Domande e risposte
Mentre si dirigevano verso la cabina, il capitano richiamò Angelo, ordinandogli di prendere il timone: gli sussurrò poi la rotta, e John vide il pirata sorridere.
-Non ti affezionare troppo al timone, eh! Da domani si cambia musica!-lo ammonì però Holmes, con un cipiglio falsamente severo.
Angelo infatti scoppiò a ridere e gli diede una forte pacca sulle spalle, tanto da farlo quasi barcollare; John a quella scena soffocò una risata.
-Assolutamente, capitano. Non vedo l'ora di rivederla al comando della Perla!-esclamò il cuoco con un tale entusiasmo e gioia nel tono che il corvino non riuscì a trattenere un sorriso.
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Sherlock entrò nella cabina con gli occhi che brillavano, passando lentamente le sue mani affusolate su ogni singolo oggetto, sfiorando ogni cosa con la punta delle dita più volte, come se gli rivolgesse un saluto: in particolare sul suo violino, ancora posato in un angolo, e su un teschio che lui si ostinava a tenere sulla scrivania; John non ne aveva mai capito il motivo.
La cabina era rimasta pressoché identica, notò: come se la ciurma avesse voluto conservare intatto il ricordo del suo capitano. A quel pensiero, avvertì un ennesimo nodo in gola per la commozione, ma soprattutto per la gioia.
Si sedettero poi nella loro zona preferita sulla destra, munita di due piccole semplici poltrone di velluto ormai stinto, una di fronte all'altra, e di un piccolo oblò, da cui era visibile uno spicchio di mare: Sherlock amava definirla "Zona salotto". Era lì che lui e il suo primo ufficiale si riunivano spesso e volentieri per discutere di una missione, o semplicemente per rilassarsi; spesso, poi, componeva lí le melodie con cui, di tanto in tanto, allietava la sua ciurma.
John sprofondò nella poltrona, il capitano nella sua. Una calda sensazione di familiarità lo percorse, e sorrise.
Come ai vecchi tempi...
- Allora...-esordí il capitano, con un piccolo sorriso.-Immagino che tu abbia molte domande...
-Eh, be', direi...-ridacchiò il biondo, con una smorfia.
-Ma la mia è una storia lunga, e certe cose vorrei dirtele quando arriveremo alla nostra destinazione.
Il primo ufficiale annuì.
-Posso accettarlo. Ma devi rispondere almeno alla domanda che ti farò ora, perchè mi sta tormentando da quando ti ho rivisto.
Sherlock sorrise.
-D'accordo, spara.
-Come sei sopravvissuto?-John si chinò verso di lui, il volto intento.-Ti ho visto con questi miei occhi mentre venivi pugnalato da quel folle di Moriarty. E dopo ti ho visto cadere in mare da una scogliera di almeno venti metri. Perciò, come è possibile che tu sia qui, davanti a me, vivo e vegeto??
Seguì un momento di silenzio, mentre il pirata sorrideva furbescamente.
-John, mi hai posto proprio la più facile. Rispondi tu a me, per primo: quando James mi ha pugnalato, e poco prima che cadessimo, che cosa hai visto?
Lui, per tutta risposta, gli restituì uno sguardo incredulo: che razza di domanda era??
-Ma... secondo te, cosa potrei mai aver visto?? Ho visto un pugnale che ti uccideva, trapassandoti il cuore!-ribattè, infatti.
-... Davvero? Hai per caso visto del sangue?
Il biondo, colto di sorpresa, ammutolì, la fronte aggrottata nello sforzo di ricordare.
-Non so... era buio... E io ero lontano... Ma, comunque, anche se la ferita non fosse stata mortale, di certo la caduta dopo...!
-John, sono certo che, se ci rifletti un attimo, troverai da solo la risposta. Ti dirò solo che il temporale di quella notte ha giocato a mio favore...
Il primo ufficiale dovette trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo: il capitano non poteva dire le cose e basta, no. Doveva per forza fare il melodrammatico...
Tuttavia, si appoggiò sui gomiti, gli occhi appena socchiusi, riflettendo, mentre Sherlock lo fissava, aspettando che ci arrivasse: ed era certo che l'avrebbe fatto.
