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-Ancora con quello stronzo!- sbuffò Evan, irritato, non sopportando più che le loro conversazioni virassero di continuo su l'ex modello. -Troppo buono Keith a non averlo licenziato! Dovresti farlo- aggiunse rivolgendosi al compagno. -Soprattutto dopo quello che ha fatto con Octavia-
Keith lasciò perdere i piatti e tornò a girarsi verso di loro, poggiandosi contro il bordo del lavello.
-Ha difficoltà economiche...- tentò di dire, con lo stesso tono di chi aveva già ripetuto le stesse parole fino alla nausea.
-Stupidaggini-
-Uhm... - fece Jeffrey, abbassando gli occhi sul proprio bicchiere, pieno per metà con ciò che era rimasto di una bottiglia di vino. -Sai, Evan, anch'io pensavo lo stesso fino a qualche giorno fa. Daniel... hai presente? Lavora con me, in agenzia. È un ragazzo molto ingenuo, dolce. Beh... frequenta Claud. Ora, non so, ma magari Claud gli sta lasciando vedere di sé qualcosa che a noi ha sempre nascosto. Qualcosa che ha convinto Daniel che Claud sia diverso da come lo vediamo noi-
-Cosa è cambiato?- domandò Evan, facendosi guardingo.
Jeffrey si strinse nelle spalle e mandò giù il contenuto del proprio bicchiere. Si asciugò le labbra con il dorso di una mano – un gesto davvero poco elegante, per uno come lui.
-Non lo so... ma penso che sia a causa mia. Daniel non lo sa, anche se è successo dopo che loro hanno incominciato a uscire insieme. È, comunque, una cosa che riguarda anche me-
-Non credo che tu sia impazzito di colpo e ti sia deciso a tornare a fare sesso con lui, visto anche quello che ha combinato con tua madre. Quindi... avete litigato?- gli chiese il fratello e lui annuì. Keith sospirò triste e si avvicinò al compagno, che lo fece sedere sulle proprie ginocchia, passandogli un braccio in vita, mentre l'altro poggiava i gomiti sul tavolo.
-È per questo che non si fa vedere più in giro- dedusse il giovane e il suo ospite annuì.
-Temo di sì. Credo di essere stato troppo duro con lui-
-Sai che non c'è cosa che Claud non faccia se non per ottenere un tornaconto. E poi distrugge tutto ciò che tocca!- disse Evan, stringendo di più Keith a sé. -Pure Daniel dovrebbe allontanarlo dalla sua vita, prima che faccia male anche a lui! Come puoi permettergli di spezzare il cuore a un'altra persona che ti è vicina?-
Parlare di Claud riportava alla mente di Evan i piani che l'ex modello aveva architettato nel tempo, con insistenza, senza curarsi della sua esistenza, con l'intenzione di portargli via l'uomo che amava. Si era posto tra di loro e aveva coinvolto pure Ryan nel tentativo di allontanarli, di farli lasciare, con il risultato che Evan e Keith avevano avuto altro di cui litigare – oltre tutte le divergenze che li avevano trovati in disaccordo all'inizio della loro relazione – e avevano anche perso un amico.
-Però... a me sembrava sincero quando ha detto che era rimasto senza soldi- mormorò Keith ed Evan nascose il viso contro la sua schiena.
-Per causa mia- puntualizzò Jeffrey con un sorriso triste. -Daniel è un uomo adulto, vede del buono in Claud. L'ho messo già in guardia sul suo conto, ma più di questo non posso fare. Se vogliamo credere a Claud, è rimasto al verde per salvare me da Octavia... e non ha fatto nulla per farmela pagare. Pensavo che mi avrebbe messo in mezzo tra voi due, invece no-
-Io stavo per fare lo stesso, volevo aiutarti, senza soldi, rischiando di finire dietro le sbarre. Sei mio fratello e l'avrei fatto senza chiederti nulla in cambio. Alla fine avevamo pure pensato di optare per la donazione, sarebbe stato tutto legale. Poteva pensarci lui, dato che si è sempre reputato più sveglio di noi, invece di mettere in piedi tutto 'sto casino-
-Sì, sono d'accordo. Da questo punto di vista è imperdonabile- convenne Jeffrey. -Claud ha il brutto vizio di complicare sempre tutto. Sceglie sempre quella che pensa essere la strada più facile, senza guardare alle conseguenze e, puntualmente, si rivelano tutte strade veloci, non di certo facili. Ottiene ciò che vuole in poco tempo, ma a un prezzo sempre troppo alto-
-Già- disse Evan, baciando la schiena del compagno.
-Non voglio privarlo del mio aiuto- disse con ostinazione Keith, dopo averli ascoltati in silenzio, e l'altro sospirò sconfitto.
-Basta che tu riesca a tirarti indietro prima che ti trascini nel fango con sé- disse Evan.
