- Una volta - mi dissi - sapevo camminare. Sapevo correre con i miei lunghi capelli mori all'aria, mentre saltavo cercando quasi di toccare quel sole irraggiungibile. Sapevo fare tutto quello di qui avevo bisogno, ma allo stesso tempo non avevo bisogno di nulla. Quel nulla, perfetto ai miei occhi, che mi rendeva una persona normale che trascorreva la sua infinita vita normale in una casa di un quartiere normale.
- Leggevo, - continuai a pensare - anzi, divoravo libri. La mia credenza, il mio paradiso. Camera mia era diventata da poco la mia biblioteca comunale. Mio padre pensava che il fatto che io leggessi fosse un bene, quindi ogni libro che volevo era già sulla lista della spesa. Era un'ometto sui 50 anni, che nella sua vita ha provato tutti i lavori del mondo. Propio per questi lavori, si assentava molto, ma non sentii mai la sua mancanza. Mia madre sapeva come passare il tempo anche senza di lui: aspirapolvere rumoroso che ad ogni intralcio rilasciava un boato assordante, lavatrice che pochi anni dopo sarebbe completamente morta, o semplicemente televisione (oh e quella forse è stata l'unica cosa a rimanere).
Quando avevo 16 anni tornò a casa, e mi portò un taccuino che aveva trovato rovistando tra vecchie scartoffie del suo ufficio. E lì che iniziai a scrivere.
Grosso sbaglio.