I pensieri di John iniziarono a fluire.
Moriarty l'ha pugnalato al cuore...
Non c'era sangue... o almeno, io non l'ho visto.
La scogliera era alta, e comunque c'erano rocce... o le onde lo avrebbero fatto certamente annegare... Nessun essere umano poteva sopravvivere...
Però... Cosa ha detto Sherlock, riguardo al temporale?
Quella notte pioveva, c'era una tempesta...
Non c'era nemmeno la luna...
Ecco. Fu quell'ultimo pensiero a fargli accendere la scintilla, e
una frase pronunciata da Moriarty all'epoca gli salì alla memoria:
"Non c'è la luna, stasera: diciamo solo che ho meno pelle, sotto la sua luce..."
-Non c'era la luna, quella notte...-ripetè a voce alta, mentre una luce di comprensione gli illuminava il volto, e finalmente realizzava.-Santo cielo... mi stai dicendo che tu hai...!?!
Sherlock sorrise, annuendo compiaciuto.
-Ci sei arrivato, John. Mentre correvo dietro a James, sono tornato prima nella grotta, e ho prelevato uno dei medaglioni da quel forziere. Per un breve momento, ho preso carico della stessa maledizione che aveva colpito Moriarty. Mi sono consapevolmente maledetto, per così dire-ridacchiò: ma poi il suo sguardo si incupì. -Devo ammettere che non è stata una sensazione molto piacevole, semplicemente perché, dal momento che ho preso e tenuto con me il medaglione, non ho avvertito più nulla: nè il dolore, nè il vento, nè l'acqua... come se i miei sensi fossero stati totalmente messi a tacere. Non come quando l'avevo spezzata la prima volta: in quel caso lo avevo tenuto per pochi secondi, non me ne accorsi neppure. Ma in quel momento, invece... Ti confesso solo che, dopo la caduta, mi sono liberato con davvero molto piacere di quell'orribile monile, spezzando così la maledizione per la seconda volta e tornando... normale.
John si passò una mano sul volto, ancora incredulo, mentre finalmente tutto cominciava a chiarirsi.
-Mi sono poi nascosto in una baia dell'isola, dove una nave di Mycroft, da me avvisata precedentemente, è venuta a prelevarmi- proseguì il riccio.-Allo stesso modo, il mio avvertimento aveva fatto sì che la ciurma di Moriarty, diretta a Port Royal, venisse annientata, dopo che avevamo spezzato la maledizione.
John scosse la testa, ancora incredulo.
-È... incredibile, davvero... non ci avrei mai creduto, se me lo avesse raccontato qualcun altro. Ma tu sei qui davanti a me, perciò...
Il capitano ridacchiò di nuovo, strappando anche a lui una breve risata.
-Ma un interrogativo rimane: perchè non mi hai fatto sapere che eri ancora vivo? -disse infatti, tornando serio.-E, soprattutto, dove sei stato in questi due anni?
Anche l'espressione di Sherlock divenne seria.
-Ecco... per questa parte della storia dovrai aspettare. Ti basti sapere che stavo svolgendo una missione per conto di mio fratello. Una missione in cui non potevo... non volevo... coinvolgerti. Non perché io dubiti del tuo coraggio, o della tua lealtà... o del tuo affetto nei miei riguardi-si affrettò a precisare il capitano, sul volto un sorriso lieve.-Sono certo che saresti venuto, se te lo avessi chiesto. Ma quella missione poteva rivelarsi letale, per chiunque. E la tua morte era l'unica cosa che non avrei mai potuto accettare.
John, davanti a quelle parole, rimase interdetto. In sintesi, Sherlock in quel misterioso viaggio aveva rischiato la vita: ma non aveva voluto rischiare la sua. Perché lo considerava importante.
I suoi occhi divennero lucidi.
-Però avresti potuto almeno farmi sapere che eri vivo...-borbottò, incapace di trattenersi.
Sherlock abbassò lo sguardo, sinceramente contrito.
