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20

-Oh, ma davvero?- disse Jeffrey con tono canzonatorio, sedendosi sul divano, tenendo d'occhio il suo inatteso ospite. -E cosa vuoi adesso, Claud?- gli domandò. -Perché mi sembra che tu abbia messo una pietra sopra ai tuoi sentimenti per Keith, o sbaglio? Ultimamente ti stai comportando bene... troppo-

L'uomo assunse una posizione comoda, si sentiva davvero esausto, ma la tensione che gli aveva contratto le spalle non aveva nulla a che vedere con ciò che gli si agitava nel cuore a causa di Theo e Daniel.

Era preoccupato per Claud. Il volto del suo amico era tumefatto: un grosso livido giallognolo gli riempiva buona parte della guancia sinistra; le palpebre di entrambi gli occhi erano un po' gonfie e il labbro superiore era lacerato.

-Vendetta?- lo incalzò, scivolando con lo sguardo lungo tutto il suo corpo, in buona parte coperto dai vestiti. Indossava una vecchia e logora tuta, lontana dai pantaloni di pelle e le maglie aderenti che a lui piaceva sfoggiare circa trecentosessantacinque giorni all'anno, indipendentemente dalle stagioni, e quello gli faceva temere che ci fosse altro, nascosto alla vista, ma non lontano da ciò che gli deturpava il viso.

-Jeffrey- mormorò Claud e chiuse gli occhi, chinando il capo in avanti, stringendosi le braccia intorno al busto. I capelli gli celarono buona parte del volto, negandogli la sua espressione. L'uomo aggrottò la fronte e la preoccupazione tornò a riempirgli il petto. Si alzò dal divano e si sedette su un bracciolo della poltrona occupata dall'altro, passandogli un braccio intorno alle spalle. Percepì Claud dapprima irrigidirsi, poi sospirare, infine si lasciò andare contro di lui. -Ho combinato un casino-

-Li risolviamo, i tuoi casini, come sempre- tentò di rassicurarlo l'amico, ma Claud scosse la testa e si allontanò da lui.
-Questa volta è diverso...- incominciò col dire, ma Jeffrey lo interruppe subito.
-Claud!- lo richiamò, finendo sul pavimento. Si sedette sulle ginocchia, guardandolo dal basso, afferrandogli il viso con entrambe le mani, con delicatezza, cercando di non premere sui lividi. L'altro sussultò lo stesso, ma Jeffrey non avrebbe saputo dire se per dolore o paura: sembrava terrorizzato. -Devi parlarmi. Devi dirmi tutto quello ch'è successo. Niente più bugie, niente più sotterfugi-

-Perché dovrei farlo? Avevo soltanto bisogno di... vederti. Per questo sono qui, ma risolverò tutto da solo-
-Claud! Dannazione! Non sei solo!-
-Ho te?- gli chiese il giovane, con tono provocatorio, fissandolo in tralice.
-Sì. Io e te siamo amici-

Le labbra di Claud tremarono e la sua espressione parve sgretolarsi all'improvviso, mentre l'ostentata arroganza cedeva il posto a qualcosa che Jeffrey non aveva mai creduto fosse possibile leggere in lui: fragilità.

-Ho... bisogno di te- mormorò Claud e Jeffrey si protese verso di lui, stringendolo a sé. -Ho combinato un casino-
-Parlami...-
-Non posso- lo interruppe l'altro.
-Per favore, Claud, io voglio aiutarti-
-Giudicarmi, forse- mormorò l'amico, spostandosi da lui, mentre l'uomo si alzava da terra, allibito.

-Sei in difficoltà, non potrei mai...- tentò di dire Jeffrey, ma non riuscì a terminare la frase, che l'altro iniziò a urlare.
-Sì, che potresti! E lo farai! Come hanno sempre fatto tutti! Cosa cambia tra te e tutti quelli che gettano di continuo sentenze su di me?-
-Sei tu che hai dato alito agli altri di parlare. Hai sempre fatto tutto tu- ribatté Jeffrey, incrociando le braccia sul petto.

Era preoccupato per lui, sì, profondamente dispiaciuto, ma non era nemmeno disposto a stare lì e assumersi colpe che non aveva. Aveva trattato Claud con superficialità? Forse. Ma la verità era che anche in quel caso le colpe, secondo lui, si trovavano esattamente nel mezzo. Non poteva addossarsi anche le responsabilità dell'altro e la noncuranza con cui si era prodigato a tacere anche davanti a ciò che sentiva dire sul proprio conto e non gli piaceva.

-Invece di permettere agli altri di mettere in giro voci su di te, avresti potuto stroncarle. Avresti potuto fare di tutto per smentirle e io ti avrei aiutato! Invece tu hai fatto di tutto per alimentarle! E quando non hai fatto nulla è stato anche peggio! Perché hai lasciato correre, hai permesso che la frana crescesse a dismisura e adesso ti sta trav...-
-Non avevo la forza di combatterla! Avevo cose più importanti...!-
-Hai sempre avuto una famiglia che è pazza di te! E io ti sono amico!-
-Un amico che non sa nemmeno che io un padre non ce l'ho e mia madre non si ricorda nemmeno chi cazzo sono!- urlò Claud, rimanendo senza fiato.

