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Capitolo dodicesimo



Tom si passò una mano sul viso stanco e sospirò, volgendo lo sguardo oltre le vetrine rotte del suo negozio. La distesa di corpi senza vita era stata appena rimossa: dodici vittime, tanti feriti e nessun disperso. Questo era stato il conteggio finale, stilato a notte fonda dalle autorità. Solo quando si era accertato che gli scavi potevano fermarsi lì, il sindaco Bourgeois si era convinto a farsi portare in ospedale, dopo una prima medicazione di fortuna alla spalla e al volto, che aveva battuto violentemente in seguito all'esplosione. Come lui, anche molti agenti di polizia erano rimasti feriti, eppure chi aveva potuto era rimasto fermo al proprio posto, cercando di garantire un minimo di sicurezza ai cittadini presenti sul luogo dell'attentato. Fra i tre che avevano scosso Parigi nell'ultimo mese, quello era stato il meno cruento, benché fosse chiaro a tutti che gli artefici avessero scelto l'istituto Françoise Dupont proprio perché quel pomeriggio avrebbe accolto diverse autorità – a cominciare dal primo cittadino. Il sospetto che non si trattasse più di terrorismo religioso o internazionale ora poteva forse essere confermato: era una questione interna alla città – o all'intera nazione, questo era ancora da appurare. Nessuno, comunque, aveva più alcun dubbio riguardo alla totale estraneità di Papillon ai fatti, non dopo averlo visto dare man forte ai soccorsi, schierandosi per una volta accanto a Ladybug e Chat Noir.

   Lo spostamento d'aria dovuto alla deflagrazione della bomba, e la conseguente pioggia di detriti, aveva causato danni alle abitazioni circostanti. Nulla che non potesse risolversi in capo a pochi giorni, ma di certo i residenti della zona non potevano rimanere lì. Il sindaco si era perciò preso ogni responsabilità al riguardo – anche perché in troppi puntavano il dito contro di lui e la sua incompetenza nel non riuscire a sventare gli attacchi terroristici – e si era esposto in prima persona, proponendosi di ospitare gli sfollati per tutto il tempo che fosse stato necessario. Quando perciò Sabine e Marinette lo raggiunsero di sotto con due borse piene dei propri effetti personali più importanti, Tom le strinse a sé con amore e le guidò fuori dall'edificio. Non ricordava nulla dell'akumizzazione che aveva subito, ma si riteneva fortunato ad essere caduto sotto l'effetto dei poteri di Papillon: aveva contribuito a salvare quante più vite possibili.

   Adrien e Chloé rizzarono la schiena non appena i Dupain-Cheng uscirono in strada e subito il giovane andò loro incontro, trattenendosi a stento dall'abbracciare Marinette. Non erano ancora riusciti a parlare fra loro, dopo quella chiamata, perciò non avevano avuto modo di discutere riguardo a ciò che Papillon aveva detto o non detto a Chat Noir. Quella conversazione poteva aspettare, ora tutti loro avevano qualcosa di più importante a cui pensare. «Non era necessario che rimanessi fino a quest'ora...» disse Marinette, ringraziando l'amato con un sorriso stanco. Solo un attimo più tardi si accorse che, poco più in là, accanto all'auto di famiglia, c'era anche monsieur Agreste che li fissava da lontano. La ragazza non riusciva a vedere l'espressione del suo volto, ma non doveva essere poi troppo diversa da quella di tutti gli altri. «Va' a casa con tuo padre, anche lui sarà esausto.»

   «Sì, è vero», confermò Adrien, rivolgendo uno sguardo sollevato in direzione dell'uomo. «Ma avevo bisogno di vederti un'ultima volta», ammise, infischiandosene del fatto che i genitori di lei potessero sentirlo. Anche Marinette, allora, abbandonò ogni remora e si sporse verso di lui per stringerlo a sé con amore.

   «Ci sentiamo domani», si promisero prima di sciogliere l'abbraccio.

   Dopo gli ultimi saluti e dopo che l'auto degli Agreste cominciò ad allontanarsi, fu il turno di Chloé di avvicinarsi alla compagna di classe. Era pallida e stanca come tutti loro, i suoi occhi erano ancora arrossati dal fumo e dal pianto, ma nel complesso stava bene. Sembrava persino più bella, così scarmigliata e col trucco ormai rovinato. «Se siete pronti, possiamo andare», esordì con voce gentile ma ferma. Davanti a quella tragedia e al coraggio mostrato da Marinette, che aveva messo a repentaglio se stessa per salvarle la vita, aveva deciso di mettere da parte ogni screzio, ogni spocchia, preferendo di gran lunga concentrare le sue energie su altro, a cominciare dalla preoccupazione per la salute di suo padre – che comunque non correva alcun serio rischio.