-Su questo devo darti ragione. All'inizio, l'ho fatto per non coinvolgerti: sapevo che la Compagnia delle Indie stava diventando sempre più aggressiva, riguardo ai pirati, e speravo che Magnussen non ti collegasse a me. Purtroppo, mi sbagliavo... e ora so anche il perché.
Le pallide mani del capitano strinsero con rabbia i braccioli della poltrona.
-Quando ho saputo che ti avevano arrestato, sono tornato di corsa. Meno male che sono riuscito a impedire che...
Si interruppe, inspirando profondamente, la rabbia che ancora trapelava dai suoi occhi cerulei, le labbra strette.
-Come hai fatto a saperlo?-gli domandò John: ma ritrattò all'istante, sbuffando.-... No, aspetta, lo so. Mycroft.
Sherlock fece col capo un cenno di assenso, e la sua espressione si distese.
-Esatto. Ti ha tenuto d'occhio in questi due anni, riferendomi tutto. In realtà, non avrebbe voluto che partecipassi al tuo salvataggio... Ma quando mai gli ho dato retta?
Scoppiarono, anche stavolta, a ridere entrambi. D'improvviso, però, fu Sherlock a porgli una domanda.
-Mi ha altresì riferito che ti sei fidanzato, ma ancora non sposato, con Mary Morstan, nonostante addirittura abitiate già insieme in una casa vostra. Come mai, se posso chiedertelo?
John si irrigidì e abbassò gli occhi, sicuro che la sua risposta avrebbe scatenato delle grandi prese in giro da parte del suo capitano: perché lui era tutto meno che sentimentale.
-Perché... non ho trovato un testimone-rispose infine, a voce bassa.
Il corvino aggrottò la fronte, dubbioso e incredulo.
-Mi sembra impossibile. Sono più che certo che ogni membro della ciurma avrebbe fatto a gara per essere...
-Nessuno era alla tua altezza, però, capitano...- lo interruppe il biondo, imbarazzato, mantenendo lo sguardo fisso sul tappeto, come a volerne memorizzare l'intreccio.- E forse... una parte di me aspettava ancora che tu tornassi, sperava che non fossi davvero morto... e che mantenessi la tua promessa di farmi tu da testimone. Avanti, prendimi pure in giro adesso...-lo invitò alla fine, nella voce una punta di sarcasmo.
Ma il suo capitano non lo fece.
Tutt'altro.
John, finalmente, si azzardò a rialzare lo sguardo, e gli vide in volto una strana espressione... commossa;
rarissima, trattandosi di lui.
Seguì un silenzio profondo e, come al solito, furono i loro sguardi a parlare.
Sherlock alla fine spezzò quel silenzio, schiarendosi la voce, sulle labbra un mezzo sorriso, ma privo di ironia e con una evidente dolcezza.
-Be'... come vedi avevi ragione. Non ero morto.
-Sono molto felice di averla avuta, una volta tan...-John si interruppe bruscamente, gli occhi sgranati.-Oddio, Mary!! Non sa nulla!!! E se Magnussen fosse andato a prendere pure lei??
Si alzò di scatto dalla poltrona, facendo nervosamente avanti e indietro. A sua discolpa, le ultime ore erano state talmente assurde e frenetiche...
-Come ho potuto essere così stupido?? Come ho potuto non pensarci subito?? Se le succedesse qualcosa, io, io...-borbottò, passandosi entrambe le mani tremanti nei capelli, e voltandosi verso il capitano.
-Sherlock, dobbiamo tornare subito indietro, prima che...!
Ma lui sembrava inspiegabilmente tranquillo, mentre si alzava dalla poltrona e gli dava poi qualche leggera pacca tranquillizzante sulla spalla con un sorriso.
-Rilassati, John. Vieni sul ponte. Siamo quasi arrivati.
-... Arrivati dove???
-A Tortuga. Dove, altrimenti?-rispose lui, con un sorriso stavolta furbo.
Il biondo, seppur interdetto e ancora preoccupato, non poté far altro che seguirlo fuori dalla cabina.
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Il capitano aveva ragione: la nave era già prossima all'attracco.
Sherlock si appoggiò alla ringhiera, invitandolo a fare altrettanto: gli indicò poi, tra la gente che affollava il porto, una figura in particolare.
