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Capitolo quinto

I suoi occhi si spalancarono alla vista del suolo che si avvicinava a tutta velocità e lui lanciò un urlo strozzato, certo ormai di diventare un tutt'uno con l'asfalto e di dover dire addio ai suoi giorni di gloria e al grande amore della sua vita. Qualcosa, tuttavia, gli si avviticchiò saldamente attorno ad una caviglia, strattonandolo verso l'alto e arrestando bruscamente la sua corsa verso un'orribile fine appena prima di diventare della stessa consistenza della marmellata.

   «Sul serio, chaton?» si sentì chiedere da qualche parte, più o meno in direzione del punto dal quale era precipitato giù come un sasso.

   «My lady!» chiamò lui, tirando il più grande sospiro di sollievo della sua vita. «Sapevo che saresti venuta! Sono troppo bello per morire!»

   Il filo dello yo-yo che lo aveva salvato da morte certa smise di tendersi e Chat Noir crollò a terra come un sacco di patate. Il rumore sordo di qualcosa che atterrava accanto a lui lo indusse ad alzare lo sguardo e i suoi occhi verdi percorsero le gambe affusolate della sua partner in tutta la loro lunghezza prima che lei si chinasse per districare la propria arma dalla sua caviglia e ripetere la domanda: «Sul serio? Ti sei davvero fatto intrappolare da una ciambella?»

   Accartocciato sull'asfalto con il busto e le braccia incastrati in quello che sembrava essere un enorme salvagente di pasta dolce, il giovane accennò un sorriso. «È una storia buffa.»

   «Non stento a crederlo», sospirò lei, aiutandolo a mettersi seduto e iniziando a sfaldare fra le mani la soffice ma spessa consistenza della ciambella. «Chi hai fatto arrabbiare, stavolta?» chiese poi, facendo inaspettatamente riferimento alla vera identità del collega e a ciò che era successo tempo prima al cinema.

   Adrien ne fu felice, ma evitò di darle corda per un semplice motivo: erano ormai passati tre giorni da quando entrambi avevano avuto la conferma di chi fosse chi, eppure Marinette aveva fatto di tutto per non darlo a vedere, segno che probabilmente non si sentiva ancora pronta ad affrontare l'argomento – forse anche per via di quello che c'era stato fra loro l'ultima volta che avevano vegliato su Parigi nei panni dei loro alter ego. Per questa ragione, Adrien aveva deciso di rispettare quella sua decisione, lasciandole tutto il tempo di ragionarci su a fondo.

   «Che tu ci creda o no, me ne stavo beato a letto quando Papillon ha deciso di farci fare la levataccia anche di domenica mattina», rispose Chat Noir, ormai libero e incurante del fatto che fossero già le dieci. Prese un pezzo di dolce fra le dita e se lo portò al naso, annusandolo con diffidenza. Ne leccò la superficie. «Mh. Buono», commentò fra sé, infilandolo in bocca con un gesto rapido che fece inorridire la sua amica.

   «Pazzo incosciente! Non hai pensato che potrebbe essere avvelenato?!»

   «È per questo che l'ho esaminato prima.»

   «Con perizia scientifica, a quanto mi è parso di vedere...» fu il sarcastico commento di Ladybug.

   Lui scrollò le spalle, mangiandone un altro boccone. «Non ho avuto il tempo di fare colazione, e se la mattina non mangio, non riesco ad ingranare.»

   «Prega solo che quella roba non nasconda qualche arcano potere che ti spinga a schierarti dalla parte del nemico.»

   «Solo perché è successo in un paio di occasioni, non vuol dire ch...» Le parole gli morirono in bocca non appena si accorse di ciò che era comparso in lontananza, alle spalle della ragazza. «Attenta!» gridò, tuffandosi su di lei prima che venisse colpita da qualcosa che rimbalzò contro il palazzo accanto al quale si erano trovati fino ad un attimo prima.

