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Capitolo nono


Quando si affacciarono sulla soglia, il vecchio Fu li accolse con un sorriso paterno che fece scivolare loro di dosso parte del nervosismo. «Vi stavo aspettando», annunciò con quella sua voce pacata, capace di mettere chiunque a suo agio. «Avete infine deciso di gettare la maschera», esordì quando i ragazzi si accomodarono dopo un suo invito.

   «Non è stata proprio una cosa voluta», ammise quasi in imbarazzo Marinette, osservando Tikki e Plagg che raggiungevano Wayzz, gioiosi per quella piccola riunione.

   «Ma scommetto che ora ti starai mangiando i gomiti per non averlo fatto prima», commentò ancora il maestro, fingendo di non dar peso al rossore che era salito al viso della ragazza.

   Adrien la fissò intenerito. «Quindi lo sapeva anche lui...» constatò compiaciuto, giusto un attimo prima di affondare la punta di un dito proprio in una delle sue guance bollenti. «Che scemotta...»

   Lei gli schiaffeggiò scherzosamente la mano, lanciandogli un'occhiata indispettita. «L'unico scemotto, qui, sei tu: il solo a non aver capito un accidenti fino a che non glielo ha detto qualcun altro.»

   «Gradite una tazza di tè?» riportò la pace il maestro, mettendo sotto ai loro occhi una ciotola piena di biscotti, che Adrien divorò subito con lo sguardo.

   «Ah, sì, grazie...» rispose Marinette per entrambi, mentre il suo innamorato già allungava una mano per servirsi dei dolciumi. «Mi spiace, approfittiamo sempre della sua ospitalità. E senza neanche avvisarla, per di più.»

   «Non scusarti, ve l'ho pur detto che vi stavo aspettando», le rammentò l'uomo, mentre si adoperava per preparare loro una tisana calda. «Anzi, mi stavo giusto chiedendo come mai non foste venuti qui prima.»

   Fu Adrien a rispondere a quella domanda implicita, dopo aver mandato giù il primo boccone. «Eravamo piuttosto frastornati da ciò che era successo. Anzi, sarebbe più onesto dire che lo siamo ancora», confessò senza remore, dal momento che era convinto che fosse inutile nascondere qualcosa al guardiano dei miraculous. «È stato parecchio...»

   «...traumatizzante, lo so», completò l'altro per lui. Capiva perfettamente cosa stavano provando i due ragazzi, visto ciò a cui lui stesso era stato costretto ad assistere tanti, troppi anni prima. Evitò perciò di insistere al riguardo e passò oltre. «Immagino abbiate delle domande da pormi.»

   «In effetti è così», convenne Marinette, strofinando i palmi delle mani sui jeans, a testimonianza dell'ansia che l'aveva assalita non appena si erano trovati davanti all'edificio in cui viveva il maestro: lì avrebbero forse avuto delle risposte capaci di migliorare o peggiorare il loro stato umorale e psicologico. Si umettò le labbra con la punta della lingua. «Quello che ci stavamo chiedendo da un po'... è...» Tentennò e Adrien venne subito in suo aiuto, stringendole una mano nella propria. Si scambiarono uno sguardo per farsi coraggio a vicenda e infine Marinette tornò a parlare. «C'è nulla che i nostri miraculous possano fare, in situazioni d'emergenza? Come quelle che ci sono state nei giorni scorsi, intendo.»

   Il maestro Fu rimase in silenzio per alcuni interminabili attimi, durante i quali aveva messo l'acqua sul fuoco ed era tornato a sedere al tavolo con loro, mentre i tre piccoli kwami raggiungevano i rispettivi portatori dei miraculous. «Mi state chiedendo se quello della Coccinella può essere la soluzione a tutto, come accade di solito durante i vostri scontri con gli akumizzati di Papillon, dico bene?» I due ragazzi annuirono e lui serrò le labbra, cercando il modo più delicato per condividere con loro le informazioni che possedeva. «Come sapete, a causa dell'incidente occorso al mio ordine, non ho mai concluso fino in fondo l'addestramento di guardiano, perciò forse le nozioni che ho appreso al riguardo potrebbero essere imprecise o, peggio ancora, incomplete», prese a spiegare, suo malgrado. «Tuttavia, lì dove non posso aiutarvi con la conoscenza, posso farlo con la logica.»

   «A cosa si riferisce, nello specifico?» chiese Adrien, che più ancora di Marinette si sentiva del tutto inutile dal momento che il suo, di miraculous, non portava altro che distruzione.

