1 ~ pawâmowin
"No, non può essere..."
Pensò Dominik guardandosi intorno freneticamente.
Eppure era così.
Si trovava proprio sul limitare del bosco.
Lo stesso bosco che era andato completamente distrutto nell'incendio di sei anni prima.
Chinò lo sguardo.
Era immerso nel pantano fino a poco sopra le caviglie.
Proprio come gli era accaduto sei anni prima, quando aveva salvato quel cervo.
"Quel camion deve avermi colpito davvero forte, ma a quanto pare non abbastanza da uccidermi" pensò mentre un brivido gelido gli correva su per la spina dorsale "devo essere finito in coma. O come minimo essere svenuto".
Un urlo improvviso lo distolse dai suoi pensieri e gli fece subito sollevare lo sguardo.
A urlare era stata una voce familiare, fin troppo.
- Chi sei tu? -
Squittì la voce di un bambino.
Un bambino dai corti capelli color nocciola, con indosso un logoro maglione azzurro fatto a mano e dei pantaloni da tuta ormai interamente sporchi di fango.
Benchè gli stesse dando le spalle, Dominik non potè non riconoscerlo.
Eppure non poteva essere...
- Ma come... Allora vorresti dire che è tua abitudine rischiare la vita per tutti gli sconosciuti che ti passano davanti, Dominik? -
All'udire quella seconda voce, per poco il ragazzo non si prese un colpo.
Scricchiolio di foglie secche e frusciare di fronde degli alberi.
La voce della foresta.
- Come sai il mio no... -
- Ora che ci penso, in effetti mi sono scordato di presentarmi prima, alla fermata dell'autobus... Piacere, io sono Cîpay. -
Doveva stare sognando, ormai non c'erano più dubbi.
~
Correndo a perdifiato per la foresta, il ragazzo finì contro innumerevoli fronde e rami spogli, eppure nessuno di loro gli lasciò sul viso un singolo graffio.
Almeno una decina di volte temette di finire contro un tronco o di inciampare su qualche roccia, eppure in qualche modo un istante dopo ecco che l'ostacolo era svanito e lui stava ancora correndo.
Era tutto così folle. Troppo perchè fosse vero.
I suoi piedi non erano neanche sporchi di fango, benchè fosse rimasto immerso in quel pantano per almeno cinque minuti e, se è per questo, i suoi capelli erano perfettamente asciutti, nonostante stesse diluviando.
Non era come se ci fosse un qualche tipo di barriera che lo proteggeva, quanto come se lui non esistesse affatto.
Non era niente di più di un ologramma, di semplice aria o... O di uno spirito.
Non sentiva assolutamente nulla quando le gocce di pioggia, come poccoli e gelidi proiettili, cadendo lo attraversavano da capo a piedi, finendo poi sul terreno già bagnato, e fu per questo che ci mise diverso tempo per rendersene conto.
Dopo aver corso per quella che sarebbe potuta benissimo essere un'ora come un'intera giornata, il ragazzo si lasciò cadere a terra.
Non perchè stremato dalla stanchezza -sentiva che avrebbe potuto benissimo continuare per altrettanto tempo e anche oltre-, quanto perchè semplicemente si era reso conto di quanto fosse insensato ciò che stava facendo.
Era scappato.
Si era fatto prendere dalla paura e dallo sconcerto e così se l'era data a gambe levate senza pensarci due volte.
Ripensandoci, non potè fare altro che darsi dell'idiota da solo.
Che quello fosse un sogno o meno, Cîpay era sicuramente l'unico in grado di dargli delle spiegazioni.
"Ma riuscirà a vedermi?" Si chiese, facendosi subito prendere dallo sconforto. Poi però si rese conto di una cosa. "Ma certo. Se questo è un sogno, basta che io pensi che lui riesca a vedermi e sarà così".
Tuttavia, aveva davvero senso andare a chiedergli spiegazioni se quello non era altro che un sogno?
Dominik si lasciò sfuggire un sospiro sconsolato e, nel mentre, tentò invano di appoggiarsi contro il tronco di un albero, finendo invece col cadere dalla parte opposta, attraversandolo come se nulla fosse.
