R - Maestro
XIII
Pubblicato il 10/08/2022
Non mi importava più niente della trasgressione di Mei o del morso di Xavier.
Lo avevo trovato e avevo provato qualcosa alla sua vista, un sussulto. Che fosse un Maestro o un Cacciatore, che per una notte fosse diventato di pietra o che per un'altra prelibato come il vino, non mi importava. Restava sempre lui, Leonard.
L'uomo che si era reso conto delle mie richieste d'aiuto ancora prima che mi accorgessi di averne bisogno; quello che aveva riconosciuto la mia tristezza, il mio dolore; quello a cui dovevo dire grazie per avermi incoraggiato a scoprire i miei tormenti.
Incantata, affondai gli stivali nella neve con il cuore in gola per quello che mi avrebbe detto e per quello che gli avrei voluto dire se fossimo stati soli. Per un attimo, credetti che stesse utilizzando il suo potere su di me. Nessuno mi aveva mai fatto quell'effetto. Nessuno mi aveva mai paralizzato e incuriosito allo stesso tempo. Era un'emozione tutta nuova e innevata, era ciò che provavo per Leonard: imbarazzo per come lo avevo morso, per cosa ne avevo fatto del suo corpo e interesse per i suoi, ora naturali, rintocchi.
Aveva ragione lui: eravamo animali.
Infatti ci braccammo con gli occhi, attenti se l'uno sfuggisse alle grinfie dell'altro. La nostra caccia durò per pochi secondi, troppo pochi. Avrei voluto il potere di mio padre. Avrei voluto sapere cosa pensasse di me, se gli facessi lo stesso effetto che lui aveva fatto a me. E avrei voluto comunicare con lui a distanza... dirgli che mi era mancato, che mi aveva salvato da me stessa. E che se avessi potuto, avrei ricambiato il favore salvandolo da sè stesso.
« Cosa ne facciamo dell'umano? » chiese Arthur.
« Mei, perché hai portato un intruso? » Leonard la interrogò piegandosi alla sua stessa altezza.
« Non potete fargli del male, noi non uccidiamo gli umani, Maestro! » disse Mei indicandomi e ripetendo l'insegnamento che lui mi aveva impartito nello studio di Candy.
« Non hai risposto alla mia domanda. »
Lui era incalzante e lei terrorizzata da quello che sarebbe potuto accadere al suo amato.
« È colpa mia. » risposi mettendomi tra Mei e Leonard, superai il mio blocco corporeo per spingermi al suo fianco.
Alzò gli occhi al cielo, disturbato dalla mia risposta e dalla mia presenza. Mi ignorò, passeggiando tra i due amanti e guardando di sottecchi la sua allieva, pronunciò gravemente: « L'umano deve sparire. »
« Ti chiami Leonard Winslear! » gridò la ragazza mostrando l'orologio che mi aveva rubato. A quelle parole, Leonard la ammutolì con un gesto. Non fece uso del suo potere, la ragazza gli mostrava rispetto come se fosse il suo capo.
« Oh cazzo. Qui si mette male... molto male. Andiamo! » schiamazzò Arthur, invitando me e Maggie ad andar via, prendendoci una per un braccio e una per l'altro.
« Lei resta qui con me. » ordinò Leonard perentorio impadronendosi dell'altro braccio e in un attimo mi trovai contesa tra i tre fratelli.
« No. Lei viene con noi. » insistette Margaret.
« Non può stare con te. » lo rimproverò Arthur intrecciando la sua mano alla mia.
Dovevo trovare un modo, un espediente per restare con lui. Sfiorai le dita di Arthur e sperai che il mio potere funzionasse anche lontano dalla testa. Mi focalizzai su un'immagine e resi anche lui spettatore dell'abbraccio in cui versai addosso il mio dolore a Leonard.
Ebbe effetto. Mollò la presa, mi lanciò un'occhiata furtiva e mi chiese gentilmente: « Scegli. »
« Che stai facendo? Gliela lasci così? Dopo quello che... »
Margaret era preoccupata, non aveva intenzione di lasciarmi andare. Se avessi avuto un terzo braccio, anche lei si sarebbe messa a tirare - con più forza di quei due, ne ero certa.
« Resto. » e provai a tranquillizzarli: « Sono sicura che ci rivedremo presto. »
« È sotto la tua responsabilità. Sii... delicato. » masticò Arthur.
