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Una promessa del passato

La Diogenes era ormai a poco meno di un metro dalla loro nave, quando un uomo abbigliato con ricche vesti porpora scuro e dal portamento aristocratico uscì dalla cabina del capitano: era proprio Mycroft Holmes in persona. Di corporatura leggermente più robusta rispetto a quella di Sherlock, i capelli scuri quanto i suoi, ma molto più corti, e accuratamente pettinati. La sua espressione era altèra e severa al tempo stesso, gli occhi grigio scuro acuti e penetranti. Emanava autorità.
Al vederlo, Sherlock sogghignò, sporgendosi poi dalla ringhiera in modo chiaramente sbarazzino e provocatorio. A quanto pareva, quell'aria autorevole non aveva alcun effetto su di lui.
-Ma guarda un po' chi si vede. Ciao, fratello!-lo apostrofò, infatti, in tono sarcastico.-Se sei venuto fin qui, la faccenda deve essere grave... Che succede, a Corte hanno finito i liquori? Perché di certo il mio rhum non glielo do...
John era quasi certo di essersi frantumato un paio di costole nel tentativo di non ridere, di fronte all'espressione assunta dal fratello maggiore del suo capitano: anche se aveva incontrato poche volte quest'ultimo, sapeva bene che il rapporto tra i due fratelli, simili nell'intelligenza ma non nell'atteggiamento- altero e composto uno, iperattivo e sprezzante dell'autorità l'altro-era un continuo punzecchiarsi a vicenda, seppur fosse chiaro quanto a Mycroft stesse a cuore la sorte del fratello minore, sotto i suoi modi burberi e all'apparenza algidi. Per questo, l'iniziale ilarità lasciò il posto alla preoccupazione: sapeva fin dall'inizio che la loro ciurma era al servizio della Corona: in verità, era più corretto dire che erano al servizio di Mycroft Holmes, che occupava un posto alquanto importante all'interno della corte; Sherlock non gli aveva mai detto quale, di preciso... Tuttavia, mandava sempre degli emissari, per informarli circa i loro incarichi: era la prima volta che veniva di persona, e con la sua nave personale, per di più.
La faccenda doveva essere alquanto seria...

Mycroft scoccò a Sherlock un sorrisetto sarcastico.
-Se hai finito con le tue battute, fratellino, avrei un'importante questione da discutere con te.
Capitan Holmes sbuffò, ma sollevando appena un angolo della bocca.
-Prendete la passerella, ragazzi!-disse, facendo un cenno con la mano ad alcuni uomini della ciurma.-Abbiamo visite importanti, oggi...
Due di loro si affrettarono ad obbedire, e fecero per prendere un'asse di legno, per poi posizionarla a guisa di ponte tra le due navi, ormai vicine. Mycroft però fece una smorfia allibita, e scosse subito la testa in segno di diniego.
-Non ci penso proprio a salire sulla tua nave! Parleremo nella mia cabina.
-... E perché, di grazia?-replicò il corvino, indignato.
-Perchè il mio vascello è molto più lussuoso del tuo. E di certo più pulito...-sottolineò lui, dopo un'ennesima smorfia.
-Capitano, sbaglio o costui ci sta insultando?? Vuole che gli dia una lezione??
Angelo abbandonò il timone e si intromise nella conversazione, estraendo un lungo coltello dalla cintura e fissando Mycroft con sguardo truce.
-No, tranquillo, Angelo. Non ce n'è bisogno-lo placò però Sherlock, ridendo.-Sono avvezzo alla sua scortesia. Ma, in caso contrario, ti chiamerò, stanne pur certo.
Questi annuì, e ripose il coltello nella guaina, ma continuò a fissare l'uomo sulla nave col medesimo sguardo intimidatorio. Questo, insieme alla sua mole possente e alla sua pelle ricoperta di tatuaggi lo rendeva ancora più minaccioso. Anche se l'equipaggio, che ben lo conosceva, sapeva che era di indole gentile, seppur autoritaria all'occorrenza.

