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Capitolo decimo


Le forze dell'ordine erano riuscite a sventare un nuovo attentato, il secondo in pochi giorni. Una telefonata anonima aveva allertato la polizia, e gli artificieri erano intervenuti in tempo per disinnescare quello che aveva tutta l'aria di essere un pacco bomba lasciato in una stazione metropolitana locale. Quando Adrien ascoltò la notizia al telegiornale, provò un senso di sollievo non indifferente, forse persino più del resto dei suoi concittadini. Ciò nonostante, si domandò se quel modus operandi fosse il medesimo dei precedenti attentati e il suo istinto gli disse di no, poiché quando era stato nella bolgia delle macerie, in entrambe le occasioni nessuno aveva fatto cenno a pacchi bomba. Glielo confermò pochi attimi dopo lo stesso speaker del notiziario, comunicando che, secondo le dichiarazioni della polizia, il rozzo e artigianale ordigno rinvenuto quella mattina non poteva in alcun modo essere ricollegato alle carneficine delle settimane precedenti, che sembravano invece essere state eseguite da militanti ben addestrati. L'unica cosa che si ignorava ancora era l'identità degli autori: nessuno aveva rivendicato le stragi. Significava forse che quegli assassini anonimi avevano degli emuli? Questo avrebbe di certo contribuito a seminare il panico in una città che era ormai blindata dalle forze dell'ordine.

   Sullo schermo iniziarono a scorrere le immagini di ciò che il giovane aveva vissuto in prima persona e subito spense la televisione, lanciando il telecomando sul divano, lontano da sé, e portandosi le mani al volto: perché i giornalisti dovevano insistere con quegli orrori? Non era stato già abbastanza, per tutti, dover assistere impotenti alle dirette televisive fatte durante le ore immediatamente successive alle stragi?

   Un trillo lo ridestò da quei tetri e rabbiosi pensieri e Adrien recuperò il cellulare lasciato sul tavolino davanti a sé: Alya aveva appena creato una chat di gruppo che includeva loro due, Nino e Marinette. Visto che il destino ci impedisce di andare al cinema, che ne dite di organizzare una visione casalinga?

   Adrien la trovò un'ottima idea e riuscì a bruciare gli altri sul tempo con la sua risposta, invitandoli da lui per quel pomeriggio. «A tuo padre non dispiacerà?» gli domandò Plagg, fluttuandogli davanti al naso.

   «No, pare stia cominciando ad accettare il fatto che io abbia degli amici», fu la serena risposta che diede il giovane. «Oltretutto, sarà una buona occasione per presentargli a dovere Marinette.»

   «Papà, ti presento la donna che un giorno sposerò!» lo scimmiottò il kwami, ricevendo un'occhiataccia dall'amico. «E dài, lo so che lo hai pensato.»

   «Ciò non significa che lo dirò», ribatté Adrien, non negando alcunché, nonostante il rossore diffuso sulle guance. «E comunque, preferisco evitare di essere troppo brusco nel comunicargli che ho la ragazza. Non che ci sia nulla di male, ma, conoscendolo, potrebbe avere da ridire al riguardo. Tipo che sono troppo giovane o roba simile. Procederò un passo per volta.»

   «E se non dovesse piacergli?»

   «Impossibile», gli assicurò con un sorriso soddisfatto sulle labbra. «Marinette è adorabile, piace a tutti.»

   «Meno che a Chloé», puntualizzò Plagg, ricordandogli dell'eterna rivalità fra le due ragazze.

   «Beh, lei non sarà qui, oggi, perciò non vedo cosa possa andare storto», replicò Adrien, leggendo le risposte entusiaste dei suoi amici sul display del cellulare.

   Una di quelle, però, nascondeva sentimenti contrastanti.

   «Tikki! Conoscerò suo padre!» esclamò Marinette, portandosi le dita fra i capelli con aria sconvolta.

   «Lo hai già conosciuto», le ricordò la creaturina, dando un morso ad uno dei biscotti che l'altra le aveva portato in camera poco prima. «E come Ladybug ci hai anche avuto a che fare più volte.»

   «Sì, ma monsieur Agreste non sa che sono io!» protestò la ragazza. «E l'ultima volta che ci siamo visti... oddio, che figura!» Si coprì il volto con le mani, temendo che avrebbe avuto un esaurimento nervoso, prima o poi.

   «Invece di fossilizzarti solo sui lati negativi della cosa, perché non pensi piuttosto a dare il massimo per rendere Adrien orgoglioso di te?» cercò di incoraggiarla Tikki, guardandola con tenerezza. «Hai così tante belle qualità... Dovresti solo avere un po' più di fiducia in te stessa.»

