pomeriggio inoltrato e stavano nel retro del castello da ore ad allenarsi, protetti dall'ombra della grande quercia dove avevano lasciato la giacca insieme alla camicia rimanendo a torso nudo per restare freschi. Angel era rimasta a osservarli, poggiata all'albero, come solitamente faceva ogni qualvolta i due, si allenavano con la spada. Da giorni non avevano fatto altro che perlustrare la zona, fidandosi che di un pugno di uomini e facendo attenzione a non far notare niente di anomalo tra la servitù. Chi stava agendo alle loro spalle sapeva il fatto suo, perché nessuna traccia del traditore era uscita allo scoperto e il fatto che nuova gente camminava al palazzo e che avrebbe continuato ad aumentare di lì a pochi giorni, non aiutava. "Credi seriamente che ci sia un traditore?" Chiese improvvisamente Pascal, come ad aver letto nella sua mente. Richard diede un'occhiata ad Angel, che continuava a guardarli e fortunatamente non sembrava avesse afferrato le ultime parole dell'uomo, prima di lanciare un'occhiataccia a quest'ultimo. "Abbassa la voce, maledizione." Pascal, rendendosi conto dell'errore, imprecò. Aveva dimenticato della presenza della fanciulla a pochi passi da loro. "Credi che abbia sentito?" Chiese. Richard scosse la testa. "Non credo, ma fai più attenzione. Più gente sa, più gente rischia la vita." Detto questo, si rimise in posizione, ricominciando il duello. L'amico fece una smorfia, da offeso. "Vorresti dirmi che la mia vita vale così poco da poter rischiare la vita?" Anche lui si mise in posizione, attaccandolo per primo. Richard si difese abilmente, per poi contraccambiare. "Comincio a pensare che tu abbia sette vite, come un gatto." Scherzò Richard, Attaccandolo con diversi colpi di spada. Pascal rise, continuando per ò a concentrarsi. "Amico, se io possiedo sette vite, tu sei immortale." Richard stava per rispondere, ma fu distratto da un movimento in lontananza. Un cavallo e cavaliere stavano per varcare il cancello per uscire dal castello. Riconobbe il cavallo che solitamente usava la servitù per spostarsi velocemente quando il carro non era disponibile. Ma non fu quello a distrarlo, bensì chi stava in groppa. Avrebbe riconosciuto ovunque quella chioma rossa. Julia, e stava cavalcando come un uomo. Dove stava andando? Non poté fare a meno di chiedersi. Da giorni, a causa delle sue indagini, l'aveva incrociata fugacemente. Improvvisamente un movimento sospetto lo riportò al combattimento, riuscendo ad allontanarsi per un pelo, dalla lama di Pascal. Quest'ultima lo fissò sbalordito. "Mi dispiace, pensavo te ne fossi accorto." Cercò di giustificarsi. Richard alzò la mano per fermare le sue parole. "Stai tranquillo, sono stato io a distrarmi." L'altro imprecò, posando la spada. "Diamine ma si può sapere che ti è preso? Eppure dovresti saperlo che in un combattimento ogni distrazione può esserti fatale." Gli ricordò. Richard imprecò dentro di se. Non poteva certo dirgli che un'amazzone dalla chioma rossa lo stava ossessionando, giorno e notte, deconcentrandolo. "Scusa stavo pensando alla spedizione di stasera." Avevano deciso di fare un giro d'ispezione insieme con un gruppo di uomini nella speranza che col favore della notte chi stava progettando di creargli problemi venisse fuori. A quanto avevano scoperto per ora, ogni loro mossa veniva eseguita di notte e loro sarebbero stati lì, pronti ad attaccarli. Strinse le mani a pugno. Doveva concentrarsi su questo, a proteggere il suo castello e la vita dei suoi abitanti, che meritavano di stare finalmente in pace dopo anni di soprusi. Si avvicinò all'albero per prendere la camicia dove ancora Angel stava seduta, gli porse la mano affinché la prendesse per aiutarla ad alzarsi. La ragazza lo ringraziò con un sorriso e guardandolo con occhi fiduciosi, gli stessi occhi che avevano visto tanto dolere e che adesso stava cominciando a intravedere la luce. Non avrebbe permesso a qualcosa o a qualcuno di riportare la paura in lei e a coloro che stavano sotto la sua protezione, non un'altra volta. Niente l'avrebbe distratto. Nemmeno Julia.
