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La storia del capitano

A quel nome, John vide un cambiamento palese nel contegno del suo capitano: e la cosa lo turbò.
Dopo due anni passati sulla sua nave, aveva imparato a conoscerlo, nel bene e nel male. I suoi sbalzi d'umore, simili a quelli del mare che navigavano ogni giorno. La sua pungente ironia... lo stato di frenesia che lo prendeva durante un particolare incarico, seguito da una profonda insofferenza nei momenti in cui, invece, non aveva nulla che tenesse occupato il suo geniale intelletto. La sua caparbietà, la sua fermezza con l'equipaggio, la sua lotta contro il crimine in ogni sua forma... Ma aveva visto anche la sua generosità e altruismo quando, dopo aver assaltato una nave di contrabbandieri, aveva deciso di donar la maggior parte del bottino ricuperato alla povera gente di Tortuga; senza informare Mycroft, naturalmente... O l'aiuto che era sempre pronto a dare ad ogni membro della sua ciurma in difficoltá. Mai, invece, l'aveva visto uccidere, se non per legittima difesa, e solo come ultima risorsa: preferiva sempre combattere con lealtà e onore, magari stordendo o ferendo l'avversario, anziché ucciderlo a sangue freddo.
Capitan Holmes amava passare per un uomo algido, indifferente, privo di sentimenti: ma John sapeva benissimo che era solo una maschera per nascondere la sua vera indole gentile, che però traspariva di tanto in tanto attraverso mezzi sorrisi, piccole ma sincere risate e un luccichio nei suoi occhi color acquamarina.
In quel momento, però, quella maschera che da sempre indossava parve sgretolarsi, mettendo a nudo ciò che il suo amico stava provando realmente, mostrando però un'emozione che di rado gli aveva visto in volto: paura. Vide infatti le mani affusolate del suo capitano artigliare i braccioli della poltrona fino a farsi sbiancare le nocche, e la sua bocca tendersi in una linea sottile. Anzi, capì il primo ufficiale, non era solo paura. Era rabbia, ma di un tipo diverso da quella che lui aveva di tanto in tanto mostrato. Vi era qualcosa, sotto, che non era in grado di definire del tutto. Una sorta di tristezza latente, appena accennata, ma inequivocabile. E rassegnazione, in un certo qual modo. Come se fosse arrivato qualcosa che sapeva sarebbe giunto, prima o poi, ma che aveva sempre sperato non giungesse mai.
-Sei certo che sia lui?-chiese finalmente Sherlock a Mycroft in un tono basso e duro come la pietra; un tono che non gli aveva mai sentito usare.-Assolutamente certo?
-Mi sbaglio di rado, fratello mio. E credimi, vorrei che fosse una di quelle volte-gli rispose lui, con un mesto sorriso, aprendo un cassetto della scrivania.-Ma abbiamo ricevuto questa, insieme alla richiesta di riscatto. Penso che riconoscerai il sigillo.
Così dicendo, gli porse un rotolo di pergamena, che lui si affrettò a riporre nella tasca interna della giacca. Ma John fece in tempo a scorgere il sigillo di ceralacca rossa che l'avvolgeva: un teschio incoronato.
-Presumo che tutti i dettagli della... "missione"... siano in questa lettera-commentò il capitano, con sguardo cupo.
-Immagini bene.
-Allora non abbiamo altro da dirci.
Si alzò dunque di scatto dalla poltrona, e fece per dirigersi verso la porta, seguito a ruota dal biondo, ancora alquanto confuso, e in attesa di una spiegazione che, però, non venne.
-Sherlock. Aspetta!-lo richiamò il fratello. Il suo tono era chiaramente pieno di preoccupazione. -Sappi che se avrai bisogno, io ci sarò. Ricordatelo. Per favore. Non buttarti da solo in azioni avventate.
Il capitano si voltò di nuovo verso di lui, sollevando un sopracciglio.
-Mycroft, mi stupisci. Da quando mostri dei... sentimenti?
John dovette intimamente concordare: mai aveva udito l'uomo della Corona esprimersi in un tono così accorato.
Holmes si strinse appena nelle spalle con apparente noncuranza.
-Forse l'età mi sta ammorbidendo, fratello. Capita. Rifletti su quanto ti ho detto.
Sherlock gli lanciò un'ultima occhiata, per poi uscire dalla cabina.
John, dopo un breve esitazione, lo seguì: ma, mentre usciva, sentì Mycroft mormorare qualcosa che gli fece correre un brivido lungo la spina dorsale. Ed era certo che anche l'amico l'avesse udita, perché vide un'espressione sorpresa, ma insieme carica di dolore imprimersi sul suo volto, anche se solo per qualche istante. Non ne fu certo, ma gli parve addirittura di scorgere delle lacrime, nei suoi occhi, evento forse mai accaduto prima di allora.
-Perchè... la tua morte mi spezzerebbe il cuore.

