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30

I pensieri di Claud vennero subito interrotti dalle porte dell'ascensore che si aprivano e un fascio di luce squarciava la penombra della stanza.

"È tornato" pensò, percependo il cuore tamburellare tanto velocemente da rischiare di renderlo sordo. Sembrava un uccellino in gabbia che batteva le ali contro le sbarre. Quanto tempo ci sarebbe voluto prima che gli spezzassero le ali? "Forse farei meglio ad agire di mia spontanea volontà..." si disse, prendendo in considerazione l'ipotesi di porre fine ai propri tormenti prima che fossero gli albanesi a farlo. Era certo che avrebbe sofferto di meno: "Adesso capisco come deve essersi sentito Ryan...".

-Claud?- il giovane sussultò e si voltò in direzione del nuovo arrivato, scoprendo che non si trattava di Pashkà. Si alzò dallo sgabello e le sue gambe, pur tremando, si mossero in automatico nella sua direzione.
-Jeffrey...- mormorò con un filo di voce e protese le mani verso di lui. L'altro comprese immediatamente che l'amico era sconvolto, lo afferrò per i polsi, poi per le spalle e lo strinse a sé in un abbraccio.

-Sono qui- mormorò in un suo orecchio e Claud percepì le proprie difese cedere del tutto. Si sentì come se quelle parole avessero premuto un bottone dentro di sé, abbattendo ogni briciolo di forza. Si aggrappò all'amico, comprendendo che le gambe non erano più in grado di reggerlo, in quel momento. Jeffrey gli strinse la vita e nascose il viso nell'incavo del suo collo, sentendosi solleticare il viso dalle ciocche dei suoi capelli che gli accarezzavano la pelle. Rimase in silenzio, mentre Claud sfogava tutto il proprio malessere con un pianto che sembrava dovergli spezzare il cuore. Jeffrey lo sentiva vibrare contro il proprio petto e pure i suoi occhi si riempirono di lacrime, poiché quel dolore era tanto intenso che iniziò a percepirlo come proprio.

-Ti racconterò tutto- disse Claud, scostandosi da lui. Si sentiva in imbarazzo e stava cercando di recuperare una parvenza di lucidità. Immaginava come doveva apparire all'altro e, conoscendolo, temeva di averlo messo a disagio comportandosi come aveva fatto. Si asciugò gli occhi con il dorso di una mano, sentendoli bruciare, e poi si trovò con uno dei fazzoletti di stoffa di Jeffrey davanti al viso, mentre l'altro glielo porgeva guardandolo in tralice.

Claud annuì e prese il fazzoletto; cercò di ricomporsi, ma non si sentiva molto soddisfatto, quindi si recò in bagno per sciacquarsi il viso. Legò i capelli in una coda bassa con un elastico e rimase un paio di secondi a fissarsi attraverso lo specchio posto sopra il lavello. Aveva un aspetto orribile. Sospirò mentre si rendeva conto delle parole che si era lasciato sfuggire pochi istanti prima.

-Ti racconterò tutto-

Chiuse gli occhi e si morse un labbro e dentro di sé percepì di non essere più solo. Si sentiva osservato e, difatti, appena tornò ad aprire gli occhi, trovò Jeffrey sulla soglia della stanza, una spalla appoggiata contro lo stipite della porta, che lo fissava con un'espressione impenetrabile. Pareva essersi armato di tutta la pazienza del mondo, ma Claud comprese che, quella volta, non sarebbe riuscito a mettere a tacere la sua voglia di sapere svincolando alle domande con le sue solite battute da stronzo.

"Non posso tirarmi indietro" si disse, "E sai anche di non volerlo fare più". Si appoggiò contro il bordo del lavello e incrociò le braccia sul petto, dando le spalle allo specchio, nel tentativo di fuggire dal proprio riflesso, fissando con estrema attenzione la parte inferiore del box doccia, come se tra i luccichii del lucido marmo fosse stato nascosto qualcosa di estremamente importante.

-Sono una puttana- esordì e subito dopo si diede mentalmente dello stupido.
-Beh... fare sesso con persone diverse, senza essere legato con nessuna di loro, che male c'è? Finché usi i preservativi e non ti metti a illudere i tuoi amanti... L'ho fatto per tanto tempo anch'io-
-Non intendevo questo. Sono una puttana nel vero senso della parola. Ho iniziato a prostituirmi da ragazzino. La mia vita da modello è stata solo una parentesi. È così che ho racimolato soldi, sempre. Pure lo scorso inverno- precisò Claud e con la coda dell'occhio vide Jeffrey assumere una posizione più rigida, staccandosi dallo stipite della porta e celandosi il volto dietro il palmo di una mano.

