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-Bene, adesso che l'F.B.I. è qui, penseranno loro a voi- disse uno degli agenti, alzandosi dalla sedia che aveva occupato fino a quel momento e passando nelle mani della nuova arrivata gli appunti che aveva preso durante il loro interrogatorio. La donna annuì, prese i fogli, attese che la porta venisse chiusa lasciando lei, il suo collega, Claud e Ryan da soli, poi accartocciò i fogli e li gettò nel cestino dell'immondizia che si trovava in un angolo della stanza.
Rivolse un breve cenno al collega e quello aprì la ventiquattro ore di cui stringeva il manico in una mano, tirando fuori un fascicolo alto diversi centimetri. Glielo porse mentre lei toglieva una sedia, ponendo quella rimasta al centro, su un fianco del tavolo, per poi prendervi posto, lasciando il collega in piedi.
Aprì il fascicolo con gesti sbrigativi, apparentemente in un punto a caso, incrociò le mani, dalle corte unghie smaltate di rosa pallido, sul plico di fogli, sollevando lo sguardo su di loro, fissandoli a turno con glaciali occhi celesti.
-Ci state dicendo... che parliamo a vuoto da ore?- domandò Claud e l'altra gli rivolse un sorrisino furbo.
-Non le ho ancora detto nulla, signor Blake, nemmeno il mio nome- puntualizzò e poi irrigidì le spalle e accavallò le gambe, spegnendo immediatamente il proprio sorriso. -Sono l'agente speciale Turner e lui è il mio collega, l'agente speciale Hayes. Mi scuso per l'attesa. Il mio volo da New York ha subito un leggero ritardo- disse e poi tornò a sorridere, come se avessero pigiato un bottone per far tornare sul suo viso quell'espressione, che tutto parve fuorché rassicurante e conciliante.
-Non sapevamo nemmeno che la stavamo aspettando. Siamo qui da... boh! Ore?- le fece presente Claud, grugnendo di frustrazione.
-Ci avete tenuti sulle spine a lungo, eh?- disse la donna, ignorando totalmente le parole del giovane. -Alla fine, però, sembra che vi siate decisi da che parte stare-
-Cioé?- chiese Ryan, aggrottando la fronte, e l'agente Turner sfogliò il fascicolo, senza prestare attenzione alle pagine, finché non si fermò di nuovo e tirò fuori un foglio dal plico, ponendolo dinanzi agli occhi di Ryan. -Il mio... certificato di morte?- domandò lui, percependo la gola serrarsi.
-Lei credeva davvero, signor Dervinshi, che la sua famiglia potesse mettere piede negli Stati Uniti senza attirare l'attenzione dei servizi segreti?-
-Non... non ho mai pensato a nulla. Ho solo seguito Redonald, perché così mi ha obbligato a fare- mormorò Ryan, senza riuscire a staccare gli occhi dal foglio.
L'agente Turner annuì.
-I nostri sistemi d'allarme sono subito scattati al vostro ingresso negli Stati Uniti, tuttavia, non avevamo validi motivi per impedirvi l'accesso, tantomeno per far scattare una detenzione preventiva. Non avevamo prove, soltanto voci, ma comprenderà anche lei che, se stessimo lì a impedire l'accesso negli States in base a delle voci, smetteremmo di essere un Paese libero e accogliente-
Quella volta toccò a Ryan annuire, poi si azzardò a sollevare il capo, ma rivolse uno sguardo di sottecchi in direzione di Claud. L'altro se ne accorse e allungò una mano verso di lui, sotto il tavolo, e Ryan la prese in una delle proprie, stringendola con forza.
-Quindi... sapete già tutto?- domandò Claud e l'agente Turner gli rispose con un cenno affermativo.
-Detenzione preventiva, no, ma sorveglianza preventiva, quella sì. Abbiamo tenuto sotto controllo la... famiglia e sono anni che mandiamo i nostri agenti sotto copertura, tra i loro uomini, nel tentativo di ottenere delle prove e incastrarli. Tutti-
-Anche me?- chiese Ryan con un filo di voce e l'agente Turner reclinò il capo da un lato e, per la prima volta, la sua espressione sembrò farsi davvero dolce.
-Come pensa di essere riuscito a convincere suo fratello della sua morte, un anno e mezzo fa, signor Dervinshi? Crede davvero che quello che lei ha fatto sarebbe bastato se noi non avessimo coperto le sue tracce, se non avessimo tappato i buchi del suo strampalato piano?-
-Perché lo avreste fatto?-
L'agente Turner distolse gli occhi da lui, fissando un punto imprecisato in un angolo della stanza, ma la sua espressione era tanto intensa che Ryan si domandò se sarebbe riuscita a bucare la parete soltanto continuando a fissarla.
-L'abbiamo messa alla prova. La pazienza non ci manca di certo. Sono anni che abbiamo in corso un'indagine con il vostro nome. Volevamo capire se lei potesse rivelarsi per noi una risorsa, una volta allontanatosi dall'oppressione della sua famiglia- disse, tornando a fissarlo.