   «Grazie», disse Marinette, imitata subito dai suoi genitori mentre tutti insieme salivano nell'auto del sindaco.

   «È mio dovere condurvi fino all'albergo di mio padre», chiarì Chloé, non perdendo tuttavia l'orgoglio che fungeva da pilastro alla sua personalità, a dispetto del fatto che la famiglia della sua rivale era stata l'unica a ricevere quel trattamento di favore. Marinette sorrise, divertita e sollevata a un tempo, e non appena la vettura si mosse per portarli lontani da lì, si concesse infine il lusso di tirare davvero il fiato, rilassando il capo contro il poggiatesta del sedile. Nessuno più parlò.

   Avvolta nell'oscurità della notte, complice anche un guasto ad alcune centraline elettriche in seguito all'attentato, Parigi sembrava più silenziosa del solito. Le luci della Tour Eiffel erano saltate per diversi minuti, prima che i generatori d'emergenza tornassero a funzionare e a garantire almeno la visibilità di sicurezza per gli aerei che sorvolavano la città, ormai da oltre un mese sconquassata da morte e distruzione, spezzata e in seria difficoltà. In lontananza, persino Notre Dame appariva più solenne e spettrale del solito, quasi volesse adeguarsi al luttuoso clima che si respirava tutt'intorno. Sarebbe mai finita, quella scia di morte che i veri mostri di Parigi stavano lasciando lungo il loro cammino?

   Quando giunsero a Le Grand Paris, la situazione mutò: c'era molto più movimento, lì intorno, e non soltanto per la presenza di alcune troupe di giornalisti. Come anche alle altre famiglie di sfollati, ai Dupain-Cheng venne concessa un'unica stanza; e se da un lato quella mancanza di privacy le lasciò un leggero senso di dispiacere a causa soprattutto del pensiero a Tikki, Marinette fu contenta di poter condividere quello spazio ristretto insieme ai suoi genitori. La paura di poterli perdere era stata tale da farle sentire con prepotenza il bisogno di stare con loro, al punto da farle ignorare, almeno per quella notte, l'esistenza di un letto singolo nella camera e da indurla ad infilarsi sotto le coperte insieme – e in mezzo – alla sua mamma e al suo papà. Da quanto tempo non dormivano tutti insieme nel lettone? Da tanti, troppi anni. Quel dolce, nostalgico ritorno all'infanzia fu forse l'unica nota positiva dell'orrore vissuto nelle ultime ore.


Ancora frastornata per via della notte insonne, Chloé osservò il proprio riflesso quasi con disgusto: i capelli del tutto in disordine, le occhiaie marcate nonostante la pelle abbronzata e il viso tirato la rendevano irriconoscibile persino a se stessa. Mise via lo specchio sul comodino, dove si trovava la colazione che le era stata portata pochi minuti prima da una cameriera. Non aveva appetito e tutto ciò che avrebbe voluto fare, in verità, era tornare sotto le lenzuola di seta e sprofondare in un sonno ristoratore che avrebbe giovato al suo aspetto assai sciupato.

   Stava davvero per farlo quando le parve di udire un rumore. Subito si mise in allerta e il cuore iniziò a batterle forte in petto: i terroristi erano giunti fin lì nonostante l'intero palazzo fosse stato blindato dalla polizia e dai paramilitari agli ordini di suo padre?

   «Chloé?»

   Quella voce. Quella dannata voce.

   Trovando finalmente il coraggio di guardare verso la porta della camera, Chloé serrò con forza i pugni attorno alle lenzuola. «Che diavolo ci fai, qui?!»

   Marinette le rivolse un sorriso di circostanza e richiuse l'uscio alle sue spalle, decisa a non uscire da lì prima di averle parlato. «Scusa se sono entrata senza permesso», cominciò allora, avvicinandosi al grande letto su cui la compagna di classe era seduta. «Volevo sapere come sta tuo padre.»

   Davanti a quella domanda, Chloé rilassò i muscoli e sospirò stancamente. «Meglio, pare», rispose asciutta.

   «Sta riposando?»

