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-Un investigatore privato?- chiese Isaac con tono sorpreso, mentre si rigirava tra le mani un bicchiere contenente del brandy. Jeffrey annuì e rivolse un lungo sguardo in direzione dell'amico, seduto al suo fianco.
Dopo cena entrambi si erano allontanati da Bryan e Titty, ritagliandosi un momento di intimità. Jeffrey aveva raccontato ad Isaac quello che stava succedendo con Claud e Ryan, chiedendogli, infine, se non pensasse fosse opportuno mettere un investigatore privato sulle tracce di Claud, nella speranza che quello riuscisse a rivelare loro ciò che l'ex modello gli stava nascondendo.
Isaac rifletté per qualche secondo, gustando con aria pensosa il proprio brandy. Dopo un po' scosse la testa.
-Siete amici, J. Non fraintendermi: se davvero pensi di non avere alternative, sarò contento di fornirti i contatti di un investigatore capace, ma credo che tu debba provare ancora a parlare con Claud. Devi insistere e riuscire a farti dire da lui quello che lo sta facendo comportare in modo tanto strano-
-Ma lui continua a fuggire-
-Tu continua a inseguirlo. Prima o poi, fosse anche per sfinimento, riuscirai a fargli vuotare il sacco. Ma io penso che se lui scoprisse che l'hai fatto pedinare da qualcuno... potrebbe rimanerci molto male e il vostro rapporto rischierebbe di incrinarsi per sempre-
Jeffrey ascoltò con attenzione le parole dell'altro; rimase in silenzio per qualche secondo, prima di annuire. Davanti a lui recuperò il cellulare e fece partire l'ennesima chiamata al numero di Claud, impostando il vivavoce. Il telefono squillò a vuoto per un po', prima che la chiamata venisse trasferita alla segreteria telefonica. Riprovò ancora un paio di volte, infine decise che sarebbe passato ancora da casa di Claud, al termine di quella serata, prima di rientrare nel proprio appartamento.
Jeffrey si sentiva abbastanza impotente e non voleva deludere Keith, senza contare che era sempre più preoccupato per Claud e desiderava fermamente scoprire cosa stava tenendo l'amico lontano da lui.
"È assurdo. Eravamo tanto vicini e in simbiosi, lo siamo stati per anni, credevo di sapere tutto di lui... e c'erano giorni in cui non riuscivo a sopportare neanche il suono della sua voce. Adesso che lo sento così lontano e inizio a intravedere la verità... mi sento brancolare nel buio. E ho paura di stare perdendo il mio migliore amico".
•
Appena fuori da casa di Isaac e Bryan, mentre dava indicazioni a John sulla loro successiva destinazione – ancora una volta, l'appartamento di Claud –, Jeffrey percepì il desiderio impellente di sentire la voce di Daniel. Si sentiva agitato e aveva bisogno di trovare un modo per evitare che l'ago della propria bussola continuasse a girare a vuoto, facendolo sentire perso. Tuttavia, mentre faceva partire la chiamata al numero del giovane, si stupì di avere pensato a lui come punto su quale impostare la propria rotta.
"Sto esagerando? Se davvero fosse innamorato di me? Lo sto illudendo? Sono ancora così confuso...", ma le sue elucubrazioni mentali vennero interrotte di colpo, non appena udì la voce dell'altro insinuarsi in un suo orecchio tramite il microfono del cellulare.
-Ciao- balbettò Daniel e Jeffrey, senza rendersene conto, si trovò a sorridere.
-Ciao. Stavi dormendo?- gli domandò.
-Uhm... non ho sonno. Sono... annoiato. Domani dobbiamo... lavorare tanto, ... io e Keith. Per il Seraphim. Non so a che ora finiremo, quindi... pensavo di... andare a... a fare un po' di spesa-
-A quest'ora?-
-Beh... c'è un supermercato... vicino da me... sempre aperto-
-Ho capito- rispose Jeffrey e Daniel, anche se l'altro non poteva vederlo né intuire cosa gli stesse passando per la mente, si fece sospettoso e aggrottò la fronte.
Nelle ultime settimane si erano incontrati sia in casa sua che dell'altro. A volte avevano ceduto anche all'interno del suo ufficio, nonostante Daniel non credeva fosse opportuno fare l'amore con il proprio capo sul posto di lavoro. Tuttavia, la loro frequentazione non era andata mai oltre quelle poche ore di sesso né quelle rare volte in cui avevano finito per addormentarsi, sfiniti, nello stesso letto.
Le telefonate di Jeffrey avevano continuato a essere puramente lavorative, così come i messaggi e tutto quello che avevano condiviso durante quelle ultime settimane: i pranzi, una cena, gli incontri con Keith, le sue visite al Seraphim. Non si erano mai dati spazio alla luce del sole per nulla che esulasse dal lavoro. Era pur vero che l'orologio puntava quasi le dieci di sera, ormai, ma Daniel si stupì per quel loro scambio di battute privo di logica. Sembrava proprio che Jeffrey lo avesse contatto senza un valido motivo.
-Ci vediamo... domani... al Seraphim? O passo in chiusura... in agenzia?- gli chiese il giovane, dato che l'altro non aveva più parlato.
