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-Come ci sei arrivato qui? Chi ti ha detto dove trovarci?- chiese Jade a Pashkà, impugnando la pistola con entrambe le mani. Doveva sbrigarsi a decidersi come agire, altrimenti, continuando a tenere l'arma puntata sull'altro, le braccia avrebbero iniziato a tremargli a causa della tensione, ostacolando la precisione di un'eventuale sparo. Era una delle prime lezioni che aveva imparato durante il suo addestramento: mai tenere un soggetto sotto tiro troppo a lungo.
Tuttavia, non era sicuro che quanto Pashkà aveva detto corrispondesse al vero e, da ciò che aveva saputo da lui, i suoi colleghi erano stati messi fuori gioco: si trovava da solo, in mezzo al nulla, con due testimoni da proteggere e un pericoloso criminale a minacciare le loro vite.
Nella vita di tutti i giorni non c'erano dubbi: tutti erano colpevoli fino a prova contraria. Anche se Pashkà, inspiegabilmente, sembrava stesse dando il via a un tradimento nei confronti della Famiglia, l'agente Hayes sapeva di non potersi permettere di credergli sulla parola.
-L'agente speciale White è sul libro paga dei Dervinshi- rispose subito Pashkà, stupendolo. Non per l'informazione in sé, ma perché non aveva battuto ciglia nel pronunciare quelle parole.
-Le mani! In alto- gli intimò Jade, riscuotendosi subito dal proprio stupore nel notare dei movimenti dell'altro che lo misero in allarme.
-Mi hai rotto un braccio, cazzo!- ribatté Pashkà con rabbia e l'agente iniziò a percepire il familiare formicolio a spalle e braccia. Abbandonò la mira e pose l'arma con la canna rivolta verso l'alto: era inutile continuare a minacciarlo con la pistola quando era evidente che non aveva intenzione di sparargli. Non si fidava ancora di lui, ma Pashkà non stava facendo nulla per minacciarli, anzi, nonostante avesse aggredito i suoi colleghi, non sembrava avesse intenzione di fare loro del male.
-Come hai fatto a trovarci?- gli domandò.
-Come faranno gli altri!- tuonò Pashkà. -Come farà Boka! L'agente speciale White non ha mai smesso di passarci informazioni. Prima che voi lo togliesse dalla sorveglianza a Major e Clark, è riuscito a scoprire dove nascondevate Roan e Blake e ha passato l'informazione a noi. Sono anni che, da dentro, ostacola ogni vostra azione. Sono anni che Red lo paga perché lui continui a passargli informazioni-
-Cazzo!- sbottò Jade e recuperò il proprio cellulare, facendo partire immediatamente un S.O.S. in direzione della centrale operativa.
Sentiva, nonostante continuasse a non fidarsi di lui, il pericolo che trapelava dalle parole di Pashkà. Non c'era un motivo preciso: l'uomo avrebbe anche potuto mentirgli e mettere in scena tutto quel casino per infiniti motivi. Capiva perché aveva tramortito gli altri agenti e si era presentato a loro puntandogli una pistola: aveva ragione a pensare che loro non lo avrebbero accolto a braccia aperte se si fosse limitato a bussare alla porta.
Tuttavia, anche se, dall'altra parte, tutto quello si sarebbe potuto rivelare un piano complesso e architettato nei minimi dettagli per conquistarsi la sua fiducia e condurli fuori di lì per portarli da Red, Jade sentiva dentro di sé che Pashkà era sincero. Non era una cosa che si potesse spiegare a parole; alcuni lo avrebbero definito istinto, ma non sempre l'istinto portava alla ragione. Esperienza? Competenza? Abitudine? Jade non aveva abbastanza fiducia in sé per darsi spiegazioni di quel tipo, perciò si limitava a seguire le proprie intuizioni, consapevole che avrebbe potuto pagare molto care le conseguenze delle sue azioni.
-Stanno venendo qui e stiamo perdendo un sacco di tempo!- riprese Pashkà, con un grugnito di frustrazione. -Potrebbero arrivare a momenti-
Jade, continuando a credere alle parole dell'altro, incominciò a rendersi conto che si trovavano davvero nei guai: era probabile che la squadra di supporto non sarebbe riuscita a raggiungerli in tempo per aiutarlo.
-Dobbiamo escogitare un piano d'azione, fare rinvennire i miei colleghi e...-
-Genio!- lo interruppe Pashkà. -Forse non hai capito! Dobbiamo andarcene subito da qui: non è un rapimento. Red pretende gjakmarrja*!-
-Ma noi non abbiamo ucciso nessuno- si lasciò sfuggire Ryan con un filo di voce e Pashkà abbassò gli occhi al pavimento, fuggendo dal suo sguardo, sentendosi a disagio nel trovarsi di fronte a lui e Claud.