- Svegliati... - Mormorò con le lacrime agli occhi, mentre si martoriava il braccio destro a furia di pizzicotti. - Perchè non mi sveglio, maledizione! -
A quel punto sentì uno scricchiolio alle proprie spalle, come se fosse appena arrivato qualcuno.
Senza curarsene minimamente, pensando che chiunque fosse in ogni caso non sarebbe stato in grado di vederlo, Dominik continuò con ciò che stava facendo.
Questo almeno finchè non sentì una mano posarsi sulla sua spalla.
Ebbe un sussulto e sgranò gli occhi dalla sorpresa.
Subito si voltò e le sue labbra si erano già dischiuse per formare il nome "Cîpay", quando invece si ritrovò davanti niente meno che... Sè stesso.
- Tutto bene? -
Chiese il bambino, aggrottando le sopracciglia in uno sguardo accigliato.
"Deve essere sicuramente un sogno" si ritrovò a pensare il sedicenne per l'ennesima volta "se fosse la realtà non sarebbe possibile per noi vederci e parlare come se nulla fosse, no? Nei film non parlano sempre di quella roba della rottura del continuum spazio temporale?"
- Cosa c'è di così divertente? -
Chiese il piccolo Dominik, accigliandosi ulteriormente nel notare come l'altro si stesse sforzando di soffocare una risata.
- Oh, niente. Non ti preoccupare. - Rispose il maggiore scuotendo leggermente il capo. - Stavo solo pensando a una cosa, ma era così stupida che mi è venuto da ridere. -
- Ah, capisco. Anche a me succede ogni tanto. -
Rispose il bambino sorridendo a sua volta.
E il sedicenne non riuscì a fare a meno di lasciarsi sfuggire un risolino al ricordo di come in quarta elementare, durante un'ora di matematica, fosse scoppiato a ridere tutto d'un tratto nel bel messo della lezione, così fragorosamente da catturare l'attenzione di tutti i suoi compagni e la preoccupazione della maestra.
E questo solo perchè, nella noia del momento, si era messo a immaginare un'invasione aliena, come quella che aveva visto la sera prima in un film, con la preside che annunciava dagli altoparlanti di uscire ordinatamente in file composte da due, dandosi la mano, alunni che correvano nel panico e poi scomparivano uno dopo l'altro in raggi di luce verde fluorescente e la professoressa di matematica che ghignava soddisfatta, in piedi sulla cattedra a braccia conserte, per poi portare una mano alla fronte e rivelare, proprio sotto la frangia rossa, la presenza di una zip. Era infatti anch'ella un alieno sotto copertura, nonchè a capo dell'invasione!
Insomma, si era trattato di una scemenza assurda.
Una cosa che, se solo fosse stato così sprovveduto da andare a raccontare in giro, gli sarebbe costata come minimo una visita dalla psicologa della scuola. Ma anche due.
- Cosa ci fai qui nel bosco? -
Chiese il bambino, decidendo di non indagare oltre sull'improvviso scoppiò d'ilarità dell'altro.
- Mi sono perso. - Mentì il maggiore. - Tu, invece? -
- Anche io mi sono perso. -
Rispose, distogliendo lo sguardo verso destra e torcendosi leggermente la mano sinistra.
L'adolescente riuscì a stento a trattenere un sorriso divertito: quelli erano i due tic che da piccolo gli venivano ogni volta che mentiva. Se n'era reso conto per la prima volta quando aveva dodici anni e solo poco prima di compierne tredici era riuscito a farseli passare completamente.
- Che ore sono? -
- Le sei di sera. - Rispose il bambino, senza neanche guardare l'orologio. - Ma da quanto tempo sei qui? -
- A quanto pare da quasi dieci ore. -
Il bambino strabuzzò gli occhi incredulo all'udire quella risposta, ma non disse nulla.
In un primo momento Dominik fu sul punto di chiedergli la stessa cosa, poi però ci ripensò, rendendosi conto di sapere già la risposta.
Sempre dieci ore.
Avendo perso l'autobus, e avendo tra l'altro i vestiti completamente inzuppati di fango, quel giorno aveva rinunciato ad andare a scuola e aveva passato l'intera giornata a girovagare per il bosco con Chîpay. Era tornato a casa solo in serata, subito dopo essere tornato alla fermata per recuperare lo zaino e l'ombrello.