Niente era comparabile alla sensazione di libertà che dava cavalcare. Julia alzò il visò sentendo il vento accarezzarle i capelli. Da quando aveva saputo che le scuderie erano ben attrezzate, la voglia di vederle era stata irresistibile. Grande era stata la sorpresa quando lo stalliere l'aveva informata, dato il suo entusiasmo, della cavalla a disposizione della servitù. Non aveva perso tempo e aveva chiesto di sellarla per andare al villaggio per ordinare gli ingredienti necessari per preparare i dolci che aveva già in mente di realizzare, un occasione che non poteva certo sfuggirgli. Quand'era piccola, suo padre aveva acquistato un cavallo, affermando fosse un ottimo investimento. Gli aveva insegnato a cavalcare e l'aveva adorato fin dall'inizio, come aveva adorato il cavallo. Purtroppo dopo poco più di un anno suo padre dovette venderlo per qualcosa a suo dire, molto più proficuo, spezzandole il cuore. Il primo di tanti a seguito. Non tornò subito al castello ma ne approfittò per fare una passeggiata sulla strada del ritorno, ammirando i boschi e ciò che conteneva. Un abitante del villaggio l'aveva informata che Moutiers si trova lungo il corso del fiume Isère. Gli sarebbe piaciuto ammirarlo ma, se avesse avuto occasione, sarebbe stato in compagnia. Dall'ultima spiacevole esperienza avuta da piccola, non si era mai avvicinata a fiumi o laghi, invidiando gli altri bambi che invece già in tenera età nuotavano come peschi. Abitando e lavorando in una città come Parigi era stato facile dimenticare questa pecca ma adesso si trovava in un luogo dove era circondata dalla natura. Legò il cavallo all'albero più vicino e si sdraiò sul prato, godendo del rumore della natura e rendendosi conto, solo adesso, di quanto la sua vita fosse stata finora frenetica. Aveva la sensazione che qualcosa in lei stava cambiando e improvvisamente e, come un fulmine, gli apparve nella mente il Duca. Mise le mani sugli occhi come a volerlo cancellare dalla sua mente, fallendo. Si riteneva una persona razionale e comprendeva ciò che stava accadendo dentro di se e sapeva anche che stava percorrendo una strada minata ma sembrava che la sua mente non volesse comprendere il concetto. No, l'unico motivo per cui era per fare un favore ad una amica, oltre che per sé. Ma tutto, da un giorno all'altro, si era complicato con la storia del bandito e le sue parole d'avvertimento. Aveva fatto il modo di prolungare a una settimana la festa per ufficializzare il nuovo Duca di Duval per impedire un agguato predetto dal bandito e dare modo a lei di scoprire la verità sulla situazione e scoprire chi dei due, tra il bandito e il Duca stia nascondendo la verità, ma non si era resa conto di quanto la situazione fosse grave finché non si era avvicinato il gran giorno. Con un gemito di disperazione profonda, si sollevò sugli avambracci. "Mi spieghi come possa mai risolvere una situazione del genere? Sono una semplice ragazza di città." Disse rivolgendosi al cavallo che per tutta risposta sbuffò, come a volergli ricordare che essendosi presa l'impegno ora era un problema suo. "Ti ringrazio." Sospirò, ritornando a distendersi. Il vento era calmo e piacevole e il cinguettio degli uccelli sembrò una ninnananna per lei, che in poco tempo si ritrovò a chiudere gli occhi, dimenticando tutto. I preparativi per il ricevimento, i dubbi e i segreti che alleggiavano nell'aria, lasciandosi cullare da morfeo. Fu svegliata improvvisamente dal nitrito del cavallo. Aprì gli occhi e si guardò in torno, sentendosi momentaneamente disorientata. "Accidenti mi sono addormentata." Guardò il sole e vide che stava quasi per tramontare. Se non si sbrigava, avrebbe percorso la strada di ritorno al buio. Si alzò avvicinandosi all'animale che continuava a nitrire e a muoversi nervoso. Gli prese il muso con le mani, accarezzandolo per tranquillizzarlo. "Scusa per averci messo tanto, adesso torniamo a casa." Probabilmente, ipotizzò, doveva essersi spaventato per qualche animale passatogli difronte. Julia si fermò dov'era ascoltando i rumori della foresta. Non avrebbe saputo spiegarselo ma aveva come la sensazione di essere osservata. Un brivido percorse la sua schiena, al solo pensiero. Si guardò in torno ma nessuno oltre a lei sembrava esserci. Scuotendo la testa, s'issò in sella allontanandosi velocemente.