Comunque Mycroft non rimase per nulla impressionato o intimorito dalla minaccia e, dopo un'ultima smorfia altezzosa, rientrò in cabina, in attesa di Sherlock, che ancora fissava pensieroso la Diogenes. Evidentemente anche lui si stava domandando il perché di quell'incontro.
-Va' pure. Terrò d'occhio io la nave, in tua assenza-lo rassicurò John.
Ma capitan Holmes aveva tutta un'altra idea.
-Assolutamente no-rispose infatti.-Sei il mio primo ufficiale, vieni anche tu.
Il biondo rimase un momento sbigottito: durante quei due anni, Sherlock e Mycroft si erano sempre incontrati sulla terraferma per discutere, anche se raramente, e lui non lo aveva mai invitato a presenziare a quegli incontri, preferendo tenere i dettagli dei piani delle missioni in gran parte per sè.
Farlo adesso era da parte sua una grandissima prova di fiducia, forse più significativa di qualsiasi altra.
-... D'accordo- disse infine, con un leggero sorriso, mentre Holmes dava disposizioni all'equipaggio.
Si ritrovarono dunque a percorrere l'asse posizionata precariamente tra le due navi con la tranquillità di due uomini avvezzi a farlo da una vita.
-In realtà, Mycroft aveva paura di cadere in mare-gli mormorò Sherlock ghignando, mentre l'attraversavano.-Ho idea che la sua dieta non vada come previsto...
Anche questa volta, John dovette coprirsi la bocca con la mano, nel vano tentativo di soffocare le risate.

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Sherlock si guardò intorno con sussiego, osservando lo sfarzoso arredamento della cabina: poltroncine di velluto rosso cupo erano posizionate di fronte ad una scrivania di scuro legno di quercia, alle cui spalle vi era una libreria colma di antichi volumi. Poco distante dalla scrivania, sostava un piccolo carrello di liquori, dove alla luce soffusa dei candelabri scintillavano bottiglie di puro cristallo. 
-Molto lussuosa, fratello, devo ammetterlo-ammise infine, suo malgrado, mentre si accomodavano sulle poltroncine.
John stesso non poté che intimamente concordare con il suo capitano: pareva più un'abitazione in piena regola, che non una semplice cabina di una nave.
Le labbra di Mycroft si sollevarono in un sorrisetto compiaciuto.
-Ma...-aggiunse il pirata, stavolta fissandolo dritto negli occhi con sguardo inquisitore.-Sappiamo tutti e due che tu odi andare per mare. Lo fai solo se non puoi proprio evitarlo. Quindi, ora io mi domando, cosa ti ha spinto a un tale... sacrificio?
Seguì un momento di silenzio, mentre l'espressione di Mycroft Holmes, di botto, si incupiva; si accomodò poi lentamente sulla sedia dietro alla scrivania, proprio di fronte a loro.
-Gradite qualcosa da...-esordì infatti, tentando palesemente di eludere la domanda o quantomeno di ritardare il momento di dare una risposta.
Ma Sherlock non si lasciò distrarre.
-No, grazie. Non vogliamo nulla. Non girarci tanto intorno, fratello, e dimmi cosa vuoi-lo incalzò, per poi scrutarlo più attentamente, con un'ombra di preoccupazione nello sguardo.-Qual è il problema che ti turba al punto da non riuscire neppure a parlarne?
Quest'ultimo distolse lo sguardo, rafforzando il presentimento avuto da John qualche momento prima: in verità avrebbe pure gradito una tazza di tè, ma dopo aver ulteriormente percepito quella strana tensione preferì lasciar perdere.
Finalmente, Mycroft prese un respiro profondo respiro e si decise.
-La figlia del governatore di Port Royal... è stata rapita.

A quelle parole, il cuore di John perse un battito.
Sentiva ancora Mycroft Holmes parlare, ma la sua voce gli arrivava come un mormorio indistinto, mentre veniva sopraffatto dai ricordi e il suo sguardo si perdeva nel vuoto.

