Capitolo undicesimo
Sabine seguì Marinette con lo sguardo, mentre quest'ultima si allontanava dietro la scenografia per raggiungere i propri compagni di classe, il prezioso fagotto con la creazione fatta su misura per Adrien fra le mani. La donna aveva fatto finta di niente, ma nell'ultimo mese sia lei che Tom erano stati molto preoccupati per la loro bambina. Avevano notato subito che qualcosa la turbava, perché a giudicare dalla sua aria stanca e dalle occhiaie visibili anche sotto il leggero strato di trucco da lei usato, era chiaro che Marinette stesse vivendo un momento difficile della sua vita – forse non soltanto a causa dell'allerta cittadina. I suoi genitori ne avevano discusso insieme, domandandosi perché mai lei non volesse parlarne con loro, dato il rapporto molto aperto che avevano da sempre; vista l'età difficile, non volevano forzarla a confidarsi eppure quando si erano decisi ad affrontare la questione con la ragazza, lei aveva ripreso a sorridere come un tempo, sia pure solo in presenza di Adrien. Era questa la ragione per cui Tom e Sabine erano tornati a fare un passo indietro: sebbene il loro ruolo di genitori non fosse affatto finito, era ormai chiaro che quella meravigliosa figlia che amavano con tutto il cuore avesse bisogno anche di qualcun altro. E se da un lato una parte di loro se ne rattristava, dall'altro li rasserenava il pensiero che Marinette potesse contare sull'appoggio di un ragazzo altrettanto splendido, che ora stava accogliendo l'arrivo di lei con la più gioiosa delle espressioni.
D'altronde, come poteva, Adrien, non essere al settimo cielo, quel giorno? Non soltanto avrebbe partecipato ad un progetto in coppia con l'amata, per di più quella era la prima volta in assoluto che suo padre decideva di prendere parte attivamente – e di persona! – ad un evento che lo portasse lontano da casa. Ancora, quella era anche la prima volta che Gabriel visitava la scuola alla quale si era iscritto suo figlio, la prima volta che si interessava a ciò che lui faceva e alle persone che lui amava – in questo caso, Marinette. Cosa poteva andare storto? Il modello di lei era perfetto, lui lo avrebbe indossato con la consueta professionalità e tutti li avrebbero applauditi e premiati per il loro talento – beh, magari soprattutto per quello della stilista. Ma Adrien avrebbe fatto di tutto per rendere giustizia alle doti creative e pratiche della sua innamorata, perché sapeva che lei si era impegnata tantissimo e meritava l'entusiasmo del pubblico e della critica. Senza contare che quella sarebbe stata l'occasione migliore per far colpo su suo padre, per fargli capire che Marinette valeva molto e che non era una ragazza superficiale né un'arrivista.
«Penso che sverrò da un momento all'altro», mormorò lei, sbirciando da dietro ai pannelli della scenografia per dare uno sguardo panoramico al cortile interno della scuola, che si stava affollando dei genitori degli studenti e di altri ospiti vari. Come se non fosse bastata l'ansia di dover dimostrare il proprio valore al padre di Adrien, ora se ne aggiungeva altra, dovuta principalmente alla presenza di Nadja Chamack, che si era portata dietro un operatore e stava parlando con Alya sulle immagini della sfilata che quest'ultima avrebbe ripreso con il proprio cellulare, al fine di utilizzarle, insieme alle proprie, per un servizio televisivo. E poi di lì a poco sarebbe arrivata la giuria, che contava fra i membri anche il padre di Chloé, il sindaco, e Jagged Stone, e tutti gli occhi sarebbero stati puntati sul modello da lei creato perché sarebbe stato Adrien a portarlo in passerella.
Una carezza gentile all'altezza della nuca la fece rabbrividire per il calore che le comunicò, facendola rilassare all'istante quasi del tutto. «Dovresti esserci abituata, ai riflettori, buginette», le sussurrò il giovane all'orecchio, prima di sfiorarle la guancia con un bacio.
«È diverso...» mugugnò lei, guardandosi attorno con imbarazzo: li aveva visti qualcuno? Perché, sul serio, quello era il momento meno adatto per attirare anche l'attenzione degli appassionati di gossip – o anche solo quella dei loro genitori. «Qui tutti sanno il mio nome e possono vedermi in faccia. Di solito, poi, non devo impressionare nessuno.»
«Ma lo fai puntualmente tutte le volte, perciò non ha senso che tu ti faccia prendere dal panico proprio ora», cercò di incoraggiarla l'altro, molto più sereno di lei. «Vado a cambiarmi, credi di potercela fare?»
Marinette guardò oltre le spalle di Adrien, dove Juleka, vessata dalle proteste di Chloé, sembrava sul punto di usare l'abito che aveva fra le mani come arma impropria per soffocare colei che la malasorte le aveva affibbiato come partner. «Sì, anche perché temo che dovrò calarmi nella parte dell'eroina anche senza vestirmi a pois...»
«Fai la brava capoclasse», si raccomandò il giovane, strizzandole l'occhio.
