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Lights Of Dawn: Episodio 6 | Atto 1

"Ed io l'ho preso per le braccia e l'ho immobilizzato sul letto, cazzo!" le goccie di saliva giallastra si nebulizzarono nell'aria fredda, creando uno sbuffo di vapore che si mischiò al fumo della sigaretta. Kurt era seduto sul lettino, e raccontava la storia agli altri quattro uomini con gesti esasperati, raggrumando il collo sbarbato tra le soffici pieghe del giubbotto giallo e viola. Cessò per un momento di blaterare, fermandosi a rimuginare profondamente su qualche pensiero con lo sguardo fisso nel vuoto. I suoi occhi erano colmi di perplessità ed esitazione, come se si sentisse alienato a raccontare quei fatti ad orecchie che stava vedendo per la prima volta.
"Fanculo..." mormorò, piegando le ginocchia ed aspirando una potente colonna di fumo dalla sigaretta.
"No, no..." lo interruppe Anton, corrugando il volto accigliato e deformato dalle rughe giovanili "Va' avanti". Sembrava che dentro di lui si muovessero centinaia di meccanismi, migliaia di corde tese a cercare una spiegazione a quei fenomeni. Non c'era parola che sfuggisse al suo giudizio interiore, setacciata dalle sue scaltre meningi. Dave mugugnò, spingendosi con il piede a far roteare la sedia su cui era adagiato. Il suo pallore era sparito dopo la lunga pista di cocaina, e le convulsioni erano ora spasmi di eccitazione. Il suo volto non era gioviale o estasiato, ma sembrava serenamente arcigno, come se avesse inghiottito un limone intero e per questo avesse ricevuto un premio. Ad ogni modo, non riusciva a tenere immobili le membra, ed era continuamente in preda a brividi o benefici tic improvvisi, disteso in meditata ebbrezza sul velluto della sedia, i piedi poggiati sulla scrivania dell'ambulatorio.
Kurt agitò la sigaretta nell'aria, facendole descrivere un vaporoso arco, e sospirò, pulendosi un'ombra di sudore dall'ampia fronte da afroamericano.
"Quello stronzo lottava come un cinghiale. Sembrava un demone, te lo giuro... Si è fermato solo per sputarmi in faccia." continuò quindi, mentre le sue dita iniziavano a vibrare lievemente.
"Non lo hai ammazzato di botte?" lo interruppe Dave con voce alterata dalla droga, torcendo il collo oleoso in un raptus rapidissimo. Pigiò il dorso contro lo schienale della poltrona e piegò il cranio all'indietro, rovesciando le pupille per fissare il nero negli occhi.
"Guarda che ho lottato, eh. Non credere che sia rimasto lì fermo a farmi sculacciare da un coglione come Aiden." rispose Kurt "Comunque ad un certo punto si è fermato, e mi ha detto: 'La sai la vera storia di quello che ho fatto a quella puttana?'".
Ryan deglutì, mentre spostava lo sguardo alla finestra con imbarazzo. Si era incantato a fissare Anton, ed ora il glabro nano gli aveva lanciato un'occhiata fulminante e indagatrice. Gli occhi di quell'uomo erano davvero tra i più particolari che il poeta avesse visto, tanto erano attenti e concentrati. Saettavano continuamente qua e là con fare rettiliano, esaminando ogni particella di polvere dell'aria e prevedendo la sua traiettoria senza perdere di vista un solo respiro degli altri uomini. Quell'individuo era costantemente in allerta, con quelle grosse palpebre spalancate sulle vispe pupille, ed il modo in cui aveva fissato Ryan dall'inizio della nottata era poco confortevole.
"'Quella puttana aveva due figlioletti: uno grande ed uno piccolo' mi fa lui" Kurt continuò la storia mentre rigirava tra la dita gli ultimi centimetri della sigaretta, ormai completamente estinta "E ha iniziato un discorso assurdo per farmi paura. Non so se sia vero o no, ti dico... Però conoscendo quello stronzo psicopatico potrebbe anche essere vero.".
