Temporale
Sento un lieve picchiettio proveniente dal salotto, e quindi stacco gli occhi dalla tastiera del mio piccolo portatile. Lancio un'occhiata ma, vedendo fuori da essa solo una forte tempesta di neve, mi convinco di essermi immaginata tutto e torno al documento che sto scrivendo. Lo fisso, agitando ansiosamente la penna nella mia mano sinistra, per poi scrivere due righe e cancellarle di nuovo. Bevo un sorso di caffè. Sto per tornare alla stesura quando sento nuovamente quel suono contro il vetro. Di sicuro un ramo si sarà rotto per via del vento, sussurro a bassa voce, e starà battendo contro la mia finestra. Non c'è nulla di cui preoccuparsi. Chiudo gli occhi prendendo un respiro profondo per rilassarmi e torno a battere fanaticamente i tasti sulla tastiera. Sto per cancellare tutto nuovamente quando il rumore mi disturba ancora; stanca, e con il panico che mi pervade, apro una piccola confezione di medicinali e mi porto una pastiglia alla bocca. Tutto diventa ovattato mentre io riesco a riportare tutta la Lia attenzione al mio lavoro. Qualcosa so muove agli angoli della mia visione periferica, ma non ci faccio caso fino a quando un forte suono di un vetro che si infrange non mi riporta alla realtà. Mi alzo con il cuore a mille.
"William?" chiamo titubante, con le mani che tremano. La finestra è, effettivamente, distrutta, e i vetri formano un a chiazza azzurra sul parquet, ma di William nessun segno. Sento il mio respiro fermarsi nei polmoni e la mia cassa toracica stringersi sempre più. Mi appoggio al bracciolo del divano cercando di combattere alcuni giramenti di testa che mi quasi mi fanno perdere l'equilibrio. Sto per urlare nuovamente quando una voce mi fa voltare: "Mamma?" Io mi lancio in direzione di quel suono, stringendo tra le braccia un piccolo bambino dai capelli neri. "Per fortuna stai bene..." gli mormoro, cercando di non singhiozzare troppo. Lui si stacca da me e mi guarda. "Ho rotto la finestra, non ti arrabbi, vero? C'era un gufo reale fuori che picchiava contro il vetro, pensavo avesse bisogno di una casa e-" Un verso proveniente dalle nostre spalle blocca il discorso di mio figlio. Mi volto, e noto un grosso gufo dal piumaggio sui toni del marrone tendente al nero con due grossi occhi gialli che mi fissano. Sul tavolo, una lettera legata alla zampa del gufo tramite una catenina d'argento. Will si avvicina al rapace con cautela, come per paura che voli via spaventato, ma questo non fa una piega; una volta liberato dalla catena, l'uccello inizia a battere impazientemente gli artigli contro il vetro del tavolino, producendo un fastidioso tic-tic che inizia a darmi sui nervi. "William veloce, quel dannato animale non se ne andrà senza una risposta alla lettera" informo il bambino, che mi guarda con gli occhi spalancati porgendomi la lettera. La apro con un colpo sicuro.
Cara Hermione,
Tutti hanno smesso di scriverti da mesi, forse un anno intero ormai, e hanno semplicemente accettato l'idea che tu non volessi più essere trovata. Io, per natura cocciuto come mi conosci, non riesco a darmi pace, e quindi continuo a scriverti nella speranza che una di queste lettere ti arrivi. Sono passati anni dall'ultima volta che ti abbiamo vista, eppure la mancanza di Hermione Jean Granger si sente come se non fosse trascorso nemmeno un giorno. Vedo ancora gli occhi di Harry farsi vagamente lucidi ogni volta che riporta a galla vecchi ricordi di Hogwarts. Come da tradizione, perché ormai lo faccio ogni anno ed è diventata routine, per me, scriverti una lettera simile a questa nel periodo Natalizio, voglio ribadire che sei sempre la benvenuta, Hermione. Come ogni Natale, voglio invitarti a passare le festività con noi come se non fosse passato nemmeno un anno, come se ci fossimo visti tutti l'ultima volta solo ieri.
Nella speranza che questa lettera raggiunga il mittente,
Sirius O. Black
Strabuzzo gli occhi rileggendo la lettera a mezza voce un paio di volte senza però capirne il contenuto. Come ha fatto quel gufo a trovarmi, a trovare la mia casa? Appoggio la lettera sul tavolo portandomi una mano tra i capelli. William mi si avvicina, prende la lettera e inizia a leggerla silenziosamente. "Mamma, chi è che manda le lettere via gufo?" chiede poi, abbastanza confuso. Gli accarezzo i capelli e con un gesto gli intimo di sedersi sulle mie gambe. Lo stringo e chiudo gli occhi, lasciandomi in balia di tutto ciò che avevo per anni evitato di affrontare. Un segreto, posso definirlo, che ho tenuto nascosto anche al padre di Will fino all'ultimo secondo della sua vita, e che ora mi tormenta, tornando a me durante una delle peggiori tempeste di neve degli ultimi anni. "Mamma, chi è Sirius Black? E chi è Harry? Che cos'è Hogwarts?" inizia a domandarmi a raffica, e io sento la mia testa pulsare leggermente. Intanto, il gufo ha ripreso a battere impazientemente le zampe contro la superficie di vetro del tavolo. Faccio tacere Will e prendo un foglio e una penna nera.
Ciao Sirius.
Non so come, ma il tuo gufo è riuscito a trovarmi, e ho ricevuto il tuo messaggio.
