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La prima settimana di lezioni era quasi giunta al termine, e piano piano ero riuscita a capire i meccanismi che si nascondevano e regolavano il portale dell'università. Seguire le lezioni insieme a Karen si era rivelato più piacevole di quanto non mi ostinassi ad ammettere. La sua spontaneità unita al suo innato senso dell'umorismo avevano reso divertenti anche le ore più noiose delle varie giornate. Diversamente da ciò che pensavo, il suo carattere estroverso, ed a tratti fiducioso, si era rivelato essere per me una bella boccata d'aria fresca. Durante quei pochi giorni trascorsi insieme, oltre ad avermi presentato Henry, il suo ragazzo, mi aveva anche raccontato tutto su di sé e per certi aspetti mi pareva quasi di conoscerla da una vita.
Nel corso della settimana si era offerta di accompagnarmi in giro per Londra, permettendomi di visitare gran parte dei posti e dei panorami più belli che la città offriva.
Non mi ero ancora abituata a vivere in una città così grande e dispersiva, e ad essere sincera non ero neanche sicura che ci sarei riuscita. Sapevo bene di stare ancora cercando il mio posto nel mondo, ed in cuor mio speravo tanto che quel posto potesse essere Londra.
«Quindi ci andiamo o no?» chiese fermandosi all'improvviso.
Io, che della sua conversazione avevo ascoltato ben poco, non potei far altro se non annuire, sperando che non si fosse accorta dei miei momenti di evasione dalla realtà. Non volevo certamente mancarle di rispetto, sebbene fossi consapevole del fatto che non lo stessi facendo di proposito. Capitava spesso che senza un apparente motivo mi perdessi in un labirinto di pensieri intricati quanto complessi da cui facevo fatica ad emergere.
Dopo il mio ultimo accenno, camminammo per circa una decina di minuti chiacchierando del più e del meno. Un attimo prima che incominciasse a piovere, arrivammo di fronte l'entrata di una delle più importanti catene di pub che si trovavano in pieno centro. Sebbene fossero a malapena le sei di pomeriggio, dovetti ammettere che l'atmosfera che si respirava in quel posto era talmente piacevole e bizzarra che mi fece sorridere. Noi inglesi eravamo conosciuti non solo per il famoso the pomeridiano, ma anche per essere estremamente agili nell'iniziare i festini alla buon'ora.
«Eccolo lì.» cinguettò lei indicando il tavolo in cui sedeva Henry insieme ad un suo amico. Un attimo prima che potessi battere ciglia, Karen era già sparita. Scossi la testa divertita nel vederla avvinghiata al suo ragazzo, dopodiché li raggiunsi.
«Ciao a tutti!» esclamai radiosa.
«Felice di rivederti dolcezza.» asserì Henry passandosi una mano tra i capelli.
Il ragazzo seduto in fondo al tavolo si avvicinò voltandosi verso di me. «Io sono Tyson, è un piacere poterti finalmente conoscere.» disse mettendo in mostra i suoi bellissimi denti bianchi. «Karen ci ha parlato molto di te.» aggiunse poi, notando la mia confusione.
Annuii cordiale, mostrando un sorriso tirato dopodiché presi posto su una delle tante sedie libere.
La prima mezz'ora passò in modo molto tranquillo, tra le battute di Karen e qualche drink di troppo. Per qualche strano motivo gradivo particolarmente l'euforia e gli schiamazzi che contraddistinguevano quello strambo ed entusiasmante locale. La spensieratezza che in quel momento traspariva sul mio volto mi fece automaticamente sorridere.
«Jacob mi ha appena scritto dicendomi che la festa di stasera sarà uno sballo!» asserì Tyson rivolgendosi all'amico.
«Stasera sei dei nostri vero?» mi chiese Karen di punto in bianco.
Al suono di quelle parole rabbrividii. Festa e sballo erano due parole che avevo imparato a non affiancare mai più, non dopo tutto quello che era successo. Non dopo tutto quello che avevo fatto a me stessa.
Sospirai e mi preparai a rifiutare l'invito, ma prima che potessi aprire bocca qualcun altro alle mie spalle lo fece al posto mio.
«Come potrei mancare?» dichiarò con ovvietà una calda e profonda voce maschile.
