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21

Alla fine Claud aveva deciso di restare da Jeffrey. Correva ancora il rischio che Red e i suoi uomini scagliassero la propria frustrazione anche su di lui, proprio per colpirlo, ma l'ex modello era arrivato alla conclusione che se gli albanesi avessero voluto fargli del male, facendone alle persone a cui teneva di più, probabilmente avrebbero incominciato prendendosela proprio con Jeffrey e sua madre.

Convivendo con l'uomo poteva tenerlo sotto controllo e proteggerlo con più facilità, mentre per sua madre sperava che la stretta sorveglianza che vantava la struttura in cui era ricoverata le assicurasse un minimo di tutela da quelle persone. Tuttavia, non era tranquillo a saperla tanto lontana e sola, perciò aveva iniziato a muoversi per trovarle una soluzione alternativa, che fosse a lui più vicina.

Negli ultimi giorni era uscito poco di casa, per recarsi al Seraphim e sbrigare alcune faccende, e sia mentre lavorava che durante le ore libere aveva tenuto sotto controllo il fratello di Red, ogni volta che lo aveva incontrato, finanche seguendolo e spiandolo da lontano. Il giovane non immaginava neanche lontanamente che qualcuno fosse a conoscenza della sua vera identità, tantomeno sospettava di essere stato scoperto dalle persone da cui era fuggito, perciò appariva tranquillo.

Per quanto riguardava le novità che aveva trovato al suo ennesimo rientro a Los Angeles, Claud, anche quella volta, non ne era stato contento. Era pur vero che Keith ed Evan si erano soltanto fidanzati ufficialmente e che poteva ancora rovinare i loro piani, ma erano diversi i motivi per i quali aveva deciso di lasciarli in pace.

Jeffrey aveva saputo vedere molto bene dentro di lui, arrivando alla conclusione che il giovane avesse rinunciato a conquistare il cuore di Keith prediligendo la vendetta.

Tuttavia, se Claud si fermava a guardarsi intorno, mentre i giorni scorrevano veloci, susseguendosi gli uni agli altri, si rendeva conto di quanto tempo aveva sprecato inutilmente per qualcosa di tanto stupido come la vendetta.

"Vendicarmi... di cosa? Perché Keith ha scelto Evan invece di me? S'è così stupido da accontentarsi di quello sfigato, non ho nulla di cui vendicarmi. È lui che ha perso tanto nel preferirlo a me, non io" pensò. Non era la prima volta che rimurginava su quell'aspetto della sua situazione sentimentale e, come già avvenuto in precedenza, anche quella sera si trovò a stilare un elenco dettagliato di tutti i difetti di Keith, del perché fosse stupido perdere tempo dietro a uno come lui, quando aveva preferito un altro al posto di Claud Blake, e ciò avveniva ogni volta che il giovane – proprio come accedeva in quel momento, appunto – si trovava a fissare i futuri sposini da lontano.

Claud occupava uno dei salottini del Seraphim, teoricamente per tenere compagnia a un cliente, ma non riusciva a staccare gli occhi di dosso da Evan e Keith che stavano chiacchierando amabilmente al bar. Sbuffò e il suo cliente si accorse di non trovarsi al centro delle attenzioni del serafino.

-Almeno portami qualcosa da bere!- protestò l'uomo e Claud gli rispose senza neanche voltarsi verso di lui.
-Il servizio bar non è compreso nel prezzo- ribatté e l'altro si spazientì, decidendo di chiudere lì il loro incontro. Pagò la mancia che spettava al giovane e se ne andò borbottando, mentre Claud si avvicinava al bar, prendendo posto il più lontano possibile dalla coppia.

-Se continui così, rischi di fargli prendere fuoco solo con le tue stupide occhiatacce- sussurrò Amber, facendo scivolare un calice di vetro con delicatezza sulla superficie del bancone. Claud fissò il contenuto trasparente del bicchiere, fece una piccola smorfia e poi iniziò a rigirarsi lo stelo sottile tra due dita.

-Stai tranquilla. Nessuno ti tocca i tuoi amichetti- borbottò.
-Io sono tranquillissima- asserì Amber, puntellandosi i fianchi con le mani. -L'amore vince sempre...-
-Nelle favole- la interruppe lui e l'altra gli rivolse uno sguardo severo.
-L'amore è una bellissima favola. L'unica che si realizza anche nella vita reale-

-Che romantica... uhm. Sarà che la tua amichetta è riuscita a catturarti, alla fine? Com'è che si chiama... Tiana, Ta...-
-Titty- disse Amber, aggrottando la fronte. -E non ha catturato nessuno, perché io non sono la preda di nessuno. Siamo solo amiche. Ci vogliamo tanto bene e fine-
-Se lo dici tu-
-Non ti devo spiegazioni, Claud-
-Nemmeno io- disse il giovane e bevve il contenuto del calice in un sorso solo, batté una mano sul bancone e prese commiato da lei.