-E avete fallito, dato che Dervinshi ha scoperto che Ryan è ancora vivo- sbottò Claud e la donna gli rivolse uno sguardo fulminante, ma preferì non controbattere alle sue parole.
-Una risorsa?- domandò Ryan.
-Come avrà intuito, siamo a conoscenza di alcuni dettagli... particolari. Ma, rimanendo ciechi su più punti, purtroppo, non potevamo sapere se lei fosse o meno... come dire? Felice della vita che faceva con suo fratello. Le abbiamo dato una possibilità. L'abbiamo tenuta d'occhio, signor Dervinshi, e sono contenta di sapere che, finalmente, si è deciso a sporgere denuncia contro la sua famiglia- gli spiegò l'agente Turner, tornando a rivolgere la propria attenzione su di lui.
Ryan deglutì sonoramente e l'altra lo fissò con una tale intensità da fargli ricoprire la pelle di brividi. Era lì proprio per quel motivo, ma sentire l'agente speciale parlare a quel modo fece sì che ogni cosa, intorno a lui, smettesse di apparirgli distante e parte di un sogno.
-Lei, adesso, è diventato per noi una risorsa preziosa, appunto, un testimone. Sa più di chiunque altro e noi siamo qui per ascoltarla, per ascoltare tutta la sua storia. Mi auguro che sia pronto a essere sincero con noi, fino in fondo-
-E per quanto riguarda Claud?- chiese Ryan e l'altra inarcò un sopracciglio, spostando l'attenzione sull'ex modello.
-Beh. Anche lei credo abbia tanto da dirci, signor Blake, o sbaglio?-
-E poi?- chiese Claud. -Che fine faremo, noi?-
-Siete venuti qui di vostra spontanea volontà...-
-Quindi- la interruppe. -Che fine facciamo dopo che avrete ottenuto quello che volete, non vi interessa?-
-Non finga di essere stupido, signor Blake. Una risorsa preziosa resta tale se resta in vita. Noi abbiamo a cuore la vostra incolumità e vi garantiremo protezione assoluta da qui alla fine del processo. Sarà una strada lunga, ma...-
-Processo?- s'intromise Ryan. -Parli chiaro, per favore, perché non riesco più a seguirla-
-Signor Dervinshi...-
-La smetta!- sbottò Ryan, sentendosi ardere di rabbia. -Doyle, Ryan, coso... basta che la smetta di chiamarmi a quel modo!- disse. -Per favore- aggiunse, rendendosi conto di essere stato troppo aggressivo.
-Va bene, Ryan. Adesso le spiego cosa succederà nell'immediato: voi ci fornirete delle dichiarazioni complete e firmate e noi metteremo in moto la macchina della protezione testimoni-
-Protezione... testimoni?- balbettò Ryan, sgranando gli occhi.
-Non è possibile... cioè, non potete mettere tutti sotto protezione- disse Claud.
-Infatti, metteremo al sicuro voi due...-
-E gli altri? Loro minacciano i nostri amici, quella è la nostra famiglia!-
-Ma loro non sanno nulla di più di quello che voi gli avete raccontato, e credo che non siate scesi nei particolari sulle attività criminali dei Dervinshi con nessuno di loro. O sbaglio?- disse, ma poi lesse un guizzo negli occhi di Claud e aggrottò la fronte. -Avrei dovuto dire "mi auguro" anziché dare per scontato che non l'abbiate fatto?-
-Ho detto a Jeffrey, Jeffrey Major, quello che io ho fatto a New York: mi sono prostituito e ho fatto un patto con dei mafiosi per essere lasciato in pace, patto che non ho portato a termine perché non volevo convincere Ryan a tornare da loro. All'inizio è stato facile dire di sì, per togliermi dai guai, ma poi... ho capito che non avrei mai potuto obbligarlo a fare una cosa del genere- disse, assottigliando la voce, e accarezzò una guancia di Ryan con tenerezza. -Non mi sarei mai sognato di dire a Jeffrey tutto quello che ho visto. Non sono stupido, agente speciale Turner- ribatté e la donna ridusse le labbra a una linea sottile e annuì.
-Voi verrete condotti all'interno di una casa sicura, penseremo noi a tutto: li arresteremo, faremo sì che venga aperto un processo e tutto quanto. Nell'attesa, voi sarete al sicuro, lontani da tutti. Coloro che resteranno qui si troveranno con degli agenti alle calcagna, a garantire la loro sicurezza...-
-Quanto ci vorrà perché tutto finisca?- chiese Ryan e la donna si limitò a stringersi nelle spalle.
-Il tempo che ci vuole perché la giustizia faccia il suo corso. Non possiamo correre né permettere che la fretta ci faccia commettere errori- disse e rivolse uno sguardo in tralice in direzione del collega che, dopo essere rimasto immobile e in ascolto nel più completo silenzio, si dondolò sui talloni nel ricevere quell'occhiataccia, dimostrando di non essersi trasformato, nel frattempo, in una statua.
-Partiamo tra venti minuti...- disse la donna, recuperando il fascicolo e alzandosi dalla sedia.
-Agente...- la richiamò Ryan. -E poi? Finiremo in prigione anche noi?- le chiese e l'altra si fece sfuggire un altro sorriso, ma meno inquietante dei precedenti.
