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Pericolose alleanze

              
               -Due anni dopo-

L'imponente nave della Compagnia delle Indie Orientali, che aveva gettato l'ancora in mare aperto, in attesa, venne finalmente affiancata dalla nave pirata.
Subito, l'equipaggio di quest'ultima si affrettò a estrarre una passerella per permettere al suo capitano di salirci: ed egli salì con passo fiero, ma pesante, gli occhi scuri sfavillanti d'ira. Irruppe infatti nella cabina del capo della Compagnia prima ancora d'essere annunciato e senza bussare.
L'uomo seduto alla scrivania, e intento a studiare alcune mappe, alzò lo sguardo, chiaramente infastidito: ma poi le sue labbra si incresparono in un ironico sorrisetto.
-Ben arrivato...-commentò, sarcastico, pulendo il suo monocolo con un fazzoletto di seta.-Ci ha messo parecchio.
-Mettiamo bene in chiaro una cosa: io non mi lascio convocare come fossi l'ultimo mozzo di una delle sue navi!- ringhiò l'altro individuo, rabbioso.
-Tuttavia, è qui...-replicò l'uomo col monocolo, con un ghigno accennato, ma sul volto un'espressione fredda.-Si ricordi: la nostra alleanza funziona in entrambi i sensi. Io ho bisogno di lei per distruggere ogni singolo vascello pirata. E lei ha bisogno di me per distruggere quelli sulla terraferma. Perciò, abbiamo bisogno l'uno dell'altro.
Scese il silenzio, mentre i due interlocutori si fissavano, in una una sorta di muta schermaglia.
Finché fu proprio il secondo a cedere, seppur di malavoglia.
-...Non sono più tanto sicuro che sia stato un buon affare quello con la Dea del mare- sbuffò infatti James Moriarty, afferrando una mela da un cestino posto sulla scrivania di mogano scuro.-Non posso scendere a terra nè far porto se non una volta ogni dieci anni... si rende conto?? Dieci. Anni. Se non avessi quotidianamente delle navi da assaltare, sarei già morto di noia!
-... Ma se non l'avesse fatto, sarebbe già bello che morto quel lontano giorno sulla Punta del Diavolo come il suo amico Sherlock Holmes, dico bene?-gli ricordò il capo della Compagnia, versando del Whisky in un calice di cristallo. -Tra l'altro... Siamo certi della sua dipartita?

James ghignò, sbucciando la mela col suo coltellino.
-Assolutamente sì. Sa... cadere da una scogliera di venti metri con un pugnale nel cuore garantisce il trapasso.
Le labbra di Magnussen si tesero in un sorriso freddo.
-Bene...-mormorò, sovrappensiero. -Non resta che eliminare quella palla al piede del fratello.
Cambiò però poi discorso, parlando a voce più alta.
-Come procede?
L'espressione di Moriarty si fece seria, ma compiaciuta.
-Splendidamente. Ogni nave che incrocia la mia Bloody King è destinata ad affondare. Anche stavolta, essere quasi completamente invulnerabili aiuta-concluse, ironico.
-Quasi completamente?-ripetè l'altro, con uno sguardo obliquo.
James sembrò rendersi conto di aver fatto un passo falso, ma lo mascheró quasi subito.
-Volevo dire... completamente-si corresse infatti, tenendo gli occhi scuri piantati in quelli grigi del suo interlocutore.
-Certo...-replicò quest'ultimo, assottigliando però lo sguardo, poco convinto.
Moriarty non se ne curò, limitandosi a masticare piano il pezzo di mela appena tagliata, per poi sedersi scompostamente su una delle poltrone della cabina.
-Io sto facendo la mia parte. E da un bel po'. Ora lei deve fare qualcosa per me.
-E sarebbe?-ribattè il capo della Compagnia, aggrottando la fronte.
-Deve eliminare un uomo per me. L'avrei fatto io, ma...-Fece un gesto allusivo, indicando sé stesso.- Sono impossibilitato, come lei ben sa. E il mio equipaggio dà troppo nell'occhio.
-Capita, quando si è provvisti di branchie...
Moriarty rispose a quel commento ironico con una scrollata di spalle.
-In ogni caso... lo voglio morto. Impiccato, al rogo, decapitato, a frustate... non mi interessa. Deve morire. Più soffre, meglio è.
Il volto del pirata esprimeva un odio senza eguali, e i suoi occhi neri parevano pozzi scuri e profondi, mentre nella cabina calava un altrettanto profondo silenzio.
-Mi sbaglierò, ma... percepisco che ha un profondo risentimento, verso quest'uomo.
-... Ma che bravo, complimenti. Ha vinto una bambolina-replicò James, la voce grondante sarcasmo, accennando un piccolo applauso.-Ma i dettagli non la riguardano.
L'uomo col monocolo non insistette, e bevve un sorso di Whisky, con deliberata lentezza, soppesando la richiesta del pirata.
-Molto bene- concesse infine, annuendo.- Sarà fatto. Il nome di questo individuo?
La bocca di Moriarty si tese in un crudele ghigno.
-John. John Watson.

