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6 ~ kîwêw

- Ehi, Dominik! -

Il ragazzo trasalì nel sentirsi chiamare da quella voce, la sua stessa voce, e subito si voltò alle proprie spalle.

- Cosa ci fai qui? -

Chiese al bambino, osservandolo interdetto.
Non aveva idea di quanto tempo fosse stato privo di sensi, ma che fosse stato per un'ora o dieci minuti, ciò non cambiava il fatto che ormai l'altro sarebbe dovuto essere arrivato a casa.

- Ecco, io... - Mormorò il minore, leggermente a  disagio. - Ero quasi arrivato, quando ho avuto un brutto presentimento e sono tornato indietro. Piuttosto tu... Perchè non sei entrato in casa tua e fino a poco fa stavi dormendo in mezzo alla strada? -

- Ho solo avuto un capogiro. - Si affrettò a rispondere. - Mi sono dovuto stendere un attimo e... -

Nel vedere lo sguardo scettico del bambino, lentamente le parole gli morirono in gola.
Improvvisamente comprese il senso dell'espressione: "è impossibile mentire a sè stessi".

- Quella non è casa tua. -

Benchè quella del bambino fosse stata una vera e propria affermazione, più che una domanda, il sedicenne si ritrovò comunque ad annuire leggermente con il capo.

Ma alla fine non era ancora detta l'ultima parola, giusto? Se anche il bambino avesse creduto che lui fosse una specie di vagabondo, non avrebbe cambiato praticamente nulla.

Ciò che il piccolo Dominik disse, però, non fu il "perché mi hai mentito?" o "se vuoi posso chiedere a mia nonna se possiamo ospitarti a casa nostra per un po'" che si era aspettato, bensì:

- Sei un fantasma, per caso? -

Silenzio.

In un primo momento il maggiore quasi credette di esserselo immaginato.
D'altronde non poteva essere altrimenti. Come diamine avrebbe fatto a capirlo?
Anche se aveva commesso diversi errori nel corso degli ultimi due giorni, nessuno di quelli avrebbe potuto portare il minore ad una conclusione del genere.
Motivo per il quale alla fine il ragazzo, convinto di aver semplicemente frainteso, si ritrovò a chiedergli:

- Come, scusa? Puoi ripetere? -

A quel punto il bambino assottigliò lo sguardo e corrucciò per un istante le sottili sopracciglia castane, deluso di aver ricevuto una reazione del genere dopo aver atteso per quei dieci interminabili secondi.

- Sei un fantasma? -

Chiese per una seconda volta, alzando leggermente il tono della voce e scandendo per bene le parole.

Il fatto però che queste non fossero state accompagante da uno sguardo spaventato o irato, bensì da semplice curiosità e trepidante attesa, portò il maggiore a sospettare per una seconda volta di aver sentito male.
Non era possibile che una persona ponesse una domanda del genere con lo stesso tono di voce con il quale avrebbe potuto porre domande del tipo: "sei figlio unico?", "vivi qui vicino?", "casa fai nel fine settimana?" e via dicendo.

- Perchè questa domanda? -

Si ritrovò allora a chiedere, sperando che, sentendo la risposta del bambino, sarebbe potuto arrivare a comprendere anche il senso della sua domanda di prima. Ostinato com'era nella convinzione di aver avuto le traveggole.

- Perchè prima mi sono avvicinato a te mentre stavi ancora dormendo e, per farti uno scherzo, ti ho gettato addosso un fazzoletto di carta accartocciato per svegliarti, ma... -

E nel dirlo puntò l'indice verso terra, tra i piedi del sedicenne.

Dominik chinò lo sguardo perplesso e quasi si prese un colpo nel notare che effettivamente aveva il piede destro completamente immerso in un fazzoletto appallottolato, un angolo del quale pareva quasi spuntare tra i lacci delle sue scarpe.

- Un fantasma, hai detto? - Si ritrovò a ribattere il sedicenne, senza che lui stesso avesse idea di dove volesse andare a parare. - Non dire sciocchezze, non esistono cose del genere. -

Ma già mentre lo diceva, sapeva che il bambino non ci avrebbe mai potuto chiedere.
Se fosse arrivato una settimana prima, forse sì, ma ormai era impossibile che non credesse a cose di quel genere, non dopo aver conosciuto Cîpay.

- Okay. -

Fu però la risposta inaspettata che ricevette, accompagnata da una leggera alzata di spalle.

Subito volse sorpreso lo sguardo verso il minore, non riuscendo a credere alle proprie orecchie per la terza volta nel giro degli ultimi cinque minuti.

- Vuoi venire a casa? -

Si sentì chiedere un istante dopo.

Il bambino non disse nulla riguardo il fatto che, per far dormire qualcuno da lui, gli sarebbe servito per forza di cose il consenso della nonna; nè disse, ma questo il maggiore non riuscì a capire se fosse stato voluto o casuale, "casa mia", ma semplicemente "vuoi venire a casa?", come se in qualche modo sapesse che quella era la casa di entrambi.

