Père Lachaise
3 Settembre 1978, Parigi
"... e anche se tengo a te più di quanto non sia riuscito a dimostrarti, non posso più continuare a sperare che tutto torni come prima, perciò chiudiamola qui, una volta per tutte.
Ti auguro di essere felice e di trovare il tuo posto nel mondo, io cercherò di fare lo stesso.
Sirius"
Arya lasciò scivolare la pergamena sulle coperte colorate del proprio letto, mentre il rumore del battito incessante del suo cuore riempiva l'intera stanza.
Deglutì a fatica, sforzandosi di mandar giù quelle parole come una medicina amara ma necessaria.
Era stata lei a volerlo dopotutto, ad allontanarlo e a desiderare che lui rimanesse relegato in quella vita felice e spensierata che faceva ormai parte solo di un ricordo lontano, il ricordo stropicciato di un giovane Grifondoro e una sorridente Corvonero stretti in un abbraccio al centro della High Street di Hogsmeade.
Era stata Arya a volere che tutto finisse, eppure le parole di quella pergamena l'avevano ferita come una lama affilata che affonda lentamente nella carne e, per quanto ci avesse provato, non riuscì comunque ad evitare che le lacrime le scivolassero copiose lungo il viso, con il silenzio e l'oscurità della propria stanza come unici testimoni di quel momento di inevitabile debolezza.
Solo alcuni minuti dopo riuscì a tornare in sé e infilando un braccio sotto il letto afferrò la maniglia del pesante baule sul quale, sotto lo stemma di Hogwarts, campeggiava ancora, sebbene un po' sbiadito, il suo nome. L'aveva sistemato lì sotto ormai più di un anno prima, come attestava lo spesso strato di polvere che lo ricopriva interamente, all'interno però tutto era ancora pulito e in ordine, così come Arya l'aveva lasciato: la sua vecchia divisa, le ampolle di pozioni, le pergamene intonse e le piume nuove di zecca. I suoi libri: l'aveva sepolto in fondo a tutto il resto, il libro di rune antiche, assieme ad una meravigliosa piuma dai colori cangianti.
Prese il libro e lo aprì nel punto dove una vecchia foto fungeva da inutile segnalibro, una foto che le era stata sottratta e che lei aveva finto di non volere più, come se davvero non fosse nulla di più di ciò che appariva: un malridotto pezzo di carta al quale mancava un angolo.
Jonathan tuttavia gliel'aveva ridata ugualmente, senza chiederle più nulla a riguardo nonostante Arya sapesse che doveva aver letto la verità nelle pieghe più intime della sua anima, che sapesse quanto quel malridotto pezzo di carta al quale mancava un angolo fosse importante per lei.
Rimase a lungo a guardare quella fotografia, senza riuscire ad impedire alle proprie dita di sfiorare il suo sorriso e alla propria mente di crogiolarsi nel ricordo di quegli occhi grigi fissi nei suoi.
Fu un lungo addio, più doloroso di quanto Arya avesse creduto.
Alla fine, prese la pergamena che ancora giaceva abbandonata sulle coperte e ripiegandola con cura la sistemò assieme alla fotografia, al sicuro tra le pagine numero duecentoventi e duecentoventuno del vecchio libro di rune antiche, che seppellì poi nuovamente sotto i frammenti di un'ormai dimenticata ordinaria quotidianità e richiuse il baule, spingendolo al suo posto sotto il letto, affidandolo all'oblio ed alla polvere prima di gettare un incantesimo muffliato alla porta della stanza perché nessuno dall'altra parte potesse sentire lo scricchiolio sommesso della finestra.
Le notti a Parigi avevano cominciato a farsi più fredde, più lunghe e più buie, ma Arya aveva imparato a scivolarvi attraverso, un'ombra come tante altre, silenziosa ed inafferrabile. Così si calò sul viso il cappuccio della pesante felpa che aveva addosso e senza far rumore scavalcò il davanzale della finestra, muovendosi con sicurezza sul cornicione, contando a memoria i passi necessari a raggiungere il tubo di scolo, la grondaia e quindi il tetto.