   «Alla storia», rispose semplicemente l'uomo. «Se guardiamo indietro nel tempo, e più nello specifico ai precedenti possessori del miraculous della Coccinella, li ritroviamo sempre nei momenti più bui dell'umanità. Nell'antico Egitto, fra le amazzoni greche, fra le schiere dei guerrieri aztechi o, ancora, fra i campi di battaglia durante la guerra dei cent'anni», prese ad enumerare con calma, dando ai suoi giovani ascoltatori tutto il tempo per assorbire quelle nozioni. «L'elenco sarebbe molto più lungo, ma ve lo risparmierò. Ciò che è importante è che comprendiate cos'è accaduto durante tutti questi secoli. Millenni, per essere precisi. Cos'è che ricorre perennemente nei libri di storia, indipendentemente dall'epoca?»

   «La guerra», sospirò Adrien, intuendo già dove volesse arrivare il maestro.

   Quello annuì, suo malgrado. «La guerra, che causa distruzione, uccisioni, carestie, pestilenze...»

   «...e anche nel corso dei millenni, il miraculous della Coccinella non ha potuto fare nulla per evitare che accadessero quelle tragedie...» mormorò Marinette, trovando conferma in ciò che le era già stato detto dal suo kwami e abbassando lo sguardo davanti a sé. Gli occhioni azzurri di Tikki la fissarono affranti e lei si domandò quale e quanta sofferenza avesse vissuto quella piccola creatura millenaria. Di più, aveva dovuto sopportare anche la perdita dei portatori e delle portatrici, dei suoi amici, ai quali si era legata fin da che ne aveva memoria; sarebbe sopravvissuta persino a lei, quando sarebbe arrivata l'ora, senza poter fare nulla per cambiare quello stato di cose. Le sfiorò la testolina con la punta di un polpastrello, avvertendo le lacrime salire a bagnarle le ciglia scure, un nodo non indifferente in gola, il cuore stretto in una morsa soffocante: era lei, la piccola, grande Tikki la vera eroina. Lei e tutti gli altri kwami, che condividevano quel maledetto, immutabile destino.

   «Non c'è davvero nulla che possiamo fare?» La voce di Adrien le giunse come se fosse lontana, ovattata da quel dolore sordo che quasi le toglieva il fiato.

   «State già facendo il possibile», assicurò loro il maestro, che si era accorto del malessere della ragazza e la fissava ora con affetto e dispiacere. «Senza il vostro aiuto, ci sarebbero state molte, molte più vittime», fece presente loro, cercando di mantenere un tono di voce dolce per rispettare lo stato d'animo dei suoi giovani colleghi. «E vorrei che anche tu comprendessi una cosa, Adrien», aggiunse dopo un attimo, tornando a rivolgersi soltanto a lui. «Il miraculous del Gatto Nero porta con sé la distruzione, è vero. Eppure è stato proprio grazie al suo potere se è stata fatta la differenza durante le ultime tragedie successe qui.»

   Ripercorrendo dolorosamente i frenetici ricordi di ciò che era accaduto nelle ultime settimane, Adrien si rese conto che il maestro Fu aveva ragione: era stato grazie al suo Cataclisma, alla sua forza sovrumana e alla sua arma indistruttibile che molte delle persone rimaste sepolte dalle macerie erano riuscite a cavarsela.

   «Ciò che conta davvero», stava continuando il maestro, «non è il tipo di potere che possediamo, quanto il modo in cui decidiamo di usarlo.»

   E Papillon per primo ne era la dimostrazione. Adrien non avrebbe commesso lo stesso errore, non sarebbe mai caduto preda della rabbia che lo divorava continuamente, anche e soprattutto perché aveva trovato un modo infallibile per sconfiggerla: Marinette. Quando gli sembrava di soffocare per quei sentimenti negativi che minacciavano spesso di sopraffarlo, chiudeva gli occhi e pensava a lei, ai suoi occhi e al suo sorriso, al suono della sua voce e al calore del suo abbraccio. Nulla poteva scalfire il potere che gli dava l'amore che provava per lei.

