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Lights Of Dawn: Episodio 5 | Atto 3


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La sagoma dell'ospedale emerse dalla nebbiolina della vallata come una nave fantasma, imponente e solenne. Ai rampicanti erano bastate quelle poche settimane per invadere i primi piani del complesso, scavalcando terrazze ed avvinghiandosi a tubature e colonne. Gli ampi finestroni di vetro dell'edificio più alto, ancora sfoggiante la ciclopica "H" rossa, erano sfondati in vari punti, e sfumavano in ombre ciò che accadeva dietro di loro. Poche volte Ryan era dovuto andare all'ospedale di Alleigh, grazie alla sua discreta salute, e quelle poche volte che vi si era recato non aveva prestato attenzione a dettagli che ora assorbiva con ogni senso. Con il crollo della civiltà ogni edificio era ormai un tesoro di ricordi, un'opera d'arte da guardare e riguardare per imprimere ogni anfratto in mente, e risvegliare memorie di conforto artificiale. Gli tornò in mente il suo squallido appartamento di Norville, la carta da parati gialla e le nere piastrelle sature di umidità. Si ricordò del suo duro letto, e dei feticci che teneva sulle mensole beige della piccola stanza da bilocale, e sospirò mesto. Maledetta memoria immortale.
La nostalgia venne irrimediabilmente infranta nel momento in cui Dave svoltò bruscamente dentro al parcheggio dell'ospedale, sfiorando con la lamiera il poroso muretto che circondava l'isolato. Le viscere del poeta ebbero un tremito mentre si voltava a fissare con la coda dell'occhio il ragazzo. Pochi minuti fa gli aveva raggelato il sangue con un freddo discorso colmo di serie minacce, e gli aveva intimato di tenere chiusa la bocca. Ora che le sue condizioni erano più estreme che mai il pallore aveva raggiunto un livello seriamente cadaverico. Ryan inspirò profondamente, cercando di farsi coraggio e di distendere i nervi, pronto a reagire lucidamente a qualunque situazione gli si fosse presentata. Si era cacciato nei guai da solo, ed ora ne doveva tirarsi fuori allo stesso modo.
Il veicolo inchiodò a pochi metri dall'entrata dell'ospedale, occupando di sbieco un paio di parcheggi vuoti. Ancora qualche auto era sparpagliata per l'oceano di cemento, forse appartenente a qualche sfortunato malato abbandonato dai medici nella follia dell'Apocalisse, ma l'erba si stava aprendo lentamente la strada tra le crepe dell'asfalto, facendo capolino con ispidi ciuffi color verde scuro. Ryan rimase fermo, aspettando le istruzioni del ragazzo con i riflessi pronti e la mente predisposta al peggio, mentre questo strappava le chiavi dal cruscotto con uno spasmo della sudicia mano.
"Ci muoveremo in fretta, d'accordo? Per prima cosa andiamo nel blocco del primo soccorso. Là, vicino alla rampa dell'ambulanza. Prendi la borsa con le armi e seguimi." gracchiò Dave, spalancando la portiera senza degnare il poeta di uno sguardo. La schiena di Ryan fu percorsa da un brivido nell'udire quegli ordini sbottati con voce moribonda, ma il pensiero della sopravvivenza fu più forte della paura. Smontò dall'auto, ed afferrò dai sedili posteriori il borsone color fango contenente i fucili e le pistole che Dave aveva insistito di portare, convinto che l'ospedale sarebbe stato pieno zeppo di Infetti.