   Pur essendosi già trovata schiacciata più volte sotto al peso di Chat Noir, Ladybug annaspò per l'imbarazzo di quella situazione: adesso sapeva che lui era Adrien, il ragazzo del quale era innamorata ormai da mesi e che la mandava nel pallone tutte le volte che le si faceva troppo vicino. Come in quel caso. «Bonjour, mademoiselle~» flirtò il giovane, che pur provando le medesime sensazioni, preferiva continuare a comportarsi come un idiota pur di spronarla a reagire come faceva di solito davanti alle sue avance.

   Ebbe il successo sperato, poiché Marinette lo trucidò con lo sguardo. «Spostati. Subito», gli ordinò con fare perentorio, inducendolo a rialzarsi e a darle persino una mano per tornare ritta sulle gambe. «Cos'era?» domandò, guardandosi attorno.

   «L'akumizzato fresco di giornata», rispose Chat Noir, mettendosi sulla difensiva.

   Solo in quel momento l'altra si accorse che non era armato. «Che fine ha fatto il tuo bastone?»

   «Anche questa è una buffa storia», sviò il discorso lui, inducendola a roteare gli occhi verso l'alto.

   «Va' a recuperarlo, ti copro le spalle.»

   «Fa' attenzione. Per quanto innocuo possa sembrare, ti assicuro che quel tipo è davvero tosto.» Detto ciò, Chat Noir prese la rincorsa e si diede lo slancio per balzare sulle sporgenze dei palazzi circostanti e raggiungere il punto da cui era caduto, sperando che la sua bella non si facesse sopraffare dalla paradossale abilità del nemico, un buffo ominide il cui corpo sembrava avvolto in decine di appetitose ciambelle di varie dimensioni. E se non fosse stato disgustoso pensare che sotto quegli strati di pasta dolce c'era una persona, il giovane gli avrebbe volentieri dato un morso. Giunto sul luogo del loro precedente scontro, si guardò attorno alla ricerca del proprio bastone e non appena lo vide lo raggiunse con un salto, lo afferrò fra gli artigli e si preparò a lanciarsi in aiuto della sua collega. Proprio un attimo prima di farlo, un enorme boato lo colse di sorpresa e lo spostamento d'aria fu tale da farlo quasi cadere in ginocchio. Allarmato, si voltò indietro e subito i suoi occhi catturarono una nuvola di fumo in lontananza. Non poteva essere opera dell'akumizzato, lui era da tutt'altra parte insieme a Ladybug. O no?

   Col cuore in gola, Chat Noir balzò di sotto e ruotò il bastone sopra la testa per fare attrito con l'aria e atterrare senza traumi. «Ladybug!» chiamò spaventato. La individuò in fretta, non lontana da lì, immobile così come sembrava esserlo anche l'uomo-ciambella.

   «Cos'era?» domandò la ragazza con voce malferma.

   «Forse... una fuga di gas...» ipotizzò il giovane per non spaventarla più di quanto non fosse.

   Pochi istanti dopo, Ladybug lanciò per aria lo yo-yo, richiamando il suo potere speciale e adoperandosi per sconfiggere il prima possibile l'avversario. Chat Noir le fu subito accanto, avvertendo tutta la sua determinazione; sapeva, però, che dietro quello sguardo risoluto, dietro quelle azioni rapide e decise, si nascondeva in realtà una paura che entrambi avevano già sperimentato non troppo tempo prima.

   L'uomo-ciambella venne sconfitto di lì a poco e i due eroi furono liberi di accorrere verso il luogo dell'esplosione, incuranti per una volta di ciò che si lasciavano alle spalle. Non appena si fermarono sul tetto di un edificio non distante dalla nuvola di fumo che impediva loro di capire cosa fosse accaduto, Adrien sbirciò verso Marinette, che serrava le mascelle e i pugni, gli occhi lucidi per la rabbia e l'impotenza: neanche il miraculous di Ladybug era riuscito a sistemare quel disastro.