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Nonostante le ripetute insistenze della ciurma, capitan Holmes non condivise ciò che era accaduto durante l'incontro con Mycroft, nè rese noti i dettagli della nuova missione. Si limitò a ordinare bruscamente a John di prendere il timone e di dirigersi verso Port Royal per fare rifornimento; si chiuse poi nella sua cabina, vietando a chiunque di entrare, e non ne uscì per tutto il resto della traversata.

Era ormai scesa la notte, quando avvistarono le luci del porto.
Si udirono poi sul legno del ponte i passi rapidi e sicuri di Sherlock: il capitano era infine uscito dal suo isolamento, con un'espressione cupa in volto. Tutto l'equipaggio lo fissò, senza osare aprir bocca, ma in tensione, avendo chiaramente inteso che qualcosa lo turbava.
-... Che avete da guardare?? Gettate l'ancora!-ordinò Holmes alla ciurma, brusco.- Fate rifornimento. Ci rivedremo domattina, per discutere. Stasera avete la serata libera. Cercate solo di non ubriacarvi troppo, mi servite almeno un po' sobri...-concluse, con un breve sorriso sardonico.
Seguirono stavolta grida di esultanza da tutto l'equipaggio -forse più rassicurato anche dalla promessa di ricevere spiegazioni l'indomani - che si preparò a scendere dal pontile, già pregustando la serata tra donne e rhum.
Ma John non si unì a loro: raggiunse invece il corvino e lo afferrò bruscamente per un braccio, costringendolo a voltarsi.
-No, Sherlock. Tu invece mi darai una dannata spiegazione adesso. Chi è James Moriarty? Come fai a conoscerlo?? E soprattutto, che cosa diavolo vuole da te??-gli chiese sottovoce, ma rabbioso.
Non gli andava giù che il suo capitano lo tagliasse fuori in quel modo: perché l'aveva fatto partecipare a quell'incontro, se poi non si fidava abbastanza di lui da metterlo al corrente?
Ma Sherlock, anziché mostrarsi infastidito dal suo tono e dalle sue domande, gli fece un leggero sorrisetto.
-John... perché credi che abbia dato a tutti gli altri la serata libera, ma non a te?
Lui rimase un momento sconcertato, e lasciò immediatamente la presa dal suo braccio.
-Ah... ecco... io...-balbettò, imbarazzato, non sapendo come replicare, massaggiandosi la nuca con la mano più volte.
-Comunque non solo il solo ad avere dei segreti. Dico bene?-aggiunse però il capitano, ironico, fissandolo con uno sguardo penetrante.-Anche se, stavolta, mi sono sbagliato, devo ammetterlo. Credevo fosse di tua sorella. C'è sempre qualcosa...
Il biondo arrossì, portandosi istintivamente una mano al collo, dove la medaglietta con inciso il nome di Mary pendeva da una catena d'oro sottile, in quel momento seminascosta dalla camicia. La portava da quel lontano giorno di tanti anni prima, quando entrambi erano solo dei bambini ingenui ma pieni di speranza.
E non l'aveva mai più tolta.