   «Macché. Non appena l'hanno dimesso dall'ospedale è tornato qui solo per rinfrescarsi e cambiarsi. È di nuovo al lavoro», spiegò quasi controvoglia. Era encomiabile che il sindaco stesse dando fondo a tutte le proprie energie per quella situazione d'emergenza, ma quello che era successo appena poche ore prima alla scuola Françoise Dupont appariva come l'ennesimo dito puntato contro la sua incompetenza. Tutto ciò che gli rimaneva da fare, ora, era salvare il salvabile e, una volta superata la crisi, raccogliere i cocci del proprio mandato e rassegnare le dimissioni come sindaco. Eppure, continuava a ripetersi Chloé, nessun altro avrebbe saputo fare di meglio, al posto suo: non era stato forse grazie alla sua lungimiranza e ai severi controlli da lui imposti se erano stati sventati altri due potenziali attentati nelle settimane precedenti?

   «Sono certa che farà del suo meglio per garantire la sicurezza in tutta la città», la incoraggiò Marinette con fare gentile, avvicinandosi al letto.

   Choé levò su di lei due occhi titubanti. «Certo che lo farà, stiamo parlando di mio padre.» Si accorse di ciò che la compagna stringeva fra le mani e aggrottò la fronte. «Stavi parlando con Adrien?» domandò, quasi volesse farsi male da sola.

   L'altra alzò il cellulare davanti al volto, mostrandoglielo senza alcun problema. «Mi ha mandato solo un messaggio di buongiorno, ma non gli ho ancora risposto. Volevo farlo insieme a te.»

   Quella rivelazione indusse Chloé a sgranare le orbite. «Che c'entro, io?» Per quale dannata ragione quella intrigante ragazzina riusciva sempre a sorprenderla con certe idee del tutto inaspettate?!

   «Hai una vaga idea di quanto ti voglia bene Adrien?» snocciolò lì su due piedi Marinette, lasciandola ancora più basita di prima e prendendo prepotentemente posto accanto a lei. Approfittando del fatto che Chloé fosse rimasta senza parole per la sorpresa, le passò un braccio attorno al collo e avvicinò il viso al suo. «Sorridi~», chiocciò allegra, scattando un selfie che ritraeva entrambe.

   «Cos...?!» si riscosse infine l'altra, assistendo impotente alla visione di lei che inviava quella foto ad Adrien. «Ma sei completamente impazzita?!» strepitò un attimo dopo, allungandosi nella sua direzione per sottrarle il cellulare. Marinette le sfuggì e balzò giù dal letto ridacchiando divertita. «Sono un totale disastro! Non puoi mostrargli la faccia che ho in questo momento!» protestò ancora la sua rivale, del tutto fuori di sé.

   «Perché, la mia ti sembra migliore?» si sentì rispondere con fare ovvio. «Guardami, Chloé: ho le occhiaie più marcate delle tue, sono senza trucco e ho i capelli sporchi. Ma sono certa che Adrien lo noterà appena, felice com'è di sapere che siamo vive e in salute.»

   Su questo non le si poteva dar torto. Ciò nonostante, Chloé tornò a rannicchiarsi su se stessa, issando le ginocchia al petto e nascondendo il viso contro di esse, i bei capelli biondi che cadevano a pioggia sulle spalle e attorno al capo. «Te la farò pagare», bofonchiò offesa, provando tuttavia una sensazione di insperato calore al petto ed una voglia non indifferente di scoppiare a piangere. Erano vivi, sì, e questo era di per sé un motivo più che sufficiente per essere felici.

   Il suono del cellulare di Marinette la fece sobbalzare. Un istante dopo, sentì la ragazza ridere di gusto e avvertì il suo peso tornare a schiacciare il materasso proprio accanto a lei. «Adrien ha risposto. Guarda», le disse in tono dolce, porgendole lo smartphone.

   Pur con un certo timore, Chloé decise di farsi coraggio e di sbirciare sul display, sul quale spiccava uno scatto di Adrien che, del tutto devastato dalla notte insonne e dai dispiaceri vissuti insieme a loro appena una manciata di ore prima, sorrideva allegro e mostrava loro l'autografo di Ladybug che Marinette gli aveva fatto per gioco pochi giorni addietro. Chloé si lasciò scappare un verso buffo dalle labbra, forse una risata soffocata a malapena. «Che idiota...» non riuscì a trattenersi dal dire. «Non lo sa che sono io la preferita di Ladybug?»

   «Litigatevela pure», rispose Marinette, lieta di sentirla parlare in quel modo. «Io preferisco Chat Noir.»