Claud trasse un profondo respiro e con tono pacato, pronunciando ogni parola con estrema lentezza, nel tentativo di non soccombere più alle lacrime, gli raccontò ogni cosa di sé, di come era finito nella trappola della mafia albanese, evitando volutamente riferimenti specifici riguardo ciò di cui era stato testimone dei loro traffici, omettendo di dirgli pure che Ryan e Roan erano la stessa persona. Tuttavia, Jeffrey, che lo aveva ascoltato in silenzio senza proferire nemmeno il più piccolo suono, collegò subito nella propria mente parte di quel racconto con quello che era accaduto al Seraphim tra Claud e Ryan, qualche sera prima. Sgranò gli occhi e percepì la gola serrarsi.

-Adesso non riesco più a capirli- continuò Claud. -Avevamo un patto. Una volta concluso, avrebbero dovuto lasciarmi in pace. Io non avrei parlato perché non volevo che qualcuno scoprisse della mia... "attività extra" e loro sembravano avere accettato di lasciarmi andare, sicuri che avrei mantenuto il silenzio. Ma... adesso hanno iniziato a comportarsi in modo strano, uno di loro, in particolare, sembra che stia tentando di sedurmi. Vista la loro insistenza nel volere fare tornare Roan a casa di sua spontanea volontà... Non so. Forse stanno facendo lo stesso con me? Perché? Mi sento confuso e in trappola- mormorò alla fine, sentendosi rabbrividire.

-E Roan? Vuole tornare a casa?- gli chiese Jeffrey e l'altro scosse la testa.
-Nemmeno morto-
-È cambiato? È diventato un bravo ragazzo? E il suo passato da criminale?-
Claud aggrottò la fronte.
-Roan è un bravo ragazzo... lo è sempre stato. Anche quando stava con loro-
-Questo lo dice lui. Se fosse lui a volerti con sé? Se fosse stato lui a chiedere ai suoi amichetti di convincerti a seguirli? E nel frattempo recita per farti credere di essere contrario, facendo leva sulla possibilità che il tuo senso di colpa ti convinca a stargli vicino anche quando tornerà a casa-
-Jeffrey...- mormorò Claud, sbalordito. -Come ti viene in mente? Stiamo parlando di... mi hai sentito, no? È gente che disprezza quelli come noi! E Roan soffre davvero. Io l'ho visto... ho sentito il suo dolore-

Jeffrey incrociò le braccia sul petto e si passò un pollice sul labbro inferiore, distogliendo lo sguardo dall'amico.

-È per questo che litigavate l'altra sera? Tu e Ryan... o forse dovrei chiamarlo Roan?-
Claud sussultò e si maledisse mentalmente per essersi fatto trascinare dal proprio racconto, fornendo all'altro sufficienti dettagli da permettergli di arrivare a quella conclusione da solo.
-È Ryan!- tuonò, facendoglisi vicino, sentendosi rinvigorire da una rabbia cocente. -Ed è l'unica vittima di questa situazione. C'è nato in quella famiglia di merda, non l'ha voluto lui! Invece io mi ci sono buttato dentro come un coglione, di mia spontanea volontà!-

Jeffrey scosse la testa e gli rivolse uno sguardo colmo di ammonimento.

-Potrei incominciare un monologo per rinfacciarti ancora una volta quanto tu sia stato stupido ad assumere certi atteggiamenti, ma non andremmo da nessuna parte. Non voglio giudicarti, non voglio stare qui a cercare il colpevole. Tu credi a Ryan, Roan, o come cazzo si chiama... Benissimo! Allora spiegami perché non siete ancora corsi alla polizia a denunciarli!- sbottò Jeffrey e l'altro distolse lo sguardo da lui, percependo la rabbia dissolversi di colpo.
-Perché lui ha paura e io... io ho troppo da perdere, Jeff. Se loro scoprissero che li ho denunciati...-
-Cosa farebbero?- lo incalzò l'amico e Claud chiuse gli occhi.

-È questo che frena me e Ryan...- sussurrò il giovane e riaprì gli occhi per poi indicare con un dito il petto dell'altro. Jeffrey seguì la traiettoria del suo gesto e, quando comprese cosa intendesse dire, rabbrividì.
-Chi altri?- sussurrò l'uomo e Claud deglutì sonoramente.
-Tutti. Keith, Amber. Mia madre. Tutti...-
-Non ha importanza...-
-Come puoi dire una cosa del genere?- urlò Claud e l'altro lo afferrò per le spalle e lo scrollò con forza.

-Non ho intenzione di vederti gettare la tua vita per difendere noi. Né a te e né a Ryan! Se davvero tutto questo casino vi fa schifo, dovete agire! Non potete sapere cosa farebbero per davvero... anche se voi accettaste di seguirli! Ci pensi, Claud?-
-Certo che ci penso, per questo...!-

-No!- urlò Jeffrey, sovrastando le sue parole. -Non si possono fare accordi con gente come questa! Magari tu li segui, fate quello che cazzo vogliono loro! E chi ti assicura che, una volta lasciata Los Angeles, mentre tu sei via, loro non tornino per fare esplodere il Seraphim? Magari cambiano idea! Rapiscono Amber e la buttano sulla strada, o Keith o chiunque altro di noi! Mentre tu stai lontano da casa senza sapere quello che ti sei lasciato alle spalle!- urlò l'uomo, sentendosi fomentare dalla rabbia e dall'orrore mentre quelle possibilità gli riempivano la mente.