Si sentiva frustrato e infastidito dal dovere assistere al continuo scambio di carinerie tra Keith ed Evan; avrebbe preferito di gran lunga chiudere lì la serata. Nonostante si rendesse conto di avere cose più importanti a cui pensare, quella situazione gli appariva un po' come la ciliegina sulla torta e sembrava che neanche continuare a stilare mentalmente i perché Keith non meritasse il suo cuore, non fosse più sufficiente.

Si recò negli spogliatoi, mettendo in giro la voce, tra i colleghi, di accusare un improvviso e devastante mal di testa, che gli rendeva impossibile continuare a lavorare, rintanandosi nella stanza con la scusa di prendersi un po' di tempo in attesa che gli passasse.

Così si trovò seduto sulla panca che si trovava tra le file degli armadietti degli spogliatoi riservati ai serafini. Pareva che davvero la testa dovesse scoppiargli da un momento all'altro, ma se si guardava dentro, se la smetteva di continuare a rifilare anche a se stesso le inutili maschere che sfoggiava con coloro che lo circondavano, si rendeva conto che il proprio malessere non aveva nulla a che fare con Keith, men che mai era di natura infiammatoria.

"Stai perdendo troppo tempo" si disse, timoroso di vedersi raggiungere da Red e i suoi uomini anche a Los Angeles, "Potremmo saltare tutti in aria e sarebbe colpa mia" pensò con orrore e si strinse la testa tra le mani. Udì la porta degli spogliatoi aprirsi e richiudersi e Claud sospirò, irritato dalla mancanza di privacy.

Sollevò lo sguardo e percepì le spalle irrigidirsi, trovandosi faccia a faccia con Keith.

-Amber mi ha detto che stai poco bene- esordì il giovane e l'altro scosse la testa.
-Mi ha servito un super alcolico e sto sbronzo. Potrei saltarti addosso- disse e Keith socchiuse gli occhi e contrasse la mascella; incrociò le braccia sul petto e si morse le labbra, trattenendo a stento un urlo.
-Sei un grandissimo idiota, Claud! Dannazione!- gridò alla fine, cedendo ai propri impulsi. -Sono qui per aiutarti, siamo qui per aiutarti! Perché diavolo ti devi ostinare a rovinare tutto?-
-Rovinare cosa? Non hai il tuo bel matrimonio da organizzare? Chi sono io per rovinare i tuoi preparativi? Oppure pensi che sarei in grado di mandare a puttane il tuo matrimonio?- lo provocò, alzandosi in piedi e facendoglisi vicino.

Keith non mosse un muscolo e rimase fermo a fissarlo, anche se gli fu difficile non allontanarsi da lui. Non che avesse paura, ma sapeva che Claud era imprevedibile e non sempre le sue azioni risultavano piacevoli.

-Sai...- iniziò col dire il giovane; trasse un profondo respiro e tornò a chiudere gli occhi, passandosi una mani tra i capelli e riuscendo a scompigliarli tanto da farli apparire come un groviglio informe. Claud deglutì e percepì il proprio cuore perdere un battito.

Era proprio quella dolcezza spiccata e goffa che lo rendeva pazzo di Keith: un'umanità a cui lui non era abituato. Quando lavorava come modello, Claud aveva avuto a che fare con persone a cui non interessava assolutamente nulla di lui. In quel periodo della sua vita non c'era stato spazio per costruire amicizie; la rivalità tra colleghi si era rivelata presto tanto estenuante e spietata da portare il giovane a credere che non esistesse nessuna solidarietà neanche tra persone che condividevano gli stessi casini, lo stesso stress psico-emotivo, anzi: conoscere la sofferenza altrui spesso si tramutava in un'arma in grado di colpire con crudele precisione.

Jeffrey era sempre stato diverso dagli altri, ma altrettanto freddo e distaccato. Con il senno di poi, Claud comprendeva che l'atteggiamento dell'amico si era rivelato necessario, nel tentativo di prendere le distanze dai suoi sentimenti, ma, in fin dei conti, se stava lì a riflettere sul perché si fosse fatto conquistare con tanta facilità da Keith, sapeva che poteva darsi una sola risposta: Keith era imperfetto e, proprio per questo, ai suoi occhi spiccava come la più sfavillante pietra preziosa in mezzo al fango.

-Hai sentito quello che ho detto?- gli chiese il giovane e l'altro strabuzzò gli occhi, riscuotendosi dal proprio torpore. Tentò di spegnere i pensieri e di smetterla di stare lì a riflettere per quale motivo si era innamorato di Keith, tornando a compilare mentalmente la lista dei suoi difetti.

-No- disse. "È goffo".

-Stavo dicendo... cioè, è imbarazzante e forse fuori luogo. Soprattutto dovermi ripetere- "Stupido". -Ma... ho pensato: tu e io abbiamo condiviso qualcosa di importante. Non so per te, ma per me è stato importante. Sì, poi mi sono sentito in colpa, abbiamo litigato e tutto quanto, ma...-

"Si sente in colpa pure per le stronzate. È un vittimista fastidioso".