   C'era saggezza in quelle parole, Marinette se ne rendeva conto. Tuttavia, non era davvero semplice mettere in pratica certi buoni propositi quando c'erano di mezzo determinate emozioni. Oltretutto, l'ultimo incontro con Nadja Chamack le aveva aperto un nuovo, disastroso orizzonte al quale non riusciva a smettere di pensare. Sarebbe davvero stata in grado di mantenere la calma?


Lo scoprì nel momento esatto in cui, con Alya e Nino, si trovò davanti all'ingresso della villa della famiglia Agreste. Fu il giovane a bussare al campanello, poiché Alya era troppo impegnata ad osservare lo strano fenomeno che aveva di fianco e che la stava portando a credere che, quello stesso strano fenomeno, avrebbe avuto un collasso da un minuto all'altro.

   «Marinette, vuoi rilassarti?» tentò di farla ragionare, posandole affettuosamente una mano sulla spalla. «È solo Adrien. Il tuo ragazzo. Colui con cui, si presuppone, tu possa essere liberamente te stessa. Non può davvero farti ancora quest'effetto. Anche perché mi pare che tu sia riuscita a vincere del tutto la timidezza, con lui.»

   «Non è a causa sua che sto per avere un ictus», le assicurò lei, con gli occhi spiritati di una pazza isterica. Alya non fece in tempo a chiederle altro che il cancello si aprì e dal portone in fondo al viale si affacciò la figura bionda di Adrien, che li salutava da lontano con entusiasmo. Marinette tornò a respirare, sciogliendosi davanti a quella visione divina. «Awww, è meraviglioso~» cinguettò, portandosi le mani al petto, quasi avesse paura che il cuore potesse sfondarle la cassa toracica e saltellare fino a lui per comunicargli tutto il suo amore.

   «Dovresti fare qualcosa per questa storia della perdita di controllo delle emozioni», le consigliò caldamente Alya, alzando gli occhi al cielo e afferrandola per un polso per trascinarla dentro la proprietà.

   «Benvenuti!» esclamò Adrien, aprendo le braccia ai lati del corpo non appena varcarono la soglia. Fece scivolare lo sguardo sui loro volti, soffermandosi su quello di Marinette, al quale riservò una strizzatina d'occhio.

   Lei sorrise con amore. Fu solo per un attimo, però, perché una voce irruppe tra loro. «Dunque sono loro, gli amici che hai invitato.» La figura di Gabriel comparve imponente e severa in cima alla scalinata d'ingresso, squadrandoli tutti dall'alto quasi come se volesse studiarli e decidere se dare o meno la propria approvazione alla cosa.

   «Papà...» mormorò Adrien, stupito per quell'apparizione ma felice di poter condividere quel momento insieme a lui. «Nino lo conosci già», iniziò allora, recuperando l'entusiasmo mentre l'uomo scendeva verso di loro. «Lei invece è Alya, e lei...»

   «Marinette Dupain-Cheng», completò Gabriel per lui, gli occhi fissi sulla ragazza che ora sembrava di nuovo una statua di sale.

   «Ti ricordi di lei?» si meravigliò il giovane, contento di quella scoperta. «È per via del concorso che ha vinto tempo fa, vero? Quello della bombetta.»

   Suo padre aggrottò appena la fronte. «Ah, era lei?»

   Adrien inarcò le sopracciglia bionde. «Sì... non te lo ricordavi?»

   «Ti chiedo di scusarmi per questa mia mancanza», disse l'altro, rivolgendosi direttamente a Marinette. «Ottimo lavoro, comunque.»

   La ragazza stese le labbra in un sorriso inquietante, di quelli capaci di infestare gli incubi peggiori non soltanto dei bambini. «G-Grazie...» balbettò con voce stridula. Adrien la guardò stranito e lei si sentì ancora più sotto pressione.

   «Marinette si sta occupando anche del modello che indosserò alla sfilata della scuola», spiegò il giovane, cercando di rendere giustizia alla propria innamorata e, al tempo stesso, non riuscendo a smettere di chiedersi come facesse suo padre a conoscerla.

   Lei avvertì l'ansia crescere ulteriormente: e se adesso monsieur Agreste si fosse convinto che era un'arrampicatrice sociale, nonché rea di sedurre suo figlio per arrivare a lavorare per lui e la sua pluripremiata casa di moda, in futuro?

   «In tal caso, cercherò di non mancare all'evento», affermò l'uomo, mantenendo la stessa espressione e lo stesso tono di voce.

   Marinette avrebbe potuto essergliene grata, se Adrien, trovando tutta quella storia inverosimile, non fosse stato divorato dalla curiosità e non avesse domandato quasi a bassa voce: «Come fai a sapere il suo nome, se non ti ricordavi del concorso?»