John sgranò gli occhi, incredulo: era Mary!! Ma aveva stentato a riconoscerla, perché si era completamente trasformata. Probabilmente, se l'amico non gliela avesse indicata, non se ne sarebbe neppure accorto.
Indossava una corta giacca di pelle marrone, a cui era legato un cinturone nero, da cui pendeva una sciabola; inoltre, portava sulla testa un cappello da pirata, sotto cui aveva sicuramente nascosto i capelli biondi. Aveva persino sporcato il viso con del carbone.
La vide scrutare le navi in arrivo:
quando finalmente incrociò il suo sguardo, i suoi occhi si illuminarono, e agitò la mano in segno di saluto, un sorriso entusiasta sul volto.
Il biondo si girò verso Sherlock, allibito.
-Ma come hai...???
-L'ho avvertita mentre eri privo di sensi. Le ho detto di salire su uno specifico mercantile e di raggiungerci qui. Non avrei mai permesso che Magnussen la prendesse di mira.
John aprì la bocca più e più volte, assolutamente incredulo, privo finanche della voce.
-Sherlock... tu sei... sei...
-Incredibile, lo so-completò per lui, un ghigno soddisfatto sulle labbra.
Una volta attraccati, Mary corse da John, buttandosi tra le sue braccia; e lui la strinse dolcemente a sé per alcuni lunghi istanti, quasi con le lacrime agli occhi, mentre ricordava la paura che aveva avuto di morire e di non poterla rivedere mai più.
-John!! Grazie a Dio sei qui! Sherlock mi ha detto tutto. Be', quasi... che storia incredibile!
-Non sai quanto, Mary... non ti immagini neanche. Ma... Questi vestiti che porti! Quasi non ti riconoscevo!
Lei sorrise, entusiasta.
-Lo so. È meraviglioso! Non immagini che liberazione sia non indossare almeno per una volta i soliti abiti soffocanti! Non sento neanche un po' la mancanza dei corsetti!
Il biondo represse una risatina.
-Hai uno strano modo di vedere la cosa... non eri un'aristocratica, o sbaglio?
Mary sbuffò, divertita.
-Pff! Solo di nascita. Io non sono così. Lo sai, no?
-Già, anche questo è vero.
Si sorrisero nuovamente, ancora stretti l'uno all'altra.
-... Che ne dite di andare a parlare da qualche altra parte? - si intromise Sherlock a quel punto, negli occhi un luccichio divertito.- Ben trovata, Mary. Ti sei presa cura del mio primo ufficiale, come ti avevo chiesto?
-Ci puoi scommettere!-ribattè lei, sorridendo e con un piglio sbarazzino.
Holmes annuì, soddisfatto: non si era sbagliato, su quella donna. E la felicità del suo amico mentre la stringeva ne era un'ulteriore riprova.
-Ora dove si va, capitano?-gli domandò John, impaziente.
-Alla Baker, ovviamente-rispose lui, con un sorriso, calcandosi per bene il cappello sulla testa.-C'è ancora qualcuno che non sa del mio ritorno. Ed è tempo di tornare ad essere Capitan Sherlock Holmes...
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A Tortuga regnava il solito clima festoso e spregiudicato: a quanto pareva, Magnussen non era ancora riuscito a tendere fino a lì i suoi artigli.
John notò che Mary che si guardava intorno con espressione palesemente entusiasta; per lei, essere in un porto di pirati era la vera e propria realizzazione di un sogno.
-Sherlock... pensi che il tuo... ingresso passerà inosservato? -mormorò al capitano, con un sorriso sarcastico.
-No, non credo... ma qui sta il bello, no?-replicò lui, ridacchiando.
Quando i tre entrarono, in principio non accadde nulla.
Era pur sempre una taverna affollata, dove quasi tutti erano troppo presi dai propri affari-donne, rhum, dadi, partite di poker e risse-per accorgersi di ogni singolo cliente in entrata.
Ma il caso volle che uno dei vari contatti di Sherlock-uno dei tanti-fosse lì, quella sera, con un amico, e che gettasse un'occhiata casuale verso la porta.