Ora che aveva in qualche modo superato la paura di trovarsi a parecchi metri dal suolo aveva passato spesso in quel luogo dimenticato e solitario le notti in cui gli incubi o semplicemente i ricordi felici tornavano a tormentarla. Questa sera, tuttavia, non le sarebbe bastato lasciarsi cullare dai rumori attutiti della città addormentata e dal suono del vento tra le fronde degli alberi del parco di fronte a casa. Questa sera le sarebbe servito qualcosa di più concreto e di più forte per esorcizzare ciò che sentiva scuotersi nel suo petto.
Avrebbe potuto andare alla Confraternita, immergersi nell'atmosfera ormai fin troppo familiare di uno dei salotti, bere qualcosa di abbastanza forte da farle dimenticare per un po' il passato che credeva di essersi lasciata alle spalle. Avrebbe potuto andare da Jonathan e lasciare che fossero le sue labbra a distrarla dalla consapevolezza di essersi spinta troppo oltre per tornare sui propri passi.
Poi però pescò dalla tasca un foglietto anonimo su cui era scribacchiato un indirizzo a mala pena leggibile e accanto un invito che pareva celare una sorta di invitante promessa: "Se mai volessi provare qualcosa di diverso. Presentati da sola".
Arya in realtà sapeva chi era l'autore di quel bigliettino e sapeva che avrebbe fatto meglio ad ignorarlo o, ancora meglio a distruggerlo, perché di qualunque cosa si trattasse di certo l'avrebbe portata un altro passo più in là, oltre la cortina di nebbia diretta verso l'oscurità insondabile che le si parava di fronte giorno dopo giorno sempre più fitta, più solida e reale.
Le parole di Sirius però le rimbombavano pericolosamente in testa: "Ti auguro di essere felice e di trovare il tuo posto nel mondo, io cercherò di fare lo stesso", e mentre la sua mente cercava di assimilarle, gli occhi di Arya restavano fissi sull'indirizzo di una via di Parigi, una delle tante che non aveva ancora esplorato: non era certa che ciò che avrebbe trovato in quel posto l'avrebbe resa felice, ma forse, qualunque cosa ci fosse ad attenderla, si sarebbe sentita a suo agio più di quanto non lo fosse negli eleganti salotti della Confraternita, o nella sua cameretta dove riposavano i ricordi della vita a cui la morte e la disperazione l'avevano strappata senza alcuna delicatezza.
Accartocciò tra le dita il biglietto anonimo e concentrò tutti i propri pensieri sul luogo che vi era indicato. Quando infine chiuse quindi gli occhi fu sufficiente solo un istante perché sotto i suoi piedi le tegole irregolari fossero sostituite dall'asfalto umido, una presenza di nuovo solida e tangibile.
Alzò quindi lo sguardo, ritrovandosi in una via illuminata a malapena da quattro lampioni, di cui uno sembrava arrancare nel tentativo di non spegnersi e cedere alla notte buia che aveva già conquistato una porzione consistente di quella solitaria traversa.
Arya lasciò scivolare le proprie dita attorno al legno liscio, caldo e rassicurante della propria bacchetta, quindi avanzò di qualche passo lungo il marciapiede guardandosi attorno in cerca di qualche indizio, di una presenza familiare nascosta nell'oscurità, ma tutto rimase immobile e silenzioso, come se in quell'angolo la città fosse semplicemente precipitata in un sonno immobile e solitario. Dopo una breve ispezione, si convinse infine di essere realmente sola, l'unica anima a vagare come uno spettro in quella via altrimenti deserta, e avvicinandosi ad uno dei lampioni che proiettava un freddo cono di luce sull'asfalto lesse ancora una volta l'indirizzo riportato sul biglietto per confrontarlo con quello appena distinguibile che era affisso all'angolo che segnava l'inizio di quella stradina inquietante. Coincidevano, senza ombra di dubbio.
Osservò meglio il biglietto stropicciato, se lo rigirò tra le dita, ma non vi era indicato nessuno numero in particolare e, sebbene deserta, la via era tappezzata di almeno cinque o sei ingressi, uno più sgangherato dell'altro.
