Until you come back home - Parte I
25 settembre 1978, Londra
Era stato un viaggio lungo e sfiancante, ma Elizabeth non aveva chiuso occhio nemmeno un minuto. Aveva passato l'ultima parte del tragitto in treno osservando in silenzio il paesaggio scivolare monotono e cupo oltre il finestrino, immersa nella confusione dei propri pensieri.
Edward si era sbagliato, lei non era affatto forte abbastanza da sopportare tutto quel dolore, e alla fine aveva fallito, come madre e come moglie.
Si morse un labbro per non ricominciare a piangere, e quando la mano tiepida di Lilith sfiorò la sua si sforzò di sorriderle, nonostante i pensieri cupi ed opprimenti.
-sto bene-
-no, non è vero-
Il sorriso di Elizabeth si spense.
-no, non lo è, ma cos'altro posso fare? -
-smetterla di fingere, Elizabeth-
Le scivolò fuori dalle labbra una risata strozzata.
-oh credimi, mi piacerebbe-
E tuttavia il "ma" che veniva dopo quel tono sarcastico le rimase incastrato in gola: ma lei non era Arya.
Quel pensiero orribile, tutto quell'astio nei confronti della figlia, non faceva che alimentare la rabbia che le impediva di trovare un modo per riavvicinarsi a lei. A volte si rendeva persino conto di non voler affatto trovare un modo, di voler solo dimenticare e cancellare ogni ricordo doloroso dalla propria mente, incluse le urla rabbiose e le parole taglienti di Arya, e si odiava per questo, ma...
-non posso perdonarle anche questo, Lilith-
Disse, spostando lo sguardo dagli edifici ingrigiti dalla pioggia di Londra per guardare sua suocera.
-sta soffrendo... -
-stiamo soffrendo tutti, Dio santo! -
Sbottò Elizabeth, attirando lo sguardo della coppia di passeggeri accomodata due sedili più avanti.
-mio marito è morto-
Continuò, sforzandosi questa volta di mantenere un tono pacato.
-eppure, io sono qui, per una stupida commemorazione che serve a cosa? Elogiare un uomo per essersi fatto uccidere per una causa persa? -
Ripensò alle condoglianze di quell'uomo che nello sguardo non aveva che un briciolo di dispiacere per la morte di Edward, più che altro sembrava preoccupato di ciò che ne sarebbe conseguito, indagini che forse avrebbero portato alla luce quanto il Ministero della Magia fosse inutile, corrotto e pieno fino all'orlo di codardi opportunisti.
Elizabeth ci aveva sperato che accadesse, che se almeno i reali responsabili dell'omicidio di suo marito non fossero stati catturati e condannati, almeno quell'uomo viscido ed inutile che era Cornelius Caramell avesse pagato per non aver impedito che un padre di famiglia, devoto alla propria missione fosse ucciso barbaramente in casa sua.
Invece, aveva ricevuto un elegante invito per commemorare la morte di Edward, con allegato un grazioso biglietto scritto a mano dal Ministro della Magia in persona.
-avrei solo voluto che mia figlia fosse con me, di non affrontare tutto questo da sola-
Disse, mentre il treno con uno sbuffo stanco raggiungeva finalmente il terminale alla stazione di Kings Cross, ed Elizabeth non attese che Lilith replicasse, si alzò sistemandosi la semplice borsa che si era portata su una spalla e si avviò verso l'uscita, dove ad attenderla c'era un austero gruppetto di Auror del Ministero, tutti impassibili nelle loro divise scure, e Fleamont Potter, l'unico con una parvenza di sorriso sul viso, che tuttavia s'incrinò quando il suo sguardo incrociò quello di Elizabeth, che tuttavia non si sentì di biasimarlo.
Dopotutto, fingere non era mai stata una delle sue qualità migliori.
***
Quando il treno fermò la sua corsa, Fleamont si costrinse a metter su una faccia se non allegra, che almeno le facesse capire che fosse sinceramente contento di rivederla dopo tutto quel tempo, ma quando Elizabeth emerse tra la folla di passeggeri che si riversava a fiotti giù dalle porte del treno, per Fleamont fu impossibile mantenere intatto quel precario spirito ottimista.
Per un attimo si chiese persino se quella donna fosse davvero Elizabeth.
Era magra, di una magrezza spigolosa e malsana, così come il colore pallido del suo viso e gli occhi spenti restituivano l'immagine di una donna che sembrava aver perso ogni entusiasmo per la vita.
Quando si abbracciarono, evitò di chiederle come stesse: era abbastanza chiaro che non stesse bene e che l'ultimo posto al mondo in cui probabilmente volesse trovarsi in quel momento fosse lì, quella città in cui ad ogni angolo c'era qualcosa che le ricordava di Edward.
-beh, vi faccio strada: Euphemia starà già preparando il tè per la colazione-
Disse qualche istante dopo che li ebbe raggiunti anche l'anziana Signora Ellis-Miller.