   Chloé stentò a credere alle proprie orecchie. «Ladybug è molto meglio!»

   Vide l'altra stringersi nelle spalle. «Vuoi mettere il fascino del gentiluomo mascherato?» commentò prosaica, senza vergogna. «E poi, credevo lo avessi rivalutato, dopo che ti ha salvato la vita.»

   «Sì, beh... non è davvero inutile come pensavo», le concesse la figlia del sindaco, tornando pian piano a calarsi nel solito personaggio che mostrava nel quotidiano in presenza degli altri. Marinette si sentì risollevata: forse non sarebbero mai diventate amiche, ma quel momento di tranquillità, in cui erano capaci di chiacchierare senza saltarsi al collo, era senza dubbio un primo, importante passo per il rapporto che entrambe avevano tacitamente deciso di instaurare per l'avvenire.


«Adrien?»

   La voce di Gabriel lo riscosse dalla contemplazione della foto che Marinette gli aveva inviato pochi minuti prima, e subito lui scattò fuori dal letto per correre ad aprirgli la porta. Non capitava mai che suo padre si premurasse di venire a svegliarlo in prima persona, perciò quella novità fu accolta dal giovane con sincera gioia. «Buongiorno, papà», esordì quando i suoi occhi verdi incontrarono quelli grigi di lui.

   Senza che nessuno dei due avesse potuto sospettarlo, quello stesso contatto visivo era avvenuto il giorno addietro, quando Chat Noir e Papillon si erano studiati e confrontati nei minuti immediatamente successivi all'esplosione avvenuta alla scuola Françoise Dupont. Non era stata una resa dei conti, soltanto un semplice, pacato scambio di opinioni circa le loro intenzioni per il futuro.

   «Sai fare grandi cose», aveva iniziato Chat Noir, quando aveva chiuso la chiamata con Ladybug e si era trascinato a pochi metri di distanza dal nemico. «Perché non ti unisci a noi, anziché combatterci?» gli aveva domandato, sperando davvero in cuor suo che l'altro accettasse quella proposta.

   Papillon non lo aveva fatto. «Non posso», gli aveva risposto, in tono asciutto.

   Chat Noir aveva osservato quel volto pallido, gli occhi lucidi e inquieti, la linea severa della mascella, la bocca tremula a causa delle emozioni che erano riuscite a sopraffare persino lui, in quel momento. «Cos'è che desideri così ardentemente da rischiare di perdere te stesso?» aveva voluto sapere, non riuscendo a provare alcun tipo di rabbia nei suoi confronti, nonostante tutto. Quando lo aveva visto affannarsi nei soccorsi e dirigere con trasporto i suoi akumizzati al fine di portare in salvo tutti coloro che erano rimasti sepolti sotto le macerie, nella speranza di trovarvi quel qualcuno, a Chat Noir era parso di capirlo, di capirlo fin troppo bene: anche lui aveva vissuto lo stesso terrore al pensiero che suo padre potesse non avercela fatta.

   Dapprima Papillon non aveva risposto e al ragazzo era parso che non lo avrebbe mai fatto; ma poi, dopo un tempo che gli era parso interminabile, l'uomo gli aveva rivolto un'altra domanda. «Hai mai amato qualcuno al punto da sentirti morire al solo pensiero di perderlo?» A quella rivelazione aveva fatto seguito una pausa. Poi, quasi come se avesse parlato fra sé, Papillon aveva aggiunto con voce esausta: «A me è successo. E l'ho persa. La rivoglio indietro. A qualunque costo.»

   Chat Noir era rimasto in silenzio, incapace di trovare parole che potessero anche solo sperare di colmare il vuoto che doveva provare nel cuore l'uomo che gli stava di fronte, un uomo distrutto dal dolore e consumato dall'amore travolgente per una donna. Un'amante? Una moglie? Una figlia? Chat Noir non avrebbe saputo dirlo né si era azzardato a chiederlo, preferendo rispettare la sofferenza del proprio nemico. Quasi avesse voluto ringraziarlo per la reciproca lealtà dimostrata in quell'occasione, Papillon aveva infine sollevato il proprio bastone e si era sfiorato una tempia con il pomo in cenno di saluto un attimo prima di voltare le spalle al giovane e farsi strada all'interno dell'edificio pericolante. E lui? Non lo aveva fermato. Era stato un dialogo fra gentiluomini, divisi da obiettivi differenti eppure così simili fra loro per via di quel sentimento che li divorava quotidianamente: una tristezza così schiacciante da tramutarsi in una rabbia capace di far perdere il lume della ragione. E se Adrien riusciva ancora a dominarla era solo grazie all'amore per una donna, un amore che Gabriel aveva perso e al quale non voleva e non poteva in alcun modo rassegnarsi.