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Sherlock e John si arrampicarono sulla coffa e si sedettero, osservando in silenzio, per qualche istante, il cielo stellato, godendosi la quiete del porto: tranne qualche vagabondo occasionale, era infatti quasi del tutto silenzioso.
-John-iniziò il capitano, d'improvviso, cogliendolo di sorpresa. -Ciò che sto per raccontarti è qualcosa di molto personale. A parte mio fratello, solo pochi membri dell'equipaggio conoscono questa storia. E così deve continuare ad essere. Sono stato chiaro? -chiese, fissandolo con i suoi occhi chiari e scrutatori, mortalmente serio.
Lui lo guardò di rimando, con un'espressione offesa e quasi ferita.
-Ho mai tradito la tua fiducia in due anni, capitano?-replicò, calcando di proposito il suo titolo.
Quelle parole l'avevano ferito nel profondo. Come poteva Sherlock anche solo mettere in dubbio la sua lealtà, dopo tutto quello che avevano passato a bordo della Perla Nera??
Holmes sembrò capire l'impatto che le sue parole avevano provocato nel suo primo ufficiale: infatti, quando riaprì di nuovo bocca, il suo tono si era notevolmente ammorbidito.
-Mi dispiace, John... Ma per me è... difficile... fidarmi appieno delle persone. Ancora oggi. E forse, una volta sentita la mia storia, ne capirai il motivo...
Prese un respiro profondo, guardando fisso un punto oltre l'orizzonte, mentre il vento scompigliava i suoi ricci scuri, liberi dal fidato cappello.
Poi, finalmente, cominciò.
-Ci fu un altro ufficiale prima di te, qui sulla Perla Nera. Il suo nome... era James Moriarty...

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Il racconto di
Capitan
Sherlock Holmes