Lei sospirò, regalando un ultimo sorriso all'amato prima di affidargli il completo per la sfilata e di accorrere in aiuto dell'amica. «Chloé, Adrien sta andando a cambiarsi e vedo che Nathaniel e gli altri modelli lo stanno seguendo... Non dovresti farlo anche tu?»
Braccia conserte, quella le riservò un'occhiataccia. Da quando lei e Adrien si erano chiariti, le due non si erano rivolte la parola neanche per sbaglio. Questo perché, pur essendo molto diverse sotto tanti aspetti, per parecchi altri erano così tremendamente simili da lasciare storditi, e l'orgoglio di entrambe bruciava al pensiero di dover anche solo fingere di scambiarsi un sorriso. Sebbene fosse consapevole di essere in torto, Chloé si lasciò sfuggire un verso insofferente dalle labbra ben truccate. «Quest'incompetente ha realizzato il vestito che avevamo concordato insieme usando un colore che non mi piace. E che porta sfortuna, oltretutto.»
Marinette inarcò le sopracciglia scure: sul serio lei e Juleka erano riuscite ad andare d'accordo su qualcosa? Che il chiarimento con Adrien avesse sortito anche questo magico effetto? «Ma a te sta bene qualunque cosa», tentò allora di rabbonirla.
«Certo, lo so. È una dote naturale», convenne l'altra, puntando il naso in alto con fare snob.
«E poi il successo di un abito dipende anche da chi lo indossa, sai?»
Rose, che se ne stava poco distante a guardare la scena, emise un sospiro rassegnato. «Allora non ho speranze: Nathaniel è carino ed è un amore di ragazzo, ma... come può competere con Chloé e Adrien?»
«Sono sicura che la tua creazione attirerà molti consensi», la consolò Marinette, non sapendo a chi rivolgersi per prima. C'era di buono che, troppo impegnata a preoccuparsi per gli altri come sempre, non avrebbe avuto tempo per tornare a farsi prendere dal panico.
«Ma saremo io e Adrien a ricevere i migliori applausi», se ne compiacque Chloé, rimirandosi le unghie con fare vanesio. «E non certo per gli straccetti che indosseremo.»
Per amor di pace, Marinette ignorò quel commento. «Ciò che conta è che ora tu vada a cambiarti: non manca molto all'inizio della sfilata.»
Per una volta, l'altra le diede ascolto e, recuperato l'involucro protettivo in cui Juleka aveva amorevolmente sistemato il proprio abito, voltò le spalle a tutti e si avviò verso il piano superiore, seguita solo dalla fida Sabrina anziché dalla propria compagna di progetto. «È insopportabile», borbottò quest'ultima, portandosi una mano davanti al viso con aria scoraggiata. «Fortuna che da domani non dovrò più averci a che fare così da vicino.»
Provando forte empatia per l'amica, Marinette abbozzò un sorriso: era un miracolo che Juleka non fosse stata di nuovo presa di mira da Papillon, visto che nelle ultime settimane aveva dovuto collaborare gomito a gomito con la terribile reginetta della classe – se non della scuola. Anzi, era un miracolo che la stessa Chloé non fosse stata akumizzata quel giorno, quando aveva deciso di cacciare Ladybug dalla sua camera. A ben pensarci, che fine aveva fatto Papillon? Non che Marinette non gradisse quell'insperata pausa dai combattimenti contro i suoi supercattivi, dato il periodo difficile che stava vivendo tutta la città. Che anche lui si fosse reso conto che bisognava sospendere le ostilità? Persino l'ultimo avversario, l'uomo-ciambella, si era lasciato sconfiggere facilmente il giorno del secondo attentato, come se avesse abbandonato la voglia di combattere dopo l'esplosione che aveva distrutto le Galeries Lafayette. Marinette non si illuse che Papillon avesse davvero gettato la spugna – il potere combinato dei miraculous della Creazione e della Distruzione avrebbe fatto gola a chiunque, dopotutto – eppure in cuor suo sperò davvero che le cose potessero continuare in quel senso. E se solo anche gli attentati fossero finiti lì...
«Stanno arrivando i giudici», constatò Rose, sbirciando da dietro ai pannelli. «Comincio ad avere la tremarella...»
«Io invece non vedo l'ora di finirla», commentò Juleka, volendo togliersi di torno Chloé il prima possibile. Marinette volse lo sguardo preoccupato al punto in cui era sparito Adrien e l'amica le pose una mano sulla spalla, rivolgendole un sorriso affettuoso. «Vedrai che andrà tutto bene, sei la migliore in questo genere di cose.»
«È vero», convenne Rose. «Al padre di Adrien piacerà senz'altro il modello che hai disegnato e cucito per la sfilata.»
Quella cieca fiducia commosse la ragazza, che subito si sentì rincuorata dalle loro parole. «Abbiamo fatto tutte e tre del nostro meglio, perciò... qualunque sia il risultato di oggi, potremo comunque dichiararci soddisfatte del nostro lavoro.»
