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d o u z e

Charles' P.O.V.

«Charles!». Sentii qualcuno chiamarmi, mentre camminavo per il paddock assorto nei miei pensieri. Non ebbi bisogno di voltarmi per comprendere a chi appartenesse la voce. Abbozzai un leggero sorriso e rallentai, non arrestando però il mio passo. Alzai un dito e le feci cenno di avvicinarsi a me. Quando la scorsi con la coda dell'occhio, voltai leggermente il capo verso Inés e alzai un sopracciglio, per farla parlare. «Io...». Tacque per un po'. «Uhm...». Ridacchiai al suo improvviso disagio, non abituato a vederla in questo stato. Scosse freneticamente la testa e continuò, visibilmente più tranquilla. «Ti dispiace se ti faccio compagnia?». Con la mano destra la strinsi leggermente a me, per acconsentire, e poi la lasciai andare. Scorsi le sue orecchie diventare rosse, segno che fosse imbarazzata.

«Non dovevi stare con Pierre?». Domandai, piuttosto curioso e, ahimè, anche infastidito.

«Oh, sì. Ma si è chiuso con i suoi meccanici nel box e allora ho deciso di venire a cercarti, perché mi annoiavo». Annuii, non particolarmente convinto, non dalle sue parole, ma da come dovessi rispondere. Dal modo in cui Inés mi guardò capii che Pierre le avesse detto qualcosa. Mi bloccai improvvisamente e la fissai con un sopracciglio alzato, indeciso se porre o meno la domanda che mi stava tormentando. «È successo qualcosa?». Inés fissò il suo sguardo nel mio, ma non mi rispose subito, anzi, non rispose affatto. Titubò e spostò la sua attenzione verso un altro punto, cercando di evitarmi. Non volendo insistere, decisi di non porre altre domande. Quelle le avrei poste a Pierre, sicuramente la causa di quell'espressione tanto assorta sul volto della mia migliore amica. Non ero certo se fosse perché avevano parlato della situazione tra di noi o solo perché il francese si era lasciato scappare qualche parola di troppo.

«Charles». La sua voce giunse quasi come un flebile sussurro, come se la sua intenzione non fosse realmente quella di chiamarmi. Mi voltai nuovamente verso di lei, attendendo qualche parola da parte sua. «Che ne dici di andare a mangiare qualcosa mentre aspettiamo che Pierre esca dai box?». Mi limitai ad annuire, non sapendo bene come rispondere. Ero convinto che Inés sapesse qualcosa, ma ero altrettanto certo che non mi avrebbe rivelato nulla. Camminammo per un po', fin quando non giungemmo al Motorhome della Ferrari e spinsi la porta era farla entrare. Fece un lieve cenno con il capo per ringraziarmi, per poi incamminarsi verso il tavolo più isolato. Ci sedemmo e io la guardai, non azzardando a parlarle. «Allora...». Si fermò quando, nello stesso momento, io le chiesi se volesse ordinare qualcosa.

«Scusami, io non...». Mi interruppe.

«Prenderò una wiener schnitzel». Sorrisi e decisi di farle compagnia. Ordinammo, per poi tornare in silenzio. A un tratto, riprese a parlare. «Come va con Charlène?». Spalancai gli occhi e la bocca, non aspettandomi quella domanda. Forse Pierre le aveva parlato di lei? Scossi la testa, quasi a riprendermi dallo shock iniziale e per reprimere il mio impulso di maledire il francese in ogni lingua. Perché, innanzitutto, aveva deciso di mettere in mezzo Charlène, che in tutta quella questione non aveva nulla a che vedere?

«Uhm, bene, credo?». La posi quasi come una domanda e il desiderio di colpirmi la fronte era davvero alto. Non riuscivo neppure a essere credibile, come volevo sperare che lei potesse convincersi delle mie parole? E, infatti, non fui sorpreso quando la vidi alzare un sopracciglio, piuttosto confusa dalle mie parole.

«Dio, Charles, sei proprio incapace». Rise, facendo sorridere anche me e scuotere la testa.

«Non sono mai stato bravo con le ragazze, lo sai». Mi guardò negli occhi, questa volta in modo più serio, prima di posare una sua mano sulla mia, quasi per confortarmi.

«Devi essere solamente te stesso, far trasparire i tuoi veri sentimenti e non mentire mai». Spostò lo sguardo fuori dalla grande vetrata, non so se perché attirata da qualcosa o perché cercasse di evitare il mio. «Devi essere prima il suo migliore amico, il suo confidente, la persona di cui può fidarsi, e poi il suo ragazzo. Non può esserci uno senza dell'altro». Si voltò nuovamente verso di me e quella volta nei suoi occhi notavo una luce diversa. Il mio respiro per un attimo si bloccò; era forse...? Ebbi la sensazione di scuotere la testa, ma, in realtà, rimasi fermo immobile, senza il coraggio di spostare il mio sguardo dal suo. No, sicuramente no, non poteva assolutamente essere. Perché facevo pensieri così assurdi?

«Inés?». La chiamai, quasi con un sussurro, e lei mi guardò, sorridendomi, in attesa che parlassi. Non riuscivo a reggere il suo sguardo, quindi lo spostai. Se non lo avessi fatto, probabilmente non sarei riuscito a porre la domanda che tanto mi tormentava. «E se io non l'amassi davvero?». Udii un rumore e quando alzai gli occhi verso di lei, notai che la forchetta che aveva in mano era caduta nel piatto che, nel frattempo, era arrivato. «Se, in realtà, amassi una ragazza che so di non poter avere?». Gli occhi della mia migliore amica erano spalancati e la vidi più di una volta tentare di aprire la bocca per parlare, senza successo. «Scusami, forse non avrei dovuto porti questa domanda». Scosse la testa, sia per rispondere che per riprendersi.