   Suo padre non si scompose e non parlò, lanciando solo uno sguardo in direzione della ragazza: era chiaro che non avesse alcuna intenzione di tradire la promessa che le aveva fatto l'ultima volta che si erano incontrati e Marinette comprese che toccava a lei spiegare la cosa. Ne fu lusingata e terrorizzata al contempo. Aprì la bocca, ma si accorse di averla secca e tossì. «Ehm...» riuscì a gracchiare infine, prima di prendere un respiro profondo e dire: «Ti ricordi il libro?»

   Adrien s'irrigidì d'istinto. «Oook...» mormorò, non del tutto certo di voler sapere il resto della storia. «Cosa c'entra, ora?»

   «Ecco... diciamo che potrei essere stata io a riportarlo a tuo padre», confessò l'altra. Lui sgranò gli occhi: si era esposta fino a quel punto? Che scusa aveva inventato per coprire la verità? «Lo so, lo so, sei stupito...» continuò Marinette, notando la sua espressione allarmata e iniziando a gesticolare come le capitava tutte le volte che cedeva il passo all'ansia. «Il punto è che tu, Adrien, lo avevi lasciato in biblioteca, incustodito. E io, essendo una tua graaande fan», accentuò, aprendo le braccia ai lati del corpo e gettando un occhio a monsieur Agreste per enfatizzare ulteriormente il tutto, «ho creduto che fosse un tuo book fotografico. Così l'ho preso in prestito con l'intento di ridartelo, ma poi tu non sei più venuto a scuola e quindi non mi è stato possibile farlo. Perciò, quando ho saputo che era quello il motivo per cui eri assente, cioè perché tuo padre credeva che fossi stato tu a sottrargli il libro, sì, insomma, mi sono precipitata qui per spiegargli come stavano le cose. Vale a dire che era tuuutta colpa mia e del fatto che ho un debole per te.»

   Tacque e recuperò il fiato che aveva trattenuto durante tutto il suo sproloquio, gli occhi fissi in quelli di Adrien, che ora la guardava ancora più sconvolto di prima. E no, non soltanto perché quella matta aveva avuto la faccia tosta di dichiarare senza remore che aveva una cotta per lui davanti a suo padre. «Ti... Ti sei assunta tutta la responsabilità?»

   Lei si strinse nelle spalle: di certo non poteva parlare di Lila e di tutto il resto. «Per forza. È stata colpa mia. Solo e soltanto colpa mia.»

   «Marinette...»

   «Ovviamente ci tengo a precisare che non sfrutterò la nostra amicizia per arrivare a tuo padre.»

   Calò il gelo.

   Alya si schiarì la voce. «Sembra un po' equivoco, così», si azzardò a farle notare sottovoce.

   Marinette arrossì fino alla punta delle orecchie e si lanciò a tutta velocità verso il panico più completo, alzando il tono di un'ottava. «Nel senso che non ho alcuna intenzione di sfruttare quello che c'è fra noi per arrampicarmi socialmente come un koala. Non mi interessa lavorare nel campo della moda. Cioè, mi interessa eccome, poffarbacco! Ma me ne infischio del marchio Agreste! No! Io adoro il marchio Agreste! Però non voglio essere una parassita! Non sono una sanguisuga assetata di stoffa!»

   «Dovremmo fermarla?» s'interessò di sapere a quel punto Nino, che era rimasto ad assistere a tutta la scena con reale sconcerto.

   «Non ne sono sicura...» rispose Alya, provando comunque pena per l'amica. «Dovrebbe toccare ad Adrien, suppongo.»

   Un verso esasperato li costrinse a tacere e Marinette, dopo essersi lasciata andare a quella libertà, parve recuperare parte della propria sanità mentale. «Quello che sto cercando di dirle, monsieur Agreste, è che sono sinceramente affezionata a suo giglio.»

   «...figlio...» le suggerì qualcuno, che però rimase puntualmente ignorato.

   «E nutro una profonda ammirazione per il suo lavoro. Spero di diventare brava almeno un decimo di quanto lo è lei», concluse la poveretta, sentendo il volto bruciare per l'imbarazzo e il cuore minacciare di collassare da un momento all'altro.

   Rimasero in silenzio per alcuni, interminabili istanti. Poi Gabriel, che era rimasto stoicamente inespressivo fino a quel momento, parlò. «Interessante.»

   Marinette ebbe tutta l'impressione che in realtà intendesse dire: Che caso umano.

   «Hai un'amica piena di sorprese», continuò l'uomo, rivolgendosi ad Adrien, che ancora fissava l'amata con aria stordita. E un po' anche divertita, a dirla tutta.