Mentre si dirigevano verso l'aula adibita a spogliatoio maschile, Nathaniel occhieggiò in direzione di Adrien. Loro due non parlavano molto, a dire il vero, ciò nonostante nutrivano una simpatia reciproca, dovuta principalmente al fatto che erano entrambi di indole pacifica. C'era, invero, anche un'altra cosa che li accomunava parecchio: l'affetto per Marinette. Nonostante fosse in classe con lei da anni, Nathaniel non si era mai dichiarato in modo aperto, vuoi per via della timidezza, vuoi soprattutto perché, proprio quando era stato sul punto di trovare il coraggio per farlo, era arrivato Adrien e l'attenzione della ragazza era stata subito calamitata da lui e dal suo bell'aspetto, dal suo carisma e dai suoi modi educati e socievoli. Abituato com'era ad ammirarla da lontano e con un occhio diverso da quello di molti altri, i sentimenti di Marinette per Adrien erano stati immediatamente chiari al giovane artista, e se anche sulle prime ci era rimasto male, con il passar del tempo si era reso conto che l'unico con cui avrebbe dovuto prendersela era se stesso, per non aver avuto il coraggio di fare la sua mossa prima che lei volgesse le proprie attenzioni altrove. Inoltre, a voler essere onesto, come poteva avercela con Adrien? Era sempre così gentile e premuroso con tutti e...
«Tutto... bene?» si sentì chiedere con fare titubante. Colto in flagrante mentre lo stava fissando di sottecchi, Nathaniel sobbalzò. «Sei nervoso per la sfilata?»
«N-No... Cioè, sì», si corresse subito dopo. Insomma, era talmente timido e rigido, quando si trovava al centro dell'attenzione, da avere il più che giustificato timore che una volta in passerella sarebbe arrossito come non mai e avrebbe persino finito con il cadere – magari addosso a qualcuno dei giudici. «Non sono granché, rispetto a te...»
Adrien corrucciò la fronte, contrariato da quell'ultima affermazione. «Io ho soltanto la pratica, dalla mia.»
«E un bel faccino», lo corresse l'altro, non sapendo se essergli grato o meno per non aver sottolineato l'ovvio. «Per non parlare dell'altezza, che a me manca. Questo non puoi certo negarlo.» Adrien strinse le labbra, incapace di ribattere, e lui apprezzò quel silenzio, a testimonianza che il suo compagno di classe non era un ipocrita. Trovandosi ora a tu per tu con lui, Nathaniel si convinse che fosse un buon momento per parlargli; perciò, prima che varcassero la soglia dell'aula, arrestò il passo e chiese: «Quindi... ora state insieme?»
L'altro sgranò gli occhi e si fermò a sua volta, sorpreso da quella domanda. Aveva quasi dimenticato che anche a Nathaniel piaceva Marinette e, benché sapesse di non avere alcuna colpa per l'essere riuscito a conquistare la ragazza, ammazzando così qualunque tipo di sogno romantico del suo compagno di classe, quasi si sentì mortificato per averlo fatto. Inoltre, lui e Marinette non avevano detto apertamente a tutta la classe dell'evoluzione che c'era stata nel loro rapporto, ma non era da escludere che lei avesse deciso di aggiornare le sue amiche al riguardo, visto che si erano premurate di farli capitare in coppia per la sfilata. Forse Nathaniel era venuto a saperlo da una di loro?
«Te lo ha detto Rose?» suppose, dato che era stata lei ad occuparsi del modello che avrebbe indossato di lì a poco il suo interlocutore.
Questi scosse le spalle. «Amico... non serve la sfera di cristallo per capire che Marinette è innamorata di te», iniziò, torturando inconsapevolmente Adrien con quella storia: possibile che fosse davvero l'unico a non averlo mai capito?! «O che tu ricambi i suoi sentimenti praticamente da sempre.»
«Ah», balbettò, sentendosi sempre più stupido.
«Quello che mi infastidisce non è tanto il fatto che lei preferisca te, chi non lo farebbe?» chiarì Nathaniel a scanso di equivoci, peccando forse di troppa modestia. «Quanto che tu ci abbia messo tanto per capirlo. E per accorgerti di ciò che provi per lei.»
Adrien si portò una mano dietro alla nuca, massaggiandola con fare imbarazzato. «Lo so, sono un caso disperato.»
Il suo compagno di classe gli concesse un sorriso timido ma gentile. «Almeno ne sei consapevole», sospirò, mettendosi il cuore in pace per aver infine ricevuto la conferma che ormai aveva perso ogni speranza di dichiararsi a Marinette. In fin dei conti, a cosa sarebbe servito? Lei conosceva già i suoi sentimenti, eppure non gli aveva mai dato l'illusione di ricambiarli, continuando ad avere occhi soltanto per Adrien. «Beh, l'importante è che tu lo abbia capito e che lei abbia smesso di starci male. Adesso mi sembra più serena, quando ci sei anche tu.»
