Lights Of Dawn: Episodio 1 | Atto 3
La mattina dopo Ryan fu svegliato di soprassalto da indistinti rumori provenienti dall'esterno. Una lama sottile di luce faceva capolino dalla fenditura tra la finestra e la credenza che fungeva da barricata. L'uomo si alzò per udire meglio quello strano scalpiccìo proveniente da fuori, sfilandosi il sacco a pelo con cautela. Il legno massiccio delle pareti aveva isolato bene la camera dal freddo, e i due compagni avevano passato una notte molto tranquilla. Scostò prudentemente il mobile dalla finestra, per vedere bene chi stesse camminando davanti all'edificio, e si rasserenò improvvisamente quando scorse la familiare figura di Harold, il quale esaminava la porta sul retro con circospezione.
Ryan spostò pesantemente la credenza per parlare con l'uomo. Si sentì stupido ad aver sospettato qualcosa per un istante, nonostante fosse giorno e nessun Infetto potesse essere nei paraggi. Aprì la finestra senza indugi.
"Ehi!" gridò piano ad Harold, bussando sul legno del rifugio per attirare la sua attenzione.
L'uomo balzò in aria spaventato, e si guardò intorno forsennatamente.
"Ah, sei tu." borbottò, non appena vide il poeta affacciato alla finestra del rifugio "Mi hai fatto prendere un colpo...".
"Mi dispiace," mormorò Ryan, mordendosi il labbro come era solito fare quando diceva qualcosa senza prima meditarci "cosa ci fai qui?".
Harold lo fissò con gli occhi strabuzzati, e Ryan notò che era ancora nervoso per lo spavento di prima. Tirò su col naso, grattandosi la schiena con le unghie sporche, poi rispose: "Sto guardando come avete barricato il rifugio...". Si dondolò goffamente verso la porta sul retro "Avete bloccato tutte le porte, però.".
Ryan annuì energicamente. Il gelo pungente del mattino gli alitava paterni spifferi sul volto. "Si entra da quella finestra." rispose, indicando all'uomo corpulento la loro nuova uscita d'emergenza.
Harold aguzzò la vista verso la direzione indicatagli, e si puntellò nervosamente sulle carnose gambe. Ryan notò che egli, di sfuggita, aveva simulato il gesto di spingere degli occhiali invisibili sul nasello, ritirando bruscamente la mano un attimo dopo.
"Posso provare ad entrare?" chiese, aggrottando le sopracciglia cispose.
"Certo!" esclamò il poeta. Richiuse la finestra mentre l'uomo prendeva una pomposa rincorsa per salire sul tetto di legno. Ryan corse verso la porta dello sgabuzzino e la aprì in attesa dell'anfitrione. I sussurri del bosco non erano eterei come nella baita del boscaiolo, ma in compenso il puzzo di chiuso gli aveva ricordato odori e sensazioni del mondo passato che aveva dimenticato. Si era sentito abbracciato da quella camera, e quell'ambiente soffocante e pallido gli aveva riportato alla memoria antiche notti calde e sudate.
Harold sbucò dal tetto col viso scarlatto dalla fatica. Forse l'idea della porta-finestra non era così brillante come avevano sperato, data l'espressione travagliata dell'uomo dopo quella presunta facile ascesa.
"Ce la faccio." gemette, non appena Ryan gli tese la mano per trascinarlo dentro allo sgabuzzino. Il poeta scrollò le spalle, e si prodigò ad uscire dalla stanza per permettere alla robusta mole dell'uomo di infilarsi nella finestra agiatamente.
Harold rotolò all'interno del rifugio ansimando, e si rialzò a fatica. E pensare che il giorno prima aveva percorso di corsa almeno cento metri di dislivello senza mostrare troppi cedimenti...
Uscì dalla stanza timidamente, e si guardò intorno con la bocca spalancata per prendere fiato.