   Il fischio del bollitore interruppe il discorso e il maestro Fu si alzò per versare l'acqua nelle tazze. Approfittando del momento, Adrien si sporse per baciare Marinette sul viso, facendole sussultare il cuore per quel gesto inatteso. Lo fissò stupita e lui le regalò un sorriso silenzioso, mentre con le dita le scostava una ciocca di capelli ribelli dalla guancia: quella ragazza non aveva la minima idea di quanto fosse importante per lui, di quanto colmasse d'amore il suo animo, di quanto gli facesse battere il cuore. Era paradossale, ma Marinette era in grado di farlo entusiasmare e rasserenare al contempo, e Adrien sapeva che niente e nessuno al mondo avrebbe mai potuto sostituire quel prezioso legame che entrambi avevano inconsapevolmente iniziato a tessere dal primo istante in cui si erano incontrati.


Uscirono da casa del maestro tenendosi per mano e avvertendo un disperato bisogno di condividere almeno quel contatto fisico. «Non voglio aspettare sabato», affermò Marinette, fissandolo dritto negli occhi. «Posso venire da te, stasera?»

   «Verrò io», preferì il giovane. «So come eludere le telecamere che sono disseminate all'esterno di casa mia», spiegò pratico. «In più, un gatto nero dà meno all'occhio di una coccinella con una tutina sgargiante», aggiunse in tono più leggero, sperando di risollevarle almeno un po' il morale. Parve riuscirci, perché lei gli sorrise con gratitudine. «Per le dieci va bene?»

   «Meglio se facciamo per le dieci e mezza», rispose per prudenza. «È probabile che i miei siano già a letto, a quell'ora, ma preferisco non rischiare.»

   «Non è che potresti far trovare un premio al tuo bel gattone?» domandò Adrien, sfacciato, avviandosi con lei verso il punto in cui il suo autista sarebbe venuto a prenderli di lì a poco.

   «Una ciotola di latte caldo può andare?»

   Storse la bocca in una smorfia di disappunto. «Ci aggiungeresti anche dei biscotti?»

   «E dei croissant, immagino.»

   «Per quelli, il tuo chaton potrebbe anche decidere di miagolarti quella serenata di cui parlava tempo fa.» Marinette finalmente rise e lui si deliziò per quel suono che amava sopra ogni altra cosa al mondo. Avrebbe voluto farglielo sapere, ma preferì rimandare quella confessione ad un momento più propizio; ora, la sola cosa che gli importava era che lei continuasse a sorridere: ne valeva la sua sanità mentale.

   Alla fine, tuttavia, Marinette fu costretta a mandargli un messaggio per rinviare quell'incontro. Sabine aveva preso una fastidiosa infreddatura e sua figlia le aveva imposto di rimanere a riposo: ci avrebbe pensato lei ad aiutare suo padre al negozio e questo, oltretutto, le avrebbe dato quella buona dose di distrazione che le occorreva per non fossilizzarsi su riflessioni non del tutto felici. Le preoccupazioni, però, erano sempre lì pronte ad assalirla, e Marinette ne ebbe la riprova non appena la giornata lavorativa finì e lei si ritirò in camera sua per riposare. O meglio, per fare i compiti che aveva tralasciato nel pomeriggio. Pur esausta, si costrinse a sedere alla scrivania e a prendere i libri in mano, con Tikki che la guardava con comprensibile preoccupazione.

   Il cellulare della ragazza vibrò per l'ennesima volta, quel giorno. Dopo aver contattato Adrien, Marinette lo aveva messo da parte e non vi aveva più badato. Adesso avrebbe dovuto fare la medesima cosa, dal momento che lo studio aveva la priorità, ma fu il piccolo kwami a spronarla a rispondere, un sorriso allegro sul visetto rotondo. Pur non comprendendo la ragione per cui avrebbe dovuto farlo, dal momento che si trattava per di più di un numero anonimo, la ragazza decise di fidarsi di lei e aprì la chiamata. «Dovresti considerare l'idea di mettere una gattaiola per facilitarmi l'ingresso in camera tua», le consigliò caldamente la bella voce dall'altra parte della linea.

   Marinette si illuminò di gioia. «Chat Noir!» le venne spontaneo esclamare, sentendosi subito meglio.

   «So che non ero atteso, ma sono sul tuo balcone. Verresti ad aprirmi, buginette?» Il giovane non finì di dirlo che la botola che conduceva di sotto si aprì e la ragazza ne uscì fuori in un lampo, correndo ad abbracciarlo. Pur colto alla sprovvista da quella reazione impulsiva, Chat Noir la strinse subito a sé. «Lo so, lo so, faccio quest'effetto alle donne.»

   «Non costringermi a morderti», mormorò Marinette contro la sua spalla, crogiolandosi nel suo tepore e facendo quasi le fusa al posto suo.