«Lo pensi sul serio?» si stupì l'altro. Quindi Nathaniel non ce l'aveva con lui per l'intera faccenda? Era decisamente più maturo di Chloé e di molti altri loro coetanei. Forse persino di qualche adulto.
Ad ogni modo, Adrien non ricevette mai risposta a quella sua ultima domanda, poiché un boato improvviso fece tremare l'intero edificio sin dalle fondamenta.
Cadde sulle ginocchia quando la terra le tremò sotto ai piedi ed un enorme scoppio le ferì le orecchie. Intontita da quanto appena accaduto, udì il frastuono crescente della gente attorno a lei che si faceva prendere dal panico. Urla, pianti e rumori talmente forti da coprire i suoi stessi pensieri. Poi, di colpo, Marinette tornò in sé: aveva già vissuto quel tipo di esperienza, sapeva cos'era accaduto, ma non si era mai trovata nell'occhio del ciclone come in quel momento. Vide Rose e Juleka, che poco più in là si stringevano l'un l'altra sotto ai pannelli che avevano ceduto e si erano inclinati all'indietro, rischiando di travolgerle e schiacciarle se non si fossero incastrati fra loro. Le sue amiche erano spaventatissime, ma almeno sembravano incolumi. E lei? Anche lei avvertiva la paura crescere dentro di sé e gli occhi riempirsi di lacrime. Neanche per un secondo pensò che qualcuno poteva non avercela fatta: erano in uno spazio aperto, il pubblico della sfilata si trovava nel cortile interno della scuola, perciò la maggior parte delle persone doveva essere salva. A meno che la bomba, esplodendo, non avesse fatto crollare le mura dell'edificio addosso a qualcuno. Come un lampo, le passarono davanti agli occhi i volti di Adrien, Nathaniel, Chloé e Sabrina: loro quattro, insieme a chissà quanti altri, si trovavano dentro le aule.
Senza pensare a nient'altro, scattò in piedi e si fece largo per correre in loro aiuto, infischiandosene del pericolo o del fatto che in quel momento era semplicemente Marinette. Quando uscì da dietro ai pannelli della scenografia, non le fu facile capire cosa rimanesse in piedi della scuola: troppo fumo, troppa confusione. I suoi genitori? Erano lì in mezzo, ma non riusciva a vederli. Col cuore stretto in una morsa dolorosa, e aggrappandosi con tutta se stessa alla speranza che loro potessero mettersi in salvo grazie anche al tempestivo intervento delle forze dell'ordine che presidiavano l'intera zona, la ragazza scattò nella direzione opposta e quando fu in prossimità delle scale, fu costretta ad arretrare: la rampa che stava per imboccare era pericolante e, nonostante ciò, diversi ragazzi stavano scendendo di corsa da lì, col rischio di farsi seriamente male. Marinette puntò all'altra scalinata, meno affollata, e risalì fino al piano superiore, dove pure la visuale non era delle migliori. Chiamò più volte a gran voce il nome di Adrien, ma lui non le rispose. Bisognosa di recuperare il fiato, respirò a pieni polmoni ed inalò la polvere che si era alzata tutt'intorno. Tossì così forte che le parve di sentire il petto squarciarsi da qualche parte. Con gli occhi accecati dal pulviscolo e dalle lacrime, le sembrò di scorgere un bagliore ed un attimo dopo una mano scura l'agguantò per un polso.
«Stai bene?!» le gridò qualcuno, agitato almeno quanto lo era lei. «Marinette, stai bene?!» La ragazza ci mise qualche istante per capire che si trattava di Chat Noir. Dunque Adrien era riuscito a mantenere i nervi saldi abbastanza da trasformarsi subito? Non si pose ulteriori domande e gli gettò le braccia al collo, sentendosi morire dalla gioia: lui era vivo e stava bene, i dettagli glieli avrebbe chiesti dopo. «Devi allontanarti da qui», le disse il giovane, stringendola a sua volta con tutto l'amore che sentiva di provare per lei in quel momento: vederla sana e salva gli aveva restituito la facoltà di respirare e di ragionare con maggior lucidità, e lui si sentì rinvigorire. «Nathaniel e quelli che erano con me sono al sicuro. Gli altri?»
«Non lo so», balbettò Marinette, tremando appena fra le sue mani. «Rose e Juleka stanno bene, ma i nostri genitori sono rimasti di sotto e... non lo so...» concluse con un ansito, le lacrime che minacciavano di traboccare dagli occhi arrossati.
«Cerca un posto sicuro e poi raggiungimi di sotto», disse Adrien, afferrandola per le spalle per farle coraggio. «Non dubitare di te stessa. Ce la possiamo fare», le assicurò, fissandola dritta nelle iridi chiare. Lei annuì freneticamente e si passò le dita sulle guance, pronta a tornare in sé e a dare man forte al proprio partner, che le sorrise e le lasciò un ultimo bacio sulla fronte prima di balzare giù per unirsi ai soccorsi.