Si trovò in piedi, a fronteggiare l'altro, e sgranò gli occhi nel rendersi conto di quello che aveva detto. Deglutì e si umettò le labbra, fuggendo dallo suo sguardo esterrefatto.

-Fai finta che sia solo una storiella che ti ho raccontato nel disperato tentativo di riconquistarti- sussurrò il giovane, tornando a sedersi sulla poltrona, con un sospiro di dolore.
-È questo che vuoi? Riconquistarmi?-
-Dimmi tu che hai dedotto, stavolta, così facciamo prima- ribatté Claud con amarezza e l'altro finì per spazientirsi.

-Sei incredibile, Claud! Pure nella disperazione continui a comportarti da stronzo!-
-Ormai ci sono abituato-
-Stai a pezzi! Hai paura!-
-Nah. Sicuramente hai frainteso...-
-Smettila!- urlò Jeffrey e lo afferrò per le spalle, scrollandolo, e si fermò solo quando si rese conto della smorfia di sofferenza che aveva contratto il suo viso.

-Dimmi la verità- lo implorò e l'altro trasse un profondo respiro.
-Te l'ho detto. Non ho una famiglia che mi guarda le spalle. I miei genitori non hanno mai avuto granché modo di soddisfare i miei... capricci. Mio padre si ammazzava di lavoro per mantenerci e mia madre ha incominciato a perdere colpi prima ancora che lui ci lasciasse-
-Perché non me l'hai mai detto?- gli domandò Jeffrey, sedendosi al suo fianco, trovandosi stretto a lui nel poco spazio della poltrona.

Claud poggiò la testa su una sua spalla e fece una smorfia, di cui subito si pentì, sentendo il labbro superiore tirare dolorosamente e bruciargli.

-Quando ci siamo conosciuti... stavo già messo bene. A livello economico, dico. Avevo passato il periodo di merda, sistemato mia madre a Palm Springs. Una residenza per anziani con tutti i comfort. Non volevo le mancasse nulla...-
-E volevi tenerla lontana dalla tua vita a Los Angeles- lo interruppe Jeffrey.
-Mi ero già fatto un nome. Non molto piacevole, quindi non volevo che ne fosse travolta. Anche se non è che capisca granché di 'ste cose. Te l'ho detto: non ci sta con la testa. Ragiona come una bambina di sei anni, quando è in sì. Quando è in no... è tipo come una bella bambola priva di raziocinio- mormorò Claud e la sua voce si incrinò, impedendogli di continuare.

Jeffrey gli accarezzò un braccio e gli baciò i capelli. "Adesso, sì, che mi sento in colpa" pensò, "Come ho fatto a non accorgermene?" si chiese, certo che, quella volta, l'altro gli avesse raccontato la verità. Se lo sentiva nelle ossa, come se quelle parole gli fossero entrate fin dentro la pelle. Nulla di tutto quello che Claud gli aveva appena detto giustificava il suo comportamento passato, ma almeno gli dava la possibilità di capirlo un po' meglio.

Fu terribile rendersi conto che conosceva Claud da anni, gli voleva bene, lo considerava un amico e poi rendersi conto che si era accodato a tutti gli altri, a tutti quelli che lo invidiavano, disprezzavano. Anche lui, proprio come loro, non sapeva nulla su di lui. La prima cosa l'aveva appena scoperta dopo quasi tre anni che si frequentavano.

-Mi spiace- sussurrò Jeffrey tra i suoi capelli.
-Fa nulla-
-Tua mamma...? Come hai fatto a pagare la casa di riposo? Hai dato via tutti i tuoi soldi per me. Palm Springs... immagino che sia molto caro mantenerla lì-
-Uhm- fece Claud e rabbrividì. -Ho saltato un paio di mensilità, ma visto che fino ad allora ero sempre stato regolare nei pagamenti, hanno chiuso un occhio. Mia madre sta lì da anni-
-Come hai fatto a recuperare i soldi che ti servivano? Avresti potuto chiederli a me. Se avessi saputo che sarebbero bastati i soldi per tenere a bada Octavia...-

-Non solo quello, ricordi?- lo interruppe Claud, sospirando mestamente. -Comunque non ha importanza. Ormai è storia passata-
-Come hai fatto?- insistette Jeffrey e l'altro si scostò da lui. Gli rivolse il cenno di una mano, come a volere scacciare via l'aria.
-Come facevo quando ero un ragazzino squattrinato, prima di diventare il favoloso Claud Blake- disse il giovane.
-E sarebbe?- lo incalzò l'amico e l'altro gli rivolse uno sguardo di sottecchi.
-Arrangiandomi- sussurrò e così come un istante prima Jeffrey aveva letto verità in quello che gli aveva detto, in quell'unica parola sentì risuonare forte l'eco dell'ennesima bugia.