"Che ti ha raccontato?" insistette Anton, tirando su col naso.
Kurt spense il mozzicone gettandolo a terra. Fissò il vuoto con il capo chino a fissare il pavimento, ed incrociò le mani sollevando il folto sopracciglio.
"Ha detto che quella tizia la conosceva. Era la sua vicina cinquantenne, e aveva due figli." mormorò con voce gracchiante e rotta dall'incertezza "Uno di dieci ed uno di tredici. Erano entrambi lì, ed avevano combattuto con gli altri per fare numero. Allora Aiden ha preso la donna, e le si è avvicinato alla faccia, ma lei non ha battuto ciglio. Quello stronzo ha detto di aver sorriso, e di averle chiesto quale dei due figli preferiva. Ovviamente lei non ha capito, e ha chiesto spiegazioni, e allora lui le ha ripetuto la frase. Le ha ordinato di dirgli quale dei due figli preferiva, e ha detto che ne avrebbe risparmiato solo uno."
Il silenzio era calato nella stanza, ed anche gli spasmi incontrollati di Dave avevano lasciato il posto ad un'allucinata immobilità. Il tono con cui Kurt stava raccontando quella storia, perplesso e distaccato, gelò ai quattro uomini il sangue nelle vene, e strozzò loro i respiri in gola. Solo Anton sembrava ascoltare con atteggiamento impassibile, mentre nel suo cuore ingranaggi cigolavano e drammatici calcoli si sovrapponevano come spiritate giurie di un tribunale organico.
"Allora la donna si è messa a piangere, perché ha capito, ed è caduta a terra, e si è messa ad implorare pietà. Vi giuro che non so se sia vera questa storia, eh! Aiden ha detto di essersi gustato la scena e di averle detto che se non ne avesse scelto uno da salvare li avrebbe ammazzati entrambi. Allora la donna si è messa a gridare più forte, e lo ha afferrato per i piedi per implorarlo, da sola davanti a lui. Praticamente Aiden ha cominciato a contare. Dieci, nove, otto. E la donna non aveva più lacrime da piangere nel corpo, e ha continuato ad implorarlo. Sette, sei, cinque. Non cede. La donna si stava strappando i capelli. Quattro, tre, due. Con uno sguardo da pazzo Aiden mi dice che lei ha finalmente gridato il nome di uno dei due figli, e ha affondato la faccia nel terreno subito dopo. Allora Aiden le ha chiesto: 'questo qui'? Quello di tredici anni. Ha sorriso e gli ha sparato in testa, mentre l'altro bambino non capiva che stava succedendo. Così Aiden gli si è avvicinato e gli ha detto: 'Non è molto gentile tua madre' e se n'è andato. Appena il nostro camion è tornato qui lui ha raccontato la storia come se ne fosse stato orgoglioso, e tutta la squadriglia di Ray ha riempito quello stronzo di botte, e lo hanno portato da me tutto nero di lividi.".
"Ora dov'è?" lo interruppe Anton. Ryan sussultò, interrompendo il lugubre silenzio che aveva accompagnato il racconto.
"L'ho mandato via a calci in culo da qui. Saranno state le tre. Ti sei perso una brutta scena, bastardo fortunato. Avrei dovuto ammazzarlo per una roba simile, ma non sapevo se era vera.".
"Lo hai mandato via? E se n'è andato?" Anton sollevò il sopracciglio. Aveva gli occhi lucidi e concentrati, quasi stessero pregustando l'allucinato racconto.
"Gli ho lanciato la pistola in mezzo alla strada e gli ho detto di andarsene a fanculo. È psicopatico ma non è scemo. Sono sicuro che se l'è svignata con una sgommata sulle mutande almeno fino alla Rampollaia. Te lo dico io..." rispose Kurt, accennando un sorriso acido ed imbarazzato nella penombra. Il nero scosse la testa mentre Anton lo fissava con sguardo serio ed accigliato, i nervi tesi sotto la pelle sottile.