-Non succederà mai- gli assicurò il giovane, girandosi verso di lui e accarezzandogli una guancia, facendo scorrere un pollice sulla ispida barba che gli incorniciava la mandibola. -Ho detto che ho intenzione di continuare ad aiutarlo. Sono in debito con Claud: lui mi ha aperto gli occhi, aiutandomi, in qualche modo... ad accettarmi. È anche merito suo se adesso sono in grado di amarti- mormorò con un filo di voce, timoroso della possibile reazione dell'altro a quelle parole, ma Evan si limitò ad annuire e gli diede un bacio a fior di labbra. -Ma proprio per questo motivo, non farei mai nulla che mi potrebbe fare correre il rischio di perderti. Puoi starne certo. Voglio solo aiutare una persona in difficoltà-
•
Non erano ancora passate le undici quando Jeffrey decise di lasciare la coppia da sola. Era stato piacevole passare un po' di tempo in loro compagnia, ma stava diventando insofferente davanti tutte le loro moine colme d'amore. Tutte le loro effusioni parevano battere con violenza come un martello contro un chiodo, solo che il suo "chiodo" di nome faceva Theodore Smith e Jeffrey non voleva che continuasse a penetrare nelle profondità della propria carne, quando erano mesi che stava tentando con ogni mezzo a propria disposizione di strapparselo dal cuore.
-Hey, Jeff- si sentì chiamare da Keith e l'uomo si fermò proprio davanti la portiera della sua limousine, aperta, mentre l'autista attendeva che si accomodasse.
-Che ci fai qui? Si è fatto freddo e hai solo quel maglioncino addosso- disse, indicandogli il petto con un dito.
-Tu hai freddo?- gli chiese Keith, passandosi entrambe le mani sulle braccia. Le temperature si facevano sempre più rigide la sera, in quella zona, anche d'estate; dopotutto si trovavano piuttosto alti rispetto il livello del mare.
-No- fece Jeffrey, battendosi una mano sulla giacca, di pelle imbottita, che gli aveva prestato Evan e che aveva indossato sopra gli altri vestiti che, invece, appartenevano a Keith, mentre in una mano stringeva il sacchetto che conteneva il suo completo, la camicia e la cravatta, resi sudici da bava di cane e terriccio.
-Ehm... senti. Prima che tu te ne vada...- mormorò Keith in preda all'imbarazzo e, alla luce scarsa dei fari della limousine e di un paio di lampioni che illuminavano la strada in quel punto, Jeffrey notò che l'altro era arrossito tanto che pure le orecchie gli si erano fatte incandescenti. -Tu... sei la famiglia di Evan- disse il giovane, sollevando gli occhi su di lui. Le sue iridi blu erano così stracolme di emozione che parevano brillare.
Jeffrey gli passò un braccio intorno alle spalle e lo fece salire nella sua limousine, dopo avere avvisato l'autista che avrebbero impiegato ancora qualche minuto prima di ripartire, premurandosi di invitare anche l'altro a chiudersi al caldo della vettura, in attesa che gli desse il via libera per ritornare in città.
-Sono contento che pensi questo di me. È vero, non lo siamo più dal punto di vista legale, non lo siamo mai stati di sangue, ma anch'io vedo in Evan un fratello. La mia famiglia... di cui fai parte anche tu- disse Jeffrey e l'altro tirò un sospiro di sollievo, percependo la pelle delle mani come evaporare, mentre il freddo del corpo si scontrava con il calore dell'abitacolo.
-Io e te... ne abbiamo passate tante, Jeff. Mi dispiace essere corso da Claud, quella notte, offendendo tutta la gentilezza che tu mi avevi dimostrato, rifiutandoti di fare sesso con me-
Jeffrey sorrise con dolcezza e scosse la testa.
-Non mi sono offeso. All'inizio ero un po' arrabbiato, lo ammetto, ma nonostante fossi stato innamorato di te a lungo... quella storia mi è servita. È stato allora che ho imparato che l'amore non si compra, non si ingabbia. È stata la lezione che mi ha aiutato ad amare Theo e poi a lasciarlo andare- disse, trovandosi costretto a schiarirsi la gola, perché la voce, alle ultime parole, si era fatta tanto tremula che pure lui provò un pizzico di pena nell'udire se stesso.
Keith lo abbracciò con forza, trattenendo a stento le lacrime.
-L'amore arriverà anche per te. Te lo meriti così tanto, Jeffrey. Te lo meriti più di tutti noi- disse e l'altro gli batté una pacca sulla schiena, sciogliendo il loro abbraccio. -Dopo tutto il casino al Seraphim...-
-Sono stato uno stronzo ad assumerti soltanto per portarti a letto- lo interruppe l'altro.
-Ma poi sei cambiato. Ed era dai tempi del liceo che eri innamorato di me e io non ti ho mai ricambiato. Mi dispiace. E poi Claud...!-
-Un altro casino, già!-
-E il casino con Evan... quando ho scoperto che i vostri genitori erano sposati e io avevo finito per rifiutare te, per poi scegliere lui-
-Le cose orribili che ti ho detto quella sera, al Seraphim... . Mi spiace davvero tanto-
Keith scosse la testa, stringendogli le mani nelle proprie.
-Tutta la storia con Theo...-
-E tu mi sei sempre stato vicino, come un buono amico-
-Il bene che vi volete adesso, tu ed Evan, mi rende così felice. Per questo... ecco. Volevo chiederti una cosa- disse il giovane, tornando ad arrossire.
