n e u f
Nessuno dei due parlò più, ci limitammo semplicemente a camminare e a scambiarci qualche sguardo. Forse, lo stesso Pierre si era reso conto della sfrontatezza nelle sue parole e stava attendendo che fossi io a sciogliere il ghiaccio. Iniziammo a scendere le scale, io dal lato della balaustra, lui al mio fianco. Il clima tra di noi era talmente imbarazzante che le uniche cose che si potevano sentire erano il rumore dei nostri passi e il mio cuore che batteva. Sembrava quasi che dovesse esplodermi da un momento all'altro, Pierre, e giuro di non averlo mai visto così, era troppo preso dai suoi pensieri per prestarmi attenzione. Per questo motivo, non mi pose alcuna domanda del perché io avessi rallentato e avessi una presa così forte sulla ringhiera tanto da far diventare le nocche bianche. Da un lato ringraziai, non avrei saputo spiegarglielo, dall'altro non riuscivo a comprendere il suo radicale cambiamento. Se c'era una cosa che avevo notato era che sia lui sia Charles si comportavano in modo strano. Il monegasco agiva e parlava in maniera criptica, mentre Pierre, sempre molto contenuto e raramente espressivo, aveva iniziare a mostrare i suoi stati d'animo e specialmente i suoi fastidi. È vero, riusciva a cambiare espressione in pochi istanti, ma, in ventidue anni che lo conoscevo, gli unici sentimenti che avesse mai esternato erano la gioia e la tristezza. Non il fastidio, non la rabbia, non... la gelosia. Era sempre stato iperprotettivo, d'altronde ero più piccola ed ero cresciuta con lui, ma mai realmente geloso.
«Inés?». Domandò, quando era ormai giunto sul pianerottolo e si era accorto della mia assenza. Alzai il capo verso di lui, cercando di sostenere il suo sguardo. Con mia grande sorpresa, fu lui a spostarlo, iniziando a guardare in un punto indeterminato dinanzi a lui. «È successo qualcosa?». Infilò le mani nelle tasche e dondolò avanti e indietro, attendendo la mia risposta.
«No». Dissi semplicemente, per poi affrettarmi ad affiancarlo. Annuì, ma non parlò più. «A te?». Si voltò verso di me con un sopracciglio alzato. «A te è successo qualcosa? Sei strano». Scosse freneticamente il capo, arrossendo leggermente. Non sapendo che cosa aggiungere, mi limitai a tacere. Quando mi ritrovai al suo fianco, mi venne in mente l'idea più assurda della mia vita: lo presi a braccetto. Era un gesto che facevo sempre quando ero piccola, ma, una volta raggiunti i quindici anni, avevo smesso di farlo. Eravamo entrambi grandi e molto più consapevoli del significato di determinati gesti, rispetto a prima. In quel momento, però, avevo bisogno di risposte e di chiarimenti. Pierre non si sottrasse, ma girò il volto dal lato opposto, per impedirmi di vederlo. Tossì e si schiarì la voce.
«Preferisci il bar dell'albergo o vuoi...». Non lo feci concludere.
«Facciamo colazione qui». Fece un rapido cenno del capo e deviò verso la sala, dove vi era un'enorme vetrata che consentiva di osservare le montagne e il circuito. Scegliemmo un tavolo proprio lì vicino e ci sedemmo l'uno di fronte all'altra, io opposta all'ingresso. Gettai un'occhiata verso l'esterno e osservai il sole che stava sorgendo. Era davvero uno spettacolo.
«Pierre, guarda». Indicando con il dito, lo richiamai, ma da parte sua non sentii alcuna esclamazione o sospiro. Mi voltai e notai che stava guardando qualcosa o qualcuno dietro di me. Seguii il suo sguardo e vidi Charles entrare nel bar, con il suo solito sorriso. Era completamente vestito di bianco, segno che si fosse svegliato di buonumore. Dallo sguardo che Pierre gli riservò, però, non mi sembrava molto felice della sua presenza.