   «Sì, in effetti Marinette non smette mai di sorprendermi», confermò con un sorriso accennato sulle labbra.

   «Sì, beh...» si schermì la ragazza, non volendo affatto apparire presuntuosa. «La verità è che sono plurispecializzata in figure di...» Si bloccò: lo stava per dire davvero? Pregò affinché la sua bocca rimanesse in silenzio. Fallì miseramente un millesimo di secondo dopo. «...pongo.»

   «Pongo?» ripeté Adrien, trattenendosi a malapena dallo scoppiare a ridere.

   «Pongo», confermò atono suo padre, continuando a guardare Marinette con interesse sempre crescente. Davvero suo figlio voleva portare in casa quella creatura così in bilico fra genialità e follia? Perché sì, Gabriel poteva anche fingere indifferenza, ma non era stupido e aveva capito benissimo che fra i due ragazzi c'era qualcosa che valicava di molto il confine dell'amicizia. La logica gli urlava di mettere un freno a quell'assurdità, mentre il suo cuore – e anche un po' la curiosità – gli consigliava di lasciarli in pace e vedere dove sarebbero andati a parare insieme. Se ricordava il nome per intero di Marinette, in effetti, non era soltanto perché lei gli aveva riportato il manoscritto sui miraculous; quello, in verità, era stato solo l'elemento scatenante, poiché in seguito a quell'episodio Gabriel aveva chiesto alla sua assistente di svolgere qualche ricerca sulla ragazza, venendo così a sapere che era davvero talentuosa: era stata lei a disegnare e realizzare la bombetta che Adrien aveva indossato in seguito al concorso scolastico di qualche tempo prima, lo stesso del quale l'uomo aveva finto di aver dimenticato; in più, aveva collaborato con una star della musica, ottenendo persino un riconoscimento sulla copertina di un'importante rivista nazionale. Non c'era alcun motivo di credere che avesse avvicinato Adrien per ingraziarsi suo padre, tutt'altro. Visti i traguardi raggiunti alla sua giovane età, Marinette sarebbe di certo andata lontano, se avesse perseverato nelle proprie ambizioni – e se avesse imparato a gestire le emozioni.

   «Marinette», ricominciò Gabriel, pacato come sempre.

   «Signorsì, signore!» scattò sull'attenti lei, immaginando di essere davanti ad un plotone d'esecuzione. Il che non aveva molto senso, vista la risposta che gli aveva appena dato.

   «Spero saprai sorprendermi anche alla sfilata della scuola», la incoraggiò invece l'uomo. Si rivolse al proprio figlio un'ultima volta. «Dal momento che la situazione in città sta ritornando alla calma, a dispetto dell'episodio di stamattina alla metropolitana, mi metterò personalmente in contatto con monsieur Damocles per accelerare i tempi affinché si proceda con l'evento il prima possibile. Nel frattempo, vi auguro buon divertimento.» Detto ciò, voltò le spalle a tutti e si diresse con passo misurato verso il suo studio privato.

   Adrien lo seguì con lo sguardo, a dir poco stupito per tutto quell'interesse da parte di suo padre. A cosa era dovuto? Al fatto che volesse controllare più da vicino le sue amicizie? O forse Marinette lo incuriosiva davvero e voleva capire se avesse talento per la moda? Qualunque fosse la ragione di quel comportamento, il giovane si volse a guardare la propria innamorata con un certo orgoglio: nel bene o nel male, Marinette era riuscita a lasciare il segno.

   «Vogliamo andare?» domandò anche ad Alya e Nino, che erano rimasti in religioso silenzio per rispetto alla defunta autostima della loro povera amica. Quest'ultima si riscosse solo quando Adrien la prese per mano per condurla in camera sua insieme agli altri. Le sembrava di aver appena vissuto un incubo, come se fosse stata manipolata da una forza aliena che l'aveva costretta a dire tutto ciò che non avrebbe dovuto davanti all'uomo che aveva messo al mondo il ragazzo che amava – nonché il suo stilista preferito. Il suo amor proprio, comunque, le fece presente una cosa di non poca importanza: a dispetto della figura di pongo appena fatta, la strada per conquistare la simpatia di monsieur Agreste ora sarebbe stata tutta in salita, per lei. Dopotutto, obiettivamente, come poteva fare peggio di così?

   «Darò il massimo per la sfilata», si ripromise a voce alta, suscitando tenerezza nei suoi amici.