Claud si sentì impallidire e spalancò gli occhi, rendendosi conto che da quel "gioco" non sarebbe mai potuto uscire vincitore. Aveva ragione Jeffrey e si rese conto di non essere all'altezza di affrontare quella situazione, perché tutto ciò che era solito fare in passato non aveva alcun valore, era distante anni luce da quello che stava vivendo.

-Devi denunciare. Ci ammazzano? Benissimo. Ma non ci sarà un altro Claud Blake che finirà vittima delle loro mani; non ci sarà un altro Roan costretto a spacciarsi per morto e nascondersi per paura. Nelle loro mani siamo già morti, pensa questo Claud. Non illuderti che facendo quello che ti chiedono si risolverà tutto: non è così- disse Jeffrey, marcando il tono di voce sulle ultime tre parole che pronunciò.
Claud abbassò gli occhi sul suo petto e si umettò le labbra.

-Devo parlarne con Ryan...-
-No!- sbottò Jeffrey. -Ti accompagno dalla polizia, adesso!-
-C'ho gli occhi del Grande Fratello puntati addosso!- urlò Claud. -Pashkà sta posteggiato qui sotto!-
-Chiama un taxi! Non avrà tempo di ficcarci una bomba sotto, e andremo dalla polizia...!-
-E lui potrebbe andare al Seraphim!-

Claud si trovò senza fiato, ansante, aveva urlato così tanto da essere quasi sicuro che Pashkà li avesse sentiti anche attraverso la non indifferente distanza che li separavano.

-Fai venire la polizia qui- disse Jeffrey e Claud si trovò a pensare a Ryan. Uscì dal bagno e si recò nella zona giorno. Si guardò intorno, spalancò le tende e aprì le veneziane. Guardò in basso, cercando l'auto di Pashkà, ma sembrava non esserci. Per un attimo si chiese che fine avesse fatto. Percepì l'amico raggiungerlo e fissò il suo riflesso nel vetro della finestra, non sentendosi abbastanza forte da tornare a ricambiare il suo sguardo in modo diretto.

-Non ci sono invischiato solo io, Jeff. Devo parlarne con Ryan-
-Devi chiamare la polizia- ribatté l'altro e gli si fece vicino, finendo per stringergli le spalle con entrambe le mani. -Sono qui?- gli chiese in un sussurro e l'ex modello scosse la testa.
-Non c'è la macchina di Pashkà- rispose. Strinse le mani dell'amico, portandosele sul petto, sentendosi rincuorare dal calore del suo corpo.
-Abbiamo troppo da perdere, Claud, hai ragione. Non siamo più i ragazzini ricchi e apparentemente viziati, privi di ogni morale, che si divertivano a scommettere quanti uomini sarebbero riusciti a sedurre in una serata-
Claud sorrise triste a quei ricordi e annuì.

-Non lo siamo mai stati neanche quando ci comportavamo a quel modo. Eravamo solo due ragazzini con tanti soldi, sì, ma non viziati, Jeff, e con troppa solitudine intorno. I miei non avevano mai potuto farlo e ai tuoi non era mai interessato viziarti. Abbiamo commesso tanti errori, ma stavamo soltanto cercando di riempire le voragini che avevamo nel cuore-
-Adesso è diverso, non siamo più soli-
-La cosa assurda è che... mi rendo conto che non lo eravamo nemmeno allora. Se non fossimo stati così ostinati ad amare qualcuno che non ci ricambiava, la nostra sarebbe potuta diventare una bella amicizia già allora. Io avevo te e tu me. È sempre stato così-

-Siamo una famiglia, Claud. Ci vogliamo bene, litighiamo e ci disprezziamo. Poi facciamo pace e poi lì a malederci perché condividiamo lo stesso cammino. Ma poi ci preoccupiamo l'uno per l'altro, anche quando siamo distanti e pensiamo di odiarci, continuiamo a volerci bene-
Claud annuì e percepì un nodo stringergli la gola.
-Adesso non siamo più soli, però. Non siamo più in due. Non possiamo scegliere noi per tutti. Tu hai Daniel, Evan, Lily e Nate. Keith, Isaac, Amber e io...-
-Tu hai un cuore grande. Hai anche tu delle persone che ami e che vuoi proteggere- lo interruppe Jeffrey, baciandogli una tempia.

Claud si girò nel suo abbraccio e poggiò una guancia su una sua spalla.
-Domani sera. Parlo con Ryan e lo convinco a seguirmi alla polizia, a denunciarli...-
-Claud...- tentò di interromperlo Jeffrey e l'altro gli posò due dita sulle labbra, mettendolo a tacere.
-Lui sa molto più di me. È importante che parli anche Ryan. E io... devo proteggere le persone che amo. Adesso lo so- disse e gli baciò una guancia con dolcezza, sciogliendo il loro abbraccio.

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