I fari lampeggiarono non appena il ragazzo chiuse l'auto premendo il pulsante sulla chiave, dopodiché egli fece cenno al poeta di seguirlo. Ryan si sistemò il pesante borsone in spalla, tastando il ruvido tessuto sintetico del quale era composto, e si avviò senza una parola verso il compagno. Iniziarono a spostarsi lentamente verso la curva rampa che conduceva al piccolo edificio dove era trattato il primo soccorso ai pazienti gravi, mentre si l'impercettibile latrato di un Infetto risuonava nell'aria, proveniente da qualche montagna circostante. I due uomini si muovevano lentamente, l'uno per colpa del grave peso delle armi che portava in spalla, l'altro a causa del morbo che lo stava divorando, scoordinandogli ogni arto e scombussolandogli la mente smarrita. Dave camminava barcollando sulle pallide gambe, e fissando il suolo che calpestava con passi rigidi e cadenzati. Seppure procedesse lentamente, la forza che lo trascinava verso quell'ospedale era una volontà ferrea e morbosa, tra le più curiose e malate che Ryan avesse mai visto. La bramosia dell'uomo nell'avvicinarsi all'edificio lo sbilanciava in avanti, proiettando nelle sue movenze un'inspiegabile ossessione, e rendendolo terrificante mentre divorava il terreno come un moribondo senza forze a pochi metri dall'oasi. Forse l'insaziabile desiderio che lo saturava riguardava un farmaco che poteva curare quel male che sopportava ormai da tutto il viaggio, e di cui Ryan ignorava ancora l'origine e il significato. Sotto il peso di quei pensieri spinti dalla prudenza e dalla perplessità, non sentì invece la fatica del trasportare quella pesante borsa di armi, e i due uomini percorsero silenziosamente i metri che li dividevano dalla rampa in pochi minuti. Arrivati in fondo a questa, infine, si fermarono davanti alla grossa saracinesca di rugginoso metallo che bloccava il passaggio. Il pronto soccorso era dietro quel pesante muro d'acciaio ondulato, che rifletteva le macchie d'olio sull'asfalto e le bottiglie vuote di plastica ai lati della grigia rampa. Ryan stava per suggerire di cambiare strada quando Dave agì in modo del tutto imprevedibile.
Il ragazzo accelerò bruscamente il passo senza dire una parola, pallido ma deciso, lasciando il poeta immobile e perplesso.
Improvvisamente Dave si stava dirigendo verso la saracinesca quasi correndo sulle sudicie gambe vacillanti, lo sguardo assetato e allucinato. Ryan lo seguì a distanza, e lo fissò mentre si fermava davanti a questa, e stendeva tra le convulsioni il braccio verso l'alto.
Dave bussò quattro volte sull'ondulata saracinesca, cadenzando i colpi con frettolosa sicurezza, come se lo avesse già fatto mille volte. Tese quindi le orecchie, sotto lo sguardo sbigottito del poeta, ed esplorò le curve della porta con gli occhi sgranati, appoggiando entrambe le mani sudate sull'acciaio. Nulla stava accadendo. Che diavolo stava facendo adesso? Stava per caso dimostrando i primi sintomi di insanità mentale dello spasimante? Il primo allucinatorio sonnambulismo demenziale tipico di quello sconosciuto morbo?
Fu allora che i meccanismi scattarono e la centralina ringhiò. La guardia fischiò cupa mentre la saracinesca iniziava ad alzarsi sotto lo sguardo stupefatto di Ryan. Dave tirò un profondo sospiro di sollievo.

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Candace si fissava allo specchio morbosamente, come una schifosa ninfomane, esplorando ogni carnale anfratto del suo volto, ogni ricciolo sui capelli unti, ogni poro troppo simile ad una lentiggine. Seguì con lo sguardo stravolto la curva sinuosa delle giovanili sopracciglia, che sembravano eleganti pennellate di un pittore dalle mani angeliche, il naso delicato e ben proporzionato, e quegli occhi di un nero distorto e traslucido, osservando e giudicando la propria immagine riflessa senza occupare la mente con altro. Era lei la donna riflessa su quello specchio. La vergogna era difficile da intravedere in quelle spente iridi che poco fa avevano assistito ad un massacro, ma le aleggiava in ogni capillare sotto la pelle che portava.
Immerse le mani sporche nella verdastra bacinella piena d'acqua, e si lavò il viso. Che pessima scusa per tastarlo. Strofinò le occhiaie con le dita bagnate, immaginando di scrostare via delle invisibili lacrime, ed inspirò rauca. Doveva smettere di fissare quella donna. Doveva levarsi da quello specchio. Le avrebbe solo fatto del male. Correnti di paura e disprezzo si dibattevano sotto quelle minuscole rughe, dietro alle curve degli zigomi, e si sovrapponevano in continuazione, spostando la sua attenzione da quel mondo maledetto ad emozioni che voleva solamente soffocare con tutte le sue deboli forze. Eppure soccombeva sempre, appiccicata a ricordi e rancori che doveva lasciarsi alle spalle, vittima e carnefice di se stessa, giudice e giudicata senza pietà né indifferenza.