«Non devi vergognartene». Mi sorrise. «Può succedere. Non siamo noi a gestire il nostro cuore e i nostri sentimenti, purtroppo». Riprese. «L'importante è che tu sia sincero con lei». Annuii.

«Non abbiamo mai iniziato una relazione, siamo sempre e solo stati amici. Pierre ha voluto ingigantire la situazione dicendo che ci frequentassimo, ma non è mai stato così. È solo che mi sentivo a disagio a rivelarti la verità».

«Io sono qui per te Charles, sai che puoi sempre venire a chiedermi consigli e a rivelarmi segreti. La mia bocca rimarrà sigillata, lo sai». Le sorrisi, per poi fare intrecciare le nostre dita in un gesto istintivo. Avvertii un leggero brivido attraversarmi, ma lo ignorai, cercando di sembrare disinvolto, mentre provavo a impedire alle mie guance di diventare rosse pensando ad altro. «Charles, io...». Con occhi spalancati mi voltai verso di lei, ma proprio in quel momento fummo disturbati da una voce che conoscevo fin troppo bene. Pierre.

«Sapevo di trovarvi qui». Alzai lo sguardo verso il francese, ritraendo la mia mano. Avevo promesso a Inés che l'avrei aiutata a conquistarlo, non potevo farmi prendere da delle illusioni. Pierre sembrò non notare nulla, anzi, prese una sedia e si sedette tra di noi, per poi togliersi la mascherina e rivolgere un sorriso alla nostra migliore amica. Mi appoggiai allo schienale e desiderai di sprofondare in un enorme buco nero, così da evitare qualsiasi forma di effusione amorosa tra loro due. Pierre parlava, parlava, parlava, e Inés ascoltava, ma notavo che qualche volta il suo sguardo si fermava su di me, come ad assicurarsi che stessi bene. Talvolta le rivolgevo un sorriso per tranquillizzarla e lei tornava a parlare con il francese normalmente.

«Charles». Questa volta a chiamarmi fu proprio il mio migliore amico. «Sei molto silenzioso, è successo qualcosa?». Negai. «Sei sicuro? Possiamo parlarne, lo sai». Mi stampai un falso sorriso sul volto e continuai ad affermare che stessi bene. Ma come potevo far finta di nulla quando quei due si rivolgevano quello sguardo? Come potevo fingere che tutto andasse bene, quando ogni giorno vivevo con la consapevolezza che l'unica persona che realmente amassi non fosse attratta da me? Come potevo sopportare che il mio rivale fosse proprio il mio migliore amico? Tempo fa avevamo fatto un giuramento: nessuno dei due avrebbe messo l'amore davanti all'amicizia. Io ero venuto meno, per quanto ci avessi provato, non ero riuscito a tenere per me quei sentimenti. Non ero riuscito a tenere per me il fastidio che provavo alla vista di Pierre. Cosa aveva lui che io non avevo? Io e Inés eravamo sempre stati insieme, eravamo inseparabili, nessuno dei due si spostava se non c'era anche l'altro. Perché allora lei aveva preferito lui a me? Alzai lo sguardo, deciso a comprendere la sua scelta. Avrei preferito non farlo. Fu allora che vidi ciò che avrei preferito rimanesse all'oscuro per sempre. Fu allora che compresi che non avremmo mai potuto avere ciò che avevano loro due. Osservai lei: i suoi occhi erano luminosi, brillanti, un po' umidi, forse per l'emozione; gli angoli della sua bocca erano sempre verso l'alto e il suo corpo era completamente rivolto verso di lui. Passai poi a Pierre e l'espressione sul suo volto non era per nulla diversa da quella della mia migliore amica. Cercai allora di ricordare lo sguardo che Inés aveva rivolto a me e avvertii come se il mio cuore potesse spezzarsi da un momento all'altro.

«Scusatemi ragazzi, io credo che andrò in albergo». Inés mi guardò.

«Ma non hai la tua auto, veniamo con te». Scossi la testa.

«Mi accompagnerà Andrea, non preoccupatevi, continuate pure a parlare». Forse l'ultima parte la pronunciai con maggiore fastidio, ma nessuno dei due sembrò notarlo.

«Ti senti male, per caso?». Continuò lei, alzandosi e posando la mano sulla mia fronte, ma io mi ritrassi.

«Sto bene, non preoccuparti, ho solo ricordato di avere un impegno». Non era molto convinta, lo potevo capire dalla sua espressione, ma non insistette.

«Scrivimi se hai bisogno di qualcosa». Annuii e mi allontanai, dopo aver rivolto loro un frettoloso saluto. Mi incamminai verso i box e beccai Andrea proprio mentre usciva.

«Andrea, dobbiamo tornare in albergo». Spalancò gli occhi, un po' spaventato.

«È successo qualcosa?». Scossi la testa, facendo cenno che era un qualcosa di privato e che non avevo intenzione di parlarne. Non convintissimo, mi accompagnò alla sua auto e, una volta entrati, iniziò a guidare verso l'hotel, capendo che non fossi nelle migliori condizioni per farlo io. L'unica cosa che riuscissi a pensare erano i suoi occhi, il suo sguardo. La mia vista era come annebbiata e dovetti lottare per evitare di piangere. Ero patetico, assurdamente patetico. Mi sentivo stupido per aver anche solo provato a convincermi di avere una possibilità. I suoi occhi, gli occhi colore del ghiaccio che avevo sempre amato, erano rivolti solamente a una persona e quella persona non ero io. Nei suoi occhi era impresso un solo nome: Pierre.

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