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5 ~ tasîhkâtam

Fu un'improvvisa fitta al petto a fargli riprendere i sensi.
Il ragazzo sbarrò gli occhi con uno scatto, portandosi istintivamente le mani sul punto dolorante.
O meglio, non si trattava esattamente di dolore, nel senso proprio del termine, ma più che altro di una strana sensazione di freddo, o meglio, di gelo. Come se lì nel suo petto ci fosse una bufera di neve in pieno svolgimento.

Iniziò a guardarsi intorno, chiedendosi come fosse possibile che avesse dormito se aveva ormai appurato di non esserne capace.

Tutto ciò che vide, però, fu... Nulla.
Assolutamente nulla.

In un primo momento pensò che fosse notte, o forse semplicemente si trovava al chiuso e qualcuno aveva tirato le tende.
Tuttavia, qualcosa gli diceva che non fosse affatto così.

Lentamente si rimise in piedi e fu una fortuna che, nonostante il suo stato attuale, ancora riuscisse a percepire ogni suo arto, altrimenti non avrebbe neanche saputo dire se si fosse davvero rialzato o meno.

Iniziò ad incamminarsi, arrancando in mezzo all'oscurità alla ricerca di una parete, un tavolo, un albero o un qualsiasi altro tipo di ostacolo che gli facesse capire dove si trovava.

Poi si ricordò che, vista la sua situazione, se anche fosse incappato in qualcosa del genere, l'avrebbe attraversata senza neanche accorgersene.
Avrebbe potuto tranquillamente camminare per chilometri e chilometri, senza riuscire mai a capire dove si trovasse e cosa stesse accadendo intorno a lui.

A quel pensiero si sentì invadere dal panico e si immobilizzò.
Lentamente si lasciò scivolare a terra e rimase lì, con lo sguardo letteralmente fisso nel vuoto, per un lasso di tempo indefinibile.

Che fosse quella la morte?

Aveva appena avuto quel pensiero, però, quando d'un tratto uno spiffero di vento lo fece rabbrividire.
In un primo momento quasi non ci badò, ma poi, pensandoci una seconda volta, si ritrovò a sbarrare gli occhi di scatto.

Si guardò intorno ancora una volta e a quel punto realizzò di riuscire a distinguere delle sagome intorno a lui, sebbene scure e ancora indefinite.
Pian piano però stavano prendendo forma, neanche si trovasse all'interno della foto di una Polaroid e ora fosse in attesa che l'immagine si sviluppasse.

Alzò lo sguardo al cielo e riuscì a distinguere un bagliore soffuso a diversi metri di distanza, sebbene questo fosse come ostacolato da qualcosa.
Ma cosa?
Ci mise ancora qualche istante per capire che si trattava delle chiome degli alberi. E che erano proprio i loro tronchi le figure scure che lo circondavano e che poco prima non era riuscito a distinguere.

Ciò significava che si trovava nel bosco!

Un brivido improvviso lo percorse da capo a piedi a quel pensiero.
Non era mai stato nel bosco di notte.

Ma come ci era finito lì?

Se l'era appena chiesto, quando sentì uno scalpiccio.
Piccoli e rapidi passi di bambino che correvano su quel tappeto di foglie secche.

Istintivamente pensò che si trattasse del piccolo sè, ma presto ci ripensò.
No, i passi erano leggermente troppo pesanti per essere quelli di un bambino di dieci anni.
E poi lui, come aveva già avuto modo di constatare, non era mai stato nel bosco di notte.

Prima di rendersene conto, aveva iniziato ad incamminarsi in quella direzione, poi a correre.
I suoi passi, però, non producevano alcun suono.

Vi erano solo pochi metri di distanza tra lui e lo sconosciuto, però, quando improvvisamente fu costretto a fermarsi.

Cadde a terra e si portò le mani al petto.
Ancora una volta quella sensazione di gelo.

Improvvisamente sentì una mano posarsi sulla sua spalla e il dolore si attenuò.
Sentì i suoi occhi inumidirsi, non avrebbe mai pensato che sarebbe potuto essere così felice di vedere sè stesso.

Non appena sollevò lo sguardo, però, non furono gli occhi del piccolo sè quelli che incontrò, bensì due piccole gemme di un verde brillante.

Erano i suoi i passi che aveva sentito poco prima?
No, quelli persistevano, chiunque ne fosse la causa, ancora stava correndo, riusciva a sentirlo in sottofondo.
Quello scalpiccio rapido e forsennato, ora sovrastato dal martellare incessante del suo cuore.

"Cosa sta succedendo?"

Questa è la frase che Dominik aveva sulla punta della lingua, ma che finì col morirgli sulle labbra nel momento in cui provò a darle voce.

Cîpay scosse lentamente il capo, portando l'indice alle labbra e gettandosi nel mentre una rapida occhiata alle spalle.
In direzione di quello scalpiccio.

Nel notare lo sguardo disorientato che l'altro gli stava rivolgendo, subito si abbassò, inginocchiandosi a terra per poter avere l'altro davanti.

- Non ho molto tempo. - Disse in un bisbiglio, in tono concitato. - Lo so che per te è ancora tutto molto confuso e non ci starai capendo nulla, ma devi fidarti di me. Se vuoi evitare che si ripeta tutto ancora una volta, devi assolutamente... -

A quel punto, però, nel notare lo sguardo perso dell'altro, Cîpay si interruppe di colpo.