L'urlo straziante di Hawk la fece sobbalzare senza preavviso, e l'acqua torbida schizzò sullo specchio a causa dello spasmo di spavento.
"Candace!" strillò Locke, risvegliandola dal freddo limbo in cui si era immersa di nuovo. Il suo animo ringraziò silenziosamente il tempismo del medico, e la donna lanciò un ultimo sguardo al maledetto specchio prima di uscire dal rimorchio ed entrare nell'ampia tenda dell'infermeria.
Hawk era riverso sul lercio materasso, il viso paonazzo dallo sforzo, la mascella che macinava con i denti il cuoio della cintura che Jordan gli aveva ficcato in bocca. Il suo braccio era disteso in avanti, fra le mani tremanti di Locke, e la ferita schiumava purulenta dopo che il medico aveva versato il poco disinfettante rimasto. Il sangue gorgogliò stagnando nello squarcio di dieci centimetri, mischiandosi al giallastro pus dell'infezione, e l'uomo dilatò le pupille dal dolore, tendendo i muscoli del collo fino a mostrare ogni scarlatto tendine sotto la carne bollente.
"Porta dell'acqua. Presto." balbettò Locke senza distogliere lo sguardo dalla ferita. Il petto di Hawk pulsava ossessivamente, ansimando dall'estremo dolore senza intenzione di placarsi, e Candace dovette riflettere un istante prima di elaborare la richiesta del mingherlino medico.
"Ora la prendo, William..." disse, muovendo un paio di passi verso l'uscita della tenda color bianco sporco. Fissò con la coda dell'occhio il medico tornare ad occuparsi di Gordo nella frenesia di dover curare così tanti feriti in una volta, ed uscì dall'infermeria quasi sbattendo contro Jordan.
"Come va, Locke?" sbraitò il leader della diga, senza degnare Candace di uno sguardo mentre la evitava scostandosi di lato.
"Malissimo. È più grave di quello che pensavo..." il medico si pulì il sudore imperlato sulla fronte con la lercia manica, ed iniziò a bendare la spalla di Gordo, ancora svenuto, con degli stracci da cucina.
"Quantifica, Locke. Come siamo presi? Devi dirmelo adesso." lo interruppe Jordan con tono fermo, puntellandosi nervosamente sulle gambe.
Il minuto ragazzo si alzò dalla posizione accucciata in cui si era disposto e si tolse gli occhiali inzuppati dal naso, infilandoli nel colletto del camice, poi si voltò verso Jordan con sguardo serio e turbato. Hawk iniziò a deglutire rumorosamente, producendo gargarismi viscerali con la gola in preda agli spasmi.
"L'hai sterilizzata?" sussurrò sotto la mascherina oleosa, inspirando profondamente per placare i brividi che gli scuotevano le membra.
"Ho finito un intero, prezioso accendino per quello. Se proprio vuoi sapere." Jordan fece sbucare da dietro la schiena la lama dell'ascia, ancora rovente e scintillante "Dovrebbe essere pulita...".
Locke sbuffò per alleggerire la tensione, e lanciò un'occhiata ad Hawk. Il suo braccio ribolliva di pus infetto. Non poteva chiudere lo squarcio, tantomeno sperare che si chiudesse da solo sotto una candida garza medica. L'idea dell'ascia era stata di Jordan, ed ancora la titubanza su quanto potesse funzionare gli riempiva il cuore ed il cervello. Aveva sbagliato lui nel provare a disinfettarlo con degli stracci sporchi, nonché nel provare a ricucirlo con la lenza da pesca, ed era colpa sua se il braccio era ormai in quella situazione, ma il solo pensiero dell'amputazione gli faceva pulsare le vene del cranio dal terrore.
"Io non ce la faccio, Jordan" balbettò Locke con la voce spezzata dal timore "Non ce la faccio...".