   «Buongiorno a te», disse l'uomo quando suo figlio si affrettò ad aprirgli la porta della camera. Il terrore di aver perso per sempre anche lui aveva sortito quasi lo stesso effetto di un sonoro schiaffo atto a risvegliarlo, facendogli comprendere una volta di più di avere ancora qualcosa che lo teneva legato indissolubilmente alla sua amata moglie scomparsa. Quando si erano rivisti, fuori dalle mura devastate dell'istituto scolastico, si erano corsi incontro e si erano stretti in un abbraccio così soffocante da lasciarli storditi per diversi minuti, a testimonianza che l'affetto che provavano l'uno per l'altro fosse molto più forte di qualsiasi altra cosa al mondo, al pari dell'amore passionale che agitava continuamente l'animo di entrambi. Era stata per questa ragione che Gabriel aveva deciso di accontentare la richiesta di Adrien, aspettando con lui di salutare Marinette prima di prendere insieme la via di casa; in un altro momento l'uomo avrebbe preteso di allontanarsi subito dal luogo dell'attentato per mettere in salvo la propria creatura, ma quando il ragazzo gli aveva spiegato, con un ardore che non gli aveva mai visto nello sguardo, che se era salvo era soltanto grazie a Marinette e al fatto che si erano guardati le spalle a vicenda, Gabriel aveva deciso di lasciarlo fare. Gli era ormai chiaro che, nonostante la giovane età, Adrien avesse ereditato da lui quella stessa, indomita capacità di amare fino allo stremo, e non lo avrebbe ostacolato in alcun modo: era nella loro indole e non sarebbe valso a nulla cercare di fermarli. Lui lo sapeva bene.

   «Sei riuscito a riposare?»

   «Non molto, a dire il vero», fu la sincera risposta che gli diede Adrien. «Ma sono felice che siamo ancora insieme.»

   Gabriel sorrise a labbra chiuse, come al solito, ma per una volta i suoi occhi lasciarono trasparire senza vergogna tutta la vasta gamma di sentimenti che gli riempiva il cuore. «Mi spiace non aver potuto vedere il modello realizzato della tua ragazza.» Vide il giovane irrigidirsi per via di quelle parole e sospirò. «Adrien, pensi che sia nato ieri?»

   «No, è solo che...» prese a balbettare l'altro, spostando il peso del corpo da un piede all'altro con evidente imbarazzo.

   «Credi che potrò vedere almeno qualcuno degli schizzi di Marinette?» sorvolò suo padre, preferendo alleviarlo da quella inutile tortura psicologica.

   «Certo!» esclamò Adrien, recuperando subito il buon umore. «Anzi, farò di più», riprese subito dopo, tornando verso il letto sul quale aveva abbandonato il cellulare. «Quando ha finito il lavoro per la sfilata, due giorni fa, Marinette mi ha scattato alcune foto per rendersi conto di cosa avesse sbagliato e, in caso, cercare di correggerlo al volo.»

   Gabriel sollevò un sopracciglio con aria sorpresa e gli si fece vicino per curiosare sul display del telefonino. «Una perfezionista?»

   «E anche stacanovista, sotto certi aspetti», gli assicurò il ragazzo, mostrandogli le foto di cui gli aveva appena parlato. L'uomo le scrutò attentamente, ingrandendole per osservarne meglio i particolari, e Adrien attese con una certa ansia il suo giudizio al riguardo. «Che ne pensi?»

   «Che sia un vero peccato che questo completo sia andato perso nel disastro di ieri», commentò Gabriel, non lesinando la propria ammirazione per l'abilità innata della stilista del modello. Era la seconda volta che gli capitava di osservare una delle creazioni di Marinette e di nuovo ne apprezzò il design e la precisione maniacale con cui lei aveva curato ogni singolo dettaglio. In cuor suo sperò che avesse le stesse, identiche premure anche per Adrien. «Quando le acque si saranno calmate, in città, dille di venire da me con i suoi schizzi», aggiunse poi, stupendo non poco suo figlio e riconsegnandogli il cellulare.

   «Sono certo che li adorerai», gli assicurò il giovane, gli occhi che brillavano per l'entusiasmo ed un sorriso luminoso che gli abbelliva il volto sciupato dalla stanchezza.


