Lights Of Dawn: Episodio 1 | Atto 2
L'uomo corpulento espirò lentamente, sgonfiando i polmoni per espellere l'ansia e il dolore, e si tolse le mani dal viso.
"Sono Harold Bowers. Piacere di conoscervi..." rispose con un sorriso mal artefatto. I suoi occhi erano rossi, e Ryan vedeva che aveva duramente trattenuto un pianto devastante.
Harold si prese qualche secondo di pausa per riflettere e scaricare la restante tensione, poi parlò: "Potete stare nel rifugio stanotte, sì. Sappiate però che non c'è il riscaldamento, e le porte non sono solide. Abbiamo qualche provvista ma non possiamo darvi molto.". Disse tutto questo lentamente, soppesando le parole con cura meticolosa. Drake si morse il labbro mentre Harold fissava il suolo, sforzandosi di non cedere al pianto che lo dilaniava dall'interno.
"Avete un figlio?" domandò cauto Ryan, indicando la funivia.
Harold strinse i denti e risucchiò una buona quantità d'aria. La sua gola ballonzolava, resistendo debolmente ai singulti dopo quella domanda.
"Sì..." rispose con voce stridente ed evidentemente secca dalle lacrime "Ho una moglie e un figlio." il muco cominciò ad umettargli le narici scarlatte.
Era ormai evidente che Harold non riusciva più a trattenere le lacrime, e Ryan si sentì un totale idiota per aver posto una domanda così pesante ad un uomo che pareva sull'orlo di una crisi di nervi.
"Mi scusi, non volevo importunarla..." rispose il poeta "Volevo dire... Non pensavo..." tacque mesto e si ritirò nell'ombra. Harold accennò i primi singhiozzi, e si coprì nuovamente il volto con i guanti sdruciti.
Si alzò quindi improvvisamente, ed abbracciò sbigottito Ryan, gettandogli le braccia al collo come fosse un fratello ed avvinghiandolo con tutta la forza della disperazione. Il poeta non oppose resistenza, ma lo lasciò fare, e si limitò a barcollare all'indietro prima di poggiare le mani sulle spalle dello sconosciuto. Sentì il sudore sulla pelle grassa, il suo puzzo nauseabondo, le lacrime calde che gli pulivano il collo lercio, e sentì lo sfogo di un uomo che aveva trattenuto troppo dolore per controllarlo. Vide inoltre con la coda dell'occhio che Drake aveva un'espressione allibita dipinta sul volto.
Harold si staccò dopo pochi secondi, e si risedette goffo sulla panchina sporca.
"Scusatemi..." disse con voce più serena. Ryan aveva percepito in quell'abbraccio tutta la disperazione, il sollievo e la gioia di un uomo che aveva appena incontrato altri individui dopo troppo tempo.
"Come si chiama?" chiese quindi, arretrando di qualche imbarazzato passo.
"Chi?" Harold, a quanto pare, si era sfogato, ed ora stava tornando a respirare in modo normale e sereno.
"Tuo figlio." rispose Ryan appoggiandosi alla parete lignea del rifugio.
Harold tornò a guardare in basso "Charlie." rispose infine.
Ryan annuì. Spostò lo sguardo sulla cabina della funivia, e notò che una donna li stava osservando da dietro il telone. La moglie di Harold, senz'altro.
L'uomo tirò su col naso, e notò che l'interlocutore stava osservando la funivia.
"Mia moglie si chiama Sherry." disse, pulendosi il volto coperto di lacrime secche con la manica "Ha partorito quattro mesi fa. All'ospedale di Norville.".
"È da lì che veniamo..." lo interruppe Drake. Era la prima volta che parlava, e, non appena Harold lo fissò, indietreggiò di alcuni passi, serrando d'istinto i pugni.
"Non era sicuro, lì." continuò Ryan, vedendo che il ragazzo era a disagio dopo solo una frase. Lui invece stava cominciando a ricordare come le conversazioni si sviluppassero, e si sentiva molto più sicuro dopo quell'abbraccio liberatore, anche se grottesco e inusuale.
Harold tirò nuovamente su col naso, e fissò il vuoto pensando a cosa rispondere. Il campanaccio delle mucche aumentò inspiegabilmente di intensità rispetto agli altri rumori della natura.
"Quella funivia certamente è sicura." osservò Ryan, indicando la cabina con il viso della donna, che ancora sbucava dal telone nero.
Harold si voltò goffamente "Sì, sì. La notte gli Infetti vengono attratti dal pianto di Charlie, ma non riescono a salire. È più sicuro del rifugio secondo mia moglie.".