   Lui rise e le baciò il capo. «Anche se mi avevi detto di non venire, ho pensato che fossi troppo stanca per studiare e così... ti ho portato i miei compiti», le spiegò, allentando suo malgrado l'abbraccio e porgendole una cartellina piena di fogli e appunti. «Ti autorizzo a copiarli tutti.»

   «Grazie, ma non avresti dovuto...»

   «Sì, invece», contestò deciso.

   «Però...»

   «Lasciati viziare, ogni tanto.»

   Sorridendogli grata, Marinette accettò infine il suo aiuto. Lo prese per mano e lo trascinò di sotto con sé. «Già che sei qui, mi sembra il minimo ricompensarti a dovere.»

   «Potresti fare a meno di dire cose equivoche?»

   «Vuoi che ti lasci al freddo e al gelo per raffreddare i bollenti spiriti?»

   «Come sta tua madre?» glissò l'altro, divertito dalle sue risposte pronte.

   «È solo una leggera influenza, per fortuna», rispose la ragazza, poggiando sulla scrivania i compiti che lui le aveva portato. Tikki volò intorno a loro e Adrien allungò un dito per darle una carezza affettuosa sul pancino, solleticandola e facendola ridere. «Lo avevi visto arrivare?» volle sapere da lei Marinette, osservandoli con tenerezza. «È per questo che mi hai detto di rispondere al telefono?»

   «Esattamente», annuì il kwami. «Ero certa che ti avrebbe risollevato subito il morale.»

   «Lieto di avere tanto potere su di te, my lady», si intromise Chat Noir, ostentando una spocchia che fece ruotare le iridi dell'amata verso l'alto. «Ma non voglio rubarti altro tempo. Hai bisogno di riposare», aggiunse poi, recuperando quella dolcezza innata che lo contraddistingueva e che aveva contribuito a far innamorare Marinette.

   «Non ti fermi neanche per uno spuntino?»

   «Hai davvero l'istinto della gattara?»

   «Temo che sarà davvero la fine che farò, a furia di frequentarti. E dire che di solito non ho un bel rapporto con voi felini.»

   «Quindi sarai una gattara monogama?»

   «Suppongo di sì.»

   «Buono a sapersi, potrei diventare geloso.» Adrien si sporse per baciarla e stringerla un'ultima volta a sé. «Se hai difficoltà a capire la mia calligrafia, non esitare a chiamarmi. Per il resto... ci vediamo domani a scuola.»

   Anche dopo che Chat Noir sparì nell'oscurità della notte, Marinette rimase a contemplare il cielo buio stringendosi nelle spalle. Sebbene quella visita fosse durata appena una manciata di minuti, grazie a lui adesso si sentiva rinvigorita; non era il solo, Adrien, ad aver bisogno della sua presenza e del suo amore. Ora più che mai, Marinette era felice di poter condividere ogni cosa con lui non soltanto nel quotidiano, ma anche e soprattutto quando il destino decideva di metterli a dura prova a causa dei miraculous che erano stati affidati loro. Quel pomeriggio, il maestro Fu aveva ribadito che era più che mai certo di aver preso la decisione giusta, scegliendoli come i nuovi Ladybug e Chat Noir, quegli eroi che tutta Parigi amava e ammirava. E per quanto questo facesse bene alla loro autostima, era difficile per i due ragazzi accettare anche il rovescio della medaglia, ed entrambi lo stavano scoprendo sulla loro pelle.


«È bellissimo, Marinette!» esclamò Manon, saltellando davanti a ciò che lei le stava mostrando. Ci aveva speso su un bel po' di tempo e fatica, nonostante il periodo non proprio roseo, la stanchezza e la miriade di impegni personali e non; eppure la gioia incontenibile di quella bambina, che la guardava con due occhi pieni di meraviglia e le rivolgeva il sorriso più grande che le avesse mai visto in volto, ripagavano Marinette di ogni singolo sforzo.

   «Sono felice che ti piaccia», disse con orgoglio. «Vuoi provarlo? Così, se c'è qualcosa che non va, la sistemiamo subito.»

   Manon non se lo fece ripetere due volte, e subito si adoperò per slacciare la salopette che indossava. La ragazza l'aiutò a mettere il vestito e la piccola si mosse il meno possibile, manifestando tutto il suo sacro timore di rovinarlo o di strapparlo in qualche punto. Quando però si vide allo specchio, la sua allegria fu tale che iniziò di nuovo a saltellare per l'entusiasmo. «Sembro davvero una principessa!»

