13
Rimasi ad osservarlo, perdendomi nei suoi occhi superbamente cupi e sorridenti, quasi come se fossero la cosa più bella che avessi visto in vita mia, come se Logan fosse tutto ciò di più bello che i miei occhi avessero mai avuto il piacere di ammirare.
«Che ci fai qui?» domandai ancora sorpresa, appoggiandomi con la spalla sinistra allo stipite della porta.
Fece una smorfia di fronte alla mia ovvia domanda, poi si spettinò i capelli umidi e con una rapida mossa se li riportò indietro. «Pensi di farmi entrare o intendi lasciami qui fuori tutta la notte?» chiese facendo il finto offeso.
La sua aria buffa e la sua finta arroganza mi fece sorridere e stuzzicò al tempo stesso. Non avevo ancora ben capito il motivo per il quale amavo stare al suo gioco, ma sapevo bene che prima o poi avrei finito per farmi del male. «Potrebbe essere un opzione.» ammiccai maliziosa.
Corrucciò la fronte, visibilmente deluso della mia risposta ed in quel momento non riuscii a trattenere un sorriso compiaciuto che lui non manco di notare. Si chinò verso di me, avvicinandosi tanto da farmi sentire il suo respiro irradiarmi il collo e con esso ogni singola fibra del mio corpo, ma lui questo non poteva saperlo o forse era ciò che mi piaceva credere. «Ne sei sicura?» domandò a pochi centimetri dal mio orecchio, un attimo prima di varcare la porta e lasciarmi di stucco.
Mossi la mano destra con fare teatrale e lo seguii all'interno. «Prego, fai pure come se fossi a casa tua.» risposi vedendolo posizionare i cuscini per terra.
Logan scrollò le spalle, e, dopo aver rimediato un vecchio lenzuolo che io e Karen utilizzavamo come tovaglia da pranzo, mi invitò a sedermi accanto a lui.
«Vuoi asciugarti i capelli o preferisci prendere un malanno?» chiesi muovendo le spalle a causa del freddo.
Lui si alzò avvicinandosi a passo lento verso di me, poi con un gesto della mano disse: «Indicami la strada.»
Percorremmo in silenzio i tre secondi che separavano la stanza dal piccolo bagno, attaccai la presa fuori dalla porta e feci per accendere l'asciugacapelli, ma Logan me lo sfilò dalle mani e lo azionò posizionandosi proprio dietro di me. Lo osservai turbata e allo stesso tempo rapita attraverso il riflesso dello specchio mentre con una mano districava i miei lunghi capelli e con l'altra rilasciava la potente aria calda di quel rumoroso aggeggio che avevo sempre odiato ma che da quel preciso momento, sapevo bene, avrei iniziato ad apprezzare.
La sua espressione concentrata mentre era intento ad asciugare le ultime ciocche mi fece automaticamente sorridere e mi sorpresi della piega che stava prendendo quella strana serata.
«Ok, adesso tocca a te.» dissi girandomi di scatto verso di lui per sfilargli l'asciugacapelli dalle mani.
Logan lo alzò con evidente aria di sfida e quando mi allungai per raggiungerlo mi bloccò delicatamente per i polsi. «Vedo che stai facendo progressi, lenti ma sono comunque progressi.» disse osservandomi da capo a piedi.
Ci guardammo negli occhi, perdendoci forse insieme l'uno in quelli dell'altro, raccontandoci storie silenziose di cui nessuno dei due era ancora a conoscenza, ma di cui entrambi avrebbero voluto farne parte. Nelle ultime settimane avevo provato ad allentare ogni tipo di pensiero su di lui, comportandomi in modo ostile, pensando che magari alla fine anche lui avrebbe finito per odiare il mio carattere. Ma Logan non sembrava voler allentare la presa, mi provocava e poi si prendeva cura di me in un modo che mi faceva quasi paura. Prima di quel momento pensavo che il mio interesse nei suoi confronti fosse una cosa passeggera, che mi sarebbe passata in fretta senza che nessuno dei due si legasse all'altro. Non ero riuscita ad ammettere a me stessa che Logan mi piaceva e non solo esteticamente, ammettere il fatto il suo modo di pensare si scontrasse e avvicinasse cosi' tanto al mio mi rendeva irrequieta, ma soprattutto desiderosa di conoscerlo, di conoscere tutto di lui.