"Ti ho già detto che lo farò io." rispose brusco Jordan, tornando a nascondere l'arma dietro la schiena e fissando accigliato il moribondo che schizzava ovunque sangue e pus, rivoltandosi sul materasso come un appestato "Hai in mente un altro modo per sistemarlo?".
Locke iniziò a spostare lo sguardo dal braccio purulento di Hawk all'ascia celata dietro la schiena del leader della diga, percependo lievitare la tensione. L'incertezza lo divorava dall'interno, ed i pensieri lo assalivano senza lasciare spazio alla lucidità come belve attorno ad una carcassa spolpata. Balbettò qualcosa, provando ad articolare una frase frutto di quei mille dubbi, ma nulla gli uscì dalla gola se non qualche rantolo di panico. Ormai non c'era più tempo. La lama non sarebbe rimasta sterilizzata a lungo. Era colpa sua, e se ne sarebbe fatto una ragione. Lo sguardo fermo di Jordan lo inchiodava, passivo e freddo, come se la sua sicurezza fosse dipesa unicamente dalle conoscenze scientifiche che gli aveva fornito. Una stupida diagnosi gli era uscita dalla bocca angosciata, ed aveva consigliato l'amputazione senza riflettere.
"Ecco l'acqua." mormorò Candace entrando nella tenda, la bacinella stretta tra le pallide mani. La ragazza esitò e spalancò gli occhi quando vide l'ascia nascosta dietro la schiena di Jordan.
"A... Appoggiala là..." balbettò Locke, indicando alla ragazza perplessa il cassettino dei medicinali accanto al letto di Gordo. Candace obbedì senza staccare le pupille dall'arma, quindi fissò confusa gli occhi sgranati del medico, in cerca di una risposta. Jordan ruotò il capo per scrutare la ragazza con la coda dell'occhio, e sospirò profondamente senza muovere il torso.
"Chiama Larry e Caleb. Dobbiamo tenerlo fermo." disse cupamente, indicando lo spasimante Hawk con un rassegnato cenno del capo.
Candace sgranò gli occhi, e fissò Locke in cerca di una spiegazione. Non poteva essere vero. Non avevano davvero intenzione di fare quello che pensava. Forse aveva capito male.
"Sì, vai." ribadì il medico, singhiozzando con voce spezzata. I suoi occhi si erano fatti lucidi ed il suo cuore stava palpitando violentemente sotto lo sporco camice.
"Oh, mio Dio..." gemette Candace, arretrando di qualche passo "Oh mio Dio...".

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Drake tirò un sospiro di sollievo mentre finalmente spegneva il motore del pick-up. Aveva percorso l'ultimo chilometro di tornanti prima del rifugio, ed erano stati dieci minuti d'inferno. Il puzzo di cadavere era insopportabile, ed aveva invaso l'abitacolo nonostante il ragazzo avesse avvolto le due carcasse nel telone cerato e le avesse caricate sul cassone. Il sangue aveva imbrattato il sedile ed il cruscotto, cristallizzandosi in sudicie incrostazioni. Aveva guidato in seconda, sporgendosi dal finestrino per una visuale migliore a causa della ragnatela di crepe che avevano provocato i proiettili sul parabrezza, ed il tutto senza patente. Non ne sarebbe, però, stato capace se non avesse già scorrazzato in giro con la macchina un paio di volte grazie alla lungimiranza di suo padre. Sua madre invece era stata contraria fin da subito, sostenendo che c'era un'età per tutto, e non aveva senso accorciare i tempi previsti dalla legge senza un valido motivo. In ogni caso era vivo solo grazie a quello. Grazie a suo padre.
Il rifugio era a poche centinaia di metri dal parcheggio sterrato, accanto all'attracco della funivia, dove il ragazzo aveva parcheggiato alla meglio, lasciando il pick-up in mezzo al piazzale con le luci spente.