   «Allontanati», disse Chat Noir in tono fermo. Vide l'amica scuotere il capo, ostinata. «Stai per ritrasformarti», le fece notare, visto che l'altra pareva non essersene neanche accorta. «Ci penso io, qui», continuò. «Non ho usato il mio Cataclisma, posso gestire la cosa fino a che tu non sarai di ritorno.» Le iridi azzurre di Ladybug si posarono finalmente su di lui, e il giovane vi lesse lo stesso dolore che ora attanagliava anche il suo cuore. «Non farti vedere dagli altri. In un modo o nell'altro, hanno bisogno di noi.»

   Detto questo, spiccò un salto e si tuffò nella nube scura senza pensarci un secondo di più. «Adrien!» urlò Marinette, mentre la trasformazione si scioglieva e lei tornava ad essere semplicemente un'adolescente senza poteri. Cadde sulle ginocchia e si strinse nelle spalle, furiosa con se stessa: perché riusciva ad essere fredda e determinata nella lotta contro Papillon, anche nei momenti più critici, ma non era capace di mantenere ugualmente i nervi saldi quando si trattava di salvare davvero la vita di qualcuno? Anzi, quando si trattava di fare i conti con la crudeltà di esseri umani peggiori persino di Papillon, persone che non avevano bisogno di poteri magici o di un aspetto bizzarro per poter essere definite mostri.

   «Marinette...» La voce di Tikki le arrivò come un pigolio alle orecchie e lei subito tese le mani nella sua direzione. «Per quanto possa essere difficile, ha ragione lui: hanno bisogno di voi.»

   La ragazza annuì e si passò le dita sugli occhi, asciugando le lacrime che erano scese a bagnarle il viso. «Dobbiamo fare in fretta», disse, passando all'amica uno dei dolcetti che teneva sempre nella borsetta per ogni evenienza. E mentre il suo kwami si rifocillava, lei guardò in basso: la nube iniziava a diradarsi, ma l'unica cosa che riusciva a vedere erano soltanto i lampeggianti dei mezzi dei soccorritori. Sembrava esserci una bolgia infernale, lì sotto, eppure Adrien non aveva esitato neanche per un secondo e ci si era buttato dritto in mezzo, prendendosi solo un momento per farle coraggio. Forse Chat Noir alle volte non riusciva ad essere decisivo nella lotta contro gli akumizzati, ma era molto più in gamba di lei quando si trattava di affrontare le battaglie più difficili e dolorose.

   «Ha bisogno di me...» sussurrò a se stessa, avvertendo la determinazione tornare ad impadronirsi di lei. «Tutti loro hanno bisogno di me.»

   «Sono pronta», le rispose Tikki, sentendo di aver recuperato tutte le energie necessarie per una seconda trasformazione. «Andiamo.»

   Quando si immerse nella nuvola di fumo, scoprì che essa si trovava sospesa a mezz'aria e che al suolo la visuale era decisamente migliore, a parte nelle zone in cui aveva iniziato a propagarsi un incendio. Si affrettò verso il luogo del disastro, ma si bloccò non appena vide Chat Noir, in piedi, immobile dietro ai soccorritori che cercavano di domare le fiamme. Lo chiamò, raggiungendolo, e quando fece per superarlo lui le si parò davanti, afferrandola per le spalle e bloccandola. I suoi occhi erano arrossati non solo per il fumo. Ci mise qualche attimo prima di riuscire a parlare, e quando lo fece la sua voce manifestò tutta la sua angoscia. «Non andare.» Lo sguardo interrogativo di lei lo indusse a proseguire. «Non c'è nulla che possiamo fare. Non ora.»

   Vide Ladybug afferrarsi il labbro inferiore fra i denti, le lacrime che salivano di nuovo a bagnarle le ciglia scure. «Cosa... Cosa è successo?»

   «Stanno cercando di capirlo, ma... non credo ci sia rimasto niente da salvare.»

   «Forse... Forse qualcuno c'è...» sperò con tutto il suo cuore, facendo scivolare lo sguardo oltre le spalle del compagno.