---

Due anni.

Incredibile che sia passato così tanto...

John Watson, seduto sul pontile, lasciò vagare il suo sguardo verso il mare, inspirandone il profumo a pieni polmoni; il porto era deserto, quella mattina: il sole si era levato da poche ore, e gli unici suoni che interrompevano quella quiete erano lo stridio dei gabbiani e l'infrangersi delle onde sulla banchina.
Veniva lì ogni giorno, alla medesima ora, quando Port Royal era ancora immersa nel sonno, e aspettava l'arrivo delle navi, come fosse ancora un qualsiasi marinaio o pirata.
Anche se, ormai, aveva smesso di navigare da tempo: aveva infatti preso a lavorare presso un convento, come medico. Un lavoro da due soldi, seppur onorevole.
Ma... Dio. Quanto gli mancava, solcare quelle acque.
Gli mancava tutto, di quella vita: assolutamente tutto.
Gli spruzzi d'acqua salata sul volto.
Lo scricchiolio del legno della nave. La sensazione del timone stretto tra le mani, con la consapevolezza di poter condurre il veliero ovunque volesse, obbediente alla sua capacità di manovra. Il vento tra i capelli mentre si cavalcava la marea. Urlare ordini alla ciurma.
Ma più di tutto questo, gli mancava...

Una lacrima gli solcò il volto.
Se l'asciugò bruscamente, quasi vergognoso.
Cosa avrebbe detto il suo capitano, al vederlo piangere come un bambino?

Già, cosa mi diresti?
Vorrei proprio saperlo...
Probabilmente che non si deve mostrarsi sentimentali... o qualcosa del genere...
Ma non potrò mai saperlo con certezza...
Perché tu non puoi più parlare.
Sei morto.
E i morti non parlano...

Un'altra lacrima scese, imperterrita.
Non c'era niente da fare. Era più forte di lui.
Ed era così da quel lontano giorno di due anni prima.
Il dolore che si portava dentro, anziché attenuarsi col passare del tempo, era sempre presente, e sembrava consumarlo giorno dopo giorno. Come un acido.
Come un veleno.
Non aveva neppure una tomba su cui piangere: e forse era meglio così.
Era certo che il suo capitano non avrebbe mai desiderato essere lontano dal mare che tanto aveva amato: neppure nella morte.
Contemplarlo perciò ogni mattina era un modo per ricordarlo.
Purtroppo, però, ciò significava anche riportare a galla immagini estremamente dolorose.
Chiuse gli occhi per qualche istante, sommerso, pur contro la sua volontà, dai ricordi di quello che era successo... dopo.

---

John non seppe mai come avesse fatto a scendere illeso dalla Punta del Diavolo.
Aveva gli occhi talmente appannati dalla pioggia e dalle lacrime, che fu un miracolo che non cadesse, rompendosi l'osso del collo.
Arrivò stremato verso Mary che, non appena lo vide, gli corse incontro con un sorriso sollevato.
Ma, quando lo osservò meglio in volto, scorse lacrime, nei suoi occhi, e la sua espressione mutò.
-John... che è successo??
Ma lui non le rispose. Si accasciò lentamente a terra e basta, sulle ginocchia, il capo chino.
-John... ti prego, parlarmi!- lo implorò lei, spaventata.
E lui, finalmente, parlò.
E ogni parola uscì a fatica dalle sue labbra, procurandogli un dolore vivo e reale. Come se qualcuno gliele stesse strappando realmente dal corpo, facendolo sanguinare.
-Il mio capitano...-rantolò, gli occhi chiusi, il capo sempre più chino sull'erba bagnata dalla pioggia.-Il mio migliore amico... Sherlock Holmes... è... morto...
L'ultima parola sembrò dargli il definitivo colpo di grazia, e non riuscì più a trattenersi. Al diavolo il suo essere inglese. Al diavolo il suo essere un soldato e un pirata.
Al diavolo tutto!
Scoppiò in violenti singhiozzi., su quel prato.
Ora la pioggia non era più l'unica a bagnarlo.

Mary non conosceva Sherlock Holmes.
Non sapeva nulla di lui.
Ma sentì il dolore di John come se fosse suo; e non provò a confortarlo a parole. Non disse nulla.
Non era di questo che aveva bisogno l'uomo che amava da quando erano ragazzini. Erano stati amici, prima di questo. E lei aveva già visto John disperato, come in quel momento: era stato dopo la morte di sua madre. Ancora ricordava quel lontano giorno: il suo amico non aveva versato una lacrima, durante il funerale, evitando lo sguardo dei pochi presenti, incluso il suo. Ma, dopo la cerimonia, era sparito.
Lei l'aveva cercato per ore, fino a trovarlo, quando era già scesa quasi notte, in una piccola baia, scosso da violenti ma silenziosi singhiozzi.
Il dolore che in quel momento lo dilaniava pareva il medesimo, ma non del tutto. Forse era addirittura, in qualche modo, se possibile, ancor più profondo.
Fece perciò la stessa cosa che aveva fatto molto tempo prima, quando avevano solo tredici anni, e ancora non sapevano dove il destino li avrebbe condotti. Si accucciò vicino a lui, per poi stringerlo tra le sue braccia con tutta la sua forza.
John non parlò. Non ne era in grado.
Si limitò a contraccambiare quella stretta con altrettanta forza, quasi con disperazione, come se Mary fosse una corda gettatagli per non farlo annegare.
E rimasero così.
Abbracciati. Come due naufraghi su un'isola deserta.
Nessun paragone avrebbe potuto essere più calzante di quello.