Margaret mi regalò un bacio sulla guancia: « La voglio allo chalet o... »
« O niente! Me ne occupo io. Non sono una bestia! »
« Non vogliamo altri incidenti, Leo. »
I due fratelli, incappucciati com'erano, andarono via. Leonard si dedicò a Mei, le strappò di mano l'orologio e sbuffando il suo fiato disegnò una nuvola bianca tra di noi.
« Luce prego! » disse al ragazzino che obbedì illuminando il quadrante in madreperla.
« L'ho riparato. » affermai convinta, cercando gli occhi azzurri in mezzo ai fiocchi di neve, poi continuai insolentemente: « Dovresti ringraziarmi. » mentre lui controllava che tutto fosse al suo posto; armeggiò con la corona, accarezzò il cristallo e passò i polpastrelli sulla cassa. Infine, chiuse di scatto il coperchio ringraziandomi a modo suo: « Lo vedo, kozà. » e insinuando il braccio attorno al mio cappotto.
« Gli hai detto il mio nome? » mi posò l'altra mano sul basco, chinandosi per guardarmi meglio, per sincerarsi che fossi davvero io. Per la prima volta, ci vide davvero Renesmee nei miei occhi.
« Che problema c'è? Conoscono anche il mio nome. » sussurrai in trappola.
« I cuccioli non devono sapere i nostri nomi. » chiarì preoccupato.
Iniziò a impartire ordini. Il generale aveva poche richieste: seguirlo, mettere i piedi dove li metteva lui e non fiatare. Faticai a eseguire ciò che ci aveva imposto. Mei si avvinghiò a Xavier imitando ogni azione del suo maestro, ma restò qualche metro indietro.
Non rispettai una regola: fiatare. Non potevo starmene zitta dopo tutto quel tempo!
« Quindi tu sei il Maestro e loro le Sentinelle? Che nomi buffi... chi li ha scelti? Dei bambini? » e lui annuì impensierito.
Non era la domanda giusta. Era di poche parole e di tanti passi, troppi. Sembrava che volesse scappare via da me.
Mi feci coraggio, scattai verso di lui, barcollò per poco e incastrai le mie braccia sul suo gomito stringendomi nel suo cappotto: « Certo, poi mi spiegherai tutto. Tanto lo fai sempre. Inizio io. »
Mi schiarii la voce: « Devo raccontarti un sacco di cose. Va tutto per il verso giusto. Non ho più incubi o comunque non ho più quegli incubi in cui diventi di pietra. Ti ho sognato ma non come prima, forse questo non c'entra... sto imparando a gestire l'ansia e la sete... »
Parlai come i bambini quando scoprono qualcosa di nuovo. La mia voce era felice e troppo rapida per essere ascoltata con attenzione. Leonard era rigido, il suo braccio era teso e contratto così come le dita chiuse in un pugno.
« Cammina. » e accelerò il passo così tanto che dovetti acchiapparlo con forza.
Camminammo per un po' e i due ragazzi respiravano piano, se mi voltavo a guardarli speravano che Leonard non facesse lo stesso. Appena i loro occhi si incrociavano con quelli del mio partner, i loro battiti aumentavano, abbassavano lo sguardo e le scarpe assumevano più importanza di qualsiasi altra cosa.
Stonavo del tutto accanto a loro e il silenzio mi stava uccidendo, facendomi agitare quanto loro. Me ne fregai del suo passo rapido o del fatto che mi stesse volontariamente ignorando. Poteva trattare così quei due teenager, ma non me. Non dopo quello che c'era stato tra di noi.
« Sai che Candy ha confermato che non sono pazza? Sono di nuovo in ospedale, ma sono supervisionata a vista. »
Ero un fiume in piena, avrei voluto fermarlo per accarezzargli la guancia e raccontargli tutto, ma era troppo concentrato nel fare strada, nell'indicare trappole o ostacoli da superare.
« Prevedibile. » lapidario zigzagò tra sentieri e sterpaglie.
« Sto molto meglio, anche fisicamente. Non credevo che mi potessi fare così bene, ti avrei bevuto prima se lo avessi saputo! »
« Gradirei non sentire la tua voce. » si staccò e le mie mani non ebbero più a cosa aggrapparsi.
Un lungo sentiero serpeggiava fra di noi, incurvandosi tra querce, altalene, fontane in pietra e statue classicheggianti. Il percorso era rischiarato da una serie di lampioni con tre bracci a cui erano attaccate delle lanterne. Leonard spense la torcia e se la mise in tasca. Xavier e Mei erano ancora indietro, così ne approfittai.