   Lo vide scuotere il capo con desolazione. «Non per quello che ho visto io...»

   Il sangue le si ghiacciò nelle vene e i suoi occhi tornarono a cercare quelli di lui, pallido in volto come se fosse sul punto di sentirsi male. Cos'aveva visto, Adrien? Quale strazio voleva evitarle? Era per questo che l'aveva fermata, per proteggerla ancora una volta. Sollevò le braccia per cingergli il viso fra le mani e si sollevò sulla punta dei piedi per baciargli una guancia; lui si aggrappò a lei con forza e Marinette lo tenne stretto contro di sé, mentre Adrien nascondeva il volto contro la sua spalla. Tutto attorno a loro parve rallentare, persino i suoni giungevano ovattati. Fu il grido di qualcuno a dare loro la scarica di adrenalina necessaria per reagire. Si scambiarono un ultimo sguardo, infine, decisero che sarebbero stati ancora una volta il simbolo di speranza dell'intera città.


«Sono davvero straordinari», affermò Alya il giorno dopo, a scuola, mentre scorreva sul cellulare le immagini delle riprese televisive in cui Chat Noir e Ladybug erano stati immortalati insieme agli altri soccorritori mentre tentavano di portare in salvo i superstiti. «Anche in situazioni del genere continuano a dare prova di essere degli eroi.»

   «Non sono loro i veri eroi», si sentì smentire. «Non stavolta.»

   Spostò lo sguardo sull'amica, che se ne stava curva sul banco con le braccia incrociate e il viso nascosto su di esse. Quella mattina Marinette non aveva affatto una bella cera e Alya si era permessa di preoccuparsi. Le aveva chiesto se non fosse malata, ma lei le aveva assicurato che era soltanto molto scossa per quanto stava accadendo negli ultimi giorni nella loro città. Non aveva faticato a crederle, Marinette era un tipo sensibile e, soprattutto, l'intera Parigi viveva ore di autentica paura. Dopo la bomba di quella domenica mattina alle Galeries Lafayette, che aveva praticamente fatto crollare buona parte dell'edificio, l'esplosione allo Shoah Memorial non poteva più essere considerato un semplice atto fine a se stesso. Secondo la polizia, i due eventi potevano essere collegati, ma le indagini erano ancora in corso e nessuno voleva azzardare ipotesi di alcun genere.

   «Chloé non è venuta», mormorò Alya con un certo dispiacere, a dispetto dell'antipatia provata per la compagna di classe. Il sindaco era sommerso di lavoro e sua figlia probabilmente stava risentendo di tutta quella situazione. Persino i loro genitori erano ansiosi e indaffarati, tant'è che avevano espressamente raccomandato loro di non prendere mezzi pubblici per timore che anche le linee metropolitane potessero essere prese di mira dagli eventuali terroristi che stavano mettendo in ginocchio la città.

   Nino e Adrien entrarono in aula, trovando diversi posti vuoti. Era prevedibile, pensò il ragazzo biondo, mentre faceva scivolare lo sguardo sulla figura china sul banco dietro al suo. Proprio come lui, anche Marinette doveva essere ancora del tutto scombussolata per quanto accaduto, eppure si era fatta forza e ora era lì, a scuola, come ogni mattina. Adrien era l'unico a capire come si sentisse, l'unico a condividere la stessa angoscia e lo stesso nodo allo stomaco che a volte gli riportava alla mente scene che avrebbe voluto strapparsi dalla testa, specie quando gli balenavano nitide e crudeli alla memoria ogni qual volta provava a chiudere gli occhi.

   «Ehi...» salutò Nino, sedendo al suo posto. Alya gli rispose con un sorriso, mentre Marinette grugnì qualcosa di poco intelligibile.