   «A proposito, bella fortuna che nel sorteggio sia capitato proprio io, come tuo modello», disse candidamente Adrien. Nino sospirò con pazienza, volgendo lo sguardo altrove, e Alya quasi rise, alzando gli occhi al soffitto. «Cosa?» volle sapere il giovane, trovando strane quelle reazioni.

   Fu Marinette, allora, a rivelare l'arcano. «Non... Non è stato un sorteggio.»

   «No?»

   «In apparenza sì», precisò la ragazza, tornando quasi a balbettare come aveva fatto per gli ultimi dieci, traumatizzanti minuti. «In realtà è stato biecamente manipolato dalle nostre compagne di classe. Sapevano che sono innamorata di te, e così... mi hanno dato una mano.»

   «Ah.»

   «Mi dispiace...» uggiolò, rivolgendogli uno sguardo mortificato. «Giuro che non ne sapevo nulla, hanno fatto tutto a mia insaputa! Era anche per questa ragione che non ti avevo detto niente fino a che non sono stata costretta a farlo!»

   Adrien scosse il capo. «No, no... Non mi dà fastidio l'imbroglio di per sé», chiarì a scanso di equivoci, benché non lo trovasse comunque giusto. «È solo che... davvero lo sapevano anche loro?» Sul serio lui era l'unico idiota a non essersene accorto?!

   «A quanto pare lo sapeva persino tuo padre», mise il dito nella piaga Alya. «La cosa ha stupito anche me, in effetti...» aggiunse poi, lanciando uno sguardo sospetto all'amica che rispose con un sorriso vago e imbarazzato. «Quindi eri stata tu a far sparire il libro?»

   «Ehm...»

   «Acqua passata, non pensiamoci più», affermò Adrien, che non voleva approfondire l'argomento a causa di tutto ciò che c'era dietro a quella storia. «Siamo qui per divertirci, dopotutto.»

   «Adrien ha ragione», convenne Nino, che, da buon amico, avrebbe voluto subito distrarre Marinette per farle dimenticare il disastroso incontro con monsieur Agreste e risollevarle così il morale. «Dovreste vedere camera sua, è un'autentica stanza dei giochi.»

   La conferma a quelle parole la ebbero non appena ne varcarono la soglia. Alya, l'unica a non essere mai stata ancora lì, rimase a bocca aperta: Nino non aveva esagerato, quando gliel'aveva descritta. «C'è persino una parete per arrampicata!» esclamò la ragazza. «Marinette, dobbiamo provarla!»

   Lei scosse il capo con fare deciso. «Vuoi davvero che mi spezzi l'osso del collo?»

   «Che tu sia imbranata non conta, basterà una bella imbracatura, no?» insistette la sua amica.

   «Soffro di vertigini.»

   «Non mi pare, visto che sei stata sulla Tour Eiffel più di una volta.»

   «Lì è diverso, c'è il pavimento sotto ai miei piedi», chiarì Marinette, cercando di convincerla della cosa. Non poteva certo dirle che passava molto tempo sospesa nel vuoto e appesa al filo dello yo-yo di Ladybug, no? «Mentre qui... non avrei alcun appoggio vero e proprio e...»

   «Ho capito, lascia perdere», sospirò Alya. «Ma dovresti comunque iniziare a praticare un po' di sport, ti farebbe bene.»

   Con tutto l'esercizio fisico che faceva nei panni dell'eroina di Parigi, Marinette non ne aveva assolutamente bisogno. Ciò nonostante, non le diede del tutto torto. «In effetti stavo pensando di riprovare con la scherma.»

   «Sul serio?» ne fu piacevolmente sorpreso Adrien, dal momento che non ne avevano più parlato.

   «Sì, volevo dirtelo ieri, ma alla fine mi è sfuggito di mente», spiegò la ragazza. Ed era vero, perché nelle sue intenzioni avrebbe voluto chiedergli di darle una mano, esercitandosi insieme prima delle nuove selezioni che ci sarebbero state di lì a poco; tuttavia, tra le vicissitudini di Ignazio e Abelardo, e le ben più importanti confessioni che si erano fatti lei e Adrien, la faccenda era passata in secondo piano.

   «Sarò felice di aiutarti», le assicurò il giovane, entusiasta al pensiero che avrebbe potuto vedere l'amata anche durante le sue lezioni con monsieur D'Argencourt.