Chat Noir attendeva sotto la luna piena in quella placida notte parigina. Dall'alto della Tour Eiffel, i suoi occhi verdi scandagliavano l'intera città, mentre il suo cuore si piegava davanti a quelle ferite che deturpavano lo splendore della Ville Lumière lì dove i terroristi avevano colpito. Poteva scorgere le impalcature che recintavano lo Shoah Memorial e quelle più imponenti che erano state poste lì dove fino a non troppo tempo prima si ergevano le Galeries Lafayette. Spostò lo sguardo più vicino, su ciò che rimaneva dell'istituto Françoise Dupont; l'edificio era stato danneggiato solo in parte, a dire il vero, ma era indubbio che ormai fosse impraticabile e le autorità vi avevano apposto i sigilli fino a che non fossero stati effettuati i dovuti controlli e l'ala che era crollata non fosse stata ricostruita. Un tempismo perfetto, dal momento che mancavano appena poche settimane alla fine dell'anno scolastico. Gli alunni di quell'istituto lo avrebbero perso? C'è chi ha perso ben di più, si ritrovò a riflettere Adrien, allo straziante ricordo dei corpi senza vita che aveva visto e toccato durante l'ultimo attacco terroristico.

   Seduto sul parapetto posto in cima alla torre, il giovane si fissò il palmo della mano guantata di nero. Nell'ultimo mese e mezzo gli sembrava di essere cresciuto più di quanto avrebbe dovuto. I suoi pensieri, i suoi sentimenti, erano diventati più profondi e più chiari, a dispetto della confusione che regnava tutt'intorno a lui. Aveva avuto persino l'impressione che suo padre lo guardasse in modo differente, forse con maggior rispetto... o era soltanto l'illusione che lui stesso si era creato? Questa era l'unica, vera incognita che ancora lo turbava, benché avesse almeno un motivo per essere felice: pur avendo comprensibilmente stretto la presa attorno a lui, standogli col fiato sul collo più di prima, quell'uomo imperscrutabile e distaccato adesso non era più così distante, poiché non ordinava più ai propri sottoposti di controllare suo figlio tutto il giorno, no; lo faceva in prima persona, come se lo spavento preso a causa dell'ultima bomba gli avesse improvvisamente ricordato di avere ancora qualcosa di molto, troppo importante e che lui avrebbe fatto qualunque cosa pur di non perderla.

   Questa nuova consapevolezza da parte di entrambi, aveva portato Adrien a riflettere a fondo anche sull'incontro che aveva avuto con Papillon, quel faccia a faccia che lo aveva fatto sentire così maledettamente vicino al suo nemico, al punto da desiderare quasi di aiutarlo nella sua ricerca, pur cambiando rotta rispetto alle sue idee malsane. Ciò che però preoccupava davvero il ragazzo era altro, ovvero l'orribile sospetto che, sul serio, quell'uomo e suo padre avessero troppo in comune. L'akumizzazione di Gabriel avrebbe dovuto essere una prova schiacciante sulla sua estraneità ai miraculous, eppure nella cassaforte del suo ufficio custodiva gelosamente quell'antico manoscritto che non voleva condividere con nessuno. Il suo cuore di figlio scacciava con prepotenza quel pensiero; il suo lato lucido e riflessivo, tuttavia, non riusciva a trovare pace.

   «Chat Noir!»

   La voce della sua collega lo ridestò da quei terribili pensieri e lui non fece quasi in tempo a rimettersi in piedi che Ladybug gli piombò addosso, rischiando di farlo crollare di nuovo a terra. L'agguantò per la vita ed indietreggiò di un passo, piantando bene la suola dello stivaletto sul pavimento e scongiurando così la caduta, mentre lei gli si avvinghiava al collo con tutta la forza che aveva e si azzardava persino ad arpionargli il bacino con le gambe. Temendo che potesse sfuggire alla sua presa, Adrien agì d'istinto e spostò una mano per sorreggerla anche da giù, finendo così per ghermirle una coscia. Rabbrividì per quel contatto morbido ed intimo, ma non fiatò né si mosse più per timore di fare qualcosa di peggio. Marinette parve non farci neanche caso, poiché tutto ciò che ebbe da dire fu: «Mi sei mancato. Tantissimo