Non avevo realizzato che qualcuno avesse appoggiato le mani allo schienale della mia sedia fin quando non lo sentii parlare. Quel tono di voce, così improvviso e misterioso mi fece inarcare la schiena. Piegai curiosa il collo verso l'alto per capire di chi si trattasse, quando notai uno sconosciuto con appena un leggero accenno di barba fissare divertito il resto del gruppo.
Nello stesso momento in cui distolsi lo sguardo da lui, vidi il ragazzo che avevo conosciuto qualche giorno fa in biblioteca prendere posto nel nostro tavolo.
Se il destino ha qualcosa da dirti troverà il modo per farlo, pensai sgomenta.
«Ciao Beth, sono felice di rivederti.» disse sorridendo debolmente.
«Gabriel!» esclamai sinceramente sorpresa.
«Aspetta, voi due vi conoscete già?» chiese Karen confusa staccandosi maldestramente dall'abbraccio di Henry.
Gabriel la fissò in silenzio per un tempo che a me parve tormentosamente infinito, poi con un sorriso aggiunse: «Ci siamo incontrati qualche giorno fa in biblioteca.»
«Pensa te quanto è piccolo il mondo!» esclamò sorridente un attimo prima ordinare un altro giro.
Feci una scrollata di spalle e annuii. Nel momento in cui avvicinai la sedia al tavolo, notai con sorpresa che il ragazzo di prima stava ancora dietro di me.
Perché diamine si era preso tutte queste confidenze?
Avrei tanto voluto voltarmi nella sua direzione e chiedergli di smetterla di scambiare la mia sedia per un appoggio, ma venni interrotta ancor prima di poter in qualche modo proferire parola.
«Mi pare di capire che sei nuova da queste parti», sostenne Gabriel sottovoce.
La sua delicatezza però non sfuggì all'impeccabile udito di Tyson.
«Hai capito bene, Beth stava giusto per raccontarci un po' di sé.» esordì mentre sorseggiava con gusto il suo boccale di birra.
Corrucciai la fronte, incapace di rispondere. «Aargh, caschi male, ci vivo da una settimana e non so praticamente nulla di lei.» intervenne Karen.
Quella confessione così schietta e cruda mi lasciò spiazzata, ma mi fece anche aprire gli occhi, poiché mi resi conto che l'immagine che avevo dato di me era completamente diversa dalla persona che in realtà ero sempre stata.
Scrollai meccanicamente le spalle, un gesto che facevo sempre in situazioni di disagio. «Perché non c'è niente da raccontare.» dissi sorridendo nervosamente.
«Suvvia, tutti noi abbiamo una storia da raccontare. Qual è la tua?» infierì curioso il suo ragazzo.
Lo fulminai con lo sguardo infastidita da quella stupida insinuazione. «Beh, allora sarò lieta di ascoltarti. La scena è tutta tua», replicai velenosa alzando il mio calice verso la sua direzione.
In quel preciso istante, il ragazzo alle mie spalle scoppiò a ridere, e dallo sguardo di Henry capii immediatamente che tra i due non correva buon sangue. Quando le risate furono ricoperte dai chiacchierii e gli animi furono placati, si sedette nella sedia adiacente alla mia sistemandosi con le mani i suoi folti capelli color corvino.
«Elizabeth!» esclamai guardandolo fisso negli occhi.
Lui mi guardò curioso e forse anche un po' sorpreso, dopodiché sorrise rivelando una piccola fossetta sul lato sinistro della guancia. «Logan. Logan Emerson.» dichiarò afferrando con fermezza la mia mano. «Newcastle?» chiese subito dopo facendo riferimento al mio accento nordico.
Strabuzzai gli occhi sbigottita. Quel labile ed etereo contatto per qualche ragione mi aveva turbata. E per un effimero momento ebbi come l'impressione che la forza di attrazione si fosse materializzata nei miei occhi che faticavano a staccarsi dai suoi. Rari e misteriosi come le bolle di geyser. Particolarmente affascinanti e profondi, eppure talmente cupi e impenetrabili da raccontare una storia che non riuscivo ancora a leggere. L'arcano ed inusuale colore delle sue iridi oltre che essere uno dei più belli, se non il più bello, che avessi mai visto in vita mia, era anche difficilmente distinguibile, soprattutto da quella distanza.
Mi ripresi immediatamente rivolgendogli un sorriso. «Durham.» lo corressi prontamente. «Non interamente Geordie, ma per metà Teesside.» risposi fiera.
