L+K+N
L'altalena vuota dondola, spezzando l'aria che assiste da brava vile, a dare ossigeno controvoglia anche a chi prega in silenzio di trovare finalmente pace.
Il parco fantasma di oggi, resta lo scheletro di ieri. Tra le sue ossa si sente ancora l'eco delle risatine di Kappa, di Elle e Enne.
Se la ridevano, a quel tempo; nessun dubbio di perdere, nessuna paura di affrontare, tante, troppe speranze di riuscite certe.
Meticolose e attente anche per la più stupida cosa. Persino adesso le rivedo ferire la corteccia dell'albero posto al centro di quella specie di bosco. Non lo era veramente, così ampio, ma era pur sempre un ambiente troppo vasto per le piccole che erano.
Tirarono a sorte, quel pomeriggio, a chi toccasse la prima iniziale da imprimere per sempre: vinse Elle, toccò poi a Kappa ed infine firmò Enne.
L+K+N ♡
Ignoranti in botanica, videro in quel tronco solo un foglio come tanti su cui sentirsi speciali.
Sarebbero rimaste a vita in quel posto, nascosto agli occhi di chi non conosceva il loro piccolo segreto.
Al di là degli anni, dei chilometri, dei propri mostri, solo figlie uguali eppur così diverse da mutare solo il cognome.
Genitori diversi, analoghe generalità, differenti luoghi di appartenenza.
Non lo vedevano, tutto ciò che le rendeva così simili l'un l'altra, col tempo sarebbe sparito del tutto anche il più minimo punto che non era in comune; lo avrebbero scoperto soltanto alla fine dell'ultimo giro.
Elle, fu persa di vista pochi anni dopo essersi innamorata. Strappata da un giorno all'altro dalle sue radici per rincorrere un sogno che le venne proposto da un uomo che non era del posto.
"Inseguo l'amore", si convinceva, mentre preparava i bagagli tra le lacrime nostre e di sua sorella.
Non fece più ritorno a casa nemmeno per rivedere sua madre.
Il disagio dei primi tempi da esule, la rinchiuse in se stessa ancor prima che lui la rinchiudesse in casa definitivamente.
Anima libera con i suoi ideali ben definiti, amava sentirsi una figlia dei fiori. Appassì del tutto in quella terra che aveva più sole della regione da dove proveniva. Peccato che la sua nebbia natia, non le recava tutto il freddo donato dai muri di quella casa.
Seppi dai suoi parenti, che ebbe due figlie che difendeva come non riusciva nemmeno con se stessa; ha sempre avuto più coraggio di me, devo ammetterlo.
Kappa era la più solare tra noi, sarà stato il clima sereno in cui era cresciuta, a donarle un'aura di angelico interno.
La deridevamo chiamandola "la straniera", per il suo sangue misto tra uno stato e l'altro. Andava e veniva come se avesse avuto l'aereo parcheggiato dietro al giardino.
Ci incantavamo a guardarla, io ed Elle, mentre giocava col padre. La trattava come fosse stata il tesoro più prezioso al mondo, e lo era di sicuro. Non posso nascondere di essere stata un po' gelosa, a volte; io, quell'amore non lo avevo mai vissuto.
A scuola, quando gli insegnanti pronunciavano il suo nome per intero, ci mettevano mezz'ora. Quando un giorno le chiesi: "ma in famiglia, chi è che fece uso di droga alla tua nascita?", mi sorrise rispondendo "nessuno, ho solo un papà che è un mito". Lo erano entrambi, in realtà, anche sua madre non era niente male. Non avevano avuto nessun altro figlio a cui badare, troppo presto la lasciarono del tutto sola al mondo.
Morirono entrambi negli anni migliori di Kappa, e da lì ci furono una serie di scelte sbagliate una dopo l'altra.
Incontrò un tipo più vecchio a cui si aggrappò con le unghie e con i denti.