-Ti ascolto- lo esortò Jeffrey e Keith abbassò gli occhi sulle loro mani, intrecciate.
-Voglio chiedere a Evan di sposarmi- sussurrò e sollevò il capo di scatto, rischiando di dare una testata all'altro, che per fortuna si scansò appena in tempo e scosse la testa, rassegnato. -Scusa!- disse Keith.
-Non è successo nulla. Ma...- aggiunse l'uomo, ponendo un dito sulla punta del suo naso, intimandogli di fare silenzio. -... hai la mia benedizione, Keith- disse e il giovane trattenne a fatica l'entusiasmo, tornando ad abbracciarlo.
•
La serata si era fatta tanto gelida che, una volta fuori dalla limousine di Jeffrey, mentre la vettura spariva nella notte in direzione di Los Angeles, Keith si trovò a osservare il proprio respiro condensarsi in nuvolette bianche, sbrigandosi a percorrere il breve tragitto verso casa.
-Tutto okay?- gli chiese Evan, accogliendolo nell'ingresso con un abbraccio, frizzionandogli la schiena con entrambe le mani, nel tentativo di riscaldarlo un po'. Keith annuì e abbassò gli occhi sulle sue labbra, percependo un desiderio spasmodico di baciarlo. Era cosi felice da muoversi come se stesse camminando senza toccare terra; tutto sembrava splendido, ogni piccolo e grande problema appariva risolvibile.
Claud. Il cuore spezzato di Jeffrey. Keith era così felice e innamorato da essere certo che ogni cosa sarebbe andata al suo posto. Con Ryan, anche.
-So che... tua madre non vorrà mai conoscermi, che non mi accetterà mai- disse il giovane e percepì l'altro irrigidirsi tra le proprie braccia.
-Ne abbiamo già parlato, amore. Non è che non voglio portarti con me a San Francisco quando vado a trovarla, ma temo che finirebbe per impedire anche a me di incontrarla, se ti vedesse spuntare con me. Sa che stiamo insieme, sa che sono perdutamente innamorato di te, ma preferisce fare finta che tutto ciò non sia reale e io non posso forzarla...-
-È te che amo, Evan. Non ho bisogno che anche lei entri a far parte della mia vita. Mi dispiace solo per te-
-Loreen ha smesso di essere la mia famiglia da tanto tempo, amore, non è di certo colpa tua-
-Però...-
-Ah, ah!- lo interruppe Evan, riducendolo al silenzio con un bacio. -Ho Jeffrey. La tua famiglia mi ha accolto a braccia aperte. Ho trovato dei genitori amorevoli in Jack e Francine e poi... ho te. Non ho bisogno d'altro. Abbiamo pure due splendidi bimbi! Questa è famiglia-
Keith ridacchiò e rivolse uno sguardo in direzione del divano, dove Rocky e Adriana dormivano. Il giovane contrasse la mascella, afferrò l'altro per i gomiti, conducendolo in camera da letto. Evan lo seguì, con espressione stranita.
-Che intenzioni hai?- gli domandò con fare malizioso e Keith si fermò di colpo, a un passo dal letto, rendendosi conto del messaggio che, probabilmente, stava mandando all'altro. Si sentì arrossire ed Evan rise, abbracciandolo e cullandolo con dolcezza. -Stavo scherzando- sussurrò in un suo orecchio e Keith si morse l'interno di una guancia, in preda a un imbarazzo cocente.
Si scostò da lui e si umettò le labbra. Si guardò intorno: la stanza era piccola e scarsamente illuminata dalla luce della luna che proveniva dall'esterno e filtrava attraverso l'unica finestra presente in camera, proiettando fasci di colore argento sulle coperte del letto. Keith lasciò andare le mani di Evan, accese la luce della stanza, chiuse la porta e tirò le tende.
Voleva che quel momento fosse soltanto per loro due.
Tornò sui propri passi, avvicinandosi all'altro, prendendogli le mani nelle proprie. Era difficile ricambiare il suo sguardo e parlare, ma Keith si schiarì la gola, richiamò a sé tutto il proprio coraggio e tirò fuori la piccola scatolina che aveva tenuto gelosamente custodita in una tasca dei jeans. Non aveva fatto altro che portarsela dietro durante gli ultimi giorni, persino quando si era chiuso in bagno, sotto la doccia, tenendola costantemente sotto controllo e lontana dalla possibilità che Evan potesse scoprirla prima del tempo.
Il compagno si trovò con lo sguardo calamitato sulla scatolina e deglutì sonoramente, mentre Keith veniva scosso da un brivido di gioia misto al terrore di poter ricevere una risposta negativa. La vita era imprevedibile, sapeva di avere per sé tutto l'amore di Evan, ma c'era sempre la possibilità che il suo uomo non si sentisse pronto per fare un passo di quel tipo.
Stava per compiere un salto nel buio, mettendo in gioco tutto il suo cuore, con la speranza di potere continuare a stringere tra le mani il proprio lieto inizio.
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