I giorni passarono e, come aveva annunciato, il padre di Adrien contattò il preside della scuola per riprendere il progetto della sfilata. Benché fosse un evento organizzato dagli studenti per gli studenti, il nome di Gabriel Agreste era uno sponsor e un giudice non indifferente, pertanto non appena la mamma di Manon era venuta a sapere della cosa da Tom e Sabine, subito aveva deciso che sarebbe stata fra il pubblico: poteva essere una buona occasione per farsi rilasciare un'intervista o, perché no?, scoprire nuovi talenti nel campo della moda. Nella classe di Marinette la maggior parte degli alunni aveva preferito aiutare con i preparativi, perciò alla sfilata vera e propria avrebbero partecipato soltanto sei studenti, divisi in coppie sorteggiate a caso: Rose si era occupata del modello che avrebbe indossato Nathaniel, Juleka – suo malgrado – di quello di Chloé, e la stessa Marinette aveva lavorato a lungo su quello di Adrien.

   Cercando di dimenticare il disastroso – ma in qualche contorto modo divertente – incontro avvenuto quella domenica pomeriggio a villa Agreste, i due ragazzi si erano impegnati molto al riguardo. O meglio, Marinette lo aveva fatto, tagliando, imbastendo, cucendo e rifinendo il completo che aveva disegnato fino a fare anche le ore piccole; non che le fosse pesato, amava quel tipo di lavoro e il pensiero che lo faceva per Adrien, oltre che per se stessa, le aveva dato energie extra per portarlo a termine nel migliore dei modi.

   «Se non la pianti di mangiare, finirai per non entrarci più, qui dentro», sbraitò esasperata, mentre si chinava sulle ginocchia armata di spilli per prendere le misure per l'orlo dei pantaloni. La sfilata si sarebbe tenuta l'indomani e Adrien si trovava a casa sua per un'ultima prova generale. In quei giorni, dopo la scuola, era stato spesso da lei proprio per indossare la creazione di Marinette man mano che lei ci lavorava e assicurarsi che fosse tutto in ordine. La novità di quelle visite consisteva nel fatto che non era più andato da lei nei panni di Chat Noir, miagolando di notte sul balcone della sua camera in cerca di attenzioni e coccole, bensì come amico e compagno di scuola della ragazza. In verità, nessuno dei due si illudeva che i coniugi Dupain-Cheng continuassero a bersi quella frottola, ma, dal momento che non facevano domande, anche loro si guardavano bene dal dare risposte non richieste – e solo perché Marinette asseriva che, se lo avessero fatto, si sarebbe sentita ulteriormente sotto pressione per la sfilata e quindi aveva promesso ad Adrien che avrebbe parlato con i propri genitori appena se la fossero lasciati alle spalle.

   «Non è colpa mia, se tuo padre continua a sfornare dolci e tua madre continua a portarmeli», si giustificò il giovane, per nulla pentito della propria golosità. Pur rimanendo china a lavorare sull'orlo dei pantaloni, Marinette gli lanciò un'occhiata piuttosto espressiva che lo fece quasi scoppiare a ridere. «Sarebbe scortese rifiutare. I tuoi genitori sono adorabili.»

   «Tu sei adorabile», precisò lei, tornando a prestare attenzione al proprio lavoro. «È per questo che stravedono per te.» Sospirò con rassegnazione, soprattutto perché in sottofondo avevano di nuovo la telenovela che Plagg e Tikki stavano guardando in streaming per ammazzare il tempo. «Quanto vorrei riuscire a fare breccia nel cuore di tuo padre...»

   Adrien strinse le labbra in una smorfia perplessa. «Non è proprio tipo da manifestare le proprie simpatie», fu costretto a rivelarle. «Con le antipatie, invece, non si fa problemi. Per questo penso che l'incontro dell'altro giorno non sia stato poi così pessimo come credi; in caso contrario, non avrebbe esitato a cacciarti di casa, te l'assicuro. Lo fece il giorno del mio compleanno con Nino. Ecco perché poi lui fu akumizzato

   «Oh», balbettò la ragazza, non sapendo bene come prendere quell'informazione. Doveva consolarsi al pensiero che Gabriel Agreste non l'aveva spedita fuori dalla sua villa a calci nel sedere? Forse sì, eppure la cosa non riusciva a tranquillizzarla.

   «Grazie per quello che hai fatto per me», disse all'improvviso Adrien, fissandola dall'alto con amore. Lei tornò ad alzare gli occhi sul suo viso. «Per esserti assunta tutta la responsabilità della sparizione del libro e per averlo restituito a mio padre, permettendomi così di tornare a scuola.»

   Marinette sorrise, vagamente imbarazzata. «Sì, beh... in parte era anche colpa mia. Non è stata una completa bugia, quella che ho detto. Ho solo omesso la storia di Lila. In fondo, il libro lo avevo davvero preso io, dopo.» Appuntato l'ultimo spillo, tornò ad ergersi sulle gambe e a guardare Adrien più da vicino. «Piuttosto, mi spiace avergli detto anche della mia... infatuazione per te. Non volevo metterti in imbarazzo.»