Il buio avvolgeva ogni cosa ora, e l'unica luce visibile proveniva dall'interno dell'edificio, trapelando dalle finestre semiaperte. Drake aguzzò la vista e l'udito. Delfino aveva detto che erano circondati dagli Infetti, ma con quell'oscurità era difficile distinguere ciò che si muoveva da ciò che era solo sbatacchiato dal vento. Improvvisamente udì il suono di un rauco ansimare collettivo aleggiare, nascosto dal fruscio del vento. Gli Infetti avevano finito i loro latrati, e si udivano solo i loro fiati bestiali misti al morboso graffiare delle unghie sul legno dell'edificio. Nonostante non potesse vedere altro che ombre nel buio, Drake valutò dal silenzioso chiasso che si trovava lì con poco meno di una ventina di esemplari, esattamente come aveva detto Delfino al walkie-talkie prima che incrociassero l'assassino figlio di puttana che aveva crivellato di colpi Stuart e Dean.
"Il walkie-talkie!" esclamò silenziosamente Drake, frugando nel cruscotto in cerca dell'apparecchio. Poteva comunicare con gli altri e chiedere loro di fare luce in modo da poter vedere distintamente gli Infetti. Perché non ci aveva pensato prima? Le mani tastarono subito la lunga antenna di plastica, ed il ragazzo agguantò l'apparecchio, accendendolo.
"Finn, sono Drake. Mi senti?" sussurrò nel buio, premendo alla cieca il pulsante nero col dito sudato.
"Siete arrivati? Prima ho sentito degli spari... State bene? Passo" rispose la voce rauca e nervosa di Delfino dopo pochi secondi di statico silenzio. Arrivati... Non aveva idea di cosa era accaduto lungo la strada. Forse stava cercando di contattare il ragazzo da parecchio tempo, fremendo di agitazione e nervosismo.
"No... Io..." la voce gli si bloccò per un attimo quando giunse il momento di formulare la frase, riportandogli alla mente la macabra scena della sparatoria che ancora eccheggiava tra le livide meningi   "Io sono da solo... Ci hanno teso un agguato lungo la strada...". Tirò su col naso mentre mollava l'ossuto indice dal nero tasto dell'apparecchio, e chinò il capo per riprendere lucidità. Per quanto si fosse tranquillizzato, i suoi occhi erano ancora lucidi dal pianto, e le membra erano ancora scosse da improvvisi tremori mentre tentava di scacciare i nevralgici pensieri allucinatori che lo continuavano a torturare.
"Che vuol dire un agguato?" gracchiò il walkie-talkie con voce granulare e perplessa. Drake si morse le labbra nel buio, deglutendo un aspro grumo di saliva, e lasciò trascorrere qualche istante di silenzio.
"Un uomo ci ha sparato sulla strada. Ha ammazzato Dean e - il ragazzo sospirò, trattenendo un amaro singulto - Stuart... Passo...".
"Merda!" rispose subito Delfino "Tu sei Drake?".
"Sì..." il ragazzo cercò di tornare calmo e concentrato mentre udiva il suo tono arrugginirsi per l'inquietudine.
"Merda..." ripeté il walkie-talkie, prendendosi un attimo per riflettere sulla situazione, e lasciando il ragazzo a meditare nel buio con lo statico ronzio come sottofondo.
"Fammi capire bene. Siete stati aggrediti da uno sconosciuto mentre venivate qua e te la sei cavata solo tu, giusto?" riprese a gracchiare quindi l'apparecchio.
"Sì. Ora mi invento qualcosa per togliere di mezzo quegli Infetti. Non penso di poterli ammazzare tutti con le armi se sono da solo..." rispose Drake inspirando profondamente "Potreste aprire le finestre così posso vederli meglio? Passo.".
Il walkie-talkie non rispose, crepitando silenzioso e lasciando il ragazzo perplesso. Forse Finn ne stava parlando con Harold e Sherry. Le ombre sembrarono accrescere le loro ondose movenze mentre il ragazzo tendeva le orecchie nel buio, in attesa di qualche istruzione.