A poca distanza, effettivamente qualcuno l'aveva osservata e non sembrava felice di vederla allontanare. "Maledizione, l'avrei presa se non fosse stato per quell'animale da macello." Imprecò uno dei due uomini, nascosti dietro a dei cespugli osservando la rossa. Il compagno non sembrava più felice di lui ma tenne per sé il suo fastidio. "Non importa, adesso che abbia la conferma di chi sia, possiamo agire diversamente." L'altro scosse la testa. "Il Ragno non sarà contento." "No, non lo sarà, ma ci rifaremo sta sera." Il collega lo guardò, sorpreso. "Hai avuto conferma?" "Certo che ho avuto conferma, non agirei mai senza esserne sicuro." Sulle sue labbra spuntò un sorriso di soddisfazione. "Vedrai, il Ragno sarà sodisfatto. E' arrivato il momento di agire sul serio."
Pascal fece uno sbadiglio talmente rumoroso da far voltare tutte le teste su di lui, compreso Richard in groppa al suo cavallo. Vedendo tutti gli occhi voltati verso di lui, si scusò imbarazzato, per poi voltarsi verso il Duca. "Sono ore che giriamo per la foresta, non sarebbe il caso di tornare al castello?" Era quasi mezzanotte ormai e cavalcavano da ore per tutta il territorio del Duca e varcando anche i confini, ma non avevano trovato nessuna traccia, neanche l'ombra della presenza di qualche estraneo nelle sue terre. Né focolari ne tende, niente di niente. "Devono essere qui, da qualche parte, non possiamo andarcene." Si ostinò Richard. "Richard, cavalchiamo da ore senza fermarci un attimo, e non abbiamo trovato nemmeno la minima traccia di una presenza estranea. Forse sarebbe meglio riprovare domani." Tentò di convincerlo Pascal. Richard strinse i denti. Comprendeva l'affaticamento dei suoi uomini ma non voleva andarsene senza aver scoperto niente un'altra volta. "Dividiamoci." Ordinò. Il valletto lo fissò, stupito. "Cosa?" Il Duca portò il cavallo davanti agli altri, senza rivolgere uno sguardo all'amico. "Faremo un ultimo giro, ma divisi, in modo perlustrare più zone contemporaneamente. Dopo diche, se non troveremo nulla, sarete liberi di ritornare al castello." Detto questo spronò il suo cavallo, allontanandosi dal gruppo, vane furono i richiami di Pascal. Quest'ultimo imprecò ferocemente, vedendolo andar via velocemente. "Testone." Bisbigliò, per poi voltarsi verso gli altri. "avete sentito Sua Grazia? Dividetevi!"