Passò in rassegna i primi due, quelli più vicini alla strada principale che correva perpendicolare alla piccola traversa in cui si era materializzata, lasciando per ultimi quelli che si confondevano nell'oscurità sul fondo della via.
Osservò il legno marcio della prima senza trovarvi il ben che minimo indizio che dietro di essa si trovasse ciò che andava cercando, così passò alla seconda e poi alla terza, ripetendo la medesima accurata ispezione e ottenendo il medesimo accurato responso: nulla. Non vi era nulla che facesse pensare che dietro quelle porte sconnesse e malridotte vi fosse qualcosa di più che un edificio abbandonato.
Aveva appena cominciato a studiare il quarto ingresso senza nome e senza numero quando il silenzio piatto in cui era immersa fu increspato da un sibilo sommesso, un suono appena udibile eppure inequivocabile. Arya lasciò perdere il legno ammuffito che aveva davanti e puntò la bacchetta verso il fondo della via.
-lumos-
Sussurrò, ma la luce prodotta dalla sua bacchetta sembrava incapace di penetrare l'oscurità che aveva colonizzato il fondo della stradina, così Arya lasciò semplicemente perdere e non appena la luce scemò, il sibilo si articolò in una debole voce, che tuttavia non proveniva dal buio tangibile che aveva di fronte, ma da quello incorporeo che dimorava dentro di lei.
Passava ore, giorni interi a sforzarsi di controllarla, quella voce imperiosa che pretendeva di essere ascoltata e assecondata. Jonathan cercava di spiegarle come fare per tenere a bada l'immenso potere che bruciava inestinguibile dentro di lei, ma più ci provava, più Arya si sentiva spossata da quelle infinite battaglie con sé stessa.
Quella sera, tuttavia, la voce non urlava, non si dimenava facendole venire un insopportabile mal di testa. No, quella sera le sussurrava, chiamandola per nome con un tono pacifico, invitante, e Arya era così stanca di resisterle. Forse, avrebbe potuto provare ad assecondarla, solo per una volta.
Mosse qualche passo in avanti, camminando dritta verso quello che a tutti gli effetti dava l'impressione di essere un solido muro di oscurità, ma quando fu abbastanza vicina Arya riuscì a scorgere i contorni appena riconoscibili di una porta che sembrava emergere direttamente dalle tenebre.
Si avvicinò ancora, abbastanza da riconoscere il Marchio di Salazar intagliato nel legno, sebbene Arya non fosse davvero certa che quello di cui era fatta quella porta fosse davvero un materiale solido e tangibile.
Allungò di fronte a sé la mano che non stringeva la bacchetta, mentre il mondo alle sue spalle sbiadiva senza che lei se ne rendesse davvero conto. Ancora pochi centimetri, millimetri e poi soltanto lo spazio di un respiro la separava da ciò che avrebbe trovato al di là della porta magica, che non era dotata né di maniglie né di pomelli.
Quando le dita di Arya raggiunsero la superficie apparentemente inconsistente che aveva di fronte, la ruvidezza del legno la stupì. Era un po' come se chiunque l'avesse intagliata non avesse avuto tempo di finire ciò che aveva cominciato, di levigarne i dettagli e perfezionarne la forma. Tuttavia, percepiva un formicolio familiare sfiorandola, un indizio chiaro che quel legno sebbene ancora grezzo fosse stato impregnato di magia, una magia potente, senza tempo. Magia oscura, senza dubbio.
Sentì la propria voce articolarsi in un sibilo sommesso, un'eco di quel sussurro che l'aveva condotta fin lì.
La porta si aprì quindi docilmente, senza emettere nemmeno un suono, dispiegando davanti ad Arya un luogo gremito di persone che sedute su delle semplici gradinate di pietra osservavano il centro di quello che ad un primo sguardo poteva sembrare un antico teatro.