   «Credi che mio padre non sappia che ho diverse ammiratrici?» le fece notare il giovane. «La mia cassetta della posta è sempre stracolma di lettere e cartoline. Non sai che seccatura.»

   «Questo mi rende molto, molto felice», borbottò sarcastica lei, armeggiando con il collo della giacca da lui indossata per sistemare anche quello.

   «Se può consolarti, l'unico biglietto di cui mi è mai importato realmente è quello che ho ricevuto a San Valentino», le rivelò Adrien, scrutandola in volto con tenerezza. La vide arrossire. «Sei stata tu a mandarmelo?»

   «Solo se era a forma di cuore.»

   «Perché non lo hai firmato?»

   «Ho dimenticato di farlo.»

   «Quindi... non sono l'unico caso perso nello gestire questo genere di cose, fra noi due.»

   Marinette ridacchiò. «No, direi proprio di no.»

   «Ho adorato quello che hai scritto su quel biglietto. Sembrava una risposta ad una cosa che avevo scritto quella stessa mattina, in classe...»

   «...e che avevi cestinato alla fine delle lezioni.»

   «Ho una stalker», concluse Adrien, accigliandosi ma mantenendo un sorriso divertito sulle labbra socchiuse.

   «In effetti ho sempre pensato che, se tu avessi scoperto quanto ero ossessionata da te, mi avresti come minimo tolto il saluto», confessò la ragazza, non avendo più il coraggio di guardarlo.

   «Eri?» fu l'unico appunto che fece il giovane a quella dichiarazione degna di un verbale di polizia. «Ora non lo sei più?»

   «Certo che sì, ma adesso mi basta chiederti ciò che voglio sapere, senza più dover rovistare nella spazzatura o seguirti di nascosto.»

   «Tutto ciò ha un che di preoccupante.»

   «Ricordati che mi hai detto che mi ami appena pochi giorni fa», gli rinfacciò Marinette per pararsi il fondoschiena. «E poi scommetto che anche tu hai fatto cose simili con me.»

   «Affatto», ribatté con orgoglio l'altro, mostrandosi molto più integro di lei. Sebbene fosse tutto preso dalla telenovela, Plagg tossì platealmente e lui ammise ridendo: «Ma solo perché non sapevo dove poter trovare la mia buginette

   «Lo immaginavo», fu il commento soddisfatto che ricevette da lei. «Però non mi hai detto perché hai cestinato quella poesia: a me piace molto.»

   «Alla fine mi sono detto che preferivo dirti quello che provavo guardandoti negli occhi.»

   «Beh, è quello che hai fatto, sia pure con diversi mesi di ritardo.»

   Adrien prese fiato. «In realtà... stavo per dirtelo anche quel giorno.» Marinette tornò a fissarlo nelle iridi chiare, questa volta con aria sorpresa. «Dark Cupido ci ha interrotti con quella freccia.»

   Allora era per questo che lui aveva abbassato la guardia, facendo di loro un bersaglio facile durante quel combattimento? Ciò nonostante, si era preso la freccia indirizzata a lei, proteggendola con il suo stesso corpo – non era la prima volta che accadeva – e dichiarandole comunque i suoi sentimenti con quel gesto tanto altruista. «Sono contenta che tu non sia riuscito a dichiararti, quella volta.»

   «Questa è cattiva», ci rimase male Adrien, imbronciandosi.

   «Ragiona: se lo avessi fatto con le sembianze di Chat Noir, avresti ricevuto un rifiuto.»

   «Invece, diventando uno scagnozzo del nemico, ci ho guadagnato un bacio», concluse per lei, guardando la cosa da una prospettiva differente. «Però non me lo ricordo.»

   Marinette sorrise in maniera birichina. «Potrei sempre rinfrescarti la memoria...»

   «...e la cosa non mi dispiacerebbe affatto...» mormorò Adrien, chinandosi verso di lei.

   Il rumore della botola che si spalancava li fece sussultare e prima ancora che le loro labbra potessero sfiorarsi, i due kwami corsero a nascondersi e Marinette spinse via il giovane, pungendolo con l'ago che aveva in mano. «Ah!» si lasciò sfuggire Adrien, massaggiandosi il petto.

   «Oddio, mi dispiace!» esclamò lei, portandosi le mani davanti alla bocca con aria mortificata.

   «Tutto bene?» si sentirono chiedere da Sabine, che si era affacciata dal piano di sotto insieme a suo marito.

   I due ragazzi si volsero nella loro direzione con un sorriso a trentadue denti, che nascondeva tutto il disagio del momento. «Benissimo!» assicurarono a voce un po' troppo alta.