-Ha accettato la morte di Roan. Ti ha disconosciuto, come se tu e suo fratello foste diventate due persone diverse, e adesso pretende che tu paghi il tuo debito di sangue per avere "ucciso" Roan-
Ryan si morse un labbro e sgranò gli occhi, terrorizzato da quelle parole e Claud se ne accorse, tentò di reprimere la propria paura e gli si fece vicino, stringendolo a sé.
-Ho cercato di spaventarti, speravo che tu scappassi, come hai sempre fatto in passato, ma sei rimasto, Roan- disse Pashkà tornado a sollevare lo sguardo. -Mi dispiace, Blake. Ma avevi ragione: le vostre perversioni sessuali mi fanno vomitare-
-Allora perché sei qui?- lo incalzò Ryan e l'altro tornò a distogliere lo sguardo da lui.
-Ti devo la vita, Roan. Sono qui per ripagare il mio debito- disse e Jade, tramite quelle parole, ebbe la conferma che stava cercando. Annuì: conosceva il loro credo, perché aveva dovuto documentarsi a riguardo, per comprendere il perché di determinate loro azioni e decisioni, per imparare a leggerli e prevedere le loro mosse, e quindi sapeva quanto peso avesse, per lui, ciò che aveva dichiarato con tono tanto solenne.
-Avrò modo di raccontarvi tutto, di farvi da testimone, lo prometto- continuò Pashkà. -Ma dobbiamo sparire subito!- disse, alzando la voce sull'ultima parola, mentre il suo accento si faceva più marcato a causa dell'agitazione. Si strinse il braccio al petto, con una smorfia di dolore.
Jade annuì, rifoderò la pistola e si mosse con l'intenzione di condurre Claud e Ryan fuori dall'abitazione, ormai non più sicura. Recuperò un paio di canovacci e sistemò il braccio di Pashkà: in quel momento era l'unico che avrebbe potuto rivelarsi un aiuto per lui, dato che sapeva utilizzare le armi ed era tanto risoluto a ripagare il proprio debito con Ryan.
Se davvero i Dervinshi stavano arrivando, tuttavia, non poteva restare lì nella speranza che fossero raggiunti prima dai suoi colleghi.
Jade aveva appena recuperato le chiavi di un'auto, fatto indossare dei giubbotti antiproiettile a Claud e Ryan, mentre Pashkà lo seguiva e lo incalzava affinché si sbrigassero, ma l'agente decise di concedersi un paio di secondi per recuperare tutte le armi che reputava necessarie e che non gli sarebbero risultate d'intralcio nei movimenti: non potevano allontanarsi da lì disarmati o soltanto con l'unica pistola che Jade teneva nascosta nella fondina interna all'altezza della cintura.
Nonostante sembrasse che il tempo scorresse in modo mostruosamente veloce, in realtà furono pronti nel giro di un paio di minuti e si affiancò a Pashkà e allungò una mano, poggiandola sulla maniglia della porta d'ingresso. Nel momento in cui spalancò l'uscio vi fu una deflagrazione assordante e Jade si sentì sbalzare all'indietro, avvolto dall'abbraccio dell'aria, finendo per battere la schiena contro il pavimento, lontano dall'ingresso.
Perse di vista gli altri, anche loro catapultati in fondo la stanza dall'onda d'urto dell'esplosione, mentre del fumo grigio riempiva l'ambiente, rendendo la visuale parziale.
Le orecchie fischiarono e tutto perse logica. Jade sentiva gli abiti umidi in più punti, la testa confusa, le percezioni sfalzate. Riusciva a scorgere intorno a sé fumo, detriti e movimenti che non era in grado di identificare, finché non sentì un urlo agghiacciante squarciare il caos e le orecchie sembrarono otturarsi completamente, assorbendo ogni rumore, compreso il fischio, dopodiché gli parve che l'udito esplodesse e tornò a sentire di nuovo.
Si alzò sui gomiti, con il fumo che oscurava ancora diverse zone del perimetro, si tirò la maglietta sul naso, strisciò sul pavimento, percependo gli occhi bruciare, ma individuando quasi subito i piedi di almeno tre persone a meno di venti centimetri da lui.
Boka e un numero imprecisato di altri uomini avevano fatto irruzione nella casa. Pashkà si era subito posto tra di loro, Claud e Ryan, guadagnandosi un'occhiata di disprezzo da parte dell'altro, che lo fissò con occhi saturi di odio, da dietro una maschera antigas che gli celava buona parte del viso.
Pashkà venne aggredito dagli scagnozzi di Boka, si trovò a lottare a mani nude contro quelli che un tempo aveva chiamato "fratelli", che non gli risparmiarono colpi al braccio leso e alla testa, colpendolo in quelli che erano i suoi punti deboli. La colluttazione si fece sempre più intensa, il fumo continuava a essere un ostacolo non indifferente e anche se durante l'esplosione lui era riuscito a mantenersi in piedi, le orecchie avevano iniziato a sanguinargli e non era riuscito a recuperare del tutto l'udito.
Aveva un debito da saldare, ne valeva del suo stesso onore e fu quella consapevolezza a spingerlo a non mollare: doveva salvare Roan.