-grazie, Fleamont, davvero-
-non dirlo nemmeno, Elizabeth, ospitarvi è il minimo che possiamo fare-
Elizabeth gli offrì finalmente un sorriso sincero, e assieme si avviarono quindi verso l'uscita dove Fleamont aveva parcheggiato l'auto babbana presa in prestito per l'occasione.
Non disse nulla, ma non era riuscito a fare a meno di notarlo, e non era certo se questo lo facesse sentire più preoccupato o più sollevato.
Arya non c'era.
***
26 settembre 1978, Parigi
-Forse ha solo bisogno di starsene un po' per i fatti suoi, no? -
Ipotizzò Gabrielle con noncuranza, espirando una nuvoletta di fumo acre, mentre con la mano libera inzuppava il croissant ancora tiepido nella schiuma di un invitante cappuccino.
Jonathan, da parte sua, fissava silenzioso la propria sigaretta bruciare e consumarsi mentre ripensava alla notte passata in bianco aspettando che Arya tornasse a casa, inutilmente.
-oh mai dai, non fare quella faccia: hai passato ore in quella stramaledetta stanza ad addestrarla per affrontare i brutti maghi cattivi, e l'hai fatto così bene che onestamente quella ragazzina inizia a farmi quasi paura... oh, a proposito, mio padre ti vuole parlare della carta da parati... -
Insisté Gabrielle, che tuttavia fu bruscamente interrotta dalla voce impaziente di Jonathan:
-ma chi se ne frega della carta da parati, Gabrielle: hai capito che Arya non è tornata a casa stanotte?! -
Sbottò, guadagnandosi un'occhiata di disapprovazione da parte dell'amica, che prima di propinargli chissà quale perla di saggezza si prese tutto il tempo per spegnere la propria sigaretta nell'elegante posacenere di cristallo togliendo poi di mano quella che Jonathan stava lasciando bruciare a vuoto per portarsela alle labbra.
-e allora? Ha diciotto anni... -
-diciassette-
-sì, beh, è comunque maggiorenne e, credimi, è perfettamente in grado di badare a sé stessa anche senza avere il tuo fiato sul collo ogni secondo-
Jonathan sbuffò, abbandonandosi di nuovo contro lo schienale imbottito della poltroncina, pensieroso.
-mi sta nascondendo qualcosa-
-tu sei paranoico, Jonathan-
Onestamente, avrebbe voluto che Gabrielle avesse ragione, che i progressi così rapidi di Arya nel controllare i propri poteri fosse davvero solo frutto del suo impegno e della dedizione che metteva nel loro addestramento quotidiano, tuttavia, Jonathan sentiva che c'era qualcosa di sbagliato, che quei sentimenti contorti, confusi, rabbiosi che percepiva in lei non potevano conciliarsi con quella magistrale padronanza delle arti oscure. Era semplicemente impossibile.
-dov'è Bruce? -
Chiese in un lampo improvviso a Gabrielle.
-non lo so, a scoparsi qualche puttana al Le Petit? -
Buttò lì, con un'alzata di spalle casuale.
-no, non ci provare Blackburn, tieni il tuo fottuto radar sentimentale lontano da me-
Gli intimò Gabrielle quando lui tentò di sondare quali fossero i reali sentimenti che si celavano dietro tutta quella nonchalance fin troppo ben costruita.
-e allora piantala di dirmi cazzate-
-non so dov'è Bruce, va bene? Sono giorni che non lo vedo-
Questa volta era sincera, Jonathan non ebbe nemmeno bisogno di sforzarsi per capirlo, gliela lesse negli occhi la bruciante delusione per essere stata trascurata, quasi dimenticata, come un passatempo diventato ormai noioso.
Poi, improvvisamente lo sguardo di Gabrielle guizzò dal suo ad un punto oltre alla spalla di Jonathan, e così com'erano comparsi quei pensieri cupi svanirono dagli occhi della ragazza, sostituiti da un'espressione attenta e curiosa.
-ma guarda un po' chi c'è-
Cinguettò accennando un mezzo sorriso. Jonathan si voltò convinto di trovarsi di fronte Arya, sentiva già la preoccupazione e la collera per quel suo comportamento perennemente imprevedibile sciogliersi in un mare di sollievo.
Ma non si trattava di Arya, affatto.
-cos'è, un purvincolo ti ha mangiato la lingua, Jonathan? -
Gli chiese retoricamente Gabrielle, trattenendosi dal ridere di lui che fissava il ragazzo appena apparso all'ingresso dell'elegante salotto come fosse stato un fantasma.
Jonathan se lo ricordava come una figura sbiadita e stropicciata, con quella stupida sciarpa rossa e oro stretta al collo e un sorriso fin troppo allegro stampato in faccia.
Poi Sirius Black incrociò il suo sguardo, e Jonathan capì che, se mai vi fosse stata davvero, tutta quell'ingenua spiensieratezza doveva averlo abbandonato da un pezzo.
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