   «Oh, Adrien, come stai bene!» cinguettò la donna, osservando con attenzione e ammirazione il lavoro di sua figlia mentre entrava in camera.

   «Grazie, ma è tutto merito di Marinette», si schermì il giovane, gongolando fra sé per l'essere riuscito ad entrare nelle grazie dei genitori dell'amata senza dover fare praticamente nulla.

   «Bugiardo, sai perfettamente che staresti bene pure con un sacco dell'immondizia addosso», lo smentì la stessa Marinette, a metà fra il rassegnato e il compiaciuto: quella meraviglia dal corpo statuario era il suo innamorato, dopotutto.

   «Vi abbiamo portato qualche leccornia per recuperare le energie», esordì invece Tom, muovendosi goffamente nella stanza per posare sulla scrivania un piatto pieno di dolciumi che aveva preparato apposta per Adrien. Come Sabine, anche lui aveva un debole per quel ragazzo: al di là del suo bell'aspetto, era educato, a modo, gentile, allegro, adorava la sua cucina, ma sopra ogni altra cosa guardava Marinette con uno sguardo pieno d'amore. Come poteva, da padre, rimanere indifferente soprattutto a quest'ultimo, fondamentale dettaglio?

   «La ringrazio, monsieur Dupain», disse Adrien, già pronto ad allungare le mani su quel ben di Dio.

   «Fermo là!» intervenne la ragazza togliendogli il piatto da sotto al naso. «Prima togliti il completo di dosso: se lo sporchi ti dipingo di nuovo di rosa», minacciò con fare severo. «E se ingrassi prima che la sfilata sia finita, ti farò ben di peggio.»

   «Uh, che aguzzina...» commentò Tom, provando pena per il suo protetto.

   «Marinette, non esagerare, non può certo ingrassare nel giro di ventiquatt'ore», la rimbrottò ridendo Sabine.

   Anche Adrien si lasciò andare ad un sorriso. «Però è vero, potrei correre il rischio di sporcare il tuo lavoro, perciò vado a cambiarmi.»

   «Bravo bambino», approvò Marinette, mentre il giovane scendeva di sotto per tornare a cambiarsi nella camera dei genitori di lei.

   «Quindi avete finito?» domandò la donna, un po' triste all'idea che, dopo la sfilata, Adrien non sarebbe più stato troppo presente in casa.

   «Devo solo fare l'orlo ai pantaloni», confermò la ragazza, tornando a posare il piatto di dolciumi sulla scrivania e spegnendo il monitor del computer dove quella lagna di una telenovela continuava a torturarle le orecchie. «Spero che vada tutto bene, ci sarà anche suo padre, domani, e vorrei fare una buona impressione, visto che è anche fra i giudici del concorso. È uno stilista rinomato, perciò il suo parere è fondamentale.»

   «Sono certo che andrà tutto bene», la incoraggiò Tom, posando con affetto una mano sulla sua spalla minuta.





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E via anche il decimo capitolo. Altri quattro e avremo finito. Il prossimo, vi avverto, sarà movimentato.
A parte questo, qualcuno mi ha (legittimamente) chiesto dove io voglia andare a parare con questa storia e la mia riposta è stata la seguente (perdonate il copia/incolla):
Speravo che il titolo della storia fosse di per sé rivelatore: parlo dei limiti che tutti noi abbiamo, come esseri umani. Ma, nello specifico, parlo di quelli di questi due ragazzini che si ritrovano catapultati in situazioni più grandi di loro, con responsabilità enormi e poteri che non sanno gestire appieno per un motivo o per un altro. Parlo di due bambini, alla fin fine, che devono fare i conti con la realtà e con la vita di tutti i giorni - e non solo, nel loro caso, soprattutto quando di mezzo ci sono tragedie che lasciano non poco il segno.
Siamo sempre abituati a vederli infallibili (o quasi) nella serie animata. Ecco, io invece voglio solo portare a galla anche tutto il resto. Considerate questa storia una sorta di viaggio introspettivo, tutto qui.
Insomma, ho scelto il titolo
Limiti proprio per questa ragione, per sottolineare che ognuno di noi - adulti e bambini, supereroi e non, personaggi di spicco e gente comune - ha, appunto, i suoi limiti. Niente più di questo, davvero.
Se ciò che leggerete sarà o meno una delusione (o una grande sorpresa), a questo punto non dipende da me, ma dalle aspettative che ogni lettore si sarà fatto al riguardo.

Precisato questo, vi ringrazio come sempre di cuore per essere ancora qui a leggere e/o a commentare e/o ad inserire questa long fra le storie preferite/ricordate/seguite.
Buon fine settimana a tutti! ♥
Shainareth




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