Lo conobbi in una taverna di Tortuga, naturalmente. Cercava di farsi arruolare su una nave.
Mi colpì subito. Forse perché non era il solito individuo noioso. Per certi versi, mi ricordava me: sveglio, con un'intelligenza fuori del comune, e con grandi ambizioni.
Di solito, sono bravo a leggere le persone. Ma non quella volta...
Ad ogni modo, lo accettai nella mia ciurma e, per un paio d'anni, tutto sembrò andare bene; anzi, di più. Compimmo grandi scorribande insieme, ed eravamo sempre pronti a guardarci le spalle. Riuscivamo a intenderci perfettamente, come se ci leggessimo nel pensiero. Poche volte mi ero concesso di legarmi così profondamente a qualcuno.
A mio fratello invece non è mai piaciuto, fin dal principio: ma io non gli diedi retta.
Il più grande sbaglio della mia vita...
Passarono altri tre anni: James era diventato il mio primo ufficiale.
In lui riponevo una fiducia incondizionata, come mai appunto l'avevo riposta in qualcuno. E questo fu un altro errore madornale, perché mi fece chiudere gli occhi troppo a lungo sulla sua vera natura.
Cominciai a notare, infatti - seppur troppo tardi-che James aveva preso a frequentare gente di bassa lega... non pirati come noi, ma veri e propri criminali, mercenari, assassini... individui assolutamente disgustosi. Anche durante le missioni non era più lo stesso. Non posso dire certamente di essere un santo: ho combattuto anch'io. Ma ho ucciso solo se non potevo evitarlo.
Moriarty invece... lui... sembrava provarci gusto. La luce che aveva negli occhi quando trafiggeva un uomo con la sua spada... era terrificante. Non l'avevo mai visto comportarsi così, prima. Cercai inizialmente di parlargli, di capire cosa davvero lo avesse cambiato così nel profondo, ma non servì a nulla. Forse perché era sempre stato così. Ero io che non me ne ero accorto prima.
La nostra ultima missione insieme fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Mycroft ci aveva ordinato, tanto per cambiare, di fermare una nave di contrabbandieri. Della ciurma faceva parte anche un ragazzino, che non poteva avere più di tredici anni. Quando i contrabbandieri si arresero, ci implorarono di lasciarlo libero, almeno lui: Carl, si chiamava.
Ricorderò il suo nome fino alla morte.
Carl.
Accettai, ma l'avrei fatto anche se non me lo avessero chiesto: era solo un bambino, non avrei mai permesso che lo rinchiudessero in qualche prigione della Corona. Il ragazzino fu così felice che si inginocchiò di fronte a me, per ringraziarmi.
Fu in quel momento che accade.
James gli sparò. All'improvviso. Carl morì sul colpo. Io non potei fare nulla. Ancora ricordo il suo sangue sul ponte della nave e il suo corpo che si faceva sempre più freddo tra le mie braccia.
E quando gli chiesi perchè avesse fatto un gesto così ignobile, rispose semplicemente: "Sarebbe morto comunque, Capitano. Era solo feccia. E poi... tutti dobbiamo morire, no?".
L'espressione che aveva mentre pronunciava quelle parole... Non la dimenticherò mai...
Ne avevo abbastanza. Aveva superato il limite.
Quella sera stessa lo convocai nella cabina e gli intimai di andarsene dalla mia nave e di non farsi vedere mai più.
Non disse nulla, ma la sua espressione parlava da sola. Pensai che avrebbe aspettato solo il momento buono per uccidermi: ma non fu così.
Fu peggio.
Quella stessa notte, infatti, il mio equipaggio si ammutinò. Mi abbandonarono, legato, su uno scoglio in mezzo all'oceano, senza cibo nè acqua. Fu James stesso a legarmi i polsi e le caviglie, in modo che non potessi neppure provare a raggiungere qualsiasi straccio di terraferma a nuoto. Ancora ricordo il ghigno soddisfatto che aveva sulla faccia mentre mi lasciava lì, condannandomi a morte certa.
Dicono che si lasci a un pirata, in casi come questi, una pistola con un solo colpo: per togliersi la vita, quando la fame e la sete prendono il sopravvento.
Ma James non mi concesse nemmeno quella misericordia. Mi lasciò lì e basta.
Sarei morto comunque: di freddo, di fame, di sete... per annegamento, più probabile... non gli importava. Ma voleva prolungare il più possibile la mia agonia.
Passarono tre giorni, e ormai stavo addirittura pregando che la morte arrivasse. Ero stremato. Ricordo ancora la fatica del mio strisciare sulla sommità dello scoglio per evitare le onde e l'alta marea... Non ero neppure riuscito a liberarmi dalle corde, per quanto ci avessi provato, strofinandole contro le parti acuminate della roccia. Lo spazio che avevo per muovermi era troppo poco, e ogni movimento brusco che facevo nel tentativo di liberarmi rischiava di farmi precipitare nelle profondità marine, con le estremità legate, e condannandomi a una morte certa e ancora peggiore. Cosa a cui ancora mi opponevo, nonostante le mie deliranti preghiere. O almeno, non volevo essere io a compiere il gesto definitivo.
Il terzo giorno credetti di delirare, perché vidi una barca venire verso di me; ma non era un'allucinazione.
Erano alcuni membri della mia ciurma, quelli a me più vicini; ancora oggi, fatico a crederci... Erano riusciti a rubare una scialuppa ed erano tornati a salvarmi. Non avevano potuto farlo prima, nè impedire l'ammutinamento, perché James aveva arruolato molti uomini a lui fedeli, e loro erano in netta minoranza.
... Per farla breve, tornai con loro a Tortuga, mi feci dare da mio fratello una delle sue navi e alcuni suoi uomini, e affrontai James. Dopo una battaglia furibonda, mi riappropriai della Perla Nera, ma Moriarty riuscì a fuggire. Non sentii più parlare di lui da allora. Anche se incominciai a sentire nuove strane voci... ma credo che questo dubbio sarà sciolto non appena conoscerò il contenuto della lettera.

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Capitan Holmes prese un respiro profondo, gli occhi chiusi: rivelare tutta quella storia era stato per lui un dolore quasi fisico, seppur, in qualche modo, liberatorio.
Giunsero però altre sensazioni indesiderate.
Timore. Paura.
Timore che John, dopo quella storia, non lo guardasse più con rispetto e amicizia, ma piuttosto come un mostro, per aver preso nella sua ciurma un uomo come James Moriarty. O peggio, che lo guardasse con disgusto, ritenendolo simile a lui. Dopotutto, l'essersi legato ad un mostro simile non faceva di lui stesso un mostro?
Paura che se ne andasse, dopo che gli aveva accordato la sua fiducia.
Si era concesso di fidarsi nuovamente di qualcuno, e perdere quella condizione lo spaventava più di quanto gli facesse piacere ammettere.
Stette perciò in attesa che il suo primo ufficiale dicesse qualcosa, mantenendo lo sguardo fisso sul mare. In silenzio.
Come un imputato di fronte al giudice, in attesa del verdetto.

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