   La professoressa entrò in aula poco dopo, il viso pallido e tirato come quello della maggior parte dei parigini. Si guardò attorno e, notando gli assenti, strinse le labbra in un'espressione angosciata. «Vorrei potervi dare il buongiorno, ma... speriamo davvero che lo sia. Almeno oggi», esordì con un pallido sorriso sulle labbra. «Prima di iniziare, ho una comunicazione da darvi: il progetto della sfilata è sospeso e rimandato a data da destinarsi.» In un altro momento Marinette avrebbe accolto quella notizia con enorme dispiacere, ma visti gli ultimi avvenimenti, non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo. «Monsieur Damocles, in accordo con monsieur Agreste, preferirebbe evitare qualunque tipo di attività extrascolastica, almeno per il momento, e non me la sento di dargli torto.»

   «Nessuno lo fa, mi creda...» si lasciò sfuggire Alya, ricevendo un segno d'assenso dalla professoressa Bustier.

   «Per tale ragione, anche le lezioni di oggi e di domani sono sospese», riprese a parlare la donna. «Ci sono molti assenti e... immagino che questa sia la situazione nella maggior parte delle classi, perciò... Grazie per esservi fatti forza ed essere venuti comunque qui, oggi. Potete tornare a casa, ma state attenti, per favore.»

   Prima di riprendere la via di casa, i quattro amici si fermarono per alcuni istanti davanti all'ingresso della scuola. «Notizie di chi non è venuto?» domandò Alya, preoccupata per i loro compagni.

   «Ieri sera Rose mi ha chiamata dicendomi di essere salva per miracolo...» prese a raccontare Marinette, cercando di vedere almeno un lato positivo in tutta quella situazione. «Lei e Juleka dovevano andare insieme alle Galeries Lafayette, ma aveva dimenticato i soldi a casa, perciò sono dovute tornare indietro.» Le tremò il labbro inferiore e i suoi occhi cercarono spasmodicamente quelli di Adrien: era già abbastanza straziante così, ma che avrebbero fatto se tra le vittime degli attentati ci fossero state anche persone che conoscevano?

   «Chloé è bloccata in casa anche per colpa della stampa», disse il giovane in risposta alla domanda di Alya, mentre sfiorava la mano di Marinette con la propria e lei gliela stringeva con forza, in un gesto che non sfuggì ai loro amici, che tuttavia rimasero in silenzio, rispettando l'atmosfera tutt'altro che allegra che aleggiava in ogni angolo di Parigi.

   «Ivan è solo a letto con l'influenza», li rassicurò allora Nino, che aveva sentito il giovane proprio quella mattina.

   «Meglio così, almeno sappiamo che stanno tutti bene. Beh, a parte Ivan, ma comunque nulla di grave», commentò Alya, sentendosi più sollevata. «Tu, piuttosto», non si trattenne più dal chiedere, scrutando Adrien che fare incuriosito, «che ci fai, qui? Mi ero convinta che tuo padre non ti avrebbe fatto uscire di casa.»

   «Questo era quello che avrebbe voluto, in effetti.»

   «Sei scappato di nuovo?» Lui si strinse nelle spalle e l'altra ridacchiò divertita. «Penso che avrei fatto lo stesso, al posto tuo.»

   «Non potevo rimanere a casa», spiegò semplicemente Adrien, che pur avvertendo il disperato bisogno di riposare nel caldo bozzolo delle coperte del proprio letto, al riparo dagli orrori vissuti il giorno addietro, si era comunque spinto fino a scuola solo ed esclusivamente per vedere Marinette e accertarsi che lei stesse bene e non avesse avuto un nuovo crollo emotivo. «Sei riuscita a dormire, stanotte?» le domandò infatti una manciata di attimi dopo, mentre tutti insieme si dirigevano verso il negozio dei genitori di lei, in attesa dell'arrivo dell'auto della famiglia Agreste, che li avrebbe accompagnati a casa.

   «Non più di te», rispose la ragazza, condividendo appieno la sua preoccupazione. Se Adrien non si fosse presentato a scuola, quella mattina, non ci avrebbe pensato due volte a trasformarsi in Ladybug per intrufolarsi nella villa di suo padre e assicurarsi che lui stesse più o meno bene.