"Cazzo se era psicopatico... Io lo avrei ammazzato quello stronzo..." Dave si intromise nel discorso senza premeditate considerazioni, scalciando contro la sedia a rotelle per farle compiere un giro su se stessa. Anton voltò fulmineo la testa a fissare il ragazzo, che sostenne lo sguardo con chimica noncuranza e serenità. Ci furono un paio di secondi di silenzio. Dave iniziò a masticare un invisibile gomma con le mandibole scoordinate, e piegò il capo in avanti con un'espressione di tesa provocazione stampata sul volto.
"Devi stare zitto, tu..." sbottò quindi Anton, incrociando le dita con calma. Si sistemò sul letto, e ruotò il torso per rivolgersi al compagno, lanciando una rapida occhiata al pietrificato poeta.
"Prima mi hai insultato. Mi hai insultato davanti a tre persone. Devi stare zitto, tu...".
Il sorriso sbiadì dalla faccia bollente di Dave, e la sedia smise di roteare, decelerando cupamente.
"Ero incazzato nero, Anton. Adesso che mi hai farcito sono tranquillo." ribatté il ragazzo, addolcendo il tono  sventato e sostenendo lo sguardo impassibile dell'uomo. Ryan lanciò un'occhiata al borsone zeppo di armi che aveva trasportato fin lì, ora poggiato sul lettino accanto a Kurt e sventrato per verificarne il contenuto. Lì dentro c'erano i migliori fucili che Jordan aveva concesso loro senza riflessioni. Ed ora sembravano distanti chilometri, ostruiti dalla sagoma minacciosa dell'uomo muscoloso.
"Tu devi portarmi rispetto. Sai che succede se non mi porti rispetto..." continuò impassibile Anton, il tono freddo e torvo. Dave si irrigidì, e sotto la carne i muscoli vibrarono di lievi brividi.
"Ti chiedo scusa se prima ti ho insultato".
"Scuse accettate." lo interruppe Anton, liquidando il cagnesco scambio di battute con un gesto della lercia mano. Scostò lo sguardo dai luccicanti occhi di Dave, che tirò un rauco sospiro di sollievo prima di accasciarsi a fissare il pavimento. Ryan deglutì silenziosamente, cercando di smaterializzarsi, fondendosi con le pareti bianche dell'ambulatorio. Aveva compreso la gravità della situazione nello stesso momento in cui Dave si era gettato sulla rude striscia di polvere bianca, ed il borsone con le armi gli era scivolato giù dalle spalle zuppe di sudore. Anton era tornato a fissarlo in modo sinistro e diffidente. Nonostante la sua bassa statura e le comiche orecchie sporgenti, quel figuro spandeva attorno a sé un'atmosfera da perfetto calcolatore, ed il suo sguardo indagatore avrebbe inchiodato al muro anche il più impassibile uomo sulla terra.
"Perché stai sempre zitto, tu?" Anton scandì le severe parole rapidamente, chinando il capo a mostrare l'ampia fronte al poeta. I brividi si propagano lungo le vertebre di Ryan, mentre mille stalagmiti di ghiaccio gli trafiggevano le rugose meningi. Pensò ad un'imbarazzata risposta da espellere attraverso le labbra tremolanti, ma ogni pensiero gli veniva inconsciamente strozzato in gola mentre gli occhi annoiati di tutti migravano a scrutare la sua figura. Doveva essere imbarazzante fissare un uomo robusto ed adulto restare immobilizzato dall'esitazione, gli occhi sgranati e le ginocchia vacillanti dalla paura infantile di scegliere le giuste parole. Il silenzio, però, lo bloccava impietoso, ignorando le interne suppliche che Ryan rivolgeva all'encefalo implorando di riacquistare lucidità davanti a quei torvi figuri.
"Lascialo perdere" biascicò Dave "è un senza palle.".
"Altroché. Si sta cagando sotto..." aggiunse Kurt annuendo con il capo rasato.
Anton zittì il compagno con un'occhiata bieca, e si rivolse a Ryan con tono secco e cupo.