Sentendomi avvampare interruppi quel tormentoso gioco di sguardi, soltanto quando mi liberai dalla sua presa mi resi conto di quanto pericolosamente si fosse alzata la maglia che purtroppo mi aveva già scoperto scoprendomi le cosce. Abbassai lo sguardo imbarazzata capendo immediatamente a cosa si riferisse quando parlava di progressi, poi gli chiusi la porta in faccia e pescai dall'armadio il primo paio di pantaloni che mi capitò tra le mani.
Lo sentii ridacchiare sommessamente, il che dovetti ammettere m'infastidì. «Hai finito?» chiese dall'altro capo della stanza.
Non risposi. Mi sedetti per terra appoggiando la schiena sul lato del letto ed incominciai a scartare la plastica avvolta nei due contenitori. Pochi secondi dopo Logan arrivò sghignazzando, mi osservò in silenzio per una decina di secondi, poi prese posto accanto a me.
«Perché mi odi così tanto?» chiese all'improvviso dopo la prima cucchiaiata di riso.
Quella strana domanda mi spiazzò e rimasi per un po' a contemplare le mie mani intrecciate che sembravano volessero darmi tormento. Mi dispiaceva che pensasse che l'odiassi, anche perché non era vero, non ero capace di odiare la gente e di certo non sarei stata mai capace di odiare lui.
Non ricevendo alcuna risposta continuò. «Inizialmente pensavo che ce l'avessi con l'intera popolazione maschile, ma poi ho visto come ti comporti con Gabriel e ho p...» provò a dire, ma lo interruppi.
«Lui non è fastidioso come te.» bofonchiai soddisfatta. «E comunque non ti odio, mi stai diversamente simpatico, tutto qui.»
Un sorriso sincero si allargò sul suo viso, mostrando la piccola fossetta sulla guancia destra. «Anche tu mi stai diversamente simpatica.» ribatte' facendomi l'occhiolino.
Alzai gli occhi al cielo e sospirai arresa. Continuammo a mangiare, chiacchierando del più e del meno, raccontandoci della nostra vita e dei nostri piani futuri. Gli parlai con sorprendente entusiasmo della mia famiglia, di Bear e di Durham, e Logan a sua volta mi parlò delle sue sorelle che vivevano ad Oxford e del suo primo nipotino nato qualche settimana prima, della sua amicizia con Gabriel e di come quest'ultimo l'avesse avvicinato al mondo del boxing.
«Per quale motivo avete iniziato?» chiesi curiosa.
Lui arricciò la fronte sorpreso dalla mia domanda. Anche con il viso un po' ammaccato e ricoperto di lividi rosacei era estremamente bello e di questo ne era consapevole, anche se diversamente da altri ragazzi, Logan non se la tirava. Con un fazzoletto di carta si tamponò una piccola goccia di sangue che gli fuoriusciva dal labbro inferiore, poi fece spallucce.
«Gabriel ha pensato che fosse uno sport che mi avrebbe aiutato a scaricare la rabbia.» disse vago. «Anche se ognuno di noi l'affronta in modo diverso.»
Mi soffermai sulla parola rabbia e sospirai mordendomi l'interno della guancia destra. «So perfettamente cosa intendi», ammisi con aria malinconica.
Capii immediatamente che stavamo per avventurarci in un sentiero intricato, per cui preferii cambiare discorso. Continue domande avrebbero dato vita a risposte di cui nessuno dei due era ancora pronto a dare. Logan era dannato, esattamente come me ed era proprio questo che mi piaceva di lui, il fatto di essere così simili, eppure, al tempo stesso diversi da riuscire a scoprirci lentamente, senza fretta o pressioni alcune. Quando finimmo di cenare, ci fu un attimo di silenzio, successivamente ricoperto da Logan che si schiarì la voce. «Il ragazzo con cui parlavi l'altra sera...» incominciò a dire riferendosi al giorno in cui mi aveva vista piangere. «È il tuo ex?» chiese serrando la mascella.
Sgranai gli occhi impanicata, e prima che potessi rispondere lo vidi sfilarsi la felpa e rimanere con una leggera maglietta a maniche corte, che oltre a mostrare i suoi evidenti muscoli aveva anche rivelato un piccolo tatuaggio sull'avambraccio che quella sera mi era sfuggito. «È complicato.» ammisi staccandogli gli occhi di dosso per guardare altrove. «Lui non...stavo parlando con i miei genitori.» tagliai corto.