Uno degli uomini lo afferrò per il braccio leso, torcendoglielo fino a farlo urlare, portandoglielo dietro la schiena, mentre l'altro gli si scagliava contro, ma Pashkà sollevò la testa e lo colpì in fronte con violenza, colpendolo in successione all'addome con una ginocchiata, facendolo barcollare all'indietro. Si flesse sulle ginocchia, sguasciando dalla presa dell'altro, e si girò su se stesso, percependo la spalla destra protestare, mentre il braccio aveva toccato picchi di dolore tanto intensi da essersi intirpidito perdendo ogni sensibilità.
Restò chinò e lo colpì alla bocca dello stomaco; attese la frazione di un secondo durante la quale l'altro si accasciò su di lui e lo afferrò dietro la testa, saldamente con una mano, mentre lui si alzava da terra dandosi lo slancio per colpirlo con una ginocchiata al setto nasale. L'uomo svenne, ma un altro tornò alla carica, colpendolo alle spalle: percepì una lama lacerargli un fianco e, nello stesso istante, alle orecchie gli giunse l'urlo di Ryan e Pashkà intravide con la coda dell'occhio, a pochissimi centimetri di distanza da sé, Boka sollevare la pistola contro di lui, mentre l'agente speciale Hayes era impegnato in una colluttazione con altri uomini.
L'immagine parve cristallizzarsi nel tempo e nello spazio, circondata da una cornice di fumo, mentre gli si piantava nella mente, negli occhi e nel cuore. Pashkà richiamò a sé tutto ciò che gli era rimasto della propria forza, liberandosi dell'ostacolo del suo aggressore e si mosse in direzione di Roan.
Si udì solo lo sparo.
Pashkà abbassò gli occhi mentre il gelo si dipartiva dal centro del suo stesso petto, allargandosi in ogni direzione del corpo, come una fredda onda. Vide la sua stessa mano sinistra allontanarsi dalla maglietta, mentre il sangue ne bagnava il tessuto, in una macchia sempre più ampia, di cui non riusciva a percepire nulla. Cadde al suolo e Ryan urlò ancora, protendendosi verso di lui, ma Claud lo afferrò per le spalle, se lo strinse contro il petto e lo trascinò con la forza dietro il divano, mentre Jade, finalmente libero, si avvicinava a loro, estraeva la pistola e sparava, puntando al braccio destro di Boka. L'uomo lasciò andare l'arma, che cadde con un tonfo secco sul pavimento, accanto al corpo senza vita di Pashkà.
Jade si guardò intorno, all'erta, mentre il fumo si diramava e, ancora confuso, notò altri due corpi a terra, privi di sensi, mentre una squadra dell'F.B.I. faceva irruzione nella casa, capitanata dall'agente Turner.
Subito Sue si avventò su Boka, che tentò di liberarsi di lei, nonostante la ferita al braccio, ma la donna reagì e lo colpì alla spalla, su un fianco e dietro un ginocchio, e l'uomo perse l'equilibrio, si sbilancio da un lato e lei ne approfittò per immobilizzarlo del tutto, inchiodandolo sul pavimento sotto il peso del proprio corpo, compiacendosi nel sentire il rumore prodotto dalle manette che strinse intorno ai suoi polsi. I membri della squadra si mossero all'interno della stanza, accertandosi delle condizioni di tutti gli altri.
Jade scosse la testa, strabuzzò gli occhi e ripose la pistola. Si portò le mani ai capelli e, quando le ritrasse, si accorse di avere un palmo sporco di sangue. Si toccò il petto, si guardò le gambe, notando una lacerazione di un paio di centimetri sul lato della coscia destra, ma poi si sentì attraversare la mente da un pensiero privo di forma, inteso e accecante. Si mosse come un automa in mezzo al caos, guardandosi attorno.
Fece il giro del divano, trovando Ryan e Claud rannicchiati lì dietro, stretti in un abbraccio disperato. Claud si accorse di lui per primo e protese una mano nella sua direzione e Jade la strinse subito nella propria, lasciandosi cadere al loro fianco.
-Sto bene. È solo un taglietto- disse, rispondendo alla muta domanda che aveva letto nei suoi occhi. -Voi...?- ma Ryan lo interruppe, staccandosi da Claud e aggrappandosi a lui, in preda alle lacrime. Jade chiuse gli occhi e ricambiò il suo abbraccio.
-Pashkà?- gli chiese Ryan in un sussurro e l'agente riaprì gli occhi, scambiandosi con Claud uno sguardo lungo e carico di cose non dette.
-Mi dispiace- sussurrò in un suo orecchio e Ryan si strinse con più forza a lui, mentre percepiva Claud abbracciarlo da dietro, unendosi a loro.
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*Gjakmarrja: nel Kanun, la gjakmarrja (presa del sangue) era una legge che legittimava un familiare della vittima a uccidere chi commetteva il crimine, oppure un parente dell’assassino fino al terzo grado di parentela, basandosi sul principio che "il sangue si paga con il sangue".
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