   Il giovane sorrise: erano tre giorni che si accontentavano di telefonate e messaggi, senza riuscire a trovare il modo o il tempo per vedersi a causa della stretta sorveglianza del padre di lui e della condivisione di un'unica camera da parte dei genitori di lei. Quella notte, però, sarebbe stata tutta per loro, quali che fossero state le conseguenze di quella loro fuga avventata. Recuperando del tutto l'equilibrio, Adrien si lasciò scivolare a sedere per terra per due motivi: il primo, per poter guardare e accarezzare meglio la propria innamorata; il secondo, scostarla almeno un po' da sé per evitarle una spiacevole scoperta che il suo cuore ancora troppo puro non sospettava neanche. E finché avesse potuto, lui le avrebbe risparmiato quella novità; qualcosa di assolutamente naturale, in effetti, ma i grandi occhi azzurri di Marinette erano così limpidi e luminosi che Adrien si sarebbe sentito mortalmente in colpa se vi avesse scorto del turbamento causato da lui stesso.

   Smise di pensarci e si concentrò su qualcosa di molto più importante: tempestare quel viso amato di quanti più baci possibili. La sentì ridere e ricambiare almeno la metà di quelle tenerezze, fino a che le loro bocche non si incontrarono e loro si persero per qualche minuto nell'intimità di quel momento che sperarono durasse per sempre.

   «Mio padre vuole vederti», disse Adrien, non appena ebbero la forza di sciogliere quel bacio, le labbra ancora ad un soffio le une dalle altre. Vide Marinette sgranare gli occhi e, sorridendo intenerito, le colpì piano la punta del naso con il polpastrello di un dito, attento a non farle male a causa degli artigli dei suoi guanti. «Gli ho detto di noi. O meglio, lo ha capito da solo, penso fosse inevitabile... E credo che tu gli piaccia, sai?» L'espressione stralunata della ragazza lo fece quasi scoppiare a ridere, perciò le stampò un altro sonoro bacio sul viso e aggiunse: «Gli ho fatto vedere le foto del modello che avevi cucito per la sfilata e lo ha apprezzato non poco. Vuole vedere gli altri tuoi lavori.»

   «Sul... serio?» stentò a crederci lei.

   «Mi ha chiesto di portarti da lui non appena le acque si saranno calmate», le assicurò il giovane, divorandola con lo sguardo. Adesso che aveva avuto anche l'approvazione di quell'orso di suo padre, nessuno lo avrebbe separato da quella meraviglia.

   Finalmente Marinette parve recuperare un po' di sicurezza e passò al contrattacco. «Mio padre, invece, ti aspetta per sfidarti ai videogiochi.» Adrien rise di cuore a quella rivelazione. «Cosa? Credevi che ti avrebbe tolto il saluto solo perché hai deciso di insidiare la sua bambina?» gli domandò lei, contagiata dal suo buon umore.

   «Io non ti sto insidiando», ci tenne a precisare l'altro, fissandola allegro. «Fino a prova contraria, sei stata tu a saltarmi addosso, stasera, perciò comincio a sospettare che quello insidiato sia io.»

   «Cosa?» si finse oltraggiata Marinette, non riuscendo però a trattenere il divertimento né nell'espressione del volto né nel tono della voce.

   «Ammettilo, mi hai attirato fin qui con l'inganno per fare di me un gatto disonesto.»

   «Sì, ti piacerebbe.»

   «Molto, lo confesso», fu la limpida ammissione che Adrien le fece, scuotendo le spalle con noncuranza. La vide arrossire e le baciò una guancia, trovandola bollente sotto al tocco delle sue labbra. «Ma per ora mi accontento più che volentieri dei tuoi agguati coccolosi», le garantì con tenerezza, strusciando la punta del naso contro la pelle liscia del suo collo e facendola rabbrividire non solo per il solletico.

   Marinette si strinse a lui, passando una mano dietro alla nuca del giovane e premendogli dolcemente il capo contro di sé, fino a che la bocca di Adrien non tornò a contatto con lei, baciandole la linea della mascella e persino il lobo di un orecchio. Un calore inatteso e sconosciuto la investì come pioggia di fuoco e quasi si sentì annaspare. Chiuse gli occhi, ma lui avvertì quello che le stava accadendo e per evitare di essere contagiato da quell'eccitazione più di quanto già non gli fosse capitato, fu costretto ad allentare il suo abbraccio e a scostarsi da lei, senza tuttavia avere ancora il coraggio di alzarsi.

