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2 ~ kakehtâwi

Camminando con fare esitante per il lungo corridoio deserto, il ragazzo si guardava intorno a disagio.

Le pareti tappezzate di quadri, disegni colorati e avvisi di ogni genere; il pavimento piastrellato sporco in più punti di piccole impronte di terra; le voci concitate dei bambini e i richiami esasperati dei maestri provenienti dalle aule accanto alle quali passava.

Tutto d'un tratto un bambino uscì dal bagno e si diresse nella sua direzione a passo svelto.
Dominik si irrigì nel momento in cui gli passò attraverso, proseguendo poi verso la sua classe come se nulla fosse.
Poco ma sicuro: non sarebbe mai riuscito ad abituarsi a una cosa del genere. Nè voleva riuscirci.

Qual era la sua classe ai tempi delle elementari?
Se solo avesse frequentato la piccola scuola del suo paese non sarebbe stato un problema se anche avesse dovuto affacciarsi in ogni singola aula -essendo queste solo una decina-, ma in quel periodo, ovvero prima dell'incendio, lui andava a studiare in una città vicina, prendendo l'autobus tutte le mattine dalla fermata ai confini del bosco.
Se avesse dovuto controllare ognuna di quelle classi -che dovevano essere almeno una quarantina considerando che erano distribuite su due piani- ci avrebbe messo come minimo tutta la mattinata.
Non che avesse di meglio da fare, dopotutto neanche lui sapeva bene come avrebbe dovuto agire dopo aver trovato il sè di dieci anni.

Il bambino si sarebbe di sicuro sorpreso di vederlo e questo sarebbe potuto essere un bel problema.
Le persone intorno a lui si sarebbero di sicuro stranite se tutto d'un tratto l'avessero visto mettersi a parlare al vuoto.
Ormai infatti era chiaro che solo lui, o meglio sè stesso, riuscisse a vederlo, o meglio vedersi.

- Che macello! -

Sbottò il moro immergendosi le mani nei capelli in un moto di disperazione.

Neanche Cîpay riusciva a vederlo.
Lo aveva scoperto il giorno prima quando gli si era avvicinato, convinto che lo spirito lo avesse notato. Aveva provato a chiamarlo, ma quello aveva distolto lo sguardo e si era addentrato nel bosco come se nulla fosse.
Ovviamente Dominik lo aveva subito inseguito e aveva perfino provato ad agguantarlo per il polso, ma la sua mano aveva attraversato Cîpay senza che lui battesse ciglio.

E mentre pensava a quanto assurda e confusa fosse la situazione nella quale si trovava, il ragazzo si era appena deciso a salire al piano superiore, quando la campanella suonò.

Subito un fiume di bambini si riversò giù per le scale e, benchè Dominik avrebbe potuto benissimo continuare a salire come se nulla fosse, tutta quella confusione improvvisa riuscì comunque a destabilizzarlo per alcuni istanti.

Quando finalmente giunse al primo piano, lo trovò completamente deserto.

Iniziò a incamminarsi, dando uno sguardo a tutte le classi che incontrava.
Per un istante aveva temuto che in quel momento il sè bambino si sarebbe potuto trovare proprio in mezzo a quella massa urlante e scalpitante e che ormai fosse in cortile, confuso tra una miriade di altri bambini, facile da trovare quanto un ago in un pagliaio.
Poi però si era ricordato di una cosa...

- Eccolo... Cioè, eccomi. -

Mormorò tra sè e sè, sorridendo leggermente nel vedere, all'interno della sezione 5C, seduto nel banco più in fondo della fila centrale, niente meno che la versione di sei anni più giovane di sè stesso.

Il bambino aveva una penna nera in mano e il diario scolastico davanti ed era intento a scarabocchiarci sopra. O meglio, nella sua mente ingenua e inesperta ciò che stava facendo non era affatto uno scarabocchio, bensì arte vera e propria, quasi un capolavoro se paragonato ai suoi disegni precedenti, a tal punto che, se solo non l'avesse realizzato su un diario, sarebbe stato pronto a prendere quel disegno e appenderselo in camera.
Tuttavia il sè sedicenne, che aveva avuto modo solo pochi mesi prima di rivedere quei "capolavori" mentre riordinava la cantina, era di ben altro avviso. In quell'occasilne infatti aveva riservato loro un posto ben diverso dalla galleria d'arte nella quale li immaginava il bambino che aveva davanti in quel momento.
Quale fosse questo posto?
Il cassonetto, ovviamente.

Nel momento in cui entrò nella classe, il bambino ebbe un sussulto e subito sollevò lo sguardo verso di lui.

Sgranò leggermente i piccoli occhi grigi nel riconoscerlo, ma tenne le labbra serrate.

Dominik, il sedicenne, non potè fare a meno di chiedersi come dovesse apparire ai suoi occhi. Si rendeva conto di quanto gli somigliasse o invece quei sei anni di differenza erano abbastanza perché lui potesse tranquillamente passare per un completo estraneo?

- Ciao. -

Salutò il maggiore, sollevando la mano impacciato.

"Che cosa ridicola, sentirsi in imbarazzo a parlare con sè stessi".

Non potè fare a meno di pensare, a disagio di fronte allo sguardo interdetto e sorpreso del minore.

Alla fine il bambino gli rispose con un semplice cenno del capo e nel mentre con la coda dell'occhio gettò un rapido sguardo al suo disegno.