-Questo è un patteggiamento, signor Doyle. Se riusciremo a togliere dalla strada quei criminali, gli Stati Uniti vi saranno debitori, e quindi no. Non finirete in prigione e chiuderemo un occhio sui reati minori che lei ha commesso quando stava con suo fratello- disse e poi si volse verso Claud. -Vale per entrambi- aggiunse prima di voltare loro le spalle e uscire dalla stanza, seguita dal collega.
-Non ti sei lasciata sfuggire troppo, Sue?- la fermò Jade, quando furono fuori dalla portata d'orecchie degli altri due, stringendole un gomito. Sue Turner si guardò intorno e individuò subito la telecamera che puntava dritta sul corridoio dove loro si trovavano. Si fece più vicina al collega di un passo, di modo che non venisse ripreso il suo viso e quindi le sue labbra, celate dall'altro.
-Mi sono lasciata sfuggire tutto quello che volevo lasciarmi sfuggire, Jade. Per il bene dell'indagine. Non come te che ti sei fatto sfuggire l'uccello dalle mutande...-
-Va bene, va bene!- la interruppe l'altro, lasciandola andare e alzando le mani in segno di resa. -Ho sbagliato, mi dispiace. Ho agito con leggerezza. Pensavo che fosse un buon modo per avvicinarmi a Blake...-
-Ah. Non era un buon modo solo per ottenere un orgasmo da urlo?-
Jade arrossì e fuggì dal suo sguardo, sentendosi in imbarazzo.
-Ho commesso un errore- mormorò e Sue si trattenne dall'urlare.
-Un errore che non ti è costato nulla! Mentre c'è gente che fa cazzate meno rivelanti di quella che hai fatto tu e, non solo viene sbattuta fuori dall'agenzia!, ma viene privata pure della possibilità di avere una pensione. Se tu stai qui dopo il casino che hai combinato è solo per merito di tuo padre! E non venirmi a dire che non è così, perché non vali un cazzo come agente!- disse furiosa e Jade si sentì rimpicciolire di fronte alle sue accuse.
-Mio padre non ha...-
-Tuo padre...!- lo interruppe Sue, ma poi ci ripensò e si morse la punta della lingua: non poteva accusare apertamente il proprio superiore di avere peccato di nepotismo. -Ringrazia che... il direttore dell'F.B.I. sia tanto indulgente con te, Jade. Al posto suo ti avrei spedito fuori a calci in culo, figlio o meno-
-Per questo, tra di noi, il capo sei tu- cercò di rabbonirla Jade, accompagnando le proprie parole con un sorriso tirato. -Io sono troppo stupido e fortunato. Sono onorato di avere al mio fianco un agente valido come te- aggiunse e Sue strinse le labbra per non ribattere e gli rivolse il dito medio di una mano. Si girò e iniziò a camminare con passo marziale in direzione dell'ufficio del commisario di quella Stazione di Polizia.
Era vero, così come aveva sostenuto dinanzi a Blake e Doyle, che non aveva intenzione di farsi sopraffare dalla foga di concludere, con il rischio di commettere errori che sarebbero stati in grado di mandare in fumo anni di indagini.
Ma era arrivata a un punto tale di frustrazione dove non tollerava la possibilità di vedersi rimandare la conclusione di quella storia ancora e ancora. Hayes era quasi riuscito a mandare tutto all'aria – una leggerezza, la definiva lui, e Sue percepì di nuovo il desiderio di urlare. Si trattenne, bussò alla porta dell'ufficio del commisario e rivolse un'occhiataccia in direzione del collega.
-Tu resti fuori, come un bravo cane- disse e Jade aggrottò la fronte.
-Ho il diritto di...-
-Di fare tutto quello che dico io, quando dico io e perché lo dico io. Hai detto bene, prima. Il capo sono io. E non solo il tuo, ma dell'intera indagine. Sono anni che sto dietro a questo caso e non ti permetterò di compromettere di nuovo il mio lavoro per le tue stupide... leggerezze. Non me ne frega un cazzo di chi sei figlio- disse tutto d'un fiato, ma scandendo bene ogni singola parola, di modo che l'altro non potesse sostenere di non avere compreso quanto stava dicendo. -Finché non avremo smantellato la famiglia Dervinshi, non accetterò nessun altro errore da te, Hayes. Sono stata chiara?-
Jade avrebbe voluto ribattere prostandosi ai suoi piedi, implorandole perdono per avere commesso l'errore di essersi fatto sedurre dall'uomo che pedinava e da cui avrebbe dovuto mantenere le distanze, limitandosi a sorvegliarlo da lontano. D'altro canto, che lui sapesse, era vero che suo padre non aveva aperto bocca riguardo quella storia, così come Jade si era meritato, tramite il duro impegno, di essere un agente speciale.
Puntualmente nessuno credeva alla sua versione dei fatti, ma l'uomo si disse che quello non era il momento opportuno per lasciarsi andare a una piazzata: sarebbe stato infantile e controproducente. Così si decise ad annuire e Sue entrò nell'ufficio del commissario, lasciandolo a piantonarne la porta.
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