   «Marinette...» mormorò con voce roca, risvegliandola suo malgrado da quel meraviglioso torpore. Lei lo guardò quasi stordita e tornò a respirare l'aria fresca della notte, il cuore che batteva come un tamburo nel petto che si alzava e abbassava affannosamente. Era la prima volta che le capitava di perdere il controllo in quel modo e quella novità la lasciò spiazzata, poiché mai si sarebbe aspettata che le bastasse così poco per sciogliersi fra le sue mani: un gioco piacevole e spaventoso al quale non si sentiva affatto pronta a partecipare, sebbene la tentazione di tornare a perdersi in quelle sensazioni obnubilanti fosse forte e prepotente. Vide l'amato sorridere comprensivo, benché in realtà dentro di sé Adrien stesse lottando strenuamente quanto lei per non cedere di nuovo all'impulso di baciarla – questa volta davvero. «Per il momento, dovremo accontentarci di questi incontri furtivi», le disse pacato.

   La ragazza invidiò la sua capacità di mantenere il controllo e si sforzò di seguirne l'esempio. «Chloé...» iniziò allora incerta, pronunciando di proposito quel nome che fu per entrambi un doloroso secchio di acqua gelata atto a raffreddare i loro animi surriscaldati. Si schiarì la voce e ricominciò: «Chloé mi ha detto che tra qualche giorno potremo riprendere a studiare. Suo padre ha messo a disposizione l'hotel anche per le lezioni scolastiche», spiegò più nel dettaglio, accennando un sorriso.

   «Quindi la convivenza forzata vi ha fatte diventare amiche?» la prese in giro il giovane.

   «Neanche il mio Lucky Charm ci riuscirebbe», sospirò lei, facendolo ridere di nuovo. «Ma almeno adesso siamo in grado di parlare senza necessariamente saltarci addosso. È un bel progresso, direi.»

   «Lo è sul serio», se ne compiacque Adrien. «Grazie per tutto.» Lei si strinse nelle spalle, minimizzando i propri meriti. «Anche con mio padre ce ne sono stati», le rivelò a quel punto l'altro, stupendola piacevolmente. «Si interessa di più a ciò che faccio, alle mie passioni e alle mie amicizie. E alla mia ragazza, come ti dicevo. Spero solo che, dopo tutto quello che è successo, non decida di tenermi di nuovo a casa da scuola», aggiunse poi, smorzando inevitabilmente l'entusiasmo di entrambi.

   «Se dovesse accadere, verrò a rapirti», promise Marinette.

   «Non vedo l'ora che accada», giurò Adrien.





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Meno due alla fine. Anzi, meno tre, se consideriamo anche l'epilogo.
Sono felice di sapere che la storia vi stia piacendo e che lo scorso capitolo vi abbia coinvolto, perché, come già detto, era quello più importante. In quello che avete appena letto e nei prossimi ci si avvia davvero verso la chiusura, andando a sciogliere gli ultimi nodi e ad approfondire le ultime questioni (soprattutto psicologiche).
In molti aspettavano di sapere cosa si erano detti Chat Noir e Papillon. Come avete letto, nulla di troppo eclatante, anche e soprattutto perché erano entrambi provatissimi da quanto accaduto e (neanche troppo stranamente) empatici l'uno verso l'altro. Noi sappiamo perché, e anche Adrien inizia a sospettarlo, suo malgrado. E proprio quel breve scambio di battute è comunque importante.
In tutto questo, credo che il personaggio per cui mi dispiace maggiormente sia il padre di Chloé: quelle in alto sono quasi sempre le prime teste a saltare (quando un Paese funziona). Approfondirò anche questo, nel corso del prossimo capitolo, perché è giusto analizzare anche questo aspetto.
Quanto al resto, credo non ci sia altro da aggiungere, a parte il fatto che sì, come lo stesso Adrien ha avuto modo di riflettere, i nostri protagonisti sono cresciuti più di quanto avrebbero dovuto nel giro di pochissimo. E penso che non potesse essere altrimenti, visto quanto sono stati messi duramente alla prova (da questa disgraziata che sta scrivendo, pardon).
Chiudo qui, ringraziando come sempre chi legge, chi ha la cortesia di lasciarmi il proprio parere (finito qui, giuro che rispondo alle ultimisse recensioni che mi avete lasciato qui e all'ultima shot) e chi ha aggiunto (o lo farà) questa long fra le storie preferite/ricordate/seguite.
Buona giornata! ♥
Shainareth

P.S. Grazie alla gentilissima RaffyChan8 per la copertina del capitolo! ♥



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