-Domani ho da fare. Non so se potrò passare in agenzia e Keith è ancora impegnato con Ryan, quindi arriverà al Seraphim non prima dell'apertura. Mi sostituisci in agenzia, domani, e per la festa passi in serata a discuterne da Keith, al Seraphim-
-Va bene- disse Daniel e rimase in silenzio, sentendosi sospeso e indeciso su come continuare quella conversazione: "Quindi mi ha chiamato per stravolgere i miei piani di domani. Mi ha chiamato per lavoro" pensò e non sapeva se avrebbe dovuto tirare un sospiro di sollievo oppure rimanere deluso davanti quell'ipotesi. Tuttavia, non ebbe modo di riflettere ulteriormente sulla cosa, poiché Jeffrey lo salutò e chiuse la loro chiamata, all'improvviso, lasciando il giovane a fissare il proprio cellulare stretto in una mano, con espressione stranita.
•
Una volta riposto il cellulare in tasca, Jeffrey si passò un pollice sopra il labbro inferiore, con lo sguardo perso nel vuoto, la mente tanto confusa da non riuscire a dare forma neanche al pensiero più piccolo.
-John- disse, richiamando il proprio autista. -Arts District. Un supermercato aperto acca ventiquattro nei pressi dell'abitazione di Daniel?- e parlò velocemente, nella speranza che l'uomo non lo interrompesse manifestando rimostranze per quelle sue scorribande notturne tra i distretti di Downtown, a orari in cui era noto preferibile non metterci piede. Prima che l'autista gli rispondesse, Jeffrey tornò ad attaccarsi al cellulare, richiamando ancora una volta Claud. Sbuffò frustrato quando udì la segreteria telefonica e si decise a lasciargli un messaggio, con un tono di voce che gli risultò più minaccioso di quanto aveva preventivato.
-In serata sono da te. Non so a che ora, ma tieni presente che pianto tenda sotto casa tua finché non ti deciderai a parlarmi. È chiaro, Claud?!-
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L'appartamento era avvolto dalla più completa oscurità. Neanche la notte, fuori di lì, poteva vantare un'eguale assenza di luce. Le tende schermavano anche i pallidi riflessi che provenivano dall'esterno e che filtrano attraverso le sottilissime fessure delle veneziane abbassate.
Claud riascoltò per la seconda volta il messaggio che Jeffrey gli aveva lasciato in segreteria. Bevve ciò che era rimasto all'interno del suo bicchiere e lanciò il cellulare sul divano, andando a sedersi nell'ingresso della propria abitazione, sul pavimento, con le spalle poggiate contro la porta.
Non temeva che il portiere di turno si sarebbe fatto sfuggire alcunché con Jeffrey, quando se lo sarebbe trovato davanti, anche perché nemmeno i dipendenti del palazzo sapevano che Claud si trovava in casa.
Nessuno delle persone che stava cercando di tenere lontane da sé, di proteggere, sapeva dove fosse, anche se non si era allontanato da sotto il loro naso. Gli unici da cui desiderava ardentemente fuggire, invece, sapevano benissimo dove si trovava.
Il giovane si domandò se Jeffrey avrebbe mantenuto fede alle proprie minacce, se davvero avrebbe "messo le tende" sotto casa sua, in attesa che lui si decidesse a incontrarlo. Claud trasse un profondo respiro, si alzò da terra, sentendosi abbastanza frastornato a causa dell'eccessiva quantità di alcol che gli scorreva nelle vene, e si diresse a passo malfermo in direzione delle finestre del soggiorno. Sollevò una veneziana di pochi centimetri e scostò la tenda.
Individuò subito l'automobile di Pashkà, posteggiata sul marciapiede opposto a quello in cui si trovava il suo palazzo. Deglutì sonoramente e richiuse tutto subito, prima che l'altro si accorgesse che lo stava spiando da dietro le tende. Si strinse la testa tra le mani, tirando con forza i capelli. Urlare non era servito a nulla, disperarsi, ubriacarsi, non lo aveva aiutato a sentirsi meno schiacciato dal peso di quella situazione.
-Se Jeffrey viene qui e Pashkà decide di...- le possibilità che presero forma nella testa del giovane erano pressoché infinite, ma tutte, arrivate a un certo punto, finivano per collimare le une con altre, arrivando allo stesso, terrificante esisto. Claud diede un pugno contro una parete, con forza, percependo un dolore sordo partirsi dalla mano, salire lungo il braccio, infiammandogli i muscoli e facendogli stridere le ossa. Si sentiva tanto fragile da rischiare di dissolversi da un momento all'altro, ma arrabbiato, tanto furioso da provare il desidero di distruggere tutto ciò che lo circondava, di demolire e cancellare ogni cosa.
-Mi sento in trappola- sussurrò nel buio. -Come Winston e gli occhi del Grande Fratello puntati addosso...-
"È colpa tua" si disse mentalmente, dato che si sentiva troppo stupido nel continuare a parlare da solo, "Sei stato così superficiale... stai solo pagando le conseguenze delle tue scelte sbagliate" si rimproverò e poi gli tornò alla mente Ryan, che non aveva mai voluto quella vita per sé, che aveva sofferto tanto, che aveva persino tentato di morire pur di uscire fuori da quell'incubo... e lui gliel'aveva ributtato dentro.