Uno sconosciuto avrebbe potuto interpretare quel gesto come un chiaro segno del fatto che il bambino trovasse la sua presenza fastidiosa e indesiderata e che, piuttosto, avrebbe preferito continuare a fare ciò che stava facendo prima di quella spiacevole interruzione.

Tuttavia l'adolescente non era affatto uno sconosciuto, per cui chiese:

- Posso vedere? -

Il bambino ebbe un sussulto all'udire quella domanda e per un istante i suoi occhi si illuminarono.
Ma in caso ciò non fosse ancora abbastanza, in tutta risposta annuì lievemente con il capo, lo stesso gesto che aveva fatto poco prima per salutarlo.

Così il ragazzo si avvicinò, trattenendo a stento un sorriso divertito, posizionandosi alle spalle del minore per vedere da lì quella straordinaria opera d'arte.

"La cosa più triste è che le mie abilità artistiche sono ancora a questo stesso livello".

Pensò alla vista di quello che teoricamente sarebbe dovuto essere un cane.

Non un cane qualunque, però, realizzò ad un secondo sguardo.
Pelo lungo, gambe tozze, macchie disordinate, coda a moncherino, un orecchio più grande dell'altro.
Quello era senza ombra di dubbio...

- Joseph Wilkinson. -

Mormorò tra sè e sè, nel riconoscere quello che era stato il suo cane da quando aveva nove anni fino ai quindici, quando per inseguire uno scoiattolo era finito contro un palo della luce, che l'aveva stordito a tal punto da farlo finire per strada e... E fargli fare la stessa fine che avrebbe fatto il suo padrone solo un anno dopo.

- Come fai a conoscere Jowi? -

Chiese subito il bambino voltandosi e osservandolo con tanto d'occhi.

Solo in quel momento il maggiore realizzò di averlo detto ad alta voce e dentro di sè si maledisse. Possibile che si dovesse sempre complicare la vita da solo?

- L'ho visto in giro qualche giorno fa. - Mentì, ricordando l'abitudine che Jowi aveva di sgattaiolare fuori dal cortile di casa ogni mattina, quando lui usciva per andare a scuola, e fare ritorno solo diverse ore dopo. - Dato che aveva il collare mi sono preoccupato, pensando che qualcuno l'avesse perso, ma ho avuto solo il tempo di leggere il nome sulla piastrina che è passata una signora che mi ha detto di lasciarlo stare, dato che quel cane viveva in un quartiere vicino e già sapeva da sè quando e come fare ritorno a casa. -

- Ah, capito. In effetti sta spesso fuori casa. - Annuì il minore, per poi voltarsi nuovamente verso il banco e chiedere, quasi con un filo di voce: - Che ne pensi? -

In un primo momento Dominik fu sul punto di dire la verità, ovvero che, benchè Jowi non fosse certo il cane più bello del mondo, quel disegno non gli rendeva certo giustizia, ma poi all'ultimo momento ci ripensò.

Tutto d'un tratto gli passarono per la mente delle immagini. Immagini che sapeva per certo essere ricordi, ma che per qualche motivo fino a quel momento aveva completamente rimosso.

Vide il sè bambino, esattamente quello che aveva ora davanti, sussultare all'ingresso in classe di Zack e Mathis - anche loro infatti avevano frequentato quella scuola elementare, al contrario di Jacob e Ethan, che avevano conosciuto solo alle medie-, lo vide mentre si affrettava a chiudere il diario, ma senza riuscire a farlo abbastanza in fretta perchè Zack non glielo sfilasse dalle mani.
Vide il volto del bambino farsi rosso dalla rabbia e dall'umiliazione all'udire le prese in giro dei due, alla vista non solo di Jowi, ma anche di tutti gli altri suoi disegni.
Vide il suo diario compiere una lunga parabola, dalla finestra fino al marciapiede, oltre la recinzione che delimitava il territorio scolastico.
Poi rivide quello stesso bambino, una volta a casa, correre in camera senza neanche salutare la nonna e, preso dalla rabbia, strappare dalle pareti tutti i propri disegni, unirli in un enorme cartoccio a quelli che aveva nei cassetti, e poi gettarli tutti nel cassonetto della differenziata davanti casa.
Da quel giorno in poi avrebbe preso in mano la matita solo durante le ore di disegno a scuola.

- È bellissimo. Hai davvero talento. -

Rispose, per poi scompigliare quasi senza pensarci i capelli corti e setosi del bambino.

Quest'ultimo, sorpreso e orgoglioso del complimento ricevuto, sorrise soddisfatto, rivolgendo alla propria opera un ultimo sguardo di contemplazione.

- Ti va di accompagnarmi a fare un giro per il piano? -

Gli chiese poi, certo che l'altro, preso dalla gioia del momento, avrebbe accettato senza pensarci due volte.

E infatti fu proprio questo ciò che fece il bambino, annuendo più volte mentre chiudeva il diario e lo riponeva nello zaino.

Mentre i due uscivano dall'aula, incrociarono Zack e Mathis, che invece stavano entrando.
I due bambini passando accanto a Dominik gli rivolsero un rapido sguardo assottigliato, in parte chiedendosi perché stesse uscendo, dato che solitamente passava la ricreazione chiuso in classe, e in parte, invece, domandandosi cos'avesse da sorridere tanto.
Tuttavia alla fine, presi com'erano dalla loro conversazione, lo lasciarono andare senza dire una sola parola.

- ~ -

kakehtâwi = talento

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