«Buongiorno!». Esclamò il monegasco posando una mano sulla mia spalla. Prendendo un'altra sedia, si sedette accanto a noi.
«Buongiorno Charles». Gli sorrisi, per poi sbadigliare subito dopo. Anche Pierre biascicò un saluto frettoloso.
«Non hai dormito?». Domandò, spostando per pochi istanti lo sguardo sul francese e rivolgendogli un'espressione confusa. A quanto pare, non ero stata l'unica a notare il cambiamento.
«Per nulla, tu?». Puntai anche io l'attenzione su Pierre, aspettandomi una qualsiasi reazione da parte sua.
«Stranamente sì, ma poi ho sentito i vostri passi e le vostre voci e sono uscito». Alzò una mano per chiamare un cameriere. «Avete già deciso cosa prendere?».
«Non abbiamo avuto il tempo, sei apparso tu». Il tono di voce di Pierre era piatto, insensibile, quasi noncurante.
«Mi aspettavo un po' più di entusiasmo, petit calamardo». Lo derise, per poi dargli un leggero pugno sulla spalla. Quello era il loro soprannome, fin da quando avevano dieci e nove anni, non lo avevano mai perso.
«Oh, scusami». Il tono, questa volta, era più aspro. «Mon cœur, che gioia averti qui! Sentivo di poter morire senza di te». Charles roteò gli occhi, capendo che il suo migliore amico si fosse svegliato con la luna storta.
«Buongiorno, volete ordinare?». Al nostro tavolo si era avvicinata una giovane, che dal cartellino sembrava chiamarsi Kristen.
«Io prendo una fetta di strudel, grazie». Ridacchiai alle sue parole, ricevendo in cambio un'occhiataccia. «Non c'è nulla da ridere».
«La tua espressione era divertente». Il suo sguardo si rilassò e si illuminò.
«Prendo lo stesso». Interruppe Pierre, rivolgendo la sua attenzione alla cameriera e ignorandoci. O almeno la mia impressione fu quella.
«Un po' di yogurt e müsli, grazie». Le sorrisi.
«Ve li porto subito». Charles con un movimento del capo ringraziò e poi riportò lo sguardo su di me, consapevole che Pierre non avesse granché intenzione di vederlo e di parlargli.
«Stamattina ti avrei detto che non era obbligatorio che ti preparassi per venire con noi in pista oggi, visto che è solamente giovedì e trascorreremo tutto il pomeriggio a fare interviste». Feci spallucce e posai il volto sul palmo della mano.
«Qui mi sarei annoiata, preferisco accompagnarvi, anche se solamente per stare nel paddock senza fare granché». Il monegasco fece spallucce, poi mi rivolse un altro sorriso. Pierre, nel frattempo, aveva preso tra le mani il cellulare. «Pierre!». Quasi urlai, facendolo saltare e ritornare alla realtà. «Si può sapere cosa ti prende? Non ti comporti mai così! Prima in camera...». Charles spalancò gli occhi e fece per parlare, ma gli misi una mano sulla bocca per farlo tacere. «... poi per le scale e ora adesso. Mi spieghi per quale motivo ci stai ignorando? E, soprattutto, per quale motivo stai ignorando Charles? Se è successo qualcosa è cosa buona che ne parli, così possiamo chiarire». Tolsi la mano, liberando il monegasco.
«Se sei arrabbiato con me per averle tenuto nascosto che mi stavo sent-». Pierre scosse la testa e lo interruppe.
«Non è per quello. Semplicemente...». E tacque.
«Semplicemente?». Lo incitai.
«Ho litigato con Désirée, ok? Non sono arrabbiato né con te né con Charles». Fece spallucce. «Non ne avrei motivo». La sua spiegazione mi sembrava piuttosto assurda, perché quando ci eravamo scritti e visti quella mattina non mi sembrava molto preoccupato o infastidito. Era cambiato quando aveva visto la nostra foto che il monegasco aveva stampato e aggiunto nella busta. Proprio mentre finiva di parlare, giunsero le nostre ordinazioni e iniziammo a mangiare.