---

Ma il peggio, purtroppo, doveva ancora arrivare.
Quando Mary e John salirono sulla Perla, infatti, tutta la ciurma si riunì sul ponte, circondandoli, ma soprattutto subissando quest'ultimo di domande, mentre uno di loro si toglieva la giacca e la posava sollecito sulle spalle tremanti della donna: lei, però, accennò appena un sorriso grato.
-John! Stai bene?-chiese Mike appena lo vide, preoccupato.-Oddio, la spalla!
-Siete feriti??
-Cos'è successo??
-Abbiamo sentito un urlo, e abbiamo pensato...!!
Prima che lui potesse anche solo provare a rispondere, fu proprio Henry a porre la più ovvia e terribile domanda.
-... Dov'è Sherlock? -chiese infatti, a voce bassa.
Ma tutti lo udirono e subito ripeterono il medesimo interrogativo.
-... Già, dov'è??
-E Moriarty??
-Che è successo??
-STATE ZITTI!
Tutte quelle voci si spensero contemporaneamente, al levarsi di quell'ultima voce, piccola ma imperiosa, mentre il suo possessore, un bambino di appena otto anni, si faceva largo tra la ciurma: era Archie, il mozzo di cabina.
Il capitano l'aveva arruolato nonostante  la sua giovanissima età, e aveva subito sviluppato un forte attaccamento per quel ragazzino dai capelli ricci castani e il piglio vivace: anche se non lo dava a vedere, naturalmente.
Archie, dal canto suo, lo idolatrava: capitan Holmes era il suo eroe; lo aveva salvato, tanto tempo prima, dal suo violento zio, offrendogli poi un posto sulla sua nave, anziché condurlo in qualche orfanotrofio.
Il ragazzino, da quel giorno, l'aveva servito fedelmente, con costanza e dedizione assoluta. Aveva imparato a interpretare le espressioni e gli sguardi del suo capitano.
E non solo i suoi: anche quelli del suo primo ufficiale. Solo un cieco non si sarebbe reso conto del profondo affetto che legava Sherlock Holmes e John Watson.
Perciò non gli servì vedere gli occhi ancora luccicanti di lacrime di John.
Nè aveva bisogno di sentirlo parlare.
Aveva già capito tutto guardando la sua espressione carica di un dolore inimmaginabile.
E fece l'unica cosa possibile.
Parlò per lui.

Si arrampicò su un barile, davanti alla ciurma. Ma neanche lui parlò.
Fece solo il gesto più inequivocabile ed eloquente che si potesse fare su una nave.
Con gli occhi della ciurma tutti puntati su di lui, e con un nodo a stringergli la gola, si tolse la bandana-ricevuta proprio da Sherlock, e che non aveva mai tolto da allora- portandosela al petto, il capo chino.

Quel gesto bastò.
Gli occhi di tutta la ciurma, nessuno escluso, si riempirono di lacrime.
Ma nessuno pianse.
Si limitarono a togliersi ognuno il cappello o la bandana dal capo.
Chi non l'aveva, abbassò lo sguardo, una mano sul petto, all'altezza del cuore.
E rimasero lì, così. Una nave completamente immersa nel silenzio.
Una nave alla deriva.
Perché aveva perso il suo capitano...
No.
Sherlock Holmes era stato più di questo, per ognuno di loro. Era stato una guida, un mentore... Un amico.
Perché loro erano sempre stati più di un semplice equipaggio.

Erano una famiglia...

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- ... John Watson?
John venne bruscamente riportato alla realtà da una voce aspra e dal tono ufficiale.
Si voltò, e si trovò davanti due ufficiali della Marina Inglese.
Si tirò in piedi, aggrottando la fronte, confuso.
-Sì, sono io. Perchè?
-Deve venire con noi.
Mentre lui lo guardava incredulo, il secondo uomo, che era andato alle sue spalle, gli afferrò i polsi, ammanettandoglieli con forza dietro la schiena: e lui non ebbe nemmeno il tempo di reagire o di opporsi, tanto era sconcertato e tanto velocemente era accaduta la cosa.
-Oh! Che scherzo è questo?? Che cosa volete??-protesto però, irato, non appena si fu ripreso dalla sorpresa.
Fu proprio l'uomo dietro di lui a rispondergli, mantenendo però il medesimo tono freddo del primo.
-John Watson, lei è in arresto con l'accusa di pirateria. Per ordine di Lord Charles Augustus Magnussen, capo della Compagnia delle Indie Orientali.

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