   Quando entrarono nel negozio, i coniugi Dupain-Cheng non sembrarono stupiti di vederli. «Abbiamo appena saputo dell'ordinanza del sindaco», spiegò Tom, subito dopo aver salutato una cliente che aveva appena fatto i suoi acquisti. «Scuole chiuse per almeno due giorni. Avrebbero potuto diradarla prima, la notizia...»

   «Vi spiace se i miei amici aspettano di sopra che qualcuno venga a prenderli?» domandò Marinette, pur sapendo già quale sarebbe stata la risposta.

   «Possono restare tutto il tempo che vogliono», disse difatti Sabine, indaffarata a sistemare dei muffin in vetrina. «Oh, questi sono per voi», aggiunse poco dopo, porgendo un vassoio a sua figlia, che le sorrise e la ringraziò con un bacio.

   Non ci volle molto prima che l'auto della famiglia Agreste si presentasse davanti al portone del palazzo e, ormai sulla soglia di casa, Alya si volse verso l'amica, indecisa se parlare o meno. Lo fece. «I miei sono al lavoro e sicuramente tra poco le mie sorelline torneranno a casa dall'asilo, perciò mi tocca fare da babysitter, ma... più tardi possiamo vederci? Mi manchi», le confessò.

   Marinette si sciolse come neve al sole e le gettò le braccia al collo. «Mi manchi tantissimo anche tu», le giurò con tutto il cuore. «Scusami se sono stata un po' scostante, in questi ultimi giorni... Vuoi che venga da te?»

   «Lascia stare, tornerò io qui», rispose l'altra, sciogliendo l'abbraccio per guardarla affettuosamente negli occhi. «So che i tuoi hanno da fare in negozio e non potranno accompagnarti fino a casa, perciò chiederò a mio padre di darmi un passaggio.»

   «Va bene, allora ti aspetto. A più tardi.» Marinette rimase a salutarli con un cenno della mano fino a che l'auto non scomparve in lontananza e il suo cellulare emise un suono: un messaggio da parte di Nadja Chamack, che le chiedeva se poteva darle una mano con Manon. Immaginando che anche lei avesse il suo bel daffare a causa di ciò che stava succedendo, e che la bambina rischiasse di rimanere da sola in casa per via della chiusura delle scuole, la ragazza accettò volentieri di dare loro una mano. In fondo, si disse, tenersi occupata con quel terremoto dai capelli castani l'avrebbe aiutata non poco a distrarsi dai brutti pensieri.


«Mi è parso di capire che ci sono stati dei progressi», iniziò Alya poco dopo che Manon si era appisolata. Indaffarata con le notizie che si susseguivano in seguito alle indagini in corso, alla fine Nadja aveva dovuto chiedere ai Dupain-Cheng il favore di occuparsi di sua figlia fino a sera; perciò la piccola era rimasta a pranzo da loro e adesso, dopo essersi scatenata nel gioco insieme a Marinette e alla sua migliore amica, era letteralmente crollata dal sonno sulla chaise longue, dove le ragazze le avevano rimboccato una coperta addosso.

   Sin dall'inizio, Marinette si era aspettata quella domanda, sia pur indiretta, perciò non fu sorpresa di sentirsela porre. Sedendo sulla sedia della propria scrivania, sorrise ad Alya. «È vero», confessò a quel punto. Anche se lei e Adrien non ne avevano ancora parlato apertamente, non sembravano più intenzionati a far finta di non aver capito come stavano le cose, quindi non aveva più molto senso tenere il segreto anche con i loro migliori amici.

    Vide Alya illuminarsi tutta. «Vi siete messi insieme?!»

   «Cosa?! No!» esclamò lei, temendo per un attimo di aver alzato troppo il volume della voce e di aver svegliato Manon. «Ma è anche vero che...» Esitò, non sapendo bene che parole usare. «Non credo ch'io possa più definire la nostra relazione come quella di due semplici amici.»