"Desidero riavere una famiglia, non voglio più sentirmi sola a vagare in cerca del perché proprio a me. Sempre senza ricevere una risposta", mi disse un giorno. Lo desideravo anche più di lei, per quello che aveva passato. Le diedi la mia benedizione solo per pentirmene pochi anni dopo: la ammazzava di botte, quel bastardo a cui aveva donato tutto, persino un figlio. Mentre la derubava dei più bei ricordi lasciati dai suoi, a farle rimpiangere l'amore del padre come l'unico uomo che l'avesse mai amata. Mi dissero un po' di tempo fa, che aveva combattuto per rifarsi una vita lontano da quella che credeva essere la sua famiglia, solo per ritrovarsi la porta buttata giù a forza dai vicini che sentivano le urla sue e di sua figlia. Ci mancò poco che non la ammazzasse, quella notte in pieno inverno.
Fossi stata lì, l'avrei costretta a denunciarlo, prendendola per i capelli se fosse stato necessario. Non c'ero allora e molto probabilmente non potrò mai esserci, ma ogni volta che incrocio qualcuno che le somiglia, non posso fare a meno di pensare e di sperare che abbia trovato la forza che a me ancora manca.
Il seggiolino accanto al mio oscilla senza sosta da due ore, sono ritornata bambina all'improvviso, una domenica pomeriggio qualsiasi.
Con me, in questo parco, solo le giostre sgangherate e arrugginite dal tempo che è passato troppo in fretta.
L'albero, è l'unico sopravvissuto alle intemperie e all'erosione di una vita intera.
Resta Enne a ricordare tutto. La spensieratezza, l'innocente giovinezza, l'amore, le paure, le rivalse perse a distanza ravvicinata da tre ragazze forti, divenute fragili donne di colpo.
Resto io perché forse sono quella più ammaccata delle tre.
Nata storpia nell'invisibile dal corpo di mia madre, invalida nell'essere senza ricevere assistenza se non l'assenza che mi cresceva come liquido acido al posto dell'amniotico.
Quella tenuta sveglia senza sogni, la spiona di vita altrui che assorbiva come una spugna il respiro che desiderava e non poteva avere.
Mi vedevano sfortunata, forse. Non mi ci sono mai sentita a mio agio in quel vestito di pietà che cucivano gli altri.
Non avevo nulla di bello da raccontare prima, e nemmeno dopo; ora ancor meno.
Guardo la vita di Kappa e Elle ritrovandoci troppo di me al suo interno.
La speranza di vivere facile che non possedevo, l'ho cercata dove non avrei dovuto.
Buttata giù controvoglia, da chi credevo potesse regalarmi il vissuto che desideravo come acqua per non morire del tutto.
Sono finita a piangere il lutto di me stessa su un'altalena abbandonata, sotto la luce fioca di un lampione a cui ha ceduto il posto il crepuscolo, troppo stanco anche lui per tenermi compagnia.
"Esiste il buono a questo mondo", sto sussurrando da quasi un'ora. "Io l'ho trovato, dopo tutto il brutto che ho conosciuto".
"Avete capito ragazze?", e ancora continuo a bisbigliare da stupida quale sono.
Chissà se possono sentirmi anche da dove si trovano adesso.
Vorrei potergli dire che ce l'ho quasi fatta. "L'ho trovato, quell'uomo che mi doveva tutto e non lo prometteva soltanto, dopo il primo misero tentativo andato a male."
Ci sono quasi. Magari mi serve una spinta più forte del necessario, come queste che sto dando in questo momento per provare a volare più in alto.
E se è vero che la speranza ci ha abbandonate, la forza, quella, non la si perde mai veramente.
L+K+N
Lontane nel tempo, nel capriccio di un istante su una corteccia saranno legate per sempre. Stesso dolore, stesso percorso, stesso sofferto.
Anime uguali in pena per niente, il sesso debole che non si arrende.
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