Lei si trovava nella parte più alta, nell'imponente loggiato che disegnava l'intero perimetro circolare di quella stanza immensa, alternando alle arcate alcune statue di massicci volatili che parevano vegliare su quel luogo da più tempo di quanto Arya potesse immaginare. Una luce innaturale che non proveniva da alcuna finestra illuminava gli spettatori ma soprattutto lo spazio vuoto che rappresentava in qualche modo il fulcro di quel luogo singolare e sul quale erano fissi gli occhi di tutti i presenti. Arya da parte sua non osava muoversi, limitandosi solo a constatare che oltre alla porta che si era chiusa pochi istanti prima alle sue spalle, tante altre erano collocate lungo il loggiato, e tuttavia mentre si chiese su quale altro luogo dimenticato di Parigi si aprissero, una voce insopportabilmente divertita alle sue spalle la fece sobbalzare, riportandola bruscamente al presente.
-ero convinto che non avresti mai trovato il coraggio di venire fin qui da sola-
-evidentemente non mi conosci bene quanto credi-
Replicò seccamente, degnando Bruce Sutherland e il suo ghigno soltanto di un fugace sguardo.
-cosa stanno aspettando? –
Chiese, accennando alla pletora di persone che attendevano pazientemente sedute ai propri posti, confabulando con i vicini a bassa voce. Arya non poté fare a meno di notare che tutti i presenti fossero corredati di mantelli impreziositi da spille lavorate e copricapi che per lo standard di un mago potevano considerarsi certamente eleganti.
Anche Bruce era agghindato come se fossero invitati ad una delle esclusive e frivole serate alla Confraternita, e considerato che Arya non solo si era presentata con addosso una modesta felpa, un paio di jeans e il suo peggior paio di scarpe da ginnastica, ma sembrava anche l'unica presenza di genere femminile in quel luogo, non riuscì a fare a meno di sentirsi come un avvincino fuor d'acqua.
-aspettano che lo spettacolo cominci-
Le sussurrò ad un orecchio Bruce, il quale le era scivolato accanto silenzioso come un'ombra, cogliendola del tutto impreparata.
-quale spettacolo? Che posto è questo? –
Chiese lei, sforzandosi di contenere il senso di smarrimento e disagio che le provocavano quel luogo e il fiato caldo di Bruce sul collo.
-questo è Père Laschaise, originariamente creato dal grande Salazar è il luogo dove Gellert Grindelwald ha chiamato a raccolta i propri seguaci. Oggi, beh, diciamo che questo è diventato più che altro un luogo di... intrattenimento-
Arya intuì la nota sarcastica e sinistra che impregnava le parole di Bruce e tuttavia non ebbe tempo di chiedere ulteriori spiegazioni perché da uno dei corridoi bui che si aprivano tra gli spalti emerse un uomo che con avanzando con passo deciso prese posto al centro della scena, suscitando un certo brusio da parte del pubblico. Arya non riuscì a vederlo in faccia, ma riconobbe la divisa delle Sentinelle di Salazar.
Pochi istanti dopo dal corridoio immediatamente di fronte fece la sua comparsa un giovane ragazzo che si muoveva incerto, guardandosi attorno senza sforzarsi di celare la propria preoccupazione. Alla fine dopo un attimo di esitazione si decise a raggiungere la Sentinella sul grande spiazzo circolare, e Arya vide che gli uomini sugli spalti cominciarono a scribacchiare qualcosa su dei piccoli ritagli di pergamena usando delle piume che evidentemente non necessitavano d'inchiostro.
-stanno scommettendo-
Le sussurrò Bruce, che sembrava godersi più l'espressione di disgusto che pian piano andava delineandosi sul viso di Arya che lo "spettacolo" vero e proprio.
-è una cosa barbara e crudele-
-beh, è un po' ipocrita da parte tua: ho sentito dire che hai già ucciso uno dei seguaci del traditore Tom Riddle-
Arya distolse per la prima volta lo sguardo dai due uomini al centro della stanza per fissare Bruce, mentre il ricordo di quella notte, di quegli uomini vestiti di nero e con i volti nascosti dietro maschere d'argento, riemergeva assieme al dolore ed alla rabbia.