"Il ragazzo dorme ancora?" chiese, mentre muoveva qualche pesante passo verso le scale che portavano al piano di sotto. Ryan annuì silenzioso "Ieri abbiamo lavorato duramente.".
Harold scese di sotto e squadrò per intero il salone principale con espressione concentrata e indagatrice.
"Ma guarda te che casino che hanno fatto con i mobili..." sussurrò fra sé e sé, mentre con la mano sudata accarezzava le pareti dell'edificio.
"Tuo figlio deve stare al sicuro..." rispose Ryan senza battere ciglio. A dir la verità ci sarebbero voluti più mobili per barricare davvero bene tutte le entrate, ed il loro lavoro rappresentava il minimo indispensabile per dormire in sicurezza.
Harold ignorò il suo intervento, e continuò ad ispezionare minuziosamente ogni angolo del rifugio. Quando fu soddisfatto dello stato del piano di sotto, passò a setacciare quello di sopra.
"Come mai è tutto chiuso a chiave?" domandò quindi, tentando di aprire una porta.
"Abbiamo tolto i mobili per coprire le finestre e nascondere la luce, quindi è meglio lasciare quelle stanze vuote." rispose Ryan. L'uomo corpulento stava vagando per il rifugio da parecchi minuti, e da parecchi minuti portava stampata la stessa espressione ebete e concentrata sulla faccia, come se stesse giudicando il lavoro dei due compagni per il casting di uno show televisivo.
"Almeno il bagno non chiudetelo. Abbiamo la nostra fossa biologica, e si può usare finché non è piena." concluse infine Harold una volta terminata l'ispezione. Si fermò quindi per prendere fiato.
"Credo che possa essere abbastanza sicuro per farci stare mio figlio.".
Ryan annuì cupo, e lo invitò a sedere nella stanza degli ospiti per parlare.
"Sei sicuro di voler far scendere tua moglie e tuo figlio dalla funivia?" chiese, mentre si accomodava sul parquet ancora abbastanza sporco e polveroso.
"No" rispose Harold, gettandosi pesantemente sugli ampi glutei, davanti alla finestra nascosta dal mobilio "ma o lo faccio ora con il vostro aiuto o non lo faccio più...".
Ryan spostò lo sguardo su un gatto di polvere che si rotolava maldestro sul pavimento e si promise di pulire la stanza prima dell'arrivo della moglie dell'uomo.
"Hai idea di come portare giù il bambino?" domandò, mentre quello smetteva di sudare e ansimare lentamente.
Harold strabuzzò gli occhi. La lama di luce azzurrina che filtrava dalla fessura tra mobile e finestra gli attraversava il cranio spelacchiato, disegnando una lieve linea sulla pelle unta.
"Ci ho pensato tutta la notte. L'unico modo per portarlo giù è metterlo nello zaino e assicurarselo bene in spalla." rispose infine, dopo una dolorosa riflessione.
"Non puoi metterlo nello zaino." lo contestò Ryan "Morirebbe asfissiato o di ipotermia prima di raggiungere il rifugio.".
L'uomo corpulento strinse i denti ed aspirò nervoso "Se è sopravvissuto fino ad ora a pochi gradi, ce la farà anche stavolta. Quanto all'asfissia non so. Magari faremo dei buchi nello zaino..." rispose con tono lievemente esitante.
Ryan si spostò un po' più vicino al suo volto "Non potrebbe funzionare comunque. Il bambino si rivolterebbe dentro lo zaino e ti farebbe perdere la presa..." continuò pacatamente.
"Ne sei davvero sicuro?" Harold grugnì lievemente con le corde vocali.
"Fidati, Harold. Devi farlo sentire al sicuro, o si agiterà. Deve sentire l'odore della mamma.".
"Lei non può portarlo giù.".
"Perché?" chiese Ryan. Sentiva di aver toccato un tasto molto dolente.