- Ehi, ma mi stai ascoltando? - Chiese scuotendolo leggermente per la spalla. - È importante e non ho molto tempo, devi fare attenzio... -

Alle sue spalle, più o meno nella direzione dalla quale fino a poco prima proveniva quel suono di passi, si levò un grido.

- No, non ti distrarre! - Esclamò subito Cîpay, ponendo la mano sul capo dell'altro per indirizzarlo nuovamente verso di sè. - Calmati, non è niente. Ora non ti può fare nulla. -

- Chi? -

Chiese Dominik, riuscendo finalmente a liberarsi del groppo in gola che gli aveva impedito di parlare fino ad allora.

- Ora non è importante. - Disse l'altro sbrigativamente. - Tra poco perderai di nuovo i sensi e ti risveglierai in città, nello stesso punto in cui hai incontrato... -

E arrivato a quel punto esitò, come se si fosse reso conto solo allora di essere stato sul punto di tradirsi da solo.

Ma ci pensò Dominik a completare la frase per lui, essendosi appena ricordato ogni dettaglio di quanto accaduto prima di perdere i sensi e ritrovarsi lì nel bosco.

- Te! - Disse sgranando gli occhi. - Prima di svenire, avevo visto te insieme a Njemile. -

- Sì, ecco... - Mormorò Cîpay, rivolgendosi ancora una volta un'occhiata alle spalle con evidente agitazione. - Quello non ero esattamente io, ma ora non abbiamo tempo per parlare di questo. Devi sapere che sono stato io a farti finire in questa situazione e... -

- Perchè l'hai fatto? -

Lo interruppe subito il moro, sbarrando gli occhi dallo sconcerto.

- Te l'ho detto poco fa! - Replicò Cîpay, esasperato da quelle continue interruzioni. - Perchè dobbiamo evitare che quella tragedia si ripeta di nuovo! -

- Parli dell'incen...? -

- C'è una cosa che devi fare. - Lo interruppe subito l'altro, senza neanche dargli il tempo di finire. - O meglio, alcune cose, non so esattamente quante... E non le devi fare proprio tu, ma fare in modo che le faccia l'altro te... - Si interruppe, scrutando il volto dell'altro in attesa di capire se lo stesse seguendo o meno, quindi, decidendo che non c'era tempo per simili preoccupazioni, continuò: - Dicevo... Una volta che avrai fatto queste cose, ti ritroverai di nuovo qui e poi... Poi credo che andremo direttamente al giorno dell'incendio e... -

- Aspetta. Quali sono le due cose che devo fare? -

Un secondo grido, però, portò Dominik a distogliere nuovamente la sua attenzione dall'altro, facendogliela rivolgere alle sue spalle.

La fitta al petto si fece leggermente più forte, ma ora si trattava di un dolore sopportabile.
Forse perchè la mano di Cîpay era ancora lì sulla sua spalla.

- Non lo so! - Esclamò quest'ultimo per riattirare la sua attenzione, afferrandogli questa volta il mento per dirigere una seconda volta il suo sguardo verso di sè. - Ma sono sicuro che in qualche modo tu lo capirai. -

Un terzo grido.

- Si può sapere che sta succedendo là dietro? -

Chiese Dominik, sempre più agitato, alzandosi in piedi di scatto e facendo come per dirigersi in quella direzione.

- Non ti avvicinare! - Lo fermò subito Cîpay, alzandosi a sua volta e trattenendolo per il polso. - Ti ho detto che non corri alcun pericolo. -

- Allora posso anche avvicinarmi, no? -

- Preferirei di no. -

- Perchè? -

- Perchè... - Mormorò l'altro, distogliendo lo sguardo con evidente disagio. - Ora noi siamo... Siamo nella mia mente. O meglio, nei miei ricordi. O qualcosa del genere... -

- Come? -

Replicò Dominik, preso decisamente alla sprovvista.

- È complicato... - Mormorò Cîpay. - Il fatto è che nell'agitazione del momento non sono riuscito a pensare ad altro. Questo è l'unico posto in cui non può raggiungerci. -

- Ma di chi stai parlando? -

Lo aveva appena chiesto, quando improvvisamente intorno a lui tutto iniziò ad oscurarsi.
Proprio come gli era accaduto dopo aver visto Njemile e Fynn.

- Ecco, ci siamo quasi. -

Mormorò Cîpay, in un tono di voce quasi sollevato.

- Ma io ancora non ho capito cosa devo fare. -

Replicò Dominik.

- Lo capirai, tranquillo. -

Quindi lo aiutò a chinarsi, facendolo rimettere seduto a terra.

Poco prima che intorno a lui si facesse tutto buio e lui perdesse i sensi, Dominik rivolse lo sguardo verso quello dell'altro.
Nell'agitazione del momento, quasi non si era reso conto di cosa fosse davvero successo.
Dopo aver passato gli ultimi sei anni a rivivere nei propri incubi il momento della sua morte, ecco che Cîpay gli compariva davanti.
E non si trattava del Chîpay del passato che nel bosco non era neanche riuscito a percepire la sua presenza, altrimenti non avrebbe potuto sapere tutte quelle cose.

- Chîpay... - Mormorò con un filo di voce, portando quasi senza pensarci la mano sul capo dell'altro, in quell'intrico di ricci sporchi di terra e resina. - Mi sei mancato. -

- Anche tu. -

Il suo sorriso fu l'ultima cosa che vide prima di perdere i sensi.

Ma l'ultima cosa che sentì, per qualche strano motivo, fu:

- Scusami. -

- ~ -

tasîhkâtam = provare a rimediare

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