«Marinette, devi trasformarti!» le ricordò Tikki, sbucando dalla sua borsetta. Anche lei sembrava piuttosto frastornata, a causa di tutto quel che era successo e dello sballottolamento a cui era stata sottoposta.
«Subito», annuì lei, sentendosi di colpo più sicura di sé grazie al supporto di Adrien. Quando però pensò ad un posto in cui far ricorso ai propri poteri, si ricordò di Chloé e Sabrina. «Maledizione!» imprecò fra i denti, correndo verso l'aula che era stata adibita a spogliatoio delle ragazze.
Nessuno lo aveva notato, in mezzo a tutta quella confusione. E, sinceramente, in quel momento neanche gliene importava. La sua unica preoccupazione era un'altra: trovare Adrien. Se avesse perso anche lui, che altro avrebbe potuto fare? Non gli sarebbe rimasto più nulla. Nulla.
Si era perciò fatto forte del caos e dell'enorme nuvola di polvere che si era levata tutt'intorno a loro ed era ricorso alla propria trasformazione, imprecando contro l'incompetenza del sindaco e delle forze dell'ordine, che pure avevano assicurato controlli e avevano presidiato la scuola affinché si evitassero disastri di quel tipo. E se loro non erano capaci di fare davvero qualcosa per tutti quelli che erano rimasti coinvolti in quel nuovo incidente, beh, allora ci avrebbe pensato lui: c'era la vita di suo figlio, in gioco. Del resto, non gliene importava un accidenti.
Fra il pulviscolo creato dalla denotazione, si levò in volo un vero e proprio sciame di piccole farfalle bianche che ad un solo cenno del loro padrone si insinuarono nel cuore di diverse persone rimaste illese, tramutandole in esseri dalle sembianze stravaganti e dalla forza e dai poteri sovrumani: eccolo lì, l'esercito che lo avrebbe aiutato a trovare Adrien.
Qualcuno urlò il suo nome con tutto il fiato che aveva in corpo, sovrastando la confusione e le grida disperate di chi si era recato all'evento nella vana speranza di tornare alla vita di tutti i giorni. I suoi occhi grigi si posarono su quelli verdi dell'eroe in nero, che lo fissava con rabbia, i pugni serrati attorno al proprio bastone da combattimento. Pur comprendendo il motivo di tanta ostilità, Papillon non si scompose e con un leggero cenno del capo lo indusse a volgere la propria attenzione verso ciò che stava accadendo lì intorno. Chat Noir abbassò l'arma, incredulo: per la prima volta da che era iniziata la loro guerra, le akuma del suo nemico non stavano contaminando il cuore di qualcuno, tutt'altro. Alla mente gli tornarono le parole del maestro Fu e una volta di più si convinse che avesse ragione lui: ciò che contava non era il tipo di potere in loro possesso, quanto il modo in cui loro sceglievano di utilizzarlo.
Il suo sguardo saettò di nuovo su Papillon, che ormai sembrava essersi dimenticato di lui e seguiva con occhi febbrili le operazioni di soccorso. Era disperato proprio come tutti gli altri, concluse Adrien, riconoscendo in lui una sensibilità che aveva sempre sottovalutato. Il suo acerrimo nemico aveva un cuore come tutti gli altri, e di nuovo si domandò quale fosse il motivo che spingesse Papillon a cercare di impadronirsi con tutte le sue forze del miraculous della Creazione e di quello della Distruzione. Quale oscuro, umano desiderio nascondeva il suo animo travagliato? Per la seconda volta da che erano iniziati gli attentati, Adrien si sentì tremendamente vicino a quell'uomo. Decise di dargli credito. Se lì sotto c'erano lui e il suo esercito di burattini, votati al bene almeno per quella tragedia, Chat Noir e Ladybug si sarebbero occupati di chi era rimasto invece di sopra.
Con una serie di balzi e acrobazie, Adrien riguadagnò il piano superiore in pochissimi secondi e tornò a cercare Marinette. «Ladybug!» chiamò, convinto che lei si fosse ormai trasformata. Non ottenne risposta e il suo cuore tremò.
«Chat Noir!»
La voce di Sabrina gli arrivò forte alle orecchie e subito scattò in direzione dell'aula in cui lei si trovava. Quel che vide quando fu dentro lo lasciò atterrito: non solo Marinette non era ancora ricorsa al proprio miraculous, per di più teneva a stento la mano di Chloé insieme a Sabrina. Parte della stanza era collassata e si era aperta una voragine nella quale la figlia del sindaco stava rischiando di precipitare, così com'era già successo ad altre ragazze. Le sue compagne di classe stavano facendo di tutto per reggerla e portarla in salvo, ma nonostante fossero in due, stavano incontrando forti difficoltà per via del pavimento che rischiava di crollare sotto ai loro piedi e della polvere che continuava ad entrare negli occhi, provocando loro un bruciore non da poco ed impedendo a tutte e tre di vedere nel migliore dei modi. L'eroe le raggiunse in un attimo e agguantò Chloé per il braccio, issandola con estrema facilità sulla porzione di pavimento ancora intatta e incitando le altre due ad allontanarsi da lì. Avvertì l'amica aggrapparsi a lui con forza, tremante e piangente, e la strinse a sua volta a sé, carezzandole la schiena con affetto. «Va tutto bene, sei salva, ora», le sussurrò all'orecchio, provando non poco sollievo per essere intervenuto tempestivamente a salvare la situazione.
