Via da qui
Sorgo un po' prima dell'alba stessa, stavolta. Sto vincendo troppo facile, non ci trovo nemmeno più gusto a sfidarla.
Accartocciata su appena un quarto di letto, ricovero clandestino a cui ho chiesto asilo politico di nascosto.
Dove trovo molta più accoglienza, di quello su cui fingevo d'essere felice fino a ieri notte.
La schiena trita e gli occhi pesti, non fanno più differenza ormai.
Sono divenuti l'uno l'essenza dell'altro e viceversa.
È un periodo strambo quest'ottobre; il mese dove è nato il mio nuovo mondo, e anche quello dove ho deciso finalmente di abbandonare tutto.
Una falcata di passo durata un anno, ha visto luce a cavallo tra il secco di foglie suicide dai rami degli alberi, e la commemorazione dei defunti.
E guardandomi meglio allo specchio, in fondo, è proprio ciò che sono divenuta col tempo. Non curandomi mai abbastanza del mio ego, ho subito il deterioramento di ogni mia cellula vitale; sono diventata un morto senza tomba perché troppo ostinata a camminare ancora sulle proprie forze, anziché riposarsi in orizzontale.
Il cielo minaccia pianto, stamane.
Il dipinto a cui appartengo, è offuscato da miriadi di particelle d'acqua fluttuanti. La nebbia che ho dentro, sembra essere esplosa tutta sul panorama circostante, con una piccola differenza; le mie lacrime passate si sono canalizzate tutte in rabbia. Verso di me, a quel che ero e che piano ho strangolato con le mie stesse mani. Verso l'Io di oggi, che ancora si lascia sopraffare dalle debolezze mai avute alla nascita, marchiate sotto pelle con le impronte digitali di altri; se ne sfioro la superficie, riesco a distinguerne bene ogni padrone a cui appartengono.
Per mio padre, che è stato l'uomo a cui ho donato più odio, ma che oggi mi ha aperto le braccia come mai aveva fatto. A quasi trentatré primavere, riesco ancora a stupirmi della vita e del suo gioco macabro. Lui, a cui devo la frustrazione interna e le cinghiate fuori. Lui, che è stato il male maggiore nato nel modo peggiore. Lui, che mi ha resa quel che sono stata fino ad oggi; l'inespressa, l'interrotta, la donna dallo sguardo basso e vagabondo senza percorso.
Per lui, che se m'avesse fatto una carezza in più tanti ieri fa, oggi non si ritroverebbe a raccogliere i cocci di sua figlia minore.
Perché ci penso costantemente a cosa sarei potuta essere se avessi vissuto in modo diverso, e poi mi rispondo che va bene così; ognuno ha quel che si merita, e forse in un'altra vita devo essere stata davvero molto fortunata o peccatrice, se in questa mi è toccato tutto questo scotto.
Ho pianto negli occhi di papà due giorni fa, e stavolta non erano per lui le mie lacrime. M'ha guardata allo stesso modo in cui guardavo io sua moglie quando chiedeva aiuto muto per combatterlo. M'ha urlato "parla" dalle iridi, quelle uguali alle mie piene di nero tormento. E l'ho fatto, ho urlato in silenzio come solo io riesco a fare. E stavolta, da carnefice si è mutato in riparo, così sto traendo quel briciolo di forza in più che col tempo avevo smarrito; iniziavo a perdere colpi.
Sono un po' più forte ogni giorno.
Sto riuscendo finalmente a liberarmi da tutti i mostri e i demoni che si sono divertiti a sfregiarmi i ricordi.
E mi allontano, ogni minuto che passa mi allontano un centimetro in più dall'ultima galera del mio esistere.
L'uomo nero di cui non porto lo stesso cognome sta lentamente scivolando via da me. Via dalle lenzuola, via dal corpo, via dall'anulare, e già da tanto via dal cuore. È finita, la caccia alle streghe è finita. La persecuzione, il degrado, l'essere sempre centro di discussione anche solo per aver respirato senza permesso. È finito, un altro altare è sparito, un rito celebrativo fallito.
A un passo dalla libertà di essere ciò che sono, senza più fili immaginari a muovermi nel vuoto.
Lontano dal sentirmi inadatta, inesperta, inetta e molte volte anche puttana senza scelta.
Vicina a tornare alla casa del padre senza preghiere da recitare.
Pronta per me, per te, che anche se ancora esisti solo nel mio immaginario, sei l'unica certezza che ho adesso. Perché lo so che esisti, ti sento anche senza poterlo fare realmente, ancora. Lo so che ci sei per me, perché non può esserci tanto male per una sola persona se in cambio, non c'è il giusto lieto fine.
Perché io all'amore ci credo.
C'ho creduto anche mentre mio padre da piccola mi rendeva infelice, e invece adesso...
È finita una storia che nemmeno doveva iniziare.
È terminato il rancore che sono riuscita a covare.
E alla fine di tutto il male che mi avete causato, io, vi perdono tutti, perché il mio buono della vita, deve ancora arrivare.
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