Harold abbassò lo sguardo, inspirando per riprendere la calma "Ha appena finito la gravidanza... Non può arrampicarsi sui cavi della funivia." rispose infine.
"A quattro mesi una montanara dovrebbe essere già di nuovo in forma..." ribatté il poeta.
"NO! Non lo può fare... Non ci riuscirebbe, per l'amor di Dio!" Harold alzò esasperato la voce, ed il suo ospite trasalì. Non si sarebbe mai aspettato una reazione così disperata, per quanto l'uomo emanasse una potente aura di feromoni ansiogeni. Il suo nervosismo trapelava da ogni poro della pelle, al confine tra l'isteria e la rassegnazione, ed il suo respiro si era fatto pesante.
"Ascolta," disse Ryan "lo hai mai preso in braccio?".
Harold tirò su col naso, e si mise le mani sulla fronte sudata "Certo. Sì.".
"Allora puoi usare il Pagne." continuò Ryan, illuminandosi di una buona idea.
L'uomo sgranò gli occhi e lo fissò perplesso "E che cos'è?".
"È il nodo che le donne africane usano per portare i bambini sulla schiena. Così il bebè sente l'odore del familiare e non piange, né si ribella. Credo sia l'unico modo che abbiamo per portarlo giù." rispose Ryan, mentre alcuni brividi gli percorrevano docili la spina dorsale.
Harold alzò le mani dal viso, e fissò l'ospite nell'oscurità "Sapresti farlo?" chiese con voce incrinata.
"Sì. So come farli." rispose giovialmente il poeta.
"Ma ne hai mai fatto uno?".
Ryan tacque. "No, a dire la verità no. Ma posso prima fare delle prove.".
Percepì nell'ombra che il momentaneo entusiasmo di Harold stava scemando, irrimediabilmente destinato a degradare nuovamente in ansia. L'uomo si voltò a fissare muto il pavimento. Sembrava che al suo interno due eserciti si stessero combattendo alacremente per cause opposte e traviate. Dopo qualche momento di riflessione sospirò, provocando una nube di opaca condensa.
"Sei sicuro di farcela?" domandò con voce più bassa e calma.
Ryan annuì, quindi si alzò per sgranchirsi le membra, ancora indolenzite dal placido sonno.
"Avresti per caso dei tessuti con cui posso provare stamattina?" chiese, mentre incrociava le braccia dietro la schiena.
"Possiamo usare le tende. Ho degli attrezzi che potrebbero servirti giù nel ripostiglio. Che so... Forbici, o ago e filo..." rispose Harold, continuando a fissare il vuoto come consueto.
Il poeta si sgranchì le gambe "Basteranno le forbici..." mugugnò con i muscoli del viso tesi.
Nelle seguenti ore Ryan svegliò il compagno, che ancora riposava noncurante dentro il suo sacco a pelo, e gli chiese di aiutarlo a fare da modello per annodare i Pagne. Harold lo supervisionava attento, rispondendo con monosillabi alle domande, e restando in silenzio a meditare cupamente. Ogni tanto lo si vedeva agitarsi furtivo, o singhiozzare per trattenere il battito cardiaco, come se avesse pensato a qualcosa di malinconico nelle sue riflessioni silenziose.
Ryan si ricordava abbastanza bene come fare quel nodo, e ricordò anche di averlo imparato al corso su come essere un bravo padre. Non che quel corso gli fosse stato granché utile finora.
"Avevi un figlio?" gli chiese all'improvviso Harold, mentre il poeta era occupato a stringere forte la tenda ritagliata dietro la schiena di Drake, utilizzando un bambolotto pieno d'imbottitura per simulare il bambino. Ryan sussultò alla domanda, e rifletté su cosa rispondere senza impiegare troppo tempo e dare sospetti infondati.