... Mary...

... Mary...

... Mary...

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-Mary!! Mary? Dove sei??
Urla, John, mentre corre in cerca della sua migliore amica per tutto il grande giardino della villa dei Morstan, Governatore di Port Royal.
La cerca tra i cespugli, dietro al capanno del giardiniere... ma niente.
Dove si è nascosta??
Poi, all'improvviso, un lampo di genio: sorride, e si arrampica con sicurezza sull'albero più alto di tutto il giardino, arrivando sin quasi alla cima, tra il fogliame più fitto.
-Trovata!!-esulta.
Ma il sorriso gli si spegne.
Mary è seduta su un ramo, lo sguardo distante: indossa un vestito rosa pesca, i capelli biondi sciolti sulle spalle, le gambe penzolanti nel vuoto, che oscillano pian piano avanti e indietro.
Ha un'espressione... triste.
John le si avvicina, cauto, e guardandola interrogativo.
-Mary... tuo padre ti sta cercando. Da almeno un'ora. Anzi, ti stanno cercando tutti.
-Lo so... -replica lei, a voce bassa, senza guardarlo, stringendo distrattamente un lembo del vestito. -Per questo mi sono nascosta qui. Ma tu mi hai trovato... tu mi trovi sempre.
Abbozza un sorriso, sempre però pieno di tristezza.
-Che è successo?-le domanda, sedendosi più vicino a lei, e prendendole la mano timidamente. -Ti va di parlarne?
La ragazzina, alla fine, si volta e incrocia il suo sguardo; John si accorge solo allora che i suoi occhi color fiordaliso sono lucidi, e trasalisce, preoccupato: cosa può aver spinto addirittura al pianto la sua amica sempre coraggiosa in ogni occasione, e che non ha mai visto versare una lacrima, neppure dopo il più aspro dei rimproveri di suo padre o della tutrice??
-Ho sentito mio padre che parlava con un suo amico. Vogliono promettermi in sposa a suo figlio. Ho solo dodici anni, e loro già stanno programmando il mio futuro, senza curarsi nemmeno dei miei desideri. Non lo sopporto!-Dice queste ultime parole con rabbia, battendo una mano sul tronco, e facendosi cosí dei piccoli graffi sul palmo.-Io non voglio sposarmi! Io voglio...!
-... Diventare una piratessa, lo so-completa il biondo, mentre gli sfugge un sorrisino: é quello che gli ripete ogni giorno.
Ma pensava fosse solo un gioco, nulla di più.
-Non è solo questo che mi fa arrabbiare, John.-La voce di Mary si incrina, mentre una lacrima le scivola sul volto, seguita da un'altra.-Io voglio sposare qualcuno che amo! Non uno scelto da mio padre!