Prendo un respiro profondo e guardo William negli occhi. Ogni Natale lo abbiamo sempre passato io, lui e suo padre, mio marito, il mio unico amore. Questo sarebbe il primo passato solo io e Will, in questa grande casa vuota e fredda. "Che ne dici se ti spiegassi tutto davanti a una bella tazza di cioccolata calda? Ma solo se ora vai in camera a metterti il pigiama e mi lasci finire" gli rivelo scherzosamente. Lui ride annuendo e sgambetta in maniera delicata finta camera sua, dove scompare. Respiro.
Se questa lettera mi fosse arrivata un qualunque anno precedente a questo, io l'avrei semplicemente rimandata indietro intaccata, integra, con il sigillo ancora intatto; ma molto è cambiato in questo ultimo anno. Ci sarò, ma non sarò sola. Ti spiegherò tutto a tempo debito.
A presto,
Hermione J. Granger
Chiudo la lettera con un banalissimo pezzo di scotch di carta e la assicuro alla zampa del gufo, che poi accarezzo distrattamente prima che voli via dalla finestra rotta. Sto per indirizzarmi in cucina e iniziare a preparare due tazze di cioccolata calda quando un forte suono e un urlo provenienti dalla stanza di mio figlio mi fanno congelare il sangue nelle vene. Mi lancio di corsa verso la piccola stanza dalle pareti azzurre e spalanco la porta bianca solo per vedere mio figlio che piange in un angolo con un braccio sanguinante, la finestra a pezzi e un grosso ramo sul pavimento. Senza pensarci un secondo, prendo in braccio il mio piccolo e lo faccio sedere sul piano cucina, cercando di calmare i suoi singhiozzi. Il suo braccio è pieno di piccoli tagli e posso identificare una scheggia di vetro molto vicina al suo polso. Senza aspettare di più, apro un cassetto ed estraggo la mia bacchetta; non appena la sollevo, una forte corrente pagina pervade il mio corpo. Sussurro un incantesimo e tutti i frammenti di vetro presenti nel braccio di William escono e iniziano a levitare nel lavandino. In seguito, mi premuro di curargli le ferite. Lui mi guarda senza parole.
"Cosa..." mi domanda, e io lo stringo forte a me. "Sono una strega, William, e-" ma un forte colpo contro il tetto mi impedisce di continuare il mio discorso. C'è un calo di tensione, e le luci si spengono tutte contemporaneamente. Sollevo la cornetta del telefono ma l'apparecchio suona a vuoto, segno che c'è un guasto alle linee telefoniche. "Ti spiegherò tutto in un secondo momento. Ora voglio che prendi il tuo zainetto e ci metti dentro il tuo libro preferito, dei vestiti, un peluche e qualcosa che vuoi portare via da casa" gli ordino, al che lui annuisce. "Per favore, stai lontano dalle finestre" aggiungo prima che vada, per moi muovermi fino alla mia camera. Sento il vento ululare acuto e far tremare i vetri; mi avvicino all'armadio e prendo le prime due cose che mi capitano sotto tiro: una maglietta di mio marito, un paio di jeans, un paio di pantaloni della tuta, dell'intimo. Mi butto poi addosso al mio comodino e prelevo dal cassetto il mio libro preferito e una piccola scatola portagioie. Mi metto in tasca il portafoglio, indosso velocemente la giacca e poi chiamo Will, tornando in cucina. Lo trovo lì, pronto ad aspettarmi, con il suo zainetto celeste sulle spalle e lo sguardo spaventato.
"Mamma, cosa succede, cosa-" Io lo abbraccio. "Va tutto bene... la tempesta è forte, non è sicuro stare qui. Andiamo da un mio vecchio amico, e lì soddisferò tutti i tuoi dubbi." Lui annuisce stringendosi a me. "Non mollarmi mai, okay? E non spaventarti, prometto che tutto è sicuro" mormoro, prima di stringere la bacchetta. Subito una familiare sensazione di risucchio mi coglie, e io stringo William per non perderlo. L'aria esce dai polmoni e si rifiuta di entrare, la testa gira, la casa si fa lontana, lontana... fino a che, scossi non ci ritroviamo in un'umida via buia di Londra. L'aria è fresca, odora di pioggia, ed è notte inoltrata. Una grossa luna piena illumina il Tamigi diffondendo una subdola luce biancastra. "Eccoci..." sussurro a Will, indicandogli una palazzina. "Cerca il numero 12."
Lui si muove veloce vicino ai cancellati senza proferire parole, e inizia a leggere i numeri civici. Dopo qualche minuto, confuso, torna da me sostenendo che non esistesse un dodici. Mi avvicino e rido dolcemente stringendo il bambino alla mia gamba. "Guarda ora" rispondo, sussurrando piano il nome del domicilio. La palazzina inizia a tremare e si allarga sempre di di più, il numero 11 e 13 si fanno sempre più distanti, rivelando una porzione nascosta, più tetra e con tutte le tapparelle abbassate. Prendo un respiro profondo e deglutisco. Guardo mio figlio e li ritrovo esterrefatto, gli occhi che brillano. Lo prendo in braccio e con passo insicuro procedo verso la porta, bussando piano. Sento l'aria mancare nei miei polmoni. E poi la porta si apre.
Ciao a tutti! Ho appena sistemato il capitolo, e qualcosina è cambiato (oltre al mio stile di scrittura ouo). Piccolo annuncio di servizio: penso di aggiornare questa storia ogni Mercoledì/Giovedì di ogni settimana, e giuro sarò costante e mi impegnerò tantissimo. Per ora cosa ne pensate?
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