   «Oh, ma lo sei», le assicurò Marinette, riempiendosi di gioia per quella visione. In fin dei conti, si ritrovò a pensare mentre osservava il modo in cui Manon rimirava la propria immagine riflessa, anche la compagnia di quella bambina così vivace e piena di vita riusciva a risollevarle l'umore e a distrarla dalle preoccupazioni. La stessa Alya, quella mattina, l'aveva aiutata non poco al riguardo, coinvolgendola prima in una sessione di sfide ai videogames e poi negli schizzi di restyling per il Ladyblog. Era stato piuttosto strano e imbarazzante doverci lavorare su, dal momento che l'oggetto di tutta quella celebrazione virtuale era proprio lei... Di una cosa, però, andava fiera: aveva convinto Alya a dare più spazio a Chat Noir all'interno del blog; non che prima l'eroe non ne avesse avuto, ma per lei che ora guardava al giovane con gli occhi dell'amore, sembrava sempre troppo poco.

   Quando Nadja tornò a prendere Manon e la trovò vestita in quel modo, ne rimase piacevolmente ammirata e non mancò di dirlo a Marinette. «Hai davvero talento da vendere», si complimentò, mentre la bambina raccoglieva la propria roba e la metteva nello zainetto. «Non mi stupisce che tu sia molto amica del figlio di Gabriel Agreste.»

   Pur essendole grata per aver usato il termine amica anziché qualcosa di più intimo per descriverla, la ragazza non poté fare a meno di increspare la fronte, non del tutto sicura di aver afferrato il senso di quell'affermazione: la stava forse accusando di sfruttare il suo rapporto con il giovane per farsi strada nel campo della moda, in futuro? «Io e Adrien siamo in classe insieme.»

   «E andate anche parecchio d'accordo, da quel che ho potuto notare alcune settimane fa», osservò Nadja, ammiccando a quell'ormai lontano giorno in cui li aveva visti impegnati in un bacio che non lasciava molto adito a dubbi.

   Marinette arrossì. «La prego, non gli faccia domande personali al riguardo, se davvero dovesse venire ospite alla sua trasmissione...» si raccomandò allora, temendo che l'indole della giornalista di madame Chamack venisse a galla come al solito.

   Lei le sorrise con fare materno. «Non ti nascondo che non sarebbe male, come scoop... Dopotutto hai avuto anche tu, la tua bella copertina su una famosa rivista di musica», constatò, ricordando la sua collaborazione con Jagged Stone, con il quale Marinette continuava a mantenere i contatti.

   «S-Sì, ma...» iniziò a balbettare la ragazza, cominciando a temere il peggio.

   «Potresti venire anche tu come ospite, insieme ad Adrien», la provocò Nadja, che in realtà voleva solo prenderla affettuosamente in giro. Quando la vide sbiancare, però, gettò via la maschera e le sorrise con fare materno. «Rilassati, stavo scherzando.» L'altra tornò a respirare. «Non mi permetterei mai di giocare con i tuoi sentimenti.» Dopo quell'affermazione, si sentì persino in colpa per aver pensato che madame Chamack l'accusasse di trarre profitto dalla sua relazione con Adrien. Eppure, nonostante tutto, memore del pericoloso precedente della prima puntata della trasmissione della donna, Marinette decise di rimanere sul chi va là. «Manon, vogliamo andare? Si sta facendo tardi.»

   «Eccomi!» esclamò la bambina, avanzando solennemente nel suo abito da principessa. «Ci vediamo presto, Marinette!»

   «Mi trovi sempre qui», le garantì lei, abbracciandola e affondando la bocca nella sua guancia paffuta. «E anche se mancano ancora due giorni... buon compleanno.»

   Nel momento stesso in cui le due uscirono dalla sua camera, la ragazza si lasciò cadere stancamente sulla sedia della scrivania e Tikki fece capolino dal suo nascondiglio, volandole vicina. «Manon era davvero contenta del suo regalo. Devi essere fiera di te, Marinette», si complimentò, condividendo con lei quel piccolo momento di orgoglio.

   L'altra le sorrise e le porse una mano per accarezzarla. «Grazie infinite, Tikki.» E no, non solo per il tuo immancabile sostegno, avrebbe voluto aggiungere. Da quando le parole del maestro le avevano aperto gli occhi, cercava di avere maggior riguardo per quella piccola creatura, senza darla mai per scontata: le doveva moltissimo.

