Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Segni Particolari

Schiena accolta da vetro opaco, per metà spaccato e mal rattoppato da nastro adesivo per imballaggi. La porta del bagno profanata da un pugno mal centrato in una delle tante liti in cui era stato vittima e mai carnefice. Ci sgattaiolava dentro ogni sera dopo cena, Mario.
Affannava in preda alla paura di incappare negli abitanti di quella casa con cui condivideva tutto, tranne il suo piccolo segreto.
Fissava la sua immagine allo specchio, lo stesso riflesso in cui da bambino, si perderva a fantasticare su come sarebbe voluto essere, rimpiangendo ciò che invece era realmente. Costretto ad arrampicarsi goffamente sul lavabo incrostato di calcare per potersi specchiare.
Sulle mensole a lato, il rasoio del padre lo derideva da anni. Si radeva, questo sì, ma non per sentirsi più uomo di quanto fosse stato alla nascita.
Dall'altra, i trucchi della madre gli sorridevano anche se non potevano farlo, per tutte le volte che si era ridotto ad una maschera pur di emularla.

Stretti tra le mani, c'erano appallottolati i suoi peccati di ogni notte. Li difendeva come non aveva mai fatto per niente che lo riguardasse in prima persona.
Una shirt bianca tagliata malamente con le forbici da cucina, resa tale per permettere di mettere in mostra l'ombelico.
Degli jeans logori di lavaggi, consumati più dal tempo che per averli indossati, erano diventati il suo guscio dove rinchiudere lo sbaglio della natura: più intenti a mostrare, che a protegge dal freddo. Modellati a sua immagine e piacimento, squarciati all'altezza del cavallo, lo rendevano molto più appetibile e meno virile.
Calze a rete nere con troppi fori fatti dalle sue dita poco femminili, fasciavano le gambe rendendole disgustose agli occhi, ma appetibili al tatto; e di tanto in tanto qualche strappo non era stato lui a causarlo.

Dei sandali in vernice rossa erano stati l'unico acquisto più arduo da fare. Non era facile trovarne in giro se portavi un quarantasei di piede.
Orecchini a cerchio in bigiotteria scadente, prendevano possesso dei lobi arrivando quasi a sfiorargli le spalle, causandogli non poche allergie per il troppo nichel contenente.
E poi il tocco finale: lo stick di rossetto rosso fuoco, nascosto negli slip per non farlo trovare alla madre, era il particolare a cui non poteva di certo rinunciare, per sentirsi donna a tutti gli effetti.

Non era bella, Mario.
Il viso scarno peculiarità ereditaria, veniva riempito dai neri capelli lunghi un po' mossi. Gli piaceva portarli su un lato dandogli più volume di quel che avessero, sempre meglio così che portarli corti come i fratelli.
Aspettava come un ladro tutte le notti che la casa si addormentasse insieme ai suoi ospiti, per uscire in strada sotto le luci angosciose dei lampioni.
Il quartiere fatiscente in cui abitava non era da meno, ma non poteva correre il rischio di incontrare qualcuno che lo riconoscesse. Come avrebbe giustificato ai suoi genitori ciò che in fondo sospettavano, ma che non avevano il coraggio di chiedere?

A quel padre padrone, uomo tutto d'un pezzo del profondo sud con tutti i suoi tabù e preconcetti radicati dentro come erbacce. Non sarebbe mai andata giù l'idea di avere un omosessuale in casa, figurarsi come figlio. Soprattutto se all'anagrafe ne aveva dichiarati nati cinque, tutti maschi. Cinque tranne uno, l'ultimo. Perché che Mario Natale, nato maschio il dieci gennaio del 1975, e che in realtà si sentisse femmina nell'anima e un po' meno nel corpo, sottoponendosi alla sua metamorfosi esistenziale ogni notte, nessuno lo doveva sapere.
Era Mario per tutti, alla luce del sole; ma dopo il tramonto, dal buio del pianerottolo, per tutti i due piani di scale fino all'angolo della strada del quartiere San Carlo, si vestiva di ciò che era sempre stato, senza doversi giustificare con nessuno.

Camminava tra bidoni di immondizia strapieni, i sacchetti vomitati fuori puntualmente schiacciati dalle auto di passaggio, rendevano quel posto la giusta discarica a cielo aperto che rifletteva la vita di chi ci abitava.
Il degrado più totale avvolgeva i cupi e stretti vicoli di una Sicilia abbandonata. Quando nasci nel nulla, è fin troppo normale sentirsi niente.
Mario questo lo sapeva bene, anche se preferiva non darlo a vedere.
I gruppetti di coetanei rollavano spinelli seduti sui sedili delle loro Vespa 50 truccate. Si passavano lo sballo senza curarsi dei passanti, puntando le prossime vittime degli scippi di borsette come fossero state scelte giustificate e non reati illeciti.
Avanzava con passo svelto nei pressi di quei raduni carcerari, e conosceva bene ognuno di quei piccoli criminali, ma preferiva non averci a che fare.

"Suca Mario, tanto lo sappiamo che ti piace", la filastrocca dai suoni rotti era sempre la stessa. Il più arrogante enfatizzava il tutto con il gesto del palmo aperto sul basso ventre, mimando un movimento del bacino con finti ansimi che rompevano il silenzio di quelle strade alle prime ore del mattino.
"Ti stai sbagliando Tony, quello non è Mario, lei si chiama Mery e le piace prenderlo, invece che darlo", il compare di turno infieriva come se le parole precedenti non avessero fatto abbastanza male. Derisione di squallido sesso forte, pavoneggiato sulle spalle di chi debole lo era solo ai loro occhi.
"Vieni Mery, vieni a prenderti il tuo regalo, ce l'ho tutto pronto per te", e ridevano ancora, mentre Mario accelerava il passo per quel poco che i tacchi alti gli permettevano.