   «Vi siete baciati?» Arrossì e cercò di rifuggire lo sguardo dell'altra, che però afferrò subito la situazione e le fece un piccolo applauso. «Quando? Dove? Come?» iniziò allora, decisa a condividere ogni singola gioia della sua migliore amica. «Devi raccontarmi tutto.»

   Marinette intrecciò le braccia al petto, fissandola con disappunto. «Non mi pare che tu abbia fatto lo stesso riguardo te e Nino», le ricordò.

   La vide strizzare le palpebre e serrare le mascelle. «Sì, hai ragione», fu costretta ad ammettere Alya, per amor del vero. Sospirò rassegnata. «D'accordo, ma almeno raccontami il minimo indispensabile, per favore.»

   L'altra si lasciò sfuggire un sorriso divertito. «Eravamo davvero noi, quel giorno, in Rue Azais», confessò.

   «Lo sapevo

   «Ma non era un appuntamento vero e proprio», ci tenne a farle sapere. «O meglio... non avrebbe dovuto essere nulla del genere, però...»

   «...però è stato proprio quel pomeriggio che vi siete baciati per la prima volta», concluse per lei Alya.

   Poteva davvero considerarsi quello, il loro primo bacio? Marinette non ne era tanto sicura, perché lo aveva estorto con la forza al giovane, proprio come quello con cui li aveva salvati dai malvagi piani di Papillon. A ben pensarci, però, pur essendo sotto effetto del potere di Dark Cupido e pertanto incapace di ricordare quanto accaduto, Chat Noir aveva ricambiato d'istinto anche quello...

   «Non... è stato propriamente il primo», disse allora la ragazza, correggendo l'amica, che sgranò gli occhi scuri dietro alle lenti degli occhiali. «Non chiedermi i dettagli, non saprei davvero cosa risponderti.»

   «Da quanto va avanti, questa storia?» volle comunque sapere Alya, incredula. Per quale dannato motivo Marinette le aveva tenuta nascosta una cosa come quella?!

   Mordicchiandosi il labbro inferiore, l'altra cercò di portare il conto sulla punta delle dita, ma rinunciò poco dopo, agitando le mani a mezz'aria. «Non lo so, onestamente.» Perché se il primo bacio che lei e Adrien si erano dati risaliva all'ultimo San Valentino, c'era da considerare tutto il contorno, e cioè i tentativi di lei di farsi avanti a scuola e quelli di lui di far colpo durante i loro incontri nei panni dei supereroi parigini. Quindi, se proprio doveva dare una risposta a quella domanda, quale sarebbe stata? Da sempre?

   Alya la fissò con un'espressione a metà fra delusione e felicità. «Sei stata crudele a non dirmi nulla.»

   «Mi dispiace, davvero.»

   «Mi spieghi solo perché, nonostante tutto, non state insieme?»

   Eh, altra bella domanda. Marinette assottigliò le labbra in una linea pensosa e cercò di rispondere di nuovo sinceramente. «È... complicato, suppongo.»

   «In che senso?»

   «Non ne abbiamo ancora parlato.»

   «E che aspettate a farlo?»

   «Colpa mia, immagino», ammise suo malgrado, stringendosi nelle spalle. Conoscendo la sua timidezza, Adrien sicuramente stava cercando di non farle pressione, e lo testimoniava anche il fatto che continuasse a flirtare con lei solo quando era nei panni di Chat Noir, per farle mettere da parte l'imbarazzo e farla reagire. Inoltre, c'era da considerare anche il delicato periodo che stavano vivendo per colpa degli attentati e, sul serio, nessuno dei due al momento aveva davvero testa per parlare di quanto stava invece accadendo fra loro. «Non lo so, te l'ho detto, è complicato.»

   «Tu gli piaci, lui ti piace... mi spieghi cosa c'è di complicato? Vi fate troppi problemi!»