   «Ora che hai finito il suo vestito, potrai finalmente concederti un po' di riposo.»

   «Neanche per sogno», replicò con sguardo deciso. «C'è ancora la sfilata della scuola.»

   «Non era stata rinviata?»

   «Sì, ma grazie al cielo per il momento sembra sia tornata la pace, in città, per questo sono certa che da un giorno all'altro il preside ci comunicherà una nuova data per l'esibizione», prese a spiegare, recuperando fra gli scaffali della scrivania il suo blocco degli schizzi e aprendolo alla pagina in cui aveva abbozzato il completo che avrebbe dovuto indossare Adrien. «Mi manca ancora così tanto per finirlo...» ragionò fra sé, picchiettando il dorso della matita sul disegno fatto.

   «Stasera Adrien verrà qui, puoi chiedergli di darti una mano», le suggerì Tikki, spronandola a non preoccuparsi troppo. «Hai ancora un mucchio di tempo per finire tutto.»

   «In realtà, vorrei chiedergli anche un'altra cosa», le rivelò Marinette, che avvertiva un disperato bisogno di tenersi impegnata. Sospirò, passandosi una mano sulla fronte con aria stanca. «Anche se temo che di questo passo mi accuserà di sottrarre tutto il tempo libero a sua disposizione...»

   «Mh, non credo, sai?» la rassicurò il kwami, che aveva inquadrato Adrien anche meglio di lei. «Anzi, sarà felice di passarlo con te.»


«No, non hai capito», ricominciò Plagg, paziente, mentre Tikki, seduta davanti alla TV insieme a lui, lo fissava coi suoi grandi occhi azzurri. «Donna Ester ha sposato il barone perché credeva che il figlio di lui, Ignazio, l'avesse abbandonata, mentre in realtà era stata la suocera del barone a mettere zizzania fra loro. Perciò, a sua volta, Ignazio ha sposato Alice, che però è stata col fratello di lui, Abelardo, che la ama da sempre. Oltretutto, Abelardo e Ignazio non hanno neanche lo stesso padre, ma loro non lo sanno, e Abelardo è convinto di essere invece fratello di Alice. Ma c'è stato insieme comunque.»

   «Ne hanno di fantasia, nelle telenovelas...» mormorò Marinette, ascoltando quello sproloquio dall'alto del soppalco e arricciando il naso per quell'ultima rivelazione.

   «In realtà, se proprio vuoi saperlo», protestò Plagg dabbasso, quasi come se l'avesse presa sul personale, «nella mia lunga vita ho visto cose ben peggiori di queste.»

   «Persino del figlio che Alice aspetta da Abelardo e che vuole spacciare per figlio di Ignazio?»

   «Oh, allora sei stata attenta...»

   «Come una brava comare», assicurò Marinette, ridendosela sotto ai baffi. Chi diamine se l'aspettava che quel piccolo kwami pasticcione fosse anche interessato a storie del genere?

   «Ha iniziato a guardarle per noia e per prenderle in giro», spiegò allora Adrien, steso a metà sul letto insieme a lei, «ma ho il più che giustificato sospetto che con l'andare del tempo si sia appassionato sul serio.»

   «Ma perché Alice è stata con Abelardo, pur sapendo che sono fratello e sorella?» s'incuriosì Tikki, che a dirla tutta non trovava davvero strane quelle relazioni incestuose o presunte tali. Aveva vissuto ai tempi dei faraoni, dopotutto, dove nella famiglia reale unioni del genere erano più che incoraggiate per preservare la purezza del sangue della dinastia.

   «Non sono davvero fratelli», le svelò Plagg, spalancando gli occhi verdi. «Anni prima, la moglie del rivale del barone aveva perso il bambino che aveva dato alla luce, ma siccome è pazza e voleva dare a tutti i costi un figlio a suo marito, ha rapito una neonata e l'ha spacciata per figlia sua.»

   «Io comincio a perdere il filo», si arrese Marinette, decidendo di non ascoltare un'altra parola di quell'assurdità.

   «Pensa a me, che devo sorbirmi questa roba anche mentre studio», sospirò sconsolato Adrien, ruotando le pupille verso il soffitto. «E ha pure il coraggio di accusarmi di essere melenso.»

   «Tu sei melenso», ribadì il kwami per dovere di cronaca.