Improvvisamente delle luci elettriche si accesero sotto la tettoia del rifugio, illuminando di una luce gastrica e giallastra le ripugnanti sagome nude degli Infetti. Drake sgranò gli occhi, allentando la presa sul walkie-talkie per l'improvvisa sorpresa. Non si sarebbe mai aspettato di vedere delle lampadine artificiali funzionanti in quel rifugio, dopo avervi passato la notte precedente completamente al buio, ma a quanto pare gli Infetti erano ora ben visibili in tutto il loro squallore. Le creature erano divise in due gruppi, uno che tentava goffamente di arrampicarsi sulla tettoia che copriva le tavole telonate, dove un filo di luce trapelava dalla porta-finestra che avevano allestito lui e Ryan il primo giorno, mentre l'altro era sparpagliato ed era occupato a graffiare il legno e sbattervi il cranio contro, cercando di aprire una strada tra le solide assi. In tutto erano diciassette Infetti, forse diciotto, tutti già fiaccati dalle ore trascorse a scheggiare le mura del rifugio, ma ancora parecchio agguerriti.
"Così va bene, Drake?" gracidò il walkie-talkie con tono inquieto e affannato.
"Sì, è ottimo..." rispose il ragazzo, scrutando gli Infetti alla ricerca di qualche idea per eliminarli in fretta "Com'è che avete la corrente là dentro?". Se avesse saputo guidare decentemente avrebbe attirato lontano gli Infetti per poi seminarli, ma purtroppo questa opzione era da scartare subito, in quanto le sue doti di autista erano parecchio limitate.
"Finché la diga funziona abbiamo corrente. Cerca di sbrigarti a tiraci fuori da qui." la risposta di Delfino fu secca e nervosa, ed al ragazzo parve sentire in sottofondo un lagnato piagnisteo femminile, seppur distorto dalle frequenze dell'apparecchio.
"Ora mi invento qualcosa.".
La calca delle creature si muoveva disordinatamente, ed ora sembrava più impetuosa, forse attirata dalla luce accesasi improvvisamente. Con le armi non ce l'avrebbe mai fatta. Gli Infetti erano numerosi e rapidissimi quando si trattava di attaccare una preda solitaria, e l'effetto sorpresa non sarebbe stato un vantaggio decisivo. Investirli col pick-up? Neanche parlarne.
Improvvisamente l'idea si presentò da sola nella lucida mente del ragazzo, già cesellata e levigata, nel momento in cui ripensò alla corrente elettrica che alimentava le lampadine. Si ricordò che, il giorno prima, Harold aveva accennato ad un pascolo nei pressi del rifugio, nel quale teneva le mucche che fornivano il latte per lui, sua moglie ed il neonato. La conformazione a conca del cucuzzolo della Rampollaia gli aveva impedito di indagare sull'appezzamento d'erba dedito all'allevamento, che il ragazzo aveva intravisto nella leggera vallata dalla parte opposta del parcheggio, ma il suono remoto del campanaccio del bestiame lo aveva effettivamente accompagnato per quelle poche ore trascorse nel rifugio, per quanto lui non ci avesse fatto caso. E lì dove si trovavano le mucche, probabilmente, c'era un recinto elettrico. Poteva funzionare. Era sicuramente migliore dei folli piani alternativi che gli erano passati per la mente nel frattempo.
Agguantò lo zaino ed il walkie-talkie, controllando di avere con sé la bussola, ed uscì dal pick-up, aprendo la portiera il più silenziosamente possibile. Gettò un'occhiata veloce agli Infetti, troppo morbosamente concentrati nel cercare di raggiungere il loro invisibile pasto, ed agguantò il fucile d'assalto tra le armi poggiate sul cassone. Il pascolo doveva trovarsi dall'altra parte dell'edificio, subito dopo la scarpata erbosa del versante occidentale della Rampollaia. Per raggiungerlo avrebbe dovuto aggirare gli Infetti, ed il modo più semplice era tagliare per il sentiero che collegava il parcheggio con la panchina dove avevano incontrato Harold per la prima volta. Un viaggio di cinque minuti che doveva percorrere il più silenziosamente possibile, per non allarmare gli Infetti a poche decine di metri da lui, e che lo avrebbe portato dritto al recinto elettrificato secondo i suoi calcoli. Strinse il gelido fucile tra le mani ed inspirò profondamente, assorbendo la fredda atmosfera della notte montana per calarsi nella più totale concentrazione. Poteva funzionare.

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