Richard portò il cavallo a un'andatura più lenta non appena si rese conto di essersi allontanato abbastanza, guardandosi in torno. Avendo solo la luna come luce, Richard dovette aiutarsi con gli altri sensi a sua disposizione. Dato che si era ormai accertato che nessuno aveva accesso un fuoco, l'olfatto sarebbe servito a poco, quindi avrebbe dovuto usare l'udito. Ben presto si rese conto che gli unici esseri viventi a stare nella foresta, oltre lui, erano gli animali. "Maledizione." Imprecò. Non si sarebbe arreso, decise, non avrebbe permesso a chiunque di attaccare le sue terre. In passato aveva già fallito una volta, non avrebbe permesso che accadesse un'altra volta. Pensò al padre, a come avrebbe agito al suo posto. Avrebbe tanto voluto ricevere un suo consiglio. Era sicuro, che lui avrebbe trovato la soluzione giusta, lui la trovava sempre. Era un uomo intelligente e saggio, uno dei nobili più rispettati della nobiltà, degno di essere Duca. Istintivamente, mise una mano sul petto sentendo l'anello sotto i vestiti. Fece un respiro profondo. Dopo qualche secondo, si rese conto, che l'unico suono che aveva sentito da qualche minuto era appunto il suo respiro. La foresta era diventata improvvisamente silenziosa. Lo stallone aveva cominciato ad agitarsi, non era un buon segno. Gli diede dei colpi sul collo. "cosa c'è..." Dovette interrompere le sue rassicurazioni per l'animale quando un improvviso sparo risuonò nell'aria. Lo stallone, spaventato nitrì agitandosi ferocemente. Richard tenne le redino ben salde cercando di calmarlo. "Buono." Lo spero era arrivato molto vicino. Avrebbe dovuto impugnare la sua pistola ma con il suo cavallo agitato com'era, non poteva avere una mano libera. "Sta calmo" riprovò. Lo stallone continuò ad agitarsi, non ascoltandolo minimamente. Un secondo sparo arrivò anch'esso, improvvisamente e stavolta avevano colpito il bersaglio. Un bruciore intenso invase il suo braccio facendogli allentare la presa sulle redini che diede modo al cavallo, ancor più spaventato dal secondo sparo, di far cadere il cavaliere dalla sella e di scappare via. Richard gemette, sentendo l'impatto col suolo. Respirò lentamente, sentendo il braccio bruciargli da morire e toccò la ferita con l'altro braccio sentendo il sangue fuoriuscire copioso, sporcandogli la manica della giacca. Sentì a malapena dei passi, pestare la terra. Con un'imprecazione soffocata, lasciò la presa sul braccio ferito e con l'altro avvicinò la mano sui pantaloni, dove stava la pistola. "Chiunque tu sia, grazie a te il mio valletto non gradirà vedere i che condizioni saranno i miei indumenti." Riuscì a dire, sentendo la mano tremargli per la tensione e il dolore al braccio. Il suono dei passi continuava ad avvicinarsi sempre di più. Finalmente riuscì ad afferrare l'arma. Se fosse morto, non sarebbe andato all'aldilà da solo.
Due spari risuonarono nell'aria.
Piccolo spazio a me!!!
Ciao a tutti! Ragazzi ormai siete abituati ai miei ritardi... anche se non sembra , una settimana è davvero corta XD e gli impegni personali con le ispirazioni non vanno per niente d'accordo!
Ma sono TORNATA! Sono arrivata con un nuovo capitolo che spero vi sia piaciuto!
Andando avanti cominciamo a conoscere i nemici che causeranno, ve lo dico anticipatamente, molte sofferenze ai nostri protagonisti, ma non è mai detta l'ultima parola e tutto può cambiare! Quindi continuiamo con questa avventura e speriamo bene per Richard e Julia!
Un'altra cosa che volevo aggiungere, prima di finire, che non c'entra assolutamente con il mondo dei libri, ma che ci tengo molto a dirlo, riguardante la gente che ha perso tutto a causa del terremoto, inutile aggiungere i dettagli, sapete bene quanto me di cosa sto parlando. Volevo dire ai miei lettori, a chi ha parenti o amici in quelle zone colpite, che hanno tutta la mia solidarietà e agli altri di aiutare questa gente come può, perché hanno davvero tanto bisogno del nostro aiuto anche nel nostro piccolo, ma aiutiamoli, io lo sto facendo!
Con questo è tutto, alla prossima!
CIAOOOOO RAGAZZIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!!
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