Lui, a quel punto, capisce che la sua amica è davvero disperata, e scopre di sentirsi profondamente dispiaciuto.
Non le piace vederla triste. A lui piace come è di solito: sveglia, intelligente, coraggiosa, determinata, divertente... è questo, che ama di lei...
A questo pensiero, arrossisce. Sarebbe il caso di dirglielo? Di confessarle che, ormai da un po', prova verso di lei qualcosa di più della semplice amicizia? Ma a quale scopo, se è già promessa?
A meno che...
-Facciamo così! -le propone, di getto.-Quando sarò più grande, chiederò io la tua mano!
Mary sussulta e si volta a guardarlo, gli occhi sgranati.
-John... non scherzare.
-Non è uno scherzo! Perchè, non va bene?
Lei lo guarda. Il suo amico ha un'espressione serissima e risoluta in volto. I suoi occhi blu sono fissi nei suoi.
-... No... tutt'altro-replica alla fine, arrossendo timidamente.-Ma sei il figlio di un fabbro, e io la figlia del Governatore... Mio padre non accetterà mai. Già tollera a malapena la nostra amicizia, e solo perché tuo padre fabbrica le spade più belle del regno.
John china la testa, avvilito: a questo, in effetti, non aveva pensato.
Poi, però, un pensiero improvviso gli infonde una nuova speranza.
-Ma io diventerò un soldato della Marina! Magari addirittura un Commodoro! -esclama.- E allora tuo padre dovrà per forza dire di sì! Di sicuro non rifiuterebbe un Commodoro come genero!
Dapprima incredulo, poi pensieroso, il volto della ragazzina si accende in un sorriso e batte le mani, entusiasta.
-Hai ragione!!
Il biondo annuisce, anche lui sorridente.
-Allora è deciso. Appena saremo entrambi abbastanza grandi, verrò a chiedere la tua mano. Ma ci serve qualcosa per non dimenticarci la promessa!
Mary si mordicchia il labbro inferiore, pensierosa. Poi, d'improvviso, gli occhi gli si illuminano e, senza dire una parola, si porta le mani dietro al collo, sfilandosi una catenina d'oro, da cui pende una piccola medaglietta ovale.
Gliela porge con un sorriso.
-Questa va bene? C'è inciso il mio nome.
Lui però scuote la testa, sbalordito.
-Non posso, Mary! È troppo preziosa!
Ma lei gliela mette di forza tra le mani e gliele chiude sopra, non badando al suo rifiuto.
-Dái, ora tocca a te!
John, guardando la catenina dorata da cui pende il ciondolo, rimugina tristemente tra e . Non ha nulla di altrettanto bello o di valore, da donarle.
Poi, colto anche lui da un'ispirazione improvvisa e, sotto gli occhi attenti della ragazzina, stacca un pezzo di corteccia dall'albero. Con il suo fidato coltellino lo intaglia velocemente, creando un piccolo cuore, su cui incide rozzamente le sue iniziali, "J" e "W".
Lo buca e gli fa passare dentro un piccolo laccio di cuoio preso dalla tasca. La porge poi a Mary, lo sguardo basso.
-Lo so, in confronto al tuo non è niente, ma...
Lei però prende subito quella collana approntata sul momento, rimirandola estasiata, per poi dare all'amico un rapido bacio sulla guancia.
-È perfetta... Grazie- gli sussurra, sorridendo, gli occhi azzurri che brillano, stringendosi il ciondolo al petto.
John si porta d'istinto una mano al volto, le dita a sfiorare il punto in cui lei gli ha dato quel bacio, un po' in imbarazzo, ma felice.
Mary è tornata a sorridere.

... Mary...

... Mary...

... Mary...

---

-... John? John, va tutto bene?
Questi, al richiamo, si riscosse a fatica: il suo capitano lo stava fissando, così come Mycroft, entrambi con uno sguardo chiaramente perplesso.
-... Sì. Scusate, mi ero distratto-rispose, con un certo sforzo.
Mycroft sembrò accettare la spiegazione: Sherlock, invece, lo guardò ancora di sottecchi, palesemente dubbioso.
Si voltò poi verso il fratello.
-Mycroft, perchè affidare a me questa missione? Di certo hai molti altri uomini a disposizione. Perchè proprio io?
Questi si prese del tempo per rispondere, versandosi un bicchiere di Brandy, per poi sorseggiarlo con calma.
-Perchè il rapitore ha chiesto di te. Personalmente-ammise infine.-Devi trovare qualcosa per lui. E devi essere tu, a consegnargliela, una volta trovata. Altrimenti, la ucciderà.
John non riuscì a trattenere un piccolo respiro strozzato. Anche stavolta, la cosa non sfuggì a Sherlock: che, però, lasciò di nuovo correre, tornando a rivolgere tutta la sua attenzione sul fratello.
-Ah sì? E come mai ha richiesto specificatamente la mia presenza?-chiese, la voce stavolta velata di ironia.-Mi conosce, per caso?
Mycroft rise in tono amaro.
-Oh, sì. Ti conosce eccome, fratello mio. E tu conosci lui.
Capitan Holmes aggrottò la fronte, e Mycroft sospirò nuovamente.
-Ti dice niente il nome... James Moriarty?

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