Il suo sguardo cercò quello di Marinette che, con occhi lucidi e arrossati, tossì e spiegò con voce provata: «Mi sono ricordata di loro... Erano salite qui subito dopo di te...»
Compresa l'emergenza, Adrien le sorrise con gratitudine, senza neanche far caso alle parole rivelatorie di lei; in quella circostanza, nessuno vi avrebbe badato. Allentò l'abbraccio di Chloé e la guardò in volto. «Riesci a camminare?» le domandò con dolcezza. Lei annuì, trattenendo a stento i singhiozzi. «Sabrina», chiamò poi, rivolgendosi all'altra ragazza, che pareva incolume come Marinette. «Tuo padre è di sotto, il suo aiuto si sta rivelando prezioso: sii degna di lui e porta la tua amica in salvo. Sei il mio Chat Noir in seconda, ricordi?»
«Lo farò!» esclamò l'altra, fiera del proprio genitore e della fiducia che uno dei supereroi di Parigi riponeva in lei. Si chinò su Chloé e l'aiutò a rimettersi in piedi. Prima che potessero avviarsi per andare di sotto, però, la figlia del sindaco esitò un attimo davanti a Marinette, senza tuttavia dire una sola parola.
«Papillon è qui», disse Adrien non appena le due ebbero guadagnato l'uscita dall'aula. La sua innamorata si voltò di scatto a fissarlo con aria atterrita e lui subito la tranquillizzò. «Sta dando una mano con i soccorsi.» Scorse meraviglia sul viso di lei e azzardò: «Forse c'è qualcuno che ama, qui, e vuole aiutarlo.»
Marinette non questionò; si limitò ad annuire e a richiamare i poteri del proprio miraculous, mentre l'altro saltava nella voragine per accertarsi della sorte delle ragazze cadute di sotto. Ladybug lo raggiunse l'istante successivo ed entrambi si caricarono del loro peso per spostare quelle poverette, ferite ma vive, in uno spazio aperto, lontano da eventuali crolli. Per ore intere girarono l'intero istituto in cerca di altri superstiti o eventuali corpi, facendosi strada tra le forze dell'ordine e gli akumizzati di Papillon. Faceva un effetto stranissimo trovarsi a collaborare con il loro acerrimo nemico. In uno di quei burattini, Marinette riconobbe suo padre e, anziché preoccuparsi per la cosa, per una volta si sentì sollevata: almeno lui stava bene. Sua madre, invece? La scorse alcuni minuti più tardi, insieme ad Alya e alla sua famiglia, tutti radunati in strada, fuori dalle mura dell'edificio scolastico. I suoi compagni di classe erano tutti lì, eccetto Ivan e Kim. Vista la mole e la forza fisica, Papillon aveva deciso di usarli per i soccorsi? Marinette lo sperò con tutto il cuore.
«Mio padre non c'è.»
Quell'osservazione, pronunciata con un tono di voce teso e vibrante, le arrivò attraverso l'auricolare posto all'orecchio destro e la indusse voltarsi in direzione dell'amato proprio un attimo prima che lui allineasse il corpo senza vita di un ragazzino a quelli delle altre vittime, stese su quel lembo di strada che divideva la scuola dalla pasticceria dei Dupain-Cheng. Si chiamava Matthieu, era al secondo anno, e frequentava la loro stessa sezione. Le grida disperate di chi lo identificò trapassarono il cuore di Marinette che non riuscì ad impedirsi di versare l'ennesima lacrima silenziosa di quel maledetto pomeriggio pieno di orrore. Ogni volta che avesse guardato oltre le vetrine del negozio dei suoi genitori o le finestre di casa, avrebbe rivisto quella distesa di cadaveri?
«Forse non l'hai scorto a causa della polvere», disse con un groppo in gola, raggiungendo Chat Noir e aggrappandosi al suo braccio.
Era sporco di fumo e sangue non suo, e levò su di lei due occhi stanchi e colmi di preoccupazione. «Il mio visore mi consente di vedere nitidamente anche di notte», le ricordò atono. «Non c'è.»
«È possibile che non fosse ancora arrivato?»
«Nathalie era con lui e ora lei è in salvo, vicino a Place des Vosges.»
«Allora anche tuo padre potrebbe essere lì.»
«Non c'è», ripeté ancora il giovane, questa volta fra i denti, le mascelle serrate. Gabriel non era né fra i sopravvissuti né fra le vittime, e questo voleva poter dire solo una cosa: era ancora lì, da qualche parte, sepolto sotto cumuli di macerie. Quante speranze c'erano che potesse essere ancora vivo? Adrien avvertì la rabbia rimescolargli lo stomaco e risalire fino ad annebbiargli i sensi. «Devo trovarlo. A qualunque costo.»