La paura di essere giudicata mi faceva desistere nell'aprirmi con le persone, anche se ciò che era successo non era stato colpa mia, non avevo nessuna colpa se non quella di essermi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ed era cosi' bello poter finalmente dire di non avere colpe, avrei voluto urlarlo al modo, urlarlo in faccia a tutti loro, ma per il momento decisi di conservare quella consapevolezza soltanto per me, ovvero con l'unica persona che dopo mesi di ricerca meritava di conoscerla, con un'anima martoriata che finalmente poteva trovare un po' di pace.
Mi scrutò sinceramente interessato, rispettando quel mio lungo e fastidioso silenzio. «Quindi c'è un lui?» chiese imperterrito.
Alzai gli occhi al cielo, infastidita per essere il soggetto principale della nostra conversazione, poi aggiunsi sincera: «No, non c'è nessun lui.»
Logan provò ad aggiungere qualcosa ma lo bloccai giusto in tempo per cambiare argomento. «Parlami di te piuttosto.» dissi facendo roteare la mano in aria. «Niente relazioni? Solo sesso e divertimento?» chiesi curiosa, pentendomi immediatamente del mio eccessivo interesse per la sua vita amorosa.
«Mi credi il tipo da relazioni?» ribatté divertito.
Sospirai conoscendo molto bene la risposta, ma decisi di ignorare la mia sensazione e di portare avanti il suo gioco. In realtà lo credevo una persona capace di qualsiasi cosa, anche se snervante, borioso e il più delle volte impulsivo, ero certa che avesse un grande cuore, come mi aveva dimostrato in più occasioni.
«Dovresti dirmelo tu. Non credo tu voglia sapere per davvero cosa penso di te,» dissi portandomi i capelli dietro le orecchie. «Quindi, non lo sei?» chiesi infine, mordendomi l'interno della guancia.
«Posso essere qualsiasi cosa tu voglia.» replicò ammiccando.
Scossi la testa rassegnata, consapevole di aver perso a quello strano gioco in cui avevo deciso di cacciarmi. «Quello!» dissi indicandogli il tatuaggio che raffigurava la frequenza cardiaca. «È una dedica speciale?»
Lo vidi irrigidirsi, poi un sorriso malinconico alleggiò sul suo viso e mi pentii immediatamente di avergli rivolto quella domanda, forse un po' troppo personale. «Scusami!» esclamai bloccandolo. «Non sei obbligato a rispondermi.» ammisi sincera.
Lui mi rivolse uno sguardo che non riuscii a decifrare, poi alzò le spalle e forzò un sorriso. «Rappresentano i battiti di mio padre. È morto in un incidente stradale un bel po' di anni fa.» rivelò adagiando il contenitore vuoto per terra.
Quella rivelazione aveva fatto calare il gelo, non potevo neanche lontanamente immaginare cosa volesse dire perdere un genitore, e dallo sguardo smarrito di Logan capii quanto fresca fosse ancora la sua ferita. I suoi occhi erano incapaci di mascherare ogni tipo di sentimento, mi ero resa conto di quanto fossero espressivi dal primo giorno in cui l'avevo incontrato. Anche lui come me aveva una battaglia da portare avanti, e forse anche lui aveva dei demoni con cui doversi scontrare giorno dopo giorno.
Se c'era una cosa che avevo capito quella sera, era che entrambi detenevamo il primato delle domande fuori luogo. «Sei sicuro di non voler mettere nulla?» domandai indicandogli la ferita al labbro che non aveva intenzione di smettere di sanguinare.
«Gabriel ha tirato forte.» rispose facendo una smorfia di dolore.
Mi alzai da terra appoggiandomi ai bordi del letto e mi diressi rapidamente in bagno per recuperare del cotone e del disinfettante, poi mi misi in ginocchio davanti a lui. «Sentirai un po' di dolore.» ammisi mordendomi il labbro.
Lui mi fece segno di procedere e di non preoccuparmi. Immaginai che avesse provato tantissime volte quel tipo di dolore; perciò, appoggiai la mano sinistra tra la guancia e il mento, in modo da immobilizzarlo, mentre con l'altra mano adagiavo il cotone sulla minuscola ferita che pareva volesse dissanguarlo. Con la coda dell'occhio riuscii a vedere che mi stava fissando, ma feci finta di nulla e continuai a tamponargli la parte lesa, sforzandomi con tutta me stessa di non ricambiare il suo sguardo. Non ebbi neanche il tempo di accorgermi di cosa stesse per succedere che mi ritrovai incastrata tra le sue gambe e avvolta dalle sue forti braccia, che, per qualche strana ragione mi fecero sentire terribilmente al sicuro.