-Non vuoi dirmi in che guai ti trovi adesso?- sibilò l'uomo e l'altro socchiuse gli occhi, stringendosi le mani sull'addome, mentre impallidiva. -Stai male... ti hanno picchiato-
-No-
-Si vede lontano un miglio, Claud! Evita di mentire pure per le cose...-
-Sto bene-
-Non ti credo-
-Non è la prima volta- ribatté il giovane e l'altro scosse la testa.

-Perché non vuoi dirmi cosa è successo?-
-Perché... ci sono altre persone nel mezzo. E devo prima parlare con questa persona... cioè, con loro- si corresse, temendo di essersi già fatto sfuggire fin troppo.
-La parte che riguarda te?- insistette a chiedergli Jeffrey, ma l'altro tornò a poggiarsi contro di lui e chiuse gli occhi, ponendo fine alla loro conversazione.

Un paio di giorni dopo, Claud decise che era arrivato il momento di tornare a parlare. Aveva vissuto in casa di Jeffrey, nel frattempo, anche se sapeva che la sua presenza avrebbe rischiato di metterlo in pericolo. Tuttavia, Red gli aveva assicurato che gli avrebbe concesso del tempo, non troppo, ma abbastanza affinché lui riuscisse a convincere Roan a tornare a casa di sua spontanea volontà. Quello era un punto importante per Red, perché voleva che il fratello tornasse da lui senza mai più fargli perdere tempo con suoi altri tentativi di fuga: doveva essere assolutamente certo che Roan sarebbe voluto restare al suo fianco.

Claud avrebbe potuto usare la violenza, la seduzione, qualsiasi arma gli risultasse più efficace per portare a termine il compito che gli era stato affidato. L'importante era che Roan tornasse a casa.

"Come posso costringerlo a fare una cosa del genere?" si domandò il giovane, fissando il proprio riflesso nello specchio posto sopra il lavello del bagno. Scosse la testa e si lavò il viso con abbondante acqua fredda. Rabbrividì e si strinse i capelli tra le mani, sentendosi schiacciare dal peso di quella situazione.

Si asciugò il volto, tamponandolo con delicatezza con un asciugamano, e uscì dal bagno. Jeffrey lo accolse in cucina e gli porse una tazza contenente del caffè appena fatto.

-Buongiorno- gli disse e l'altro annuì. -Ancora con il mutismo?- aggiunse l'uomo, ma il suo ospite rimase in silenzio. Aveva deciso di tornare a parlare, dopo avere trascorso gli ultimi giorni a tacere proprio per evitare che l'altro riuscisse a scucirgli qualche parola di troppo. Jeffrey era già coinvolto in quella storia, e per colpa sua, ma Claud non voleva che finisse per mettersi in mezzo ancora di più.

-Oggi... torno a casa mia- disse il giovane e l'altro aggrottò la fronte.
-Come ti senti?-
-Non ho nulla che un po' di fondotinta non possa nascondere. Stasera torno pure a lavoro- disse e Jeffrey incominciò a innervosirsi. Claud se ne accorse, bevve il suo caffè, e tornò nella stanza degli ospiti, per cambiarsi con l'intenzione di lasciare l'appartamento dell'amico il prima possibile, visto che si sentiva fisicamente meglio.

L'idea di dovere affrontare le settimane successive lo spaventava, ma era ancora più terrorizzato davanti la possibilità che a una qualsiasi delle persone a cui voleva bene potesse succedere qualcosa di brutto.

Si sentiva come se si muovesse sul filo di un rasoio: da una parte le persone a cui voleva bene, dall'altra Roan, in mezzo Red, che lo stava obbligando a scegliere chi sacrificare.

Il giovane percepì gli occhi riempirsi di lacrime e si affrettò a vestirsi. Le mani tremavano e la mente era sconvolta da pensieri che assumevano le forme più agghiaccianti, mentre immaginava quali potessero essere gli esiti in base a quelle che sarebbero state le sue future mosse.

-Altrimenti sarai costretto a spiegare ai tuoi amichetti per quale motivo il loro bel locale rischia di fare... boom!-

Rabbrividì.

"Non mettono piede al Seraphim perché li disgusta. Quindi posso ancora sperare di muovermi all'interno del locale senza avere i loro occhi puntati addosso... finché non si spazientiscono e lo fanno esplodere per davvero" pensò con orrore, mentre la vista gli si faceva sempre più incerta.

Percepì le braccia di qualcuno abbracciargli il busto e sussultò in preda al panico, sentendo il cuore schizzargli in gola per la paura.

-Puoi restare quanto vuoi, qui- sussurrò Jeffrey in suo orecchio. -Anche in silenzio. Ma siamo amici, Claud. Per favore, questa volta non tagliarmi fuori dalla tua vita-

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