Non appena vide capitan Holmes, spalancò gli occhi e trattenne rumorosamente il respiro, attirando l'attenzione del suo compagno, che lo vide a sua volta e ammutolì.
Da lì, la cosa si propagò come un'onda.
In poco tempo, nel locale era sceso un silenzio di tomba: persino la musica si era interrotta. Un gruppo smise addirittura di botto di prendersi a pugni. Ogni singolo sguardo era puntato su loro tre.
O meglio, su uno di loro tre.
-Te l'avevo detto, io...-borbottò John, ridacchiando sommessamente, mentre Sherlock rimaneva di fronte alla folla, in attesa.
Si portò poi un dito alle labbra con un leggero sorriso, invitando tutti a tacere; non che ce ne fosse bisogno: mai alla Baker era sceso un simile silenzio.
In quella, arrivò da dietro al bancone, ignara, la signora Hudson, vestita con un abito verde malva, tra le mani un vassoio colmo di boccali pieni, e che rimase un momento perplessa di fronte a quell'innaturale quiete.
-... Hey, che succede? Cos'è questo silenzio?? Avete finito il Rhum?Guardate che arriva, eh!-esclamò, ridendo.
Ma non ottenne risposta.
Aggrottò la fronte e superò il bancone, il vassoio sempre tra le mani, mentre la folla si scostava, lasciandola passare.
La confusione della donna crebbe.
-Oh, ma che vi succede?? Cucù?! Ci siete?? Avete perso la lingua tutti insieme?-li apostrofò scherzosamente.-O forse vi è morto il gaaAAAHHHHH!!!!! OH SANTO DIO!!
Il vassoio cadde a terra con un fracasso assordante, mentre la donna si portava entrambe le mani al petto, gli occhi sgranati.
Capitan Sherlock Holmes sorrise ancora di più.
-Salve, signora Hudson. La trovo bene.
Indicò poi a terra, sempre col sorriso sulle labbra.
-Non si preoccupi, il rhum glielo pago io...
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È superfluo descrivere il caos che si creò nella Baker in seguito all'apparizione di uno Sherlock Holmes redivivo.
Basti dire che fu esattamente come quello avvenuto sulla Perla Nera, anche se mille volte più caotico, e corredato di urla incredule e gioiose.
Bisogna però specificare che la signora Hudson rimproverò "aspramente" Sherlock: subito dopo aver smesso di piangere, si intende.
-Ragazzaccio che non è altro! Lo sa che ho pianto a fiumi, quando mi hanno detto che era...!? E invece per tutto questo tempo lei era...! Come ha potuto lasciare in pena una donna della mia età?!-aveva infatti detto, fissandolo con uno sguardo che avrebbe voluto essere truce, ma notevolmente ammorbidito dai suoi occhi ancora lucidi.
Holmes aveva chinato appena il capo, come un bambino colto in flagrante dopo una marachella.
-Ha ragione, signora Hudson, e mi dispiace molto, mi creda...-le aveva risposto, con tale sincero rammarico da spezzare le sue ultime difese.
A quel punto, infatti, la donna lo aveva abbracciato di slancio, incapace di restare in collera con lui troppo a lungo: per lei, Sherlock era sempre stato come un figlio.
E così era anche per lui.
Finalmente, nel locale tornò la solita atmosfera chiassosa, mentre Sherlock, John e Mary si sedevano a un tavolo appartato, con davanti a loro tre boccali colmi.
Il biondo non perse tempo, e fece subito una delle domande che ancora lo tormentavano.
-Capitano, ora devi raccontarci il resto. Ma prima... devo chiederti una cosa. Magnussen ha detto che qualcuno voleva uccidermi, ma che lui mi avrebbe solo interrogato per avere informazioni. Chi voleva uccidermi, Sherlock?? Mi ci sto arrovellando da ore!
Lui si incupì, e sospirò.
-La tua domanda, John, è strettamente collegata alla mia storia. Perciò, occorre fare una doverosa premessa.
Si sporse verso di loro, l'espressione intensa negli occhi azzurri.
-... Avete mai sentito parlare di Irene Adler, la Dea del Mare?
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