"Come ti chiami?" chiese, la faccia incessantemente​ sospesa in quell'espressione rigida e concentrata, con la bocca semiaperta e la fronte corrugata.
Il poeta provò ad inspirare per ricalibrare i propri pensieri, ancora avvolti dalla piovra di terrore negli abissi di quell'ambulatorio, ma la morsa era troppo forte. Si sforzò di più, allora, cercando di rompere quelle nevralgiche catene illusorie, ripetendosi che era tutto nella sua mente. Era un uomo adulto e possente, impavido e sincero. Aveva ucciso decine di Infetti, salvato un bambino dalla morte e convinto con la sua retorica elegante persone col morale più corroso e distrutto del suo.
"Ryan" le parole furono sputate fuori dalla laringe come grumi di catarro ostruiti da troppo tempo. Gli occhi si sgonfiarono, ma le membra rimasero rigide mentre il tempo si dilatava in attesa della risposta del truce interlocutore.
"Bene, Ryan..." rispose Anton in tono rapido e sbrigativo "Io sono Anton Gavrilescu. Sono il capo di questa comunità. So che vivi in una diga con altre persone. Loro non sanno della nostra esistenza, e tu devi stare zitto. Di solito chiedo ai nuovi ospiti se preferiscono restare qui nel centro di Alleigh o restare con la loro comunità, ma tu mi sembri davvero un cagasotto. Quindi ti dirò solo che se menzioni anche solo di sfuggita ai tuoi compagni l'esistenza di questa comunità, manderò i miei uomini a cercarti e ti darò in pasto ai miei cani. Nessuno deve sapere di questo posto, e tu mi sembri un uomo ragionevole. Rispondi di sì se hai capito tutto."
La scintilla di coraggio che era germinata in Ryan in quei pochi istanti soffocò improvvisamente, una volta che l'uomo finì il suo severo discorso. I brividi di vago terrore si mischiavano alla rabbia di sentirsi chiamare un senzapalle, e mille gelidi frattali danzavano davanti ai suoi occhi mentre l'adrenalina riempiva le vene.
"Allora? Rispondi se hai capito sì o no."
"Sì" rispose Ryan sforzando la gola atrofizzata. Fissò con la coda dell'occhio Dave, immerso nel suo carosello infantile con gli angoli della bocca innaturalmente piegati verso l'alto.
"Hai capito che nessuno deve sapere di noi? Rispondi sì se hai capito."
"Sì."
"Bene" concluse Anton, alzandosi dal lettino senza mutare espressione. Si diresse verso il borsone che il poeta aveva portato fin lì e si chinò per rovistarvi dentro. Kurt lo guardò silenziosamente, e fece per aprir bocca, quando l'uomo lo interruppe.
"Come hai fatto a sopravvivere fino a qui, Ryan?" chiese Anton, ancora chinato nell'intento di estrarre i nuovi fucili per esaminarli "Da quanto vivi alla diga?".
Dave bloccò il roteare della sedia aggrappandosi al bordo della scrivania e fece scivolare gli occhi dilatati verso l'uomo, poi si schiarì la gola.
"Vive con noi praticamente dall'inizio..." rispose quindi, lanciando un'occhiata minacciosa al poeta. Ryan non capì. Stava mentendo a quell'uomo per ottenere cosa? Che peso poteva avere una simile risposta? Il suo cervello lavorava febbrilmente, le membra immobilizzate ma che parevano costantemente in allerta, calcolando le molteplici minacce che discutevano di lui in quella stanza in quel momento. Era un burattino in bilico tra due mostri senza paura, debole tra due leoni affamati e divertiti dal suo terrore.
"Tu devi stare zitto. Ho chiesto a lui. Non a te." lo interruppe Anton, scoprendo il lato destro del viso tarchiato per scrutare l'espressione controversa di Dave "Ma non avevo dubbi. Sei un uomo molto fortunato, Ryan. E sei fortunato anche ora, perché stai respirando qui in mezzo a noi. Mi sarebbe bastato un gesto della mano, uno schioccare di dita per ucciderti. Ma sono sicuro che non parlerai. Hai mai ucciso uno di quei mostri, Ryan?".