«È fondamentale sottolinearlo», aggiunse divertito, per poi farmi l'occhiolino.
Annuii silenziosa non riuscendo a capire se mi stesse prendendo in giro o se fosse semplicemente sincero. Optai per la prima opzione, consapevole del fatto che non avesse poi tutti i torti. Se c'era una cosa che noi nativi di Durham odiavamo profondamente era essere considerati appartenenti alla categoria dei Geordie. Eravamo molto suscettibili ed a tratti anche pignoli, il che agli occhi degli altri risultava essere un po' esagerato.
«Come mai allora non hai scelto di studiare a Durham? Avete un'ottima un'università, che tra l'altro è tra le prime cinque nel Regno Unito.» s'intromise Tyson.
«Perché ho sempre desiderato vivere in una città metropolitana come Londra.» tagliai corto. Cos'altro avrei dovuto dirgli? Non avevo mentito, è vero, ma non avevo neanche rivelato tutta la verità.
Lui sembrò credere in quella risposta, infatti non mi chiese più alcuna domanda. Per mia fortuna l'attenzione fu subito spostata su qualcosa di futile a cui però non prestai molta attenzione. Sapevo di poter apparire strana, ma la verità era che non amavo parlare della mia vita, soprattutto con persone che non conoscevo minimamente.
Ero sempre stata così: restia alle amicizie, diffidente e incapace di costruire relazioni durature. O almeno quello era ciò che continuavo ossessivamente a ripetermi.
Ero un nefasto lupo solitario che aveva scelto di vivere in solitudine, di abbandonare quel branco di cui per troppo tempo si era ingenuamente fidato per vagare da solo ardui e ripidi sentieri. Ero una bestia che temeva il branco allo stesso modo in cui forse temeva sé stessa. E ad essere sincera non sapevo quale delle due alternative mi inquietasse di più.
Qualche secondo dopo, Karen si avvicinò alla mia sedia per scusarsi dell'atteggiamento invadente di Henry. «A volte non capisce quando è ora di chiudere il becco!» sbottò sospirando.
«Va tutto bene, non è successo niente», risposi sinceramente.
«Quindi stasera verrai con noi?» chiese entusiasta.
Scossi la testa e sorrisi. «Magari sarà per la prossima volta.»
Lei annuì tristemente, ma non aggiunse nient'altro e per questo le fui grata.
Pochi attimi dopo sia Henry che Tyson si alzarono dalle proprie sedie, e dopo essersi dati appuntamento per la sera stessa, uscirono via dal pub dileguandosi come razzi.
Non appena finimmo di pagare, Gabriel e Logan ci offrirono un passaggio in macchina che entrambe accettammo molto volentieri.
Nel breve tragitto che percorremmo insieme, mi sentii stranamente più serena, meno ingessata e quasi completamente me stessa.
La loro era una compagnia che gradivo con molto piacere e a ripensarci mi dispiaceva quasi di aver declinato l'invito di uscire tutti insieme, ma non potevo fare altrimenti.
Ero consapevole di dover perdonare e soprattutto dare un'altra possibilità a me stessa, ma la paura di cadere in un altro tranello era più forte della mia volontà di ribellione. Come avrei potuto fidarmi degli altri se a malapena ero in grado di fidarmi di me stessa?
Arrivammo davanti l'entrata principale del dormitorio una decina di minuti dopo, seguiti da Gabriel e Logan che rimasero immobili sul ciglio della porta. Dopo essersi accordati sull'orario, Karen si dileguò in fretta e furia in modo da poter aver il tempo necessario di prepararsi.
«Se dovessi cambiare idea faccelo sapere, saremmo ben felici di venirti a prendere.» disse Gabriel sorridendomi, poi si allontanò dirigendosi verso la sua auto.
Annuii, conoscendo già bene la risposta. «Ci vediamo presto.» urlai in modo tale che anche lui potesse sentirmi.
«Prima di quanto tu possa immaginare, su questo puoi scommetterci.» aggiunse Logan, avvicinandosi malizioso al mio orecchio.
Lo spintonai maldestramente, pienamente cosciente di dove volesse andare a parare.
Lui sollevò divertito le mani in segno di difesa, dopodiché gli voltai le spalle e feci per andare. «Fossi in te non ne sarei così sicuro.»
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