Il poeta si girò per squadrare l'edificio. Era un tipico rifugio della zona, con tetto spiovente per la stagione invernale e forma quasi cubica. Le mura erano di legno nudo e poco lavorato, ed una scritta spiccava sull'intonaco bianco delle colonne, la quale recitava in caratteri fronzoluti: "Rifugio Cervo Rosso". Aveva inoltre un terrazzo di legno con una buona visuale sul sentiero, e molti tavoli ricoperti di teli di plastica verdognola.
"Impressionante..."disse Ryan "Come fate a sopravvivere lassù? Non è scomodo?".
Harold incurvò il labbro verso il basso, e corrugò la fronte cespugliosa. Una folata di vento fece ruotare le pale di una piccola bandieruola sul tetto del rifugio.
"All'inizio sì. Ma ora abbiamo trovato il modo di sistemarci..." rispose Harold "Abbiamo coperte ed una stufetta portabile per il freddo. Le mucche ci danno il latte e la carne. Abbiamo molte provviste, siccome siamo in stagione senza turisti, e ogni volta che devo scendere dalla funivia posso assicurarmi con un moschettone.".
"Stufetta portabile?" domandò Ryan. Non aveva mai sentito parlare di stufe che producessero calore senza inondare l'ambiente circostante di fumo o anidride carbonica, e sarebbe stato assai scomodo scaldare la cabina della funivia con uno di quegli affari.
"Sì. È un webasto. Va a gasolio, e ne abbiamo in quantità. Alle volte però bisogna far circolare l'aria per non soffocare nella cabina." rispose Harold, lievemente sorpreso. Ryan annuì non poco impressionato. Seguitò un silenzio piuttosto lungo.
"Quindi?" chiese Drake, guardando verso il vuoto boschetto sulla montagna per non incrociare lo sguardo di Harold.
"Quindi abbiamo un posto dove dormire questa notte..." rispose fermamente il compagno, cercando di far trapelare dal tono la cordialità verso l'anfitrione, che lì presente ancora era scosso dalle ultime lacrime.
"Se avete deciso allora vi lascio e torno da mia moglie. Passate una buona nottata..." disse Harold. Fece per girare il bacino, ma era evidente che non voleva andarsene da lì.
"Aspetta," lo interruppe Ryan, notando la bonaria titubanza dell'uomo "possiamo aiutare in qualcosa? Avete dei lavoretti da farci fare? Vi dobbiamo molto...".
Harold si morse nervosamente il labbro sporco "Se barricate come si deve il rifugio, ci fate un enorme favore... Se ci riuscite potrei convincere mia moglie a scendere dalla cabina...".
Ryan percepì nell'uomo un malinconico disagio interiore, come di due organiche fazioni in piena guerra tra i meandri della sua mente. Capì che era intestinamente diviso in se stesso, e stava passando un travaglio piuttosto considerevole, probabilmente dovuto all'Apocalisse.
"Prima o poi finiranno le taniche di gasolio, e allora dovremo scendere da lì." aggiunse a denti stretti Harold, notando la perplessità dei due uomini. Si voltò, infine, e cominciò ad incamminarsi verso il palo di sostegno dal quale era sceso. Non fischiettò, né guardò verso l'alto, né si voltò per salutarli.
Drake sbuffò violentemente, come se per tutto quel tempo avesse trattenuto il respiro. Il poeta fissò la figura allontanarsi mogia senza dire una parola, e sollevò il sopracciglio non appena la vide risalire goffamente il pilastro d'acciaio accanto alla cabina telonata.
"Non ricordavo che lo sguardo umano fosse così dirompente..." mormorò Drake, ancora pietrificato in ogni muscolo.
"Forse perché tra il primo sguardo e il secondo c'è un grosso baratro." rispose il compagno, mentre Harold entrava nella cabina scostando il telo di plastica nera.
Drake e Ryan sciolsero le membra solidificate e rimasero in piedi a fissare la panchina, come se anche solo la traccia evanescente dell'uomo li stesse ancora fissando.
"Come il burrone qui davanti..." aggiunse Drake, quindi si rimise l'ascia incrostata di resina e schegge sulle spalle.
Ryan staccò con un'impeto di volontà gli occhi dalla panca di larice, e seguì il compagno per accompagnarlo ad esplorare il rifugio, cominciando a valutare come barricarlo alla meglio. C'erano due porte in tutto l'edificio: quella d'ingresso e quella di servizio, entrambe intatte, ma con la maniglia staccata e gettata a marcire lì accanto. Le finestre sarebbero state un problema secondario, dato che ve n'erano molte, delle quali varie rotte.