- D'accordo. -

Rispose il maggiore, senza quasi pensarci.
Se non si considerava lo strano fatto accadutogli solo poco prima, lui non poteva dormire, per cui in realtà non gli sarebbe neanche servito un posto in cui passare la notte (il giorno prima aveva infatti passato tutte le ore di oscurità a vagare semplicemente per le vie della città), tuttavia, non appena si era sentito porgere quella domanda, aveva subito sentito crescere in lui il desiderio di accettare.
Benchè non fosse passato molto tempo dalla sua assenza, si sentiva come se fossero anni che non metteva piede in casa (e forse in un certo senso era proprio così, ma Dominik preferì non starci a pensare più di tanto o quella faccenda del viaggio nel tempo avrebbe finito col fondergli il cervello).

I due si erano appena incamminati verso casa, però, quando sentirono un secco rombo metallico, come se qualcuno nella fretta fosse andato a sbattere contro i bidoni della spazzatura che stavano a solo una decina di metri da loro.
Tuttavia, senza neanche bisogno di interrogarsi sulla questione, entrambi ipotizzarono che si fosse trattato di qualche animale selvatico e, tempo di prendere la svolta in fondo alla strada, già avevano smesso di pensarci.

~

- Ciao, Nicky! Com'è che ci hai messo così tanto? -

Il sedicenne sentì le labbra incurvarsi in un leggero sorriso all'udire quel soprannome. Ci aveva messo anni per convincere la nonna a smettere di chiamarlo in quel modo -arrivato a tredici anni, aveva iniziato ad essere alquanto fastidioso- benchè, alla fine, tutto ciò a cui lei era stata disposta a rinunciare era stata quella "y" finale.
Eppure per qualche motivo in quel momento fu felice che lei gli si fosse rivolta in quel modo.
Nonostante non fosse esattamente a lui che avesse parlato.

Nel dire quelle parole, la donna si era voltata verso il nipote, rivolgendogli un sorriso, ma ora gli dava le spalle, intenta ad armeggiare sul piano da cucina, alle prese con la cena.


- Mi sono trattenuto a giocare con Jowi. - Mentì il minore. - Salgo un attimo a lavarmi le mani, poi scendo. -

Aggiunse, per poi fare un rapido cenno al sedicenne e affrettarsi su per le scale.
Non fece commenti sull'apparente cecità della nonna nei confronti del suo ospite, nè riguardo il fatto che i passi del ragazzo, mentre saliva le scale dietro di lui, non producevano alcun rumore.

"Chissà a cosa sta pensando." Si chiese il sedicenne mentre osservava il minore camminare a passo spedito di fronte a sè. "L'ha capito che c'è qualcosa che non quadra con me, ma... Come se lo sarà spiegato?"

Stava quasi per chiederglielo, quando il piccolo Dominik spalancò la porta della sua camera.

- È un po' in disordine. Attento a non in... - Ma a quel punto, benchè fosse chiaro che stesse per dirgli "inciampare", si interruppe bruscamente. Di certo al ricordo della faccenda del fazzoletto. - Io vado a lavarmi le mani. -

Una volta che fu andato via, il sedicenne si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
Le cose si erano fatte abbastanza strane da quando il bambino aveva realizzato che lui fosse una specie di spirito.

- Wow... - Mormorò nel notare le pareti, ingombre di disegni almeno quando il pavimento lo era di vestiti, libri e giocattoli vari. - Certo che non ho neanche un briciolo di talento. -

In quel momento si ritrovò a pensare se, dopotutto, non avrebbe fatto meglio a lasciare che Zack e Mathis buttassero il suo diario dalla finestra, così come gli era realmente accaduto sei anni prima.

L'aveva appena pensato, però, quando gli tornò in mente l'espressione concentrata e assorta che il bambino aveva nel momento in cui l'aveva visto disegnare sul suo diario scolastico.

"Quando si dice: farsi pena da soli".

Pensò, dicendosi al tempo stesso che doveva proprio smetterla con quei modi di dire, o avrebbe continuato in eterno.

Mentre girava per la stanza, rivolgendo occhiate colme di ribrezzo e stupore ai vari pezzi della mostra d'arte più ripugnante nella quale fosse mai stato, si ritrovò in prossimità della finestra.
Nel sentire degli abbaii, probabilmente provocati da Jowi, si voltò in quella direzione, chinando lo sguardo sulla strada.

Fece appena in tempo a scorgere la figura di un bambino che si affrettava ad allontanarsi, probabilmente spaventato dai latrati del cane.

Essendo notte, Dominik ci mise un po' a capire chi fosse ma, non appena il bambino passò sotto un lampione, gli fu chiaro.

- ...Ethan? -

- ~ -

kîwêw - tornare a casa

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