-venire qui è stato un errore-
Disse, sforzandosi di tornare sui propri passi mentre il suo intero corpo le urlava di rimanere dov'era. La voce di Bruce la raggiunse appena prima che le sue dita sfiorassero la superficie ruvida della porta.
-e pensi che invece una bella scopata con Jonathan ti aiuterà? Che convincerti che lui ti ama ti aiuterà? Se è così, beh, sei un'ingenua Arya Ellis-Miller-
Le disse, con un tono che suonava come un buon compromesso tra una presa in giro e una velata provocazione.
-lui non ti ama e non ti amerà mai, e puoi continuare a negarlo, ma il fatto che sei venuta fin qui dimostra che è questo che sei davvero-
Continuò, abbracciando con un gesto della mano le fredde e cupe pareti che li circondavano e con esse tutte quelle persone che attendevano smaniose che lo scontro cominciasse.
-tu non sei diversa né tanto meno migliore di me come non lo sei di chiunque altro qui, sei solo una tra le tante anime solitarie che vengono in questo luogo in cerca di morte e vendetta-
-tu non sai niente di me! –
Esclamò, mentre la rabbia esplodeva in lei, improvvisa ed incontrollata come le fiamme di un algido azzurro evocate dalla Sentinella e che in un attimo si erano propagate divorando il perimetro dello spazio nel quale i duellanti si preparavano a fronteggiarsi.
-Che Salazar mi fulmini, Jonathan, quel figlio di puttana, aveva ragione-
Rise Bruce, e tuttavia Arya avvertì le sue parole come nulla di più che un sussurro lontano, troppo concentrata a rendersi conto che il gelo che percepiva non era dovuto affatto ad un brusco calo della temperatura in quel luogo inquietante, e quando infine abbassò lo sguardo rimase interdetta nel veder emergere dai palmi delle proprie mani delle timide fiammelle, fedeli riproduzioni in scala di quelle che ardevano minacciose alcuni metri più in basso tranne, ovviamente, per un dettaglio che ad Arya in quel momento parve del tutto insignificante: nel fuoco che bruciava flebile eppure incredibilmente gelido nelle sue mani non era vi era traccia di quell'anonimo azzurro, ma brillava piuttosto di un intenso ed inequivocabile color verde smeraldo.
Arya sentì la testa girarle pericolosamente, mentre le parole di Sirius: "Ti auguro di essere felice e di trovare il tuo posto nel mondo" finivano per mescolarsi con la risata sadica di Bruce, e l'inspiegabile sensazione delle fiamme oscure che bruciavano gelide sulle sue mani si intensificava mentre i due uomini combattevano una battaglia che, almeno per uno dei due, sembrava volgere al peggio.
Quando infine il Mangiamorte cadde, Arya provò la stessa sensazione di quella sera quando quell'uomo il cui terrore era celato da una maschera d'argento era caduto di fronte a lei: una bruciante, inestinguibile soddisfazione.
***
Le urla di chi aveva appena vinto una cospicua somma esplosero rimbombando sulle pareti di Père Laschaise, ma Bruce era troppo preso a crogiolarsi nella soddisfatta consapevolezza di essere riuscito ad instillare nella giovane mezzosangue il dubbio di essere più affine ad un luogo come quello che non ad un elegante salotto della Confraternita.
"Non preoccuparti se dovesse scappare la prima volta, tornerà, e lo farà perché è nella sua natura: credo che Jonathan dopotutto ci abbia visto giusto riguardo quella ragazzina, potrebbe essere davvero la giovane Erede di Salazar di cui parla la leggenda e questo, se mai, rappresenta un motivo in più per liberarci di Arya Ellis-Miller quanto prima."
Gli aveva detto Jonathan Blackburn Senior, che come sempre ci aveva visto giusto.
Bruce sorrise osservando i contorni della porta magica riprendere la propria compattezza dopo che Arya vi si era lanciata attraverso come per fuggire più da sé stessa che da quel luogo.
Ma lei sarebbe tornata, ora Bruce ne era certo, e quando l'avesse fatto lui sarebbe stato lì, a godersi lo spettacolo dell'Erede di Salazar che firmava con le sue stesse mani la propria condanna.
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