"No." disse infine, tornando indaffarato a maneggiare la striscia di tessuto attorno al compagno annoiato. Harold espirò forte l'aria dalle narici, e si appoggiò allo stipite della porta con fare mesto. Il poeta finì il lavoro con un bel fiocco, e baciò sulla lercia fronte il bambolotto per coronare il tutto. Harold si era accessoriato con una discreta quantità di peluche in preparazione all'arrivo del piccolo, e quel bebè di cotone lo fissava con due occhi di plastica dolcissimi.
Il tempo passò veloce finché Harold non si stancò, e fece cenno a Ryan di smetterla con i tentativi e passare alla pratica.
"Potevi usare me come modello. Dopotutto ora il nodo lo devi fare a me." biascicò l'uomo mentre usciva dal rifugio, coprendosi goffamente gli occhi per proteggerli dal sole accecante.
"La tenda è abbastanza lunga per te, tranquillo. È che... Ho ancora difficoltà a toccare uno sconosciuto, capisci?" rispose Ryan, mentre usciva dalla porta-finestra districandosi tra le cornici "Mi sento come se..."
"Ho capito..." lo interruppe l'altro, rotolando per il tetto spiovente e atterrando sonoramente sul prato sottostante. Drake lanciò un fischio di approvazione da dentro il rifugio, ed il compagno paternamente lo guardò storto.
"È così che fanno le valanghe quando uccidono gli sciatori." esclamò il ragazzo, sorridendo maliziosamente "Vedi di non stargli troppo vicino, o gli orbiterai attorno!". Quel giorno, a quanto pare, il ragazzo si era svegliato eccitato. Ryan gli lanciò un sorriso di rimprovero, e si calò dal tetto, atterrando dolcemente sulle ginocchia. Districò velocemente la tenda, che si era aperta e aggrovigliata durante la caduta, e raggiunse Harold, che lo aspettava davanti alla panchina.
Si fermarono entrambi a fissare il monolite di legno per qualche secondo, con la mente annebbiata e che ancora vagheggiava l'incontro del giorno precedente, poi si misero in marcia verso il pilastro della funivia a valle.
La discesa era scoscesa e insidiosa. Dopotutto era una pista da sci in seria pendenza. Il paesaggio sembrava essersi amalgamato con i pensieri cupi di Ryan, e non era più fresco e dissetante come il giorno precedente.
"Sei sicuro di volerlo fare?" chiese nuovamente al compagno, avvertendo insicurezza in ogni suo pesante passo.
Harold sospirò rauco e socchiuse le palpebre, turbato dalla luce dell'alba appena partorita dal cielo "Dovete cercare i genitori del ragazzo, no? Non penso che starete qui a lungo. Meglio cogliere l'attimo..." rispose dopo una lunga pausa.
"Ho paura di sbagliare. Che tutto vada storto." disse Ryan, senza mascherare l'ansia che pian piano cominciava a fare capolino man mano che si avvicinavano al pilastro.
"Non pensarci..." gracchiò l'altro in risposta, poi tirò su col naso "Perché aiuti quel ragazzo?".
"Eh?" il poeta era rimasto perplesso a quella domanda improvvisa.
"Hai legami affettivi con lui?".
"No. A dir la verità no.".
"Lo aiuti perché sei un brav'uomo?".
Ryan succhiò una folata di vento tra i denti "Non ho niente di meglio da fare, in realtà.".
"E non hai paura che tutto ciò che stai facendo per lui alla fine non servirà? Magari un giorno un Infetto lo morderà, e allora dove andrai? Magari vagherete per anni, e alla fine troverete solo due cadaveri putrefatti e senza degna sepoltura... Non ti spaventa questo? Se fossi te avrei il terrore di questo..." continuò Harold con una punta di impazienza nella voce.
Il poeta tacque finché non giunsero sotto il pilastro senza fiatone "No. Non mi spaventa. Ora almeno ho qualcosa da perdere." rispose infine.
"Prima non ce l'avevi?" domandò infine Harold.
L'altro non rispose.