•
Daniel adorava fare compere in tarda serata. Il supermercato, che si trovava a meno di cinquanta metri da casa sua, era un vecchio edificio che si sollevava su tre piani, aperto ventiquattro ore al giorno, ed era piacevole recarsi lì quando la maggior parte delle persone se ne stava in casa a dormire, o in giro per locali, e lui poteva muoversi tra i corridoi del supermercato in una solitudine quasi totale, prendendosi tutto il tempo che desiderava per fare i propri acquisti.
Gli dispiaceva un po' per i dipendenti, che con gli occhi gonfi di sonno cercavano di svolgere il proprio lavoro e, nel riflettere su ciò, mentre si rigirava tra le mani una scatola di cereali, ripensò a Jeffrey.
"Lui non dorme mai! Ma come fa? Queste persone dovrebbero farsi svelare il suo grande segreto!" pensò e si trovò a ridacchiare, mentre posava la scatola nel carrello.
-Lo sai che la tua risata mi ricorda le campanelle natalizie?-
Daniel sussultò e si voltò di scatto, trovandosi Jeffrey alle proprie spalle. Il giovane spalancò la bocca esterrefatto e si sentì ancora più basito quando afferrò il contenuto delle parole che gli aveva rivolto. Chiuse la bocca e batté le palpebre, sentendosi arrossire.
-Che ci fai... qui? Mi... stalkerizzi?- gli domandò, mentre l'altro gli si faceva vicino, arrivando a poggiargli le mani sui fianchi.
-Avevo voglia di vederti. E sei stato tu a dirmi che saresti stato qui-
-Non... non ti ho dato... le coordinate- sbuffò Daniel e l'altro rise e strofinò la punta del naso contro la sua.
-Se vuoi, vado via- soffiò Jeffrey sulle sue labbra e il suo assistente aggrottò la fronte.
-Prima... mi dici... perché sei qui-
-È un ordine?- gli domandò l'uomo, sollevando un sopracciglio, deliziato dal cipiglio contrito assunto dal proprio amante.
Daniel annuì e incrociò le braccia sul petto, anche se gli risultò difficile farlo con naturalezza, dato che il suo capo continuava a tenerlo tanto stretto a sé.
Jeffrey trattenne un sorriso e si schiarì la gola, fissando poi un punto imprecisato oltre di lui.
-Per parlare di lavoro, ovviamente. Stavo pensando di comprare qui i salatini per la festa del Seraphim...- disse e l'altro percepì il proprio rossore farsi più intenso, sentendosi preso in giro. Senza stare troppo a rifletterci, gli pestò un piede; Jeffrey si lasciò sfuggire un "ahio!" tra il dolore e lo stupore, ma non mollò la presa dai suoi fianchi, anche se Daniel tentò di svicolare da lui, ma poi ci ripensò, gli prese il volto tra le mani e lo baciò.
Jeffrey sgranò gli occhi, ma si riprese abbastanza in fretta dallo shock e ricambiò il bacio, percependo il piede pulsare ancora un po'.
-Avevo voglia di vederti- gli sussurrò, alla fine, in un orecchio, e Daniel poggiò la fronte contro una sua spalla e socchiuse le palpebre, godendosi la dolce sensazione che era arrivata a riempirgli il petto nell'udire quelle parole. -Ma... dovrò punirti, sai? Mi fa male ancora il piede, dannazione!- aggiunse, prendendolo alla sprovvista, iniziando a fargli il solletico. Daniel si lasciò sfuggire un gridolino e tentò di scappare, ma l'altro si batté la sua schiena contro il petto, stringendolo forte e riempendogli di baci una guancia e il collo.
-Signor Major... così potrei... fraintenderla...- mormorò Daniel al termine di quel momento di ilarità e Jeffrey poggiò il mento su una sua spalla, cullandolo nel proprio abbraccio.
-Facciamo la spesa insieme?- gli chiese con un filo di voce. -Mi piacerebbe condividere con te ogni cosa della mia e della tua vita, anche la più stupida-
-Qualcuno... potrebbe pensare che... Cioè... potrebbero scambiarci per... per una coppia- mormorò Daniel, percependo il cuore balzargli in gola a causa dell'emozione.
Jeffrey annuì piano, accarezzandogli l'arcata esterna di un orecchio con la punta del naso.
-Sono pronto. Ho capito che sei quello che voglio. Sono pronto per te. Mi rendi felice in un modo tanto semplice...- disse con voce tremula. -Mi piacerebbe, Daniel, mi piacerebbe tanto stare con te- e l'altro si girò, ricambiando il suo abbraccio. Jeffrey gli baciò la fronte e Daniel gli sorrise, lo strinse ancora più forte a sé, percependo il proprio cuore battere così forte da riuscire a sovrastare qualsiasi altro suono.
-Sì- sussurrò stringendo tra le braccia il suo "sogno" e sentendolo diventare, poco per volta, realtà.
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