« Ma gradisci di sicuro la mia compagnia! Si vede, mio caro amico russo... dovrei trovarti un soprannome americano. »
« Oppure dovresti stare zitta, dato che non siamo soli. » ribadì adocchiando i due ragazzi in lontananza.
« Potrei chiamarti oldie o dimples. Ti si formano due fossette, quando sei contrariato proprio qui. » dissi mettendogli un dito su quei puntini ai lati della bocca.
« Potresti, non soltanto stare zitta ma anche ferma con quelle manacce. »
Si ritrasse e si morsicchiò le labbra nervosamente. Era stranamente imbarazzato e io ero divertita da quell'inversione di ruoli.
« Leo, Lèon, leone... sono indecisa. »
Affrettò il passo, lo presi di nuovo a braccetto e quasi non perdevo l'equilibrio. Non potei fare a meno di toccarlo e percependo che aveva ripreso massa muscolare, da buon medico, osservai: « Non te l'ho detto prima ma sembri più forte e muscoloso... sembri certo, non so come tu sia sotto quel cappotto. Non che mi dispiacesse il tuo aspetto di prima, però entrambi gli occhi dello stesso colore ti donano. E il tuo respiro! Anche i battiti del tuo cuore sono piacevoli da sentire. Non sembri più un orologio scassato... quando saremo da soli, dovrei visitarti per essere sicura che vada tutto bene... sì insomma che tu stia bene... »
« Ne dobbiamo parlare proprio adesso, kozà? »
Arrossì. Avevo reso Leonard rosso sia per l'imbarazzo che per la rabbia che stava montando. I due ragazzi se la stavano ridendo per come mi ero rivolta a lui.
« È la tua fidanzata? » domandò Mei.
« È una dottoressa che ha il vizio di parlare troppo, specialmente quando è di buon umore. »
« Mi piaci dottoressa kozà. » disse Mei facendogli il verso e per poco lui non andò su tutte le furie.
« Oh Mei... non sai in che guaio ti stai cacciando. Solo io posso chiamarla in questo modo. »
« Solo tu puoi chiamarla in quel modo perché siete fidanzati? O è tua moglie? Pensavo che avessi occhi solo per la maman dello storpio... invece avete lo stesso profumo. »
« Mei, forse dovresti fare silenzio... » le suggerì il ragazzo stringendosi a lei spaventato dallo sguardo truce di Leonard che aveva fatto esplodere una lanterna in mille pezzi.
Si stava spazientendo. Si sganciò da me fermandosi a metà strada e si abbassò ricurvo per minacciarla per bene: « Se osi contraddirmi un'altra volta, dico della tua scappatella e della tua esplosione di ormoni adolescenziali a suor Maddalena. Sai benissimo come va a finire: tre ore di discorso sul sesso prematrimoniale e sulla protezione della propria virtù! »
« E io le dico che ti sei lasciato bere da una dottoressa! È la prima regola, noi non beviamo sangue dai nostri simili. » e si mise con le mani sui fianchi sfidandolo, ma naturalmente lui raccolse il guanto di sfida: « La dottoressa è qui perché il tuo umano l'ha portata fin qui! A chi pensi crederanno le suore? Alla mia versione, Mei stava amoreggiando con un umano oppure alla tua sconclusionata versione, che fa acqua da tutte le parti, in cui io sono stato così durak da disperdere il mio sangue? »
E iniziò a fare quello che più gli riusciva meglio, instillare un diabolico dubbio. Parlò da diavolo tentatore puntando Xavier, « Che sbadato! Dimenticavo, cosa potete saperne voi marmocchi dell'erotismo? Si può bere da tante fonti... che sia una bocca, del sangue o... umori. Esistono tanti liquidi corporei. Giusto, Dottoressa? », si leccò le labbra e morsicchiò il pollice con un fare suadente.
Feci un cenno affermativo e sperai che non vedesse la vergogna sul mio volto. Poteva essere tremendo quando voleva esserlo.
« Ah finalmente, il silenzio! Entra dal retro. Suor Mary Jane ci aspetta. »
Lasciò cadere un po' di brina sulle loro teste e i due sgattaiolarono via come topi.