Per la centesima volta quella sera ci guardammo negli occhi, leggendoci forse anche un po' dentro. «Non penso dovremmo...» provai a dire, ma le parole mi morirono in bocca.
Con il cuore che sembrava volesse uscirmi fuori dalla gabbia toracica, abbassai lo sguardo sulle mie braccia rendendomi conto di averle avvolte attorno al suo collo, quel gesto naturale e automatico mi sorprese e preoccupò al tempo stesso. Quando provai a divincolarmi dalla sua presa e a mollare la mia, Logan mi fermò tenendomi per le braccia, quasi come non volesse che interrompessi quel contatto.
Dopo avermi spostato una ciocca dietro l'orecchio, mi chiese, con delicatezza e rispetto, il permesso di poter appoggiare la sua mano sulla mia guancia e stranamente non mi sentii di negarglielo. Alla vista dei suoi occhi che mi scrutavano, quasi con ardore, rabbrividii. «Elizabeth, non devi avere paura di me, non ti farei mai del male», rispose serio.
In quel preciso istante avvertii un tuffo al cuore e mi sentii mancare l'aria. Non capivo se Logan sapesse più di quanto stesse dicendo, oppure stesse semplicemente facendo delle constatazioni. Il fatto che potesse conoscermi studiando semplicemente i miei comportamenti mi spaventava, perché ciò voleva dire che la parte più fragile di me era esposta, perlomeno ai suoi occhi. «Io non s...»
Venni interrotta prima che potessi finire la frase da un frastuono fuori dalla porta e successivamente dalla stessa che venne aperta. «Oh, menomale che sei ancora sveglia, non puoi immaginare cosa mi sia succ...» disse rimanendo a bocca aperta.
Mi alzai immediatamente da terra, sperando stupidamente che non ci avesse visti, dimenticando per un solo istante che la vista di Karen fosse peggio di quella di un falco. «Logan?» domandò guardando prima lui, ora me, poi di nuovo lui. «Ciao Logan.» si corresse subito dopo.
«Ehi Kay Kay, già di ritorno?» le chiese, mentre raccoglieva i resti delle scatole vuote che avevamo lasciato sul pavimento.
Le ci fissò di sottecchi, portandosi le mani sui fianchi, poi fece una strana espressione che non riuscii a capire. «Per fortuna, oserei aggiungere», rispose lei di rimando.
Logan alzò le braccia in segno di difesa, avvicinandosi nel frattempo alla porta, cogliendo l'ironia nelle parole di Karen capì che era arrivato il momento di andare. «Va bene ragazze, ci vediamo domani.» disse, facendomi l'occhiolino un attimo prima di uscire e lasciarmi insieme al vulcano in eruzione. «In bocca al lupo», mimò quando raggiunse il corridoio.
Karen chiuse la porta dietro di sé e mi scrutò attentamente facendo roteare l'indice dall'alto verso il basso. «Tu!» esclamò con un sorriso a trentadue denti. «Non posso crederci. Tu e Logan Emerson.» disse scuotendo divertita la testa.
«Devi raccontarmi tutto,» disse battendo le mani entusiasta. «E quando dico tutto, intendo tutto.» ci tenne a sottolineare.
Alzai gli occhi al cielo, imbarazzata e un po' infastidita, consapevole del fatto che in verità non vi era nulla di concreto, né tantomeno fosse successo qualcosa degno di nota. Colta in flagrante non mi restava altra scelta se non quella di raccontarle e confidarle tutto ciò che sentivo. Passammo l'intera notte a parlare di quella strana amicizia che avevamo instaurato, della forte connessione mentale che sentivo di avere con lui e ovviamente di quell'elettrica attrazione fisica che fin dal primo sguardo non potei ignorare. Con mia grande sorpresa, Karen si rivelò essere molto paziente nell'ascoltarmi, non mi aveva giudicata o criticata, neanche quando si rese conto che le avevo nascosto un po' di cose, piuttosto, mi aveva capita, consigliata e abbracciata. La sua esagerata e spensierata allegria mi convolse al punto da credere che, indipendentemente da come sarebbero andate le cose, anche io avrei meritato un pizzico di felicità.
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