   Adrien lo ignorò a bella posta. «Allora, me lo fai vedere, questo schizzo?» domandò all'amata, tirandosi un pochino su e poggiando la schiena contro i cuscini. La ragazza gli passò il blocco con gli appunti e i disegni fatti per la sfilata, indicandogli le sue preferenze e lui annuì soddisfatto. «Adoro i tuoi modelli...»

   «Sei di parte», si schermì Marinette.

   «No, non è vero», le assicurò il giovane. «Se ben ricordi, mi piacevano già molto tempo prima che noi due...» Lasciò cadere la frase nel vuoto, non del tutto sicuro di come continuarla. Vide la sua innamorata fissarlo accigliata e questo contribuì a renderlo teso. «Beh, che ci...»

   «Sul serio non sai come definire il nostro rapporto?» volle sapere a quel punto Marinette, incrociando le braccia al petto con aria sconcertata. Non era stato lui stesso a definirsi il suo fidanzato e ad augurarsi di passare l'intera vita insieme a lei non più tardi di una manciata di giorni prima?

   «No, no», scattò subito sulla difensiva Adrien, le labbra stese in un sorriso tirato. «Certo che lo so. È solo che... non ne abbiamo mai parlato davvero.» Lei aprì la bocca per dire qualcosa, ma ci ripensò e sbuffò, agitando le mani con fare nervoso. «Ok, ascolta», ricominciò il giovane, mettendo da parte il blocco da disegno e prendendole le dita fra le sue con dolcezza. «C'è una cosa che dovrei dirti da un po'... da un bel po' e se ho esitato fino ad ora è stato solo per una stupida... paura, credo.»

   «Aspetta, ho capito», lo interruppe Marinette, raccogliendo le ginocchia al petto e fissandolo dritto negli occhi con aria seria e compassata. «In realtà siamo fratello e sorella pure noi.» Adrien fu tentato di scipparle il cuscino da dietro la schiena e di usarlo per colpirla in faccia, ma alla fine riuscì a domare l'istinto e incrociò le braccia al petto, regalandole un'espressione immusonita. «Scusa, scusa!» esclamò lei, tentando di recuperare e sbaciucchiandogli il volto, benché lui fingesse di non gradire quelle attenzioni. «E dài! Ammettilo, te lo sei meritato!»

   «Anche tu, fidati!» le garantì il giovane, contrattaccando di sorpresa con vigore e dandole tregua solo quando la vide stramazzata sotto di sé, gli occhi lucidi e le labbra ancora socchiuse per quella reazione inaspettata. Si chinò per baciarla ancora. «Ti amo.» Marinette avvertì il cuore perdere un battito e lo guardò come se non lo avesse mai visto prima di allora. Adrien la baciò per l'ennesima volta, sentendola sciogliersi sotto di sé.

   «Abelardo ha sfidato suo padre a duello!»

   «Plagg!» gridò esasperato, facendo leva sulle braccia per alzarsi e andare a litigare con lui, reo di aver spezzato l'incanto del momento.

   Le mani di Marinette si aggrapparono alla sua maglietta, costringendolo a rimanere fermo dov'era, e lei iniziò di nuovo a sbaciucchiargli il viso, più dolcemente, trattenendo a stento le risate. «Sssh! Vuoi svegliare i miei?»

   No, decisamente non voleva, perciò Adrien tornò a stendersi al suo fianco, sia pure imbronciato. «Scusa.»

   «Scusami tu», rispose la ragazza, carezzandogli una guancia. «Avevi qualcosa di importante da dirmi e non me ne sono resa conto.»

   «Marinette~» cantilenò Tikki dal ripiano della scrivania, fingendo nonchalance.

   Lei strizzò le palpebre e si vide costretta ad essere sincera. «No, non è vero», ammise allora, tornando a guardare Adrien. «Lo avevo capito, ma... mi sono fatta prendere dal panico.»

   «Perché?» le chiese il giovane, cercando di capire il suo punto di vista.

   «Non me lo chiederesti, se solo ti ricordassi come reagisco quando sono in preda all'ansia...»

   «Intendi quando inizi a sproloquiare o combini qualche guaio?» fu la domanda retorica che seguì quell'osservazione. Lei annuì. «Quindi era per questo che il novanta percento di ciò che mi dicevi quando abbiamo iniziato a fare amicizia... era incomprensibile?»

   «Beh, almeno alla fine te ne sei reso conto...» sospirò Marinette, coprendosi il viso con le mani per la vergogna. «E poi... c'è un'altra cosa...»

   Intenerito, Adrien le prese i polsi fra le dita per liberare ogni ostacolo che gli impedisse di fissare ancora quegli occhi che amava profondamente. «Quale?»