« Sono felice che tu stia bene ma, oltre a parlare troppo, non dovresti essere qui. Hai due alternative: te ne vai di tua spontanea volontà o sarò io a costringerti a farlo. Puoi scegliere. »
« Non mi muovo di qui. So che non useresti mai la forza con me. »
Rimarcò la distanza che voleva che ci fosse tra noi, lo fece con le parole e con il corpo: incrociò le braccia al petto e con voce rauca provò a intimidirmi: « Ti ho detto di andartene. »
Mi avvicinai lo stesso e ad ogni passo la neve sembrava più pesante. Gli stivali affondavano sul nevischio e anche Leonard affondava il suo sguardo nella neve che andavo calpestando. Posai la mia fronte sul suo petto, mi aprii un varco tra le sue braccia e lo strinsi a me. Rimasi in quella posizione, inspirando ciò che mi era mancato di più: Leonard.
« Che stai facendo? Togliti. »
« Si chiama abbraccio. »
« Sì, so come si chiama, ma non c'è motivo di farlo... » fece per scrollarmi di dosso e risposi stritolandolo. Sapevo che non mi avrebbe mai toccata, così quando gli rivelai, « Ti ho perdonato per il protettorato e per la storia di Jacob. », lui cedette la presa e fece cadere le braccia lungo i fianchi, rassegnandosi alla mia parlantina e al mio affetto.
« Non te l'ho chiesto. »
« Mi andava di farlo. »
« Non dovevi, non eri costretta. »
« Tu invece? Mi hai perdonato? »
Tirai su il viso. Nei suoi occhi c'era l'inverno, il freddo e l'oceano. Era quello di cui era fatto. Forse ho scoperto la mia medicina.
« Per cosa? Non mi hai fatto niente. »
Strizzai gli occhi, mi attaccai alla stoffa del suo capotto e piansi. Non volevo ricordarlo. Ed era crudele da parte mia mettere quel pomeriggio tra di noi, mettere Jake in un posto che era soltanto mio.
« Per Volterra. Ma soprattutto per averti raccontato... per averti mostrato il mio dolore. Mi dispiace tanto, non credevo di poter fare così tanto male. Non mi fai schifo, non penso le cose che ti ho detto da Candy. Ero arrabbiata e tu... sei stato l'unica persona a essere stata completamente sincera con me. »
E divenne un ghiacciolo, lo sentii. Percepii i muscoli dell'addome contrarsi e le gambe farsi di legno. Sbirciai e aveva il viso in alto verso il cielo e un sospiro affranto tra le labbra.
« Potresti dire qualcosa? Qualsiasi cosa. Mi sento stupida. » farfugliai dal mio nascondiglio, premetti la mia faccia sul suo cappotto umido e mi bagnai il viso. Dubitai che potesse sentirmi, così quando non ricevetti risposta provai a pensare a qualcos'altro da dire.
Poi una pacca sulla spalla.
« Puoi perdonare solo chi è stato ferito. Tu non mi hai ferito. »
« Io sono sicura di averti fatto male! »
« Tu mi hai fatto un regalo. Mi hai dato da pensare. » soffiò « Dispiace anche a me... sono stato un po' troppo sboccato. Ho dato il peggio. », e prese fiato come se fumasse: « Non era solo una scopata, era la tua prima volta ed era una persona... importante? Forse era meglio che me ne stavo zitto. Ogni volta che parlo con te dico qualcosa di sbagliato. »
Volevo chiedergli se gli fossi mancata, perché lui mi era mancato e mi era mancata la sua voce, il suo modo di parlare e l'uso sgangherato che faceva delle lingue. Ma quello che ne uscì fu tutt'altro.
Dai Renesmee, lo stai abbracciando da quanto? Dieci minuti? Puoi chiederglielo. Hai bevuto anche il suo sangue... ti sono mancata? Ti... sono mancata? Ti... ?
« Ti... ti... » balbettai.
Lo sapevo, non ero pronta a stare così vicino a qualcuno. Il suo ticchettio stava diventando il mio ticchettio, così gli dissi stupidamente mollando la presa: « Ti ci vuole un pacemaker. »
Ma lui mi intrappolò e ricambiò tardivamente l'abbraccio, restando in silenzio mi circondò con le sue grandi braccia, brontolando: « Ti ci vuole una museruola. »
Immerse il viso nei miei capelli e io lo premetti sul suo torace. Smisi di avere freddo nonostante la neve e il ghiaccio, nonostante il male e la sofferenza. Provai calma anche se cinta dal suo nervosismo. Gli avevo lasciato tutta la mia ansia in quell'abbraccio.
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