   Forse aveva ragione lei, ponderò Marinette, rimanendo però ferma sulle sue posizioni: non poteva certo chiedere così di punto in bianco ad Adrien di diventare il suo ragazzo, non prima di aver chiarito a dovere la faccenda dei loro alter ego. Inoltre, non poteva fare a meno di chiedersi se non fosse proprio quella la ragione che avesse spinto il giovane nella sua direzione: Chat Noir era interessato a Ladybug praticamente da sempre, e quindi lo era anche Adrien. Ma Marinette poteva vantare di averlo conquistato allo stesso modo? Magari si stava solo facendo delle fisime inutili.

   «Dimmi una cosa, una sola e poi non ti farò più domande», tornò a dire Alya, distraendola da quei ragionamenti nocivi. «La notte in cui entrambi avete finto di dormire da me e Nino... l'avete passata insieme?»

   Pur presa alla sprovvista, e a dispetto del sangue che sentì affluire al viso, Marinette ebbe la prontezza di ribattere con decisione. «Sì, ma non per il motivo che credi. E siccome hai promesso di non fare altre domande, la questione è chiusa», stabilì, intrecciando di nuovo le braccia al petto e fissandola dritta negli occhi per dimostrarle che non aveva paura delle sue bieche insinuazioni.

   L'altra sbuffò, muovendosi sul posto con fare impaziente proprio come avrebbe fatto Manon. «Sei testarda da morire, accidenti a te!» Marinette rise, per la prima volta dopo almeno ventiquattr'ore e, paradossalmente, ad Alya apparve più evidente il velo di tristezza che oscurava il suo sguardo. Non poteva certo immaginare quale fosse la ragione per cui la sua amica aveva quell'aria mesta, ma le si stringeva il cuore nel vederla in quello stato. «So che ho detto che non ti avrei fatto altre domande, però questa è la più importante di tutte e vorrei che tu fossi sincera.»

   «Di che si tratta?»

   «Adrien ti rende infelice?»

   Gli occhi di Marinette si addolcirono e le sue labbra si aprirono in un sorriso pieno d'amore. «Non potrebbe mai farlo.»





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E per il momento posterò un capitolo ogni lunedì mattina. L'undicesimo è bello che concluso da giorni, ma da altrettanti giorni sono bloccata con il dodicesimo (che è anche l'ultimo, come previsto): non per mancanza di idee o ispirazione, quanto per un problema che non mi consente di passare molto tempo davanti al PC. Spero comunque in settimana di riuscire ad andare avanti.
A parte ciò, sono l'unica ad essersi posta il problema dell'incoscienza di Adrien, nell'episodio Kung Food, quando assaggia il caramello che ricopre l'hotel dei Borgeois? No, sul serio, poteva essere avvelenato o che so io! XD Più che altro, mi domando come riesca, questo benedetto ragazzo, a passare da momenti di ottimismo come questo a momenti di totale sconforto come nell'episodio dello special di Natale (cosa che ho cercato di evidenziare in questo capitolo)... Forse è anche per questo che amo il suo personaggio, perché è molto più complesso e sfaccettato di quanto possa apparire. Quanto a Marinette, invece, il suo principale problema è l'insicurezza iniziale con cui affronta le situazioni; una volta che supera quella, diventa inarrestabile e dimostra tutto il suo valore. Insomma, penso siano entrambi davvero ben caratterizzati e realistici sotto parecchi aspetti. Spero che anche in futuro, pur crescendo, restino due personaggi interessanti proprio come lo sono adesso.
E niente, la storia va avanti e gli attentati pure. Nel prossimo capitolo, tuttavia, ci aspetta qualcosa di diverso poiché avevo a cuore trattare anche di un'altra situazione a mio avviso importante per la relazione fra Adrien e Marinette. Ah, e ci sarà finalmente anche il vero faccia a faccia. XD
La chiudo qui e ringrazio come sempre tutti voi che leggete, recensite e/o aggiungete la presente long fra le storie preferite/ricordate/seguite. Spero di cuore di non deludervi con i capitoli che seguiranno. ♥
Buona settimana a tutti! ♥
Shainareth

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