A giudicare dal mucchietto di ferraglia e stoffa gialla che il bambino teneva nella mano sinistra, il ragazzo capì che doveva esserci appena passato.
- Ti serve aiuto per tornare in città? -
Chiese tutto d'un tratto il bambino.
- Non dicevi di esserti perso anche tu? -
- Eh? - Ribattè il minore d'istinto, per poi rendersi conto dell'errore commesso e iniziare a guardarsi intorno a disagio. - Ecco... Insomma, non esattamente. Io... -
- Allora, da che parte si va? -
Lo interruppe il sedicenne, alzandosi in piedi.
Subito il bambino puntò alla propria sinistra, iniziando a dirigersi in quella direzione senza dire una parola.
Solo dopo aver passato una decina di minuti a camminare, Dominik iniziò a rendersi conto di quanto fosse strano ciò che era appena successo.
Insomma, quale bambino con un briciolo di buon senso rivolgerebbe mai la parola a un completo sconosciuto nel bel mezzo della foresta? Per quanto ne sapeva, sarebbe anche potuto essere un poco di buono o un pazzoide. E d'altronde, in che altro modo si potrebbe definire a colpo d'occhio un ragazzo, seduto a terra in mezzo alla foresta, intento a piangere e darsi pizzicotti sul braccio?
Senza neanche il bisogno di dare voce a quell'interrogativo, però, presto il sedicenne riuscì ad arrivarci da solo.
Primo: i bambini sono privi di buon senso.
Secondo: come giustamente gli aveva detto anche Chîpay durante il loro primo incontro -ovvero quella mattina-, a quei tempi lui era un perfetto esempio di "eroe mancato", capace di rischiare vita, vestiti e ombrello per il primo sconosciuto che gli passava davanti.
Anche se solitamente si limitava agli animali sprovvisti di parola, alias "chiunque non fosse un essere umano o un pappagallo" (aveva avuto brutte esperienze con entrambe le specie).
- Non mi sei sembrato un tipo minaccioso. - Disse tutto d'un tratto il piccolo Dominik, continuando a zigzagare spedito tra gli alberi. Come se gli avesse letto nella mente. - Se lo dicessi a mia nonna che ho rivolto la parola a uno sconosciuto e l'ho perfino incitato a seguirmi, me le suonerebbe di sicuro, ma se tu non dici nulla, io farò lo stesso e staremo a posto entrambi. Ah, ora che ci penso, non ti ho ancora chiesto come ti chiami. Non mi sembra di averti mai visto in giro. -
Non ricevendo alcuna risposta, alcuni istanti dopo il bambino si voltò.
Del sedicenne non c'era più traccia.
Inizialmente provò a cercarlo, tornando indietro di qualche passo e gridando un paio di "ehi, dove sei?".
Non ricevendo alcuna risposta, però, alla fine aveva deciso di proseguire.
Certo, gli dispiaceva lasciare quel ragazzo da solo nel bosco, ma al tempo stesso voleva tornare a casa il prima possibile. Non ci teneva proprio ad essere lì quando si fosse fatto buio.
Non poteva certo sapere che il sè adolescente si era allontanato volontariamente da lui (o da sè stesso?), non appena, voltandosi quasi per caso, aveva scorto in mezzo alla vegetazione niente meno che Cîpay!
Lo spirito in quel momento stava osservando il bambino da almeno una decina di metri di distanza, come se lo stesse vegliando, per assicurarsi che riuscisse a tornare in città sano e salvo.
Ma poi per un istante -nulla di più di una frazione di secondo-, i suoi occhi verdi erano slittati dal Dominik bambino a quello ormai sedicenne.
In tutti i sogni e incubi che il ragazzo aveva avuto negli ultimi sei anni, gli occhi dello spirito non erano mai stati così reali e vivi come quelli che aveva davanti in quel momento.
Ed era stato così che, con un misto di sconcerto ed euforia, finalmente Dominik l'aveva capito: non stava sognando.
- ~ -
pawâmowin = sogno
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