Detto questo, scappò di nuovo dentro l'edificio, senza darle tempo di ribattere. Marinette lo chiamò indietro, ma lui non l'ascoltò. Stringendo a sua volta i denti, la ragazza si diede lo slancio a mezz'aria per dirigersi verso Place des Vosges e fu lì che Alya la bloccò. «Ladybug!» esordì disperata. «Marinette! La mia amica... non la troviamo da nessuna parte!»
L'eroina spostò lo sguardo sulla figura di Sabine che, piccola e pallida, si aggrappava con forza al braccio della sua amica del cuore, gli occhi rossi per il pianto e intrisi di una speranza che avrebbe potuto ucciderla se si fosse rivelata infondata. Ladybug sorrise. «Marinette Dupain-Cheng, giusto?» chiese in tono gentile, posando con dolcezza una mano sulla sua spalla e rincuorandola con una carezza. «Sta bene, è del tutto incolume.» Vide sua madre scoppiare in un pianto liberatorio, mentre Alya tornava a respirare a sua volta e abbracciava la donna per tranquillizzarla. «Con lei c'è anche Adrien Agreste», aggiunse, affinché passassero parola agli altri. «Abbiate pazienza, in mezzo a questo caos è difficile riuscire a trovarsi.»
Rasserenate loro sulla sorte sua e di Adrien, Ladybug tornò a dirigersi verso il centro di Place des Vosges, dove, dall'alto di un lampione, scorse Chloé insieme a Sabrina e a Nathalie. Subito si precipitò da loro e, non appena la vide, la figlia del sindaco le corse incontro, allacciando le braccia attorno al suo collo. «Mi dispiace!» esclamò di getto, la voce rotta dai singhiozzi a stento trattenuti. «Sono stata crudele, l'altro giorno, e invece voi... voi...!»
Per la prima volta in quattro anni, Marinette strinse Chloé a sé, con affetto sincero. «Va tutto bene, non piangere...» la incoraggiò, massaggiandole la schiena per farla smettere di tremare. «Non sono arrabbiata.» Non era una bugia, perché davvero in quel momento era soltanto felice di vederla in salute – e anche pentita per aver trattato male sia lei che Chat Noir. E benché la ragazza fosse ancora avviticchiata al suo collo, spostò la propria attenzione su Nathalie. «Mademoiselle Sancoeur, monsieur Agreste è con lei?»
La donna scosse il capo. «Ma sta bene, l'ho visto con i miei occhi.» Marinette si sentì rinascere, quasi come se quella notizia avesse riguardato il suo stesso padre. «Suo figlio, però...»
Ladybug la interruppe subito: «Anche lui sta bene. Avverta della cosa monsieur Agreste, la prego. Sarà in ansia per lui.» Allontanò gentilmente da sé Chloé e si portò una mano all'auricolare.
Di nuovo all'interno dell'edificio scolastico, Chat Noir si guardava attorno: l'esercito di Papillon sembrava aver terminato la rimozione delle macerie e, con esse, anche l'estrazione di chi, tra feriti e deceduti, vi era stato sepolto a causa dell'attentato. Nessuna traccia di suo padre. Possibile che non l'avesse visto?
«Continuate a cercare!» urlò qualcuno alla sua sinistra. Voltò lo sguardo e scorse il portatore del miraculous della Farfalla sul punto di crollare: era pallido, le sue labbra erano tirate in una smorfia sofferta e tutto il suo corpo sembrava un fascio di nervi pronto a spezzarsi da un momento all'altro.
«Chi cerchi?»
La domanda del ragazzo non ottenne risposta, ma un istante dopo ricevette la chiamata della propria compagna. «È vivo.» Quelle due semplici parole bastarono a farlo rinascere. Calde lacrime di gioia salirono a riempirgli gli occhi e lui si accasciò in ginocchio al suolo, avvertendo di colpo la stanchezza impadronirsi di ogni fibra del suo corpo. «Chaton?»
«Grazie», disse soltanto. «Grazie», ripeté, sentendo di dovere a quella voce amata tutto il proprio mondo. Aveva perso già sua madre, non era pronto a dire addio anche a suo padre. Quell'uomo, per quanto imperfetto e severo potesse essere, era tutto ciò che rimaneva della sua famiglia. E se anche finiva per litigare con lui, per arrabbiarsi e portargli rancore, Adrien lo amava con tutto se stesso.
«Chaton...» Il tono dolce e tenero di Marinette lo riportò vagamente alla realtà e lui tornò a guardarsi attorno, pur con fare confuso. «Ho detto all'assistente di tuo padre che stai bene, così anche lui potrà tranquillizzarsi. Com'è la situazione, lì dentro?»