«Se Désirée è capace di renderti così rompipal-». Gli diedi una gomitata nella pancia, facendolo piegare dal dolore. «Ahia Inés, ma che ti viene in mente?». Non risposi, sapevo che la sua domanda fosse retorica. «Stavo dicendo: se Désirée è capace di farti cambiare così rapidamente umore...». Mi guardò. «Va meglio così?». Annuii soddisfatta. Roteò gli occhi. «...sarebbe meglio che tu smettessi di frequentarla». Cercai di nascondere il volto con la ciotola di müsli, quasi per evitare che mi fosse posta una domanda scomoda. Purtroppo per me, il mio tentativo di scomparire non fu efficiente.
«Sei d'accordo con lui?». Mi chiese Pierre, spostando la tazza, perché potessi guardarlo.
«Non spetta a me dire cosa dovresti fare». Charles mi guardò sorpreso con un sopracciglio alzato e la bocca spalancata.
«Non ho capito, puoi dire a me di non stare con una ragazza, ma a lui no?». Lo fulminai con lo sguardo.
«Credo di essermi perso». Esclamò il francese, guardandoci spaesato. «Perché Inés dovrebbe impedirti di stare con una ragazza?».
«Io non impedisco assolutamente nulla. Dico semplicemente che le persone non sono come dicono di essere o come si mostrano». Mi giustificai, alzando le mani in segno di innocenza.
«Sì, ma hai subito accusato Charléne di non essere onesta con me, però non esponi un tuo giudizio con Désirée, che conosci da molto tempo e sai che non è una ragazza affidabile». Controbatté lui.
«Anche se gli dicessi che non mi piace e che la reputo un'ipocrita, non mi ascolterebbe mai!». Risposi, cercando di non farmi prendere troppo dalla discussione e iniziare a urlare nel bar. L'ultima cosa che volevo era fare una brutta figura con l'intero personale dell'albergo.
«Guardate che io sono qui». Pierre cercò di attirare la nostra attenzione, riuscendoci. Si voltò verso di me. «Inés, tu non puoi allontanarci da qualunque ragazza si avvicini a noi, lo sai, vero?».
«Pierre, è quello che hai fatto la tua intera vita, non venire a farmi la predica. Sei tu che mi hai impedito di avere fidanzati, ma non mi sono mai arrabbiata con te. Ti ho ascoltato, mi sono fidata, tu però non lo fai mai. Credi di saperne sempre una in più del diavolo, ma, spoiler, non è così. Rimani pure con Désirée, ma non venire a piangere da me quando ti spezzerà il cuore esattamente come le altre ragazze con cui hai avuto una relazione». Mi voltai verso Charles. «E tu». Lo indicai. «Quando è successo che ciò che ti avevo detto riguardo una ragazza non si era dimostrata essere la verità?». Abbassò il capo e si limitò a una flebile risposta.
«Mai». Sorrisi sorniona.
«Esatto, Charles». Nel frattempo mi era passata la fame, quindi rimasi in silenzio e in attesa che i due finissero di mangiare. Non ero arrabbiata con loro, o almeno non molto, però mi irritavano le loro insinuazioni. Per quanto Pierre mi piacesse, non gli avrei mai impedito di frequentare la ragazza dei suoi sogni, è solo che Désirée non lo era. Non lo era affatto, non poteva esserlo. Quando terminarono, mi alzai e iniziai a incamminarmi verso l'uscita dell'albergo. Charles corse e mi affiancò.
«Perdonami, Inés, non avrei dovuto accusarti». Scossi la testa.
«Non importa». E mentre eravamo nella hall, le parole di una canzone che ormai conoscevo abbastanza bene mi giunsero all'orecchio. Mi voltai a guardare Charles, che era diventato completamente rosso, attirando l'attenzione anche di Pierre. Quando quest'ultimo capì, spalancò gli occhi, accelerando il passo e uscendo dall'albergo. «"Lie to Me", uh?». Sussurrai all'orecchio di Charles, maliziosa. «In cosa vuoi che ti menta, Charles?». Mi allontanai da lui, per poi uscire dall'hotel.
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