Un'automa ininterrotto senza corazza di protezione, vaga per le stanze attendendo la mezzanotte; solo per spuntare un altro giorno.
Il calendario affisso come promemoria ad ogni rintocco, viene straziato da una croce sul petto.
Il letto poco abitato, ha preso la forma dell'aria; rimpiange il mio corpo in disuso prematuro, almeno a lui ho donato pace.

Il televisore è ormai ammuffito dalla polvere per il poco usarlo, dovrò cambiarlo prima o poi, giusto per acquistare qualcosa di nuovo.
La carta da parati è ingiallita dal tempo che mi ha concesso; è stanca anche lei del disfacimento totale a cui mi sottopongo.
Lenzuola a fiori ormai appassiti, sono solo pout pourri al profumo di chiuso.
La ragnatela nell'angolo del soffitto, abbandonata anch'essa dal suo proprietario; avrà una vita sociale migliore della mia, di sicuro.

Sedia finestra, finestra sedia, solo per una boccata di ossigeno, ed anche per non far formare piaghe per il troppo stare ferma.
La cena mi fissa, io fisso lei, sembra dirmi "fossi in te non mi mangerei".
L'orologio rotto alla parete, segna le 9:30 da chissà quante ore, chissà per quanto ancora.
Meno due e mezza ne mancano, per marcare il cartellino; e come le passo se non respiro?

Supina divento tutt'uno col tessuto del divano, liso dal mio strusciarci contro ogni sera.
In silenzio tombale per non disturbare; sono io l'ospite, qui, se non si è capito, non il mobilio.
Inizio la conta per aiutare a farlo trascorrere, questo tempo; da uno a cento e poi di nuovo indietro. Arrivata al decimo centinaio, capovolgo lo sguardo prima che gli arti si addormentino.
La parete accoglie le gambe, mentre il pavimento i pensieri, mi fuoriuscissero dal naso, questi bastardi traditori, anche sottoforma di emorragie mentali, sarebbe tutto più semplice.

Il soffitto diventa calpestabile e le piastrelle tetto spiovente, la tavola come lampadario, la pattumiera diviene arte moderna da appendere.
Tutto trema in un secondo: il terremoto in un attimo, sisma nella gola, salma piangente. Le mancanze: una pozzanghera ai miei piedi dove è colato tutto; l'attesa, il desiderio, le settimane passate, persino il trucco.
L'indolore non conosco cosa sia, il suo contrario è il mio cognome.

Ammazzo gli ultimi quarti divagando nell'immaginario più improbabile e forse esistente.
Situazione uguale a questa; un'altra casa, altro posto, corpo cambiato ma uguale tormento.
Lo disegno uomo, questa volta, un'altra come me non la reggo, e poi sia mai entri in competizione, ci ammazzeremmo.
Lo vedo di già, stanza un po' più spoglia, disordine apparente, divanoletto per contenere le notti in bianco, tipico del solitario per scelta.

La tv manca del tutto, una sedia come comodino, un mezzo armadio su misura al poco mondano che si è concesso. Il libro che non ha ancora terminato, giace a un lato del cuscino. La scrivania con solo un notebook al centro, e le bottiglie d'acqua vuote, le colleziona più per pigrizia che per l'ambiente.
La divisa da lavoro lavata a mano per non disturbare i parenti, sgualcita ogni giorno, "non so stirare" si dice, va bene così, si accontenta.

"Ho la compagnia del mio cane", si convince. Secondo me è lui al guinzaglio come un animale, ad attendere una carezza per non sentirsi ancor di più perso e preso dal niente.
Fissa il bianco delle pareti rincorrendo il sonno, è lì tutte le sere, ma ancora ci spera.
Passa in rassegna il display ogni tre secondi, aspettando chissà cosa, abbassa lo sguardo da perdente contro la salvezza lontana, luce accesa e cuore spento.

Lui mi osserva capovolta, io lo fisso di rimando, tutto etereamente. Che poi chi è che decide quale è il dritto e quale il rovescio? Vai a saperlo...
Un suono uguale arriva e anima i nostri volti, "finalmente ha suonato 'sta sveglia", urliamo insieme.
Corro da un lato, lui all'opposto, stesso rituale, ma come lo conosce?
Penna alla mano e un palmo sugli occhi, senza guardare, la vista non serve.
Ieri di oggi è il nuovo presente, X solitaria buca due fogli. Figli dell'odio dal plasma diverso.
"A domani, ci stai?"
"Ti aspetto al solito appuntamento..."