Ryan scavalcò il basso cancelletto d'acciaio che bloccava l'accesso alla scala, e mise una mano sul freddo metallo. La rugiada mattutina aveva reso umido e scivoloso l'acciaio della scaletta, ma in ogni caso questa era abbracciata da una gabbia semicircolare che impediva di cadere a terra. Attaccò il moschettone che Harold gli aveva fornito insieme all'imbragatura sul cavo rugginoso, ed cominciò a salire. Presto le sue orecchie si riempirono del rumore del suo fiato e del suono del vento che soffiava leggero tra gli spiragli della gabbia. Salì lentamente per non mettere piede in fallo. Gli uccelli del bosco ripresero a cantare, ricordandogli che la montagna si era svegliata. La limpidezza della mattina faceva a pugni con l'ansia che gli schiacciava il cuore.
Arrivato alla fine della scaletta assicurò il moschettone al cavo, e controllò che l'imbragatura fosse abbastanza stretta. Ora arrivava la parte difficile. Bisognava raggiungere la funivia appesi al cavo fisso. Harold lo raggiunse respirando a fondo, e si sedette dietro di lui, aspettando che partisse.
Ryan inspirò a fondo e guardò verso il basso. Il cavo della funivia era abbastanza teso nonostante le settimane senza interventi, e la strada era in salita abbastanza ripida. Inoltre, c'era un bel salto sotto di lui, e nonostante ci fosse il moschettone per salvargli la vita, era facile spellarsi le mani abbastanza gravemente da restare due settimane a farsi imboccare da Drake.
Senza pensare alle conseguenze delle azioni afferrò la corda e cominciò a procedere. Si spostava con le mani (ovviamente ricoperte da guanti), e con solo la forza delle braccia, lasciando le gambe inerti e a penzoloni. Si sforzò di non guardare niente che non fosse l'orologio d'oro finto sul polso, e sentì che Harold aveva agganciato alla corda il moschettone. Appena l'uomo si lasciò andare sul cavo, il poeta sentì la corda traballare pericolosamente sotto quell'improvviso cambiamento di pressione, ma continuò imperterrito. Le braccia ribollivano di brividi, ma non gli dolevano mentre percorreva lentamente quei venti metri che separavano la cabina dal pilastro. Il vento lassù era più vorace, e soffiava benevolo, trasportando gli odori del bosco sottostante ed un altro miasma molto più fetido e nauseabondo, probabilmente proveniente da un cadavere, che da solo poteva rovinare il profumo di un'intera fetta di foresta.
[⏯️Track01 | Inon Zur - The Commonwealth]
Allungò la mano per raggiungere il tetto della funivia, ed appena vi giunse sentì subito una sensazione incredibile. Riusciva a percepire i respiri docili del piccolo e della madre che ancora dormivano. Il telo nero non fluttuava come il giorno precedente, ma era leggermente ingolfato verso l'interno della cabina. Il tetto era gelido, ma a Ryan parve caldo e tenero, poiché sentiva con precisione che sotto di esso vi era una madre che dimostrava ancora amore verso il proprio bambino in un mondo così desolato.
Harold arrivò annaspando qualche secondo dopo, e staccò il moschettone dondolandosi grossolanamente.
"Amore? Sono tornato!" gridò. Il poeta percepì del lento movimento organico all'interno della cabina. Qualcosa al suo interno mugugnò. Harold scostò il telone di plastica e montò nella funivia, facendo segno a Ryan di seguirlo.
L'interno della cabina era freddo e claustrofobico, molto meno accogliente del rifugio. V'erano due panche coperte di piumini e lenzuola, dei resti non consumati di pasti in scatola, ed il grosso webasto spento nel bel mezzo della stanza. Il pavimento era lercio, come pure i vetri appannati e sporchi, e dentro aleggiava un puzzo di sudore e di chiuso insopportabile. Lì, distesa sulla panca, riposava la moglie di Harold, il neonato stretto al bollente petto.
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