Incanto
Il celeste calpestio per gabbiani, fu teca fragile di quel mese Mariano.
Un dipinto squarciato a metà oltre la finestra, divideva l'azzurro sereno dal grigio tempesta.
La settimana trascorsa tra picchi meteorologici si trasformò in rovesci del cuore in ritardo di un battito.
Furono sette, i giorni a cui Aurora dovette aggrapparsi all'eco della voce che aveva dato pace ai suoi lamenti strozzati nelle corde vocali.
Un breve periodo sabbatico in vista dell'incontro con il padrone di quel corpo scontrato mesi addietro in una stazione ferroviaria anonima, quanto il paesino che la ospitava in ventre.
L'avevano ribattezzata "addestramento alla guerra imminente dei sensi", quella tregua di unico contatto regalatosi per non morire dopo tutto il tempo trascorso lontani.
Il desiderio di far parlare gli istinti per una volta, la prima volta, al posto loro, diventò ammutinamento del sangue che scalciava nelle vene peggio di una bestia legata ad un palo senza cibo a patire la fame.
Per quanto si può imporre il proprio volere al cervello per impedirgli di urlare, le viscere graffiano più di lame arrotate ad arte.
Lo sciopero del bene non donava quiete a nessuno dei due, in conflitto interiore per uno stupido capriccio di amplificare il desiderio di aversi.
Le nuvole avanzavano furiose a spazzare via quel poco di mattinata cocente. Si stava ritirando anche il sole quel giorno, a rendere più difficile di quanto già non fosse stato fino ad allora, lo strascicare dei minuti lenti e infami.
Il rumore dei tuoni spezzava l'aria, come tosse che scossa il petto ad ogni colpo.
Il pensiero di Dario distante troppi chilometri sotto un cielo limitrofo al suo, aveva incollato Aurora allo scorcio cittadino in cui riversava le emozioni e l'ansia.
La strada sottostante brulicava di persone; massaie di ritorno dal mercato rionale, lavoratori indaffarati a trafficare tra la mole di responsabile per le famiglie da mandare avanti.
Tutta quella gente vomitata in mezzo alla via, sagome tra palazzi legati l'un l'altro. Alcuni costruiti in pietra di tufo, il resto in moderno cemento armato.
Sembravano tanti spaventapasseri ambulanti al centro di campi d'ortiche camuffati da viole.
Ressa di vite accalcate per quella scorciatoia che al posto di dimiuire la distanza, allungava i ciottoli aumentando i metri oltre il sopportabile.
Il difetto visivo non aiutava in quel momento. Dall'alto della sua roccaforte fatta di trepide preghiere, ogni uomo vestito di nero diveniva illusione ottica scimmiottante.
Ogni uomo non era il suo, e in fondo non lo era ancora mai stato del tutto, non fino al midollo.
L'orario di partenza del convoglio era passato da un pezzo, tramutando il ritardo nel più pazzo orologio impreciso al mondo.
Avevano sempre immaginato come sarebbe stato il loro primo incontro.
Avevano studiato tanto da scrivere il copione perfetto al film tormento, il "the end", sarebbe stato il colpo ad effetto per chiudere quella parentesi disordinata di amore a distanza.
Timidi e inesperti a tutte quelle sensazioni nuove, ridevano al ricordo della prima parola scambiatasi dopo più di sessanta giorni di frasi inviate come unico approccio.
Dario in preda al panico, chiedeva un minuto per riprendersi dall'agguato.
Nemmeno un secondo era trascorso dall'ultimo numero digitato. Si era tradito lasciandosi convincere assuefatto dal morboso desiderio di sentire la voce che minacciava il sonno da troppe notti.
Aurora non fu da meno, bramava come un'assetata la sola fonte di roco calore. La combinazione pronta a divenire rapina a mano armata finì ancor prima di essere letta.
"Così all'improvviso?", furono le uniche parole che Dario riuscì a pronunciare prima che il tremore gli paralizzasse oltre il petto, la voce.
"Scusa, non volevo", l'alibi di Aurora affondata tra il cuscino e la vergogna di essere stata troppo avventata.
"Chiama tu quando ti sentirai pronto", la ricerca di alleviare l'imbarazzo inferto non volendo.
"Aspetta", tuonò in risposta, "non andare, ora mi riprendo".
Attese con calma apparente mentre le gambe scalciavano senza volerne sapere di stare ferme. Infilò la testa sotto le coperte nascondendosi anche non potendo, agli occhi di chi in realtà non aveva di fronte.
"Sicuro di star bene?", azzardò preoccupata, nell'attesa che la fibrillazione scemasse dal corpo attaccato all'altro lato della cornetta.
"Sì, sì, tranquilla. Sto soltanto camminando avanti e indietro per tentare di smorzare la tensione".
Si sentì offesa, in principio, non riusciva a capire cosa ci fosse di male ad interagire dal vivo anziché in differita.
D'altronde come poteva immaginare di avere quell'effetto, se non si erano mai sentiti prima?
Non osava immaginare, il manifestare i sentimenti che avevano espresso fin subito dopo il loro scontro, cosa avessero scaturito in lui.
Un Ti amo estorto a forza, in una notte pochi giorni dopo il loro saluto, in quel bar della stazione.
Si erano amati sin da subito.
Dario, troppo impaurito da un sentimento conosciuto solo per sentito dire, scappava lontano in cerca di riparo. Non voleva ammettere di provare quello che fino a un'istante ancora fotografato in mente, aveva ammesso ritenere soltanto una parola a cui due individui si aggrappano per dare un senso al loro stare insieme.
"Non l'ho mai provato e non credo esista", saccente e ignaro di quel che gli stava per succedere, seduto a un tavolo di un caffè derideva l'amore non sapendo che proprio quest'ultimo, stava decidendo il suo destino da lì a poco.
Scappava Dario, scappava però girando in circolo. E Aurora affannata lo rincorreva raggiungendolo. Lui che si fermava solo un attimo per poi riprendere a correre, fin quando non fu ostacolato del tutto dagli occhi di lei, stanchi di guardarlo di schiena allontanarsi per l'ennesima volta.
Fu allora che tutte le convinzioni di Dario si sgretolarono al suolo, la notte in cui ripose il ruolo del solitario dal cuore inespugnabile nel cassetto delle convinzioni fallite.
"Ti amo", sussurrò a cavallo tra l'alba di un nuovo giorno, non sarebbe più stato da solo, dopo quello.
"Consolati e riposa i nervi, ti amo anch'io e resta calmo".
E mentre il ricordo della confessione che li aveva imprigionati l'un l'altro, riscaldava Aurora persa nei flashback della mente, il suono del campanello annunciava un'ospite che aveva fatto irruzione dentro di lei occupando tutto. Dapprima il cuore, tra non molto il corpo.
Continua ;-)
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