"Possiamo barricare entrambe le porte e scegliere una delle finestre sul primo tetto come entrata." propose Drake. In effetti il rifugio aveva il tetto di legno facilmente raggiungibile dalla staccionata che racchiudeva il pianerottolo con i tavoli da pranzo.
"Sì. Ma non dimenticare che deve abitarci anche una donna che ha appena finito la gravidanza..." rispose Ryan, scrutando il tetto per vedere se fosse possibile.
"Dovrebbe farcela comunque. Non possiamo riparare la porta in così poco tempo. Se hai un'idea migliore dimmi pure." disse Drake, ricominciando a girovagare attorno al rifugio.
Ryan ignorò il ragazzo ed entrò nell'edificio. Oltre ai tavoli del rifugio c'erano divanetti, armadi ed altri mobili con cui barricare le entrate della casa, oltre che la finestra da aprire per creare l'uscita d'emergenza.
Ryan incominciò spostando davanti alla porta d'ingresso un grosso mobile di legno pregiato. Successivamente Drake rientrò dalla porta di servizio e lo aiutò a barricare il resto della casa. Il poeta trovò nascoste in una scrivania le chiavi delle varie camere del piano superiore, e gli venne un'idea. Dopo aver spostato parecchi mobili (tra i quali un frigorifero dal puzzo insopportabile) davanti alle porte principali, i due decisero di chiudere a chiave le porte di tutte le stanze al piano di sopra. Lasciarono aperte solo le entrate di due degli alloggi e il portone che conduceva allo sgabuzzino con la finestra-porta d'emergenza. Chiusero tutte le persiane delle camere ermeticamente, e nelle due stanze scelte come alloggi spostarono i pochi mobili rimanenti davanti alle finestre, lasciando solo uno spiraglio di luce. In questo modo gli Infetti non avrebbero visto di notte la luce nelle stanze, e i due compagni avrebbero saputo quando il sole stava sorgendo rassicurante. Controllarono, infine, che la finestra dello sgabuzzino funzionasse a dovere, e dopo essersi assicurati di aver chiuso tutte le porte, accesero le lanterne ed estrassero i sacchi a pelo dagli zaini.
Ryan ammirò esausto il possente lavoro che erano riusciti a compiere in poche ore, e si rese conto che si sentiva al sicuro come rare altre volte. In quella culla di legno dal profumo boschivo gli sembrava essere un feto nel ventre della madre. La lanterna proiettava ombre lunghe e silenziose nella stanza ormai spoglia e con i mobili in soqquadro. Drake era più stanco di lui, ed il sudore aveva incrostato lo sporco della scarpinata in lerci e callosi strati di sudiciume.
Mangiarono delle scatolette di piselli trovate nella dispensa, che ora proteggeva vegliarda la porta d'ingresso, e dello yogurt casereccio piuttosto avariato, ma sostanzioso.
"Secondo me quello lì non vuole far scendere di lì la moglie solo perché stanno finendo il gasolio." mormorò Drake, steso a fissare le ombre che si sviluppavano sinuose sul soffitto di legno.
"Sono d'accordo con te..." rispose Ryan, mentre si infilava nel sacco a pelo "Ma immagina cosa vuol dire avere un bambino e poco dopo finire in un casino come questo.".
"Per me è claustrofobico..." disse Drake di rimando.
Ryan si girò sorpreso e divertito "Harold?".
"Sì," rispose il compagno con tono serio e assonnato "e ha paura di stare dentro quel trabiccolo...".
Il poeta rise sottovoce, e ritornò ad ammirare il soffitto che con pendenza lieve saliva per poi formare un angolo perfetto.
"Hai idea di quanto stress porta? Lo stare lì tutto il giorno, in uno spazio piccolo, con un bambino da accudire in ogni momento?" rispose Ryan, tornando serio e riflessivo. Nella sua mente già si scaturivano turbinose le ispirazioni poetiche che ogni notte lo accompagnavano.
"Prima o poi ti ci abitui..." l'amico si rigirò nel sacco a pelo fino a toccare il cuscino di giubbotti con la punta del naso.
"No... A queste cose no..." rispose Ryan. Ruotò dolcemente il cappuccio, per spegnere la lanterna, e controllò di avere di fianco la torcia e la pala.
Si addormentò infine, mentre nella sua mente l'Iperuranio carezzava già le meningi, stimolandogli lieve la poesia del giorno seguente.
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