Il giovane rivolse di nuovo la sua attenzione a Papillon, che, come lui, ora sembrava impegnato in una conversazione privata con qualcuno. Che avesse un aiutante? Un altro portatore di miraculous? «Il sindaco e monsieur Damocles, insieme al padre di Sabrina, sono qui a...» Diamine, gli veniva persino difficile trovare le parole per esprimersi. Sospirò a fondo. «Sono feriti, eppure sono qui a tenere il conto di coloro che mancano all'appello e a dirigere le operazioni insieme al nostro farfallone mascherato. A proposito... credo stia davvero cercando qualcuno.»
Marinette immagazzinò quell'informazione con una certa sorpresa: benché Adrien lo avesse già supposto, qualche ora prima, avere quella conferma le faceva vedere il loro nemico sotto una luce diversa, più umana. «Sto arrivando.»
«No, aspetta», la fermò Chat Noir, prima che lei potesse chiudere la conversazione. Papillon aveva steso un braccio avanti a sé, poggiando il palmo della mano contro uno dei muri ancora intatti e ciondolando la testa in avanti, la bocca finalmente stesa in quella che gli parve un'espressione di puro sollievo. «Credo che gli sia arrivata una buona notizia... Sta sorridendo in modo... genuino. È inquietante», commentò poi, stranito da ciò che vedeva ma felice che non vi fossero state nuove vittime da aggiungere al già tragico elenco. «Vado a parlargli», decise infine.
«Stai scherzando? Non da solo, per favore», si allarmò subito Ladybug, avviandosi per raggiungere di nuovo la scuola.
«Non ha intenzioni ostili. Non oggi», le garantì l'altro, mettendosi in piedi sebbene le gambe gli tremassero spaventosamente. «Resta fuori, in mezzo a chi ce l'ha fatta: hanno bisogno di te, dei tuoi sorrisi e delle tue parole di conforto.»
Marinette dovette dargli ragione, suo malgrado. Avrebbe voluto essergli accanto in quel momento delicato e potenzialmente rischioso, ma doveva fidarsi di lui proprio come lui si fidava di lei. Fece scorrere lo sguardo sull'intera folla ammassata lì a Place des Vosges, dove le autorità stavano finendo di radunare i superstiti dell'attentato, e per la prima volta si accorse che, chi più chi meno, tutti guardavano nella sua direzione: era il loro faro di speranza in quell'orribile oscurità che da troppe settimane stava devastando Parigi nel corpo e nell'anima.
«Chiamami, se dovessi averne bisogno.»
«Lo farò», le promise Adrien, chiudendo la comunicazione.
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Ebbene sì, siamo giunti al capitolo chiave. Potrebbe dare l'impressione di essere risolutivo per certi versi, ma per certi altri, come avrete intuito, non sembra altro che nuova benzina gettata sul fuoco. Ai posteri l'ardua sentenza.
Frattanto lasciate che vi porga le mie scuse: non sono mai brava con i capitoli d'azione. Certo qui non racconto di una battaglia vera e propria, né mi interessava farlo, a dirla tutta. Come per il resto della storia, la mia priorità qui consiste nel descrivere gli stati d'animo dei personaggi - e dei protagonisti nel caso specifico - creando poi tutta una serie di evoluzioni - o involuzioni - dovute al catastrofico scenario che ho imbastito intorno a loro. Spero di essere riuscita almeno in parte nell'intento, perché ho sempre il dubbio di non esserne del tutto capace.
Gabriel/Papillon. L'ho volutamente trascurato fino al capitolo scorso per questa ragione, benché già nell'incontro fra Adrien e Marinette e il maestro Fu io avessi già in mente di sottolineare anche i pregi del suo potere. Perché ne ha, è fuor di dubbio. Peccato solo che Gabriel, allo stato attuale delle cose (nella serie, intendo), decida di utilizzarlo per meri scopi egoistici. Spero davvero che riesca a ravvedersi, soprattutto prima che diventi inevitabile una resa dei conti (mi auguro non fisica) con il povero Adrien. Ovviamente con lui non ho finito. Né ho finito con Chloé. Li ritroverete anche nei prossimi capitoli, quindi fateveli piacere, per favore. XD
Quanto ai nostri pupilli... anche loro subiranno le conseguenze di quanto già accaduto, purtroppo. Ad un certo punto, anche in modo più o meno straziante. Nessun morto, tranquilli. E nemmeno una separazione, vi faccio questo spoiler così almeno non mi insulterete senza motivo. XD
Credo di non aver più nulla da aggiungere, per questa volta. Vi aspetto al prossimo aggiornamento, ringraziandovi come sempre di cuore per il sostegno e l'affetto che mi dimostrate con le vostre impressioni sulla fanfiction.
Buona serata a tutti! ♥
Shainareth
P.S. Quasi dimenticavo! Non ci sarà alcuna shot a chiusura della saga. Non perché io sia cattiva, quanto perché ho tirato giù un ulteriore capitolo, a mo' di epilogo vero e proprio, anche se un pochino più lungo. Spero vi piacerà!
P.P.S. Ringrazio di cuore RaffyChan8 per la copertina di questo capitolo! ♥
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