   Trovando giusto essere sincera come lo era stato lui, la ragazza si armò di coraggio e prese un grosso respiro prima di rispondere: «Ti amo anch'io. Tantissim...» Non finì di dirlo, che Adrien soffocò le sue parole con un altro bacio e divenne del tutto sordo al resto delle rivelazioni sensazionali su Ignazio e Abelardo che riempirono la camera al di sotto del soppalco.

   A quella reciproca dichiarazione d'amore, che aveva infine chiarito del tutto il loro rapporto, avevano fatto seguito diverse altre ammissioni. Tra queste, quella di non riuscire a dormire in modo decente da almeno tre settimane, e cioè da quando erano stati testimoni del primo attentato avvenuto in città. Per quanto il loro spirito altruista avesse avuto la meglio e li avesse spinti a dare il massimo per aiutare la popolazione, in quella e nella successiva situazione di estrema emergenza, il loro animo sensibile era stato messo a dura prova e ancora ne pagava le conseguenze. Nessuno dei due era in grado di dimenticare le orribili scene a cui avevano assistito, né le strazianti urla di dolore delle vittime di quei maledetti attentati. «A volte», aveva confessato Marinette con voce tremula e occhi lucidi, «mi sveglio di soprassalto e piango.» Adrien l'aveva stretta a sé, comprendendo appieno quel dolore perché lo provava in prima persona. L'unica volta in cui era riuscito a riposare davvero, le aveva rivelato a sua volta, era stato quando avevano dormito insieme. Ciò li persuase a condividere il letto anche quella notte, le mani intrecciate, le fronti vicine e il caldo respiro dell'altro sul viso: era tutto ciò di cui avevano bisogno per sentirsi in qualche modo protetti dalla cruda realtà.

    Con le pile ricaricate, dopo aver salutato l'amato un attimo prima che lui balzasse sui tetti vicini per tornare a casa, Marinette si soffermò a fissare la luce del cielo immediatamente prima dell'alba. Le capitava di rado di ammirare quello spettacolo e rimase sul balcone, stringendosi in un plaid, a respirare a pieni polmoni l'aria frizzante del mattino. Anche questo contribuì a rasserenarle l'animo e quando il sole sorse del tutto, tornò in camera sua, pronta ad affrontare una nuova giornata.





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Ho sempre pensato che il miraculous di Ladybug non sia in grado di riportare davvero tutto alla normalità. Come ragionavo tempo fa con Florence (che ringrazio di cuore per tutto l'aiuto e il supporto), i morti non possono resuscitare. In più, se davvero fosse esistito un potere come quello di Ladybug, quante brutte cose sarebbero potute andare diversamente, nel corso della storia umana? Purtroppo così non è stato e ciò mi ha spinto a credere che, pur nell'universo fantastico creato da Thomas Astruc, ogni miraculous abbia i suoi limiti per questo o quel motivo.
Al di là di tutto, comunque, penso che in effetti i veri eroi siano sul serio i kwami: creature millenarie che sopportano tante, troppe sofferenze, a cominciare dalla morte dei loro portatori (e amici). Quanto diamine sono forti, psicologicamente ed emotivamente?
Parlando di cose più allegre, mi è stato fatto notare una cosa riguardo a questo capitolo e più in particolare all'interesse di Plagg per la telenovela. Non ho (ancora) letto Miraculous Heroes di Ecochide, perciò non avevo la più pallida idea che lì ogni kwami avesse una fissa per qualcosa. Si sono premurati di avvertirmi della cosa, temendo che la mia idea riguardo Plagg possa essere vista come un plagio (o un omaggio, a seconda dei punti di vista). Non credo però di correre questo rischio: Plagg non è davvero appassionato di quella roba, c'è un motivo (idiota) per cui la guarda e verrà rivelato verso la fine della storia, come leggerete voi stessi. Posso essere assolta da ogni accusa o devo ugualmente cospargermi il capo di cenere per un qualcosa che non ho fatto, visto che comunque non ho letto le opere di Ecochide (a parte una, che ho anche recensito mesi fa ed è slegata dalla sua saga)? XD
Detto questo, vi ringrazio come sempre per la vostra gentilezza e il vostro calore, siete molto importanti per me, perché siete stati voi a spingermi a portare a termine questa storia. Mi auguro di cuore di non deludere le vostre aspettative con i prossimi capitoli!
Buon inizio di settimana a tutti!
Shainareth

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