-... sei la persona che mi conosce meglio, no? A parte Evan- "Esasperante". -Io e te siamo amici, adesso. Anche se tu continui a comportarti in un modo che io non sempre capisco...-

"Sì, è proprio stupido" si ripeté Claud mentre l'altro arrossiva e si mordeva la punta della lingua, "Dolcissimo..." pensò e chiuse gli occhi, per evitare di continuare a guardarlo e farsi sviare dai propri propositi.

-Ecco. Quello che sto cercando di dirti è che... non devi più nasconderti con me. Sul serio, Claud. Ultimamente ti ho visto spesso triste e fuori fase. Mi dispiace se ti senti così per colpa mia, cioè... io mi sento in colpa, ma penso anche che forse mi sto dando troppa importanza. Probabilmente tu hai altri casini per la testa e io non c'entro nulla, ma mi preoccupa vederti così-
-E quindi?- chiese l'altro con un sospiro, riaprendo gli occhi. Keith gli sorrise e il giovane percepì le labbra muoversi di propria spontanea volontà, per imitarlo.
-Se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, io per te ci sarò sempre-
-Dopo tutto quello che vi ho fatto passare?-
Keith si strinse nelle spalle.

-Sono stupido, sicuro, ma... ho imparato ch'è importante dare delle seconde opportunità. L'ho fatto con Jeffrey, con Evan. Ci sto provando con Ryan. Perché non dovrei farlo anche con te?-

Claud iniziò a rigirarsi una ciocca di capelli tra due dita, fissando con morbosa attenzione i propri movimenti, assumendo la sua tipica espressione strafottente. Tuttavia, Keith dedusse che le sue parole dovevano avere sortito un certo effetto sull'altro, altrimenti era sicuro che Claud avrebbe continuato a rispondergli in modo provocatorio, invece taceva.

Fu proprio lui a coprire la breve distanza che li separava e lo abbracciò, mentre l'altro si irrigidiva e stringeva con forza la ciocca di capelli tra le dita. Claud inspirò a pieni polmoni il profumo della sua pelle e, quando comprese che Keith stava per porre fine a quell'inaspettato gesto affettuoso, tentò di riassumere un'espressione impenetrabile, lasciandolo andare.

Lo vide sorridere di nuovo e poi voltargli le spalle, uscendo dagli spogliatoi. Claud percepì le gambe cedere e si sedette sulla panca. Si portò una mano al petto, chiuse gli occhi, e iniziò a respirare lentamente, tentando di calmarsi. Serrò una mano a pugno e ne morse il dorso, con forza. Sentiva il bisogno di sfogarsi, distruggere tutto, piangere e urlare, ma si stupì di se stesso perché non fece assolutamente nulla di tutto ciò, anzi, rimase seduto, con gli occhi asciutti, mentre il respiro, poco alla volta, tornava regolare.

"È questo che si prova? Quando ti spezzano il cuore e capisci che non c'è più nulla da fare, se non andare avanti?" si domandò. Scosse la testa, si alzò e scrollò le gambe per riattivare la circolazione. Si cambiò velocemente e uscì dall'ingresso secondario del locale. Mandò un messaggio ad Amber, avvisandola che aveva deciso di tornare a casa per via del mal di testa che si era fatto insopportabile.

Non era vero, certo, ma il fatto che si fosse rassegnato a lasciare andare Keith, non significava che fosse anche pronto per comportarsi in sua presenza come se nulla fosse.

"Mi servono un paio di giorni..." si disse, sicuro che gli sarebbero bastati per rimettersi in sesto, "E poi basta. Con l'amore abbiamo chiuso, Claud. Ecco cos'era... il bastardo. L'amore. Hai rischiato di farti rincoglionire dalle favole che disprezzi tanto" si rimproverò, uscendo per strada e guardandosi intorno in cerca di un taxi.

"Adesso potrai seriamente impegnarti a risolvere i tuoi guai con Red..." e mentre pensava ciò, un'automobile accostò al marciapiede, a pochi passi da lui.

-Ha sbagliato persona. Le puttane le trova...- iniziò col dire. "Magari finisco la serata con una scazzottata" si disse, guardando il finestrino del lato del guidatore abbassarsi.
-Qui- disse Pashkà con un sorrisino. -Che fai, sali?-
-E se mi rifiutassi?- mormorò Claud, sentendosi pietrificare dalla paura.
-Non ho voglia di sporcarmi i vestiti- sussurrò l'altro. -È sempre un casino togliere le macchie di sangue e questa felpa è nuova. Sarebbe un vero peccato- aggiunse e nella luce riflessa di un lampione, Claud vide con chiarezza la canna della pistola che gli puntava addosso. -Sali-

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