Dave fece per rispondere, ma tacque non appena vide l'uomo voltarsi verso di lui con la coda dell'occhio, e si limitò a tirare su col naso e stringersi il braccio in un lapsus di iperattività. Ryan notò che il terrore che lo aveva attanagliato fino ad un momento prima stava trasfigurando in timore e allerta, e riempì i polmoni di un respiro profondo prima di sgombrare la mente e rispondere alla domanda del sinistro interlocutore.
"Sì. Ne ho ucciso qualcuno. Anche stanotte." disse infine, pronunciando le parole con moscia fierezza simile ad un balbettio.
"Ti credo. I tuoi vestiti e i tuoi capelli sono sporchi di sangue" rispose Anton. Estrasse un fucile dalla borsa per esaminarne il calcio, e percorse il profilo della canna di metallo con il tozzo dito olivastro. "Sai uccidere dei mostri ma non sai tenere il piscio nella vescica in presenza di un uomo più rispettabile di te. La tua persona non m'interessa se le cose stanno così. Non voglio perdere altro tempo con te e con il tuo compagno."
Il caricatore del fucile si staccò con un potente "click", ed Anton carezzò i proiettili sistemati con cura all'interno di esso prima di incastrarlo nuovamente nell'arma.
"Vi dò dieci minuti per allontanarvi dall'edificio. Mio fratello sta molto male, e ho già dedicato troppo tempo a voi due. E poi devo occuparmi di Aiden e della sua fuga. Siete congedati entrambi." Anton lanciò a Dave un sacchetto di plastica contenente una discreta quantità della stessa droga che egli aveva assunto poco prima, ed il ragazzo la prese goffamente al volo, reggendola con due mani per evitare che il contenuto fuoriuscisse.
"Un attimo" disse Ryan con un'incrinatura di rauco panico nella voce "e i nostri farmaci? Abbiamo dei feriti alla diga.".
Il viso di Dave divenne paonazzo in di pochi secondi, e Ryan cercò di ignorare il suo sguardo ricolmo di furia assassina per concentrarsi sul volto serio di Anton, che sollevò un sopracciglio.
"Non c'è nessun farmaco. Dave non mi ha avvertito a proposito dei vostri feriti. Se volevate delle medicine dovevate venire con più armi." rispose l'uomo, fissando con disprezzo e perplessità il ragazzo, ancora seduto sulla sedia con il capo chino e gli occhi improvvisamente iniettati di sangue "Ora andatevene. Dave, vattene."
Il ragazzo si alzò dalla sedia, stringendo il sacchetto di plastica con il pugno scarlatto dal quale emergevano le vene in rilievo. Inspirò profondamente per calmarsi, ma le rughe sulla fronte erano ormai profonde e una scintilla di follia gli alterava lo sguardo imbevuto di rabbia. Ryan indietreggiò confuso. La reazione di Dave, forse causata della droga, lo aveva appena spaventato a morte, così come l'alterazione improvvisa del suo carattere. Se da un lato il poeta era immobilizzato dalla paura, però, dall'altro anch'egli sentiva lievitare una certa rabbia nelle ossa. La rabbia dell'essere snobbato come senzapalle, giudicato ancora prima di poter parlare. La rabbia di sapere che non solo Dave aveva scambiato le loro armi per qualche oncia di cocaina, ma non aveva neppure chiesto le medicine che servivano ai feriti della diga. Stava lasciando morire delle persone per il gusto di essere flagellato dalle chimiche endorfine di quella maledetta polvere bianca, lasciando che le ferite di quegli innocenti si infettassero fino ad ammazzarli fra atroci sofferenze. Ed ora stava lì in piedi, paonazzo e capriccioso, e fissava Ryan con odio ingiustificato, come un bambino al quale basta una piccola emozione per cambiare totalmente atteggiamento. E quel narcisista era troppo bravo per non scamparla.
"Ho detto fuori. Ultimo avvertimento... Levatevi dai piedi..."

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