"Guarda come scappa", lo canzonava un altro, aumentando il pubblico di quello spettacolo putrido.
Scappava, è vero, e in fondo lo aveva sempre fatto. Nelle rare volte in cui non era riuscito all'intento, si era trovato costretto e inginocchiato nell'angolo di uno dei tanti palazzi anonimi abbandonati, a barattare la sua bocca in cambio del silenzio dei suoi aguzzini. Trasformato da fuggitivo delle mura domestiche, in povero mendicante che vendeva il suo corpo per guadagnarsi un altro respiro.
Così ché, gli stessi padroni delle espressioni schifate, derisorie alle spese di chi non aveva il loro stesso Dio sessuale, pronti a gettare merda per sentirsi più uomini di quel che in realtà erano, si vestivano di incoerenza dove nessuno li poteva vedere. Di giorno a gridare "arruso" senza preoccuparsi di ferire, di notte ad estorcere un orgasmo che non avrebbero mai ammesso li facesse godere più di qualsiasi donna nata come tale.

Correva, Mario.
Correva incontro al suo sogno di sempre; sentirsi femmina rinnegando lo scherzo che la natura gli aveva inferto.
Si dirigeva nei pressi della zona industriale ogni volta che un appuntamento preso con un conoscente a caso, gli poteva regalare poche parole d'affetto, anche se false e dettate dalla foga del momento. Trasportate dopo un attimo via dal vento che sfiorava un letto improvvisato tra scheletri di fabbriche in disuso e scarti di materiale tossico.
Una sera, mentre regalava il suo cuore di donna e il corpo arrangiato allo sconosciuto di turno, fu arrestato finendo in cella a condividere l'aria con la parte sbagliata. Centinaia di detenuti maschi lo rendevano schiavo nei cessi in uso comune solo perché sul documento d'identità c'era scritto Mery in modo errato.

Pochi mesi di reclusione lo resero bambola dai lineamenti distorti. Guadagnandosi la libertà e la pelle intatta al costo di ciò che cercava fuori di lì ogni notte, solo che la sua vita non era un gioco.
Il giorno che fu libero di tornarsene a casa scontata la sua pena, trovò tutta la famiglia riunita a pranzo nel mutismo più totale. Sguardi schivi puntavano il dito accusandolo di colpe che non aveva mai avuto.
I fratelli, insieme al padre, provavano ribrezzo per quello che era diventato, non riconoscendo che così Mario ci era nato.
La paura della madre le solcava il viso peggio di tutte le rughe che aveva. Sapeva, aveva sempre saputo.
Taceva da sempre perché per lei, anche se gli altri la pensavano diversamente, che fosse Mario come lo avevano dichiarato anni addietro, oppure Mery come lui preferiva farsi chiamare, non avrebbe mai cambiato il fatto che fosse nato da lei allo stesso modo degli altri quattro.

Delle forbici, le stesse che Mario usava per modificarsi il vestiario, a fine pranzo erano strette nelle mani del padre. Tra insulti e bestemmie giurava di mettere fine lui stesso a quello scherzo della natura, minacciando di tagliargli i capelli.
" Se non ti muovi non ti facciamo niente, altrimenti ti aggiusto io una volta per sempre", diceva.
"Se non saranno i capelli e renderti uomo, ti taglio il cazzo e te lo infilo in bocca. Così fai la puttana come si deve fino in fondo".
L'unica cosa che faceva sentire Mario libero di essere come in realtà non era, l'aspetto femminile che magari non riusciva a portare con classe, ma di cui andava fiero.
Il padre, aiutato dagli altri figli, fu pronto a recidere la personalità di Mario, sotterrando il rispetto di non essere uguali.
Le urla della madre non poterono nulla, nemmeno il dimenarsi del figlio riuscì a niente. Anzi, a una cosa servirono entrambi.
Quel giorno, Mery Natale classe 1975, tornò ad essere Mario per mano del padre.
Le forbici che sventolavano impazzite, gli si conficcarono in gola sotto gli occhi di tutta la famiglia.

Una madre, perse un figlio senza volerlo, perché le lacrime quando scendono non hanno sesso.
I fratelli Natale tornarono ad essere quattro, rimpiangendo una sorella che non avevano accettato per i troppi pregiudizi a riguardo.
Un piccolo uomo del mezzogiorno, restò convinto delle sue azioni, morendo dentro se stesso ogni notte mangiato dai sensi di colpa.
Una persona, al di là del giusto o sbagliato, del peccato originale o originato, del cromosoma sostituito o camuffato, fu sepolto dal quartiere San Carlo nell'omertà più assoluta.
Solo le scarpe rosse di Mario, riuscirono a gridare al suo posto. Furono ritrovate nell'immondizia poche sere dopo da un bambino dei bassi lì vicino. E le indossava ogni giorno, chissà se per gioco o perché era Mary un po' anche lui, dentro. Mario Natale, per i parenti il ricchione nato male, venne tolto dal mondo non solo per la sua diversità, ma anche per il figlio che non era stato. Perché nella recita della vita, conta più il pubblico che ti giudica durante lo